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Cinque domande a Giuseppina Norcia

Giuseppina Norcia, autrice di Siracusa. Dizionario sentimentale di una città, risponde ad alcune domande della redazione di VandA.

Siracusa è la tua terra. C’è un luogo specifico della città che più di altri preferisci, o a cui sei legata da ricordi particolari?
Di Siracusa amo molto la luce, quella bellezza accecante in cui si incontrano i colori del cielo e la roccia bianca che è la parte corporea della città, dei suoi templi e dei palazzi antichi, delle cave di pietra e delle grotte marine che d’estate visito spesso, nuotando. Lì abitano ancora gli dèi…
Il posto che più di ogni altro sintetizza questa magia è il Teatro greco, il mio luogo dell’anima da sempre. È un luogo del pensiero e del sentimento, il posto del “primo appuntamento” con la persona che amo, la fonte d’ispirazione di tanti progetti.
Vorrei scrivere una storia ambientata proprio lì, è già nella mia testa.

La passione per il mondo classico e il teatro: da quando ti accompagna e come si è alimentata?
Credo che il primo incontro risalga ai racconti di mio padre, appassionato narratore dell’Odissea, la grande “storia seriale” della mia infanzia. Quando avevo dodici anni, poi, mia zia mi portò con sé a vedere una tragedia di Euripide al Teatro greco: ricordo Elena Zareschi, sublime, maestosa; la dignità e la potenza del gesto, della parola.
Fu una folgorazione. Non sapevo ancora che la drammaturgia antica sarebbe divenuta materia di studio e successivamente di lavoro come autrice e divulgatrice culturale, ma in realtà queste emozioni tracciavano in segreto la via che avrei percorso.
Quella per la cultura classica è una passione che cresce e si rinnova. La sfida sta nel coglierne la vitalità, la relazione con i luoghi e con il sentire dell’uomo di oggi.
Credo fermamente che il Mito sia “Arte contemporanea”, che possa svelarci la misteriosa trama della vita.

Hai una tragedia e/o un personaggio mitologico preferito?
Sono molti, a volte variano quasi rispondendo alle esigenze del momento o delle mie trasformazioni. Oggi tra gli dèi sceglierei Atena, per la profondità della sua intelligenza, la ricerca dell’equilibrio frammista al coraggio e alla potenza nel combattimento. È la dea di Atene, che “conquista” il cuore della sua gente con un dono speciale: l’albero dell’ulivo. Mi piace pensare che il grande albero del Mediterraneo provenga proprio dalle mani della dea!
Tra gli eroi scelgo Achille, personaggio a cui ho dedicato anni di studio e scrittura. Simone Weil, in un libro di rara intensità, definisce L’Iliade “il poema della forza”.
Percorrendo i passi di Achille, anche oltre l’Iliade, tuttavia vedo altro, la forza ma anche una fragilità quasi struggente, l’ambizione congiunta ad un incontenibile desiderio di amare. In lui si contendono il dominio l’ombra della morte e una straordinaria vitalità.
Come un acrobata Achille volteggia tra contraddizioni insolubili, e questo fa di lui un personaggio indimenticabile.

Il tuo libro I racconti del loto (VandA ePublishing, 2015) si ispira alle parabole della tradizione buddhista. Come nasce questo tuo legame con il buddhismo?
Pratico il buddhismo di Nichiren Daishonin da 17 anni. È una religione ed un insegnamento filosofico in cui mi sono subito sentita a casa, come fosse il ricordo di qualcosa che conoscevo già. In questa grande “palestra spirituale” ho imparato la dignità della vita, l’importanza del coraggio e dei tesori del cuore, l’immenso potenziale che abbiamo di trasformare le sofferenze e i limiti in esperienze di grande valore.
Questo senso di speranza, questa ricerca della felicità è la sorgente e l’anima de I Racconti del loto.
I personaggi di queste storie sono eroi che lottano con se stessi: devono vincere la paura e la sfiducia per scoprire che il seme della vittoria e della sconfitta risiede sempre nel nostro cuore. Uno di loro, il generale Li Kuang, riesce a trafiggere una roccia con una semplice freccia grazie al potere della determinazione e della fede. Quando dubita, però, le cose vanno diversamente, pur nelle stesse circostanze.
È ciò che accade costantemente nella nostra vita. Anche per questo, I Racconti del loto è un libro a cui tengo particolarmente, che mantiene lo stupore dei bambini ma parla a persone di ogni età.

Infine, tradizione buddhista e cultura classica hanno elementi in comune o sono mondi separati?
Aristotele diceva che lo scopo della vita, e dunque della filosofia, è la felicità. Il Sutra del Loto definisce la felicità “il desiderio che esiste da sempre in fondo al cuore”. Questa ricerca è forse l’elemento in comune più significativo, quello che tengo come punto saldo nella mia vita e nel mio lavoro. Di certo i conflitti e le sofferenze non sono sempre evitabili, ma nella visione buddhista sono “trasformabili” al punto da divenire rimedi e alleati, proprio come un antidoto contiene una piccola parte di veleno. Anche questo aspetto ci riporta al Mito: non a caso Pegaso, il cavallo alato cavalcato dagli eroi, nasce dal collo decapitato della Gorgone.
Il “mostro”, dunque, può generare un cavallo alato!
Il buddhismo, con la sua visione profonda della vita, mi ha dato una chiave in più per comprendere e trasmettere la cultura umanistica. “Conosci te stesso”, dice il celebre motto delfico che ispirò Socrate, in perfetta aderenza con la visione buddhista.
È proprio così. Tutto comincia dalla rivoluzione umana di un singolo individuo. Allora si può cambiare il mondo.

Giuseppina Norcia è nata a Siracusa nel 1973. Ama la musica, il mare, la buona cucina e i racconti intorno al fuoco. Da anni si occupa di divulgazione culturale, con particolare riferimento al teatro antico, alla cultura classica e alle sue “persistenze” nella contemporaneità. Ha realizzato progetti didattici con università italiane e straniere e ha lavorato per oltre dieci anni presso la Fondazione INDA (Istituto Nazionale del Dramma Antico). Negli ultimi anni ha tenuto corsi di drammaturgia antica e coordinato laboratori per ragazzi sul teatro classico, la lingua italiana e la trasformazione creativa dei conflitti. È autrice di contributi, di taglio sia scientifico sia divulgativo, relativi alla storia di Siracusa e alla messinscena contemporanea della tragedia greca, pubblicati su riviste specializzate (tra cui Dioniso), e di articoli sulla filosofia e sulla religione buddhista. Con VandA ha pubblicato Siracusa. Dizionario sentimentale di una città (2014), tradotto anche in inglese e in francese, e I racconti del loto (2015).

 

 

 

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Cinque domande alle fondatrici di VandA

Giulia, Egle, Silvia e Silvia – il team di VandA – giovani donne che vorrebbero intraprende una carriera nel mondo dell’editoria, hanno rivolto alcune domande alle tre donne che nel 2013 hanno fondato la casa editrice: Silvia Brena, Angela Di Luciano, Vicki Satlow. Scopriamo insieme a loro cosa significa essere editore indipendente al giorno d’oggi.

L’editore indipendente: lo fareste di nuovo? Che cosa consigliate alle giovani donne che vorrebbero affrontare una simile impresa?

Silvia – L’avventura di VandA è ed è stata entusiasmante. Seguire la nascita di un libro dalla progettazione all’uscita è come vedere idee, storie e sogni prendere corpo. E poi VandA è una vera “impresa” al femminile: noi donne siamo organizzate e disorganizzate, perfezioniste ma estemporanee, disciplinate e indisciplinatissime. Un’avventura quotidiana!
Angela – Sì, lo farei ancora, le nevrosi sono difficili da guarire. Francamente, considerando le risorse con cui siamo partite, penso che abbiamo fatto il meglio e trovato un business model funzionante, quindi, stando così le cose, non cambierei niente. Ma potendo, cambierei il budget… Al cuor non si comanda!
Vicki – Ripeterei l’avventura di VandA mille volte, magari la prossima con un investitore… Un consiglio alle giovani donne: imbarcatevi in avventure di questo genere solo con cari amici, è un viaggio gratificante ma molto duro.

Tre parole per descrivere VandA ePublishing:

Silvia – Curiosa. Puntigliosa. Coraggiosa.
Angela – Tenace. Coraggiosa. Scanzonata, un’amazzone bambina.
Vicki – Anarchica. Creativa. Audace.

Si parla di un ritorno del femminismo con manifestazioni in tutto il mondo. Dando uno sguardo ai titoli in catalogo, sembrerebbe che VandA si sia caratterizzata nel tempo per un impegno programmatico di sensibilizzazione sulle tematiche del femminile e del materno. Era questo il vostro obiettivo?

Silvia – Il punto di vista delle donne in questi tempi difficili è fondamentale. Per esempio, il pensiero di Genevieve Vaughan sull’economia del dono, di cui VandA ha pubblicato gli scritti principali, rappresenta un’inedita e, secondo me, efficacissima sintesi per ripensare l’economia ai tempi in cui l’1% dei ricchi al mondo è più ricco del restante 99%. Quindi sì, credo che il pensiero delle donne abbia trovato forza e originalità.
Angela – Sì, anche se non dichiarato. Siamo tutte donne e più o meno femministe, e chiaramente è stato il nostro punto di vista fin dall’inizio. Il punto di vista delle donne è fondamentale come approccio politico, sociale, culturale e quindi editoriale. Questa è stata la sfida più importante di VandA e penso che siamo riuscite a dare un vero contributo in questo senso. Sul femminismo attuale nutro qualche perplessità: bene che Christian Dior produca magliette con la scritta “We should all be feminists”, sacrosanto. Ma se le rappresentanti di questo femminismo sono Beyoncé e Sheryl Sanderberg…
Vicki – Non coscientemente, come ogni attività VandA riflette il carattere e la passione di chi la dirige: tre donne con idee chiare, responsabilità civili e sociali. È evidente, io credo, che ogni attività debba essere svolta con passione: senza impegno non ci sono possibilità di riuscita.

A quattro anni di distanza come reputate il percorso di VandA, rispetto alle aspettative iniziali? Credete ancora nella formula dell’ebook? 

Silvia – Un cammino faticoso, ma ricco di spunti e soddisfazioni. E l’editoria digitale resta una delle grandi opportunità per gli autori e gli editori.
Angela – Non è stato un successo ma neppure un fallimento. Ritengo che VandA sia una realtà interessante nel panorama editoriale, non ancora incisiva, ma con un chiaro posizionamento e un lodevole lavoro di ricerca. Al di là di qualsiasi evidenza, ci credo ancora!
Vicki – Fare l’editore è più difficile e il mercato è più povero di quanto potessimo immaginarci quando abbiamo cominciato. Io credo nelle storie e nella lettura in tutte le sue forme.

Infine, qual è l’ultimo libro che avete amato e quale l’ultimo odiato?

Silvia – Oddio, come fa un editore a odiare un libro? Dico un libro che ho amato molto: L’uomo di fiducia, di Herman Melville. Ha qualche annetto, ma  – come sa fare la buona letteratura – è visionario, perché in pieno Ottocento ha saputo spiegare il carattere dell’americano medio bianco… Come dire: ecco perché si è arrivati a Trump!
Angela – Ultimo amato La scuola cattolica di Edoardo Abbinati. L’ultimo odiato? Sono tanti. Uno per tutti l’ultimo di Saviano.
Vicki – Non si può provare odio per un libro, può mancare la connessione, si può non essere d’accordo. L’odio è un concetto che va molto di moda, oggi, ma non ci si può riferire con odio a un’opera d’arte. L’ultimo libro che ho amato? Il Miracolo dell’Acqua, di Masaru Emoto.

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Sicilia, il triangolo bello


di Alessandro Cannavò, (Corriere della Sera, 10 marzo 2017)


– Eschilo, padre della tragedia greca, decise di finire i suoi giorni qui, sospeso tra la storia e il mito. Archeologia, barocco e natura: venite a scoprirle con il «Corriere».

 

Eschilo è qui. Te lo immagini passeggiare nell’isola di Ortigia, tra il tempio di Athena e quello di Apollo; oppure nel ruolo di regista al Teatro Greco. Sì, perchè il grande drammaturgo che combatté nella battaglia di ;aratona vinta dai Greci contro i Persiani, venne a Siracusa (poi finì i suoi giorni a Gela), dove realizzò due tragedie appositamente concepite per una delle platee archeologiche oggi meglio conservate. È da questa cavea che parte il nostro viaggio nella Sicilia Sud Orientale, il triangolo estremo dell’Europa. Nei giorni del tour proposto dal Corriere andrà in scena I sette contro Tebe al festival del dramma antico. Lo scontro etico, politico, familiare dei fratelli Eteocle e Polinice, figli di Edipo, ci ribalta addosso, come accade sempre nella tragedia greca, dilemmi attualissimi.

Il mito come fuoco che alimenta da sempre le pietre, i colori, gli umori di questa città siciliana. Ce lo spiegherà la scrittrice e divulgatrice culturale Giuseppina Norcia che a Siracusa ha dedicato una «biografia» affascinante, giocata tutta sulla contrapposizione tra luce e buio. La luce abbagliante del sole e della pietra calcarea, il buio delle latomie (le cave di pietra) e delle catacombe, le più estese dopo quelle di Roma. L’ingresso nella cattedralecon la splendida facciata barocca che domina una singolare piazza a mezzzaluna, è da brivido. Le possenti colonne doriche del tempio di Athena sono la struttura portante dell’edificio cristiano. Dimentichiamo per un attimo guerre e distruzioni: l’arte e la fede di epoche diverse qui si abbracciano in una fusione miracolosa. E, giurano i siracusani, la patrona santa Lucia ( di cui in cattedrale non si conserva il corpo ma solo un prezioso simulacro) discende da Antigone.

Sono un siciliano etneo trapiantato al nord ma che ha scelto di farsi adottare (mi trovo in una sempre più nutrita compagnia) da questo lembo di terra. Provo la rabbia per un’isola vittima del suo malgoverno, delle tante cifre umilianti che la pongono spesso agli ultimi posti delle classifiche nazionali ed europee. ma proprio per questo cerco di impegnarmi nel far conoscere le persone di qualità, comunque numerose, che qui brillano più che altrove. Il viaggio si snoda, così lungo una serie di incontri. E sul filo della narrazione: da sempre il modo più congeniale per raccontarsi, dalla tragedia antica all’opera dei pupi.

È un affabulatore della natura il botanico Paolo Uccello che ci condurrà a Pantalica, nella più vasta necropoli rupestre d’Europa a picco sullo spettacolare canyon del fiume Anapo, e nella riserva costiera di Vendicari, dove la storia della vecchia tonnara si intreccia con lo spettacolo delle formazioni di volatili migratori. Uccello è un profondo conoscitore dell’uso delle piante nella medicina popolare e arricchisce le sue spiegazioni di proverbi e pregiere dialettali. Noto è a due passi e vedendola da lontano, come una stampa settecentesca, vengono in mente le parole di Vincenzo Consolo ne Le pietre di Pantalica in cui lo scrittore spiega la smania, a ogni suo ritorno in sicilia, di esplorare posti e incontrare persone come «un volerla vedere e toccare prima che uno dei due sparisca».

Nel «giardino di pietra» barocco (così la definì lo storico e critico d’arte Cesare Brandi) un artista della pasticceria, Corrado Assenza, titolare del caffè Sicilia, ci ricorderà i sapori della ricotta col miele della nonna e ci svelerà l’alchimia della maionese al pistacchio e l’arte della granita.

Nel campo dei sapori è illuminante la scelta di Simone Sabaini, emigrante al contrario: verenose che lavorava nella finanza e che in un’inversione di vita «a U» ha deciso di trasferirsi a Modica per fondare l’azienda di cioccolato Sabadì: tradizione antichissima locale unita a un’idea di commercio del cacao equo e solidale nella scenografica città che Gesualdo Bufalino definì in Argo il Cieco «un paese in figura di melagrana spaccata».

Ma siamo già nel Ragusano e dunque in odor di Camilleri e di Commissario Montalbano. Gli scenari sono quelli di Ragusa Ibla e di Scicli. Elio Vittorini ne La città nel mondo descrive ques’ultima «festosa di tetti ammucchiati, di gazze ladre e di scampanii» e la paragona a Gerusalmme. Lo storico Gaetano Falla ci svelerà la vita delle grandi famiglie in uno degli edifici più noti, Palazzo Spadaro.

E la Sicilia interna dei muretti a secco che scandisce il tragitto verso Piazza Armerina per ammirare gli splendidi mosaici romani della Villa del Casale; e poi a Caltagirone, la capitale della ceramica, dove un artista di fama internazionale come Giacomo Alessi, ci mostrerà la sua ricerca verso nuove forme contemporanee. Il finale è al Monastero dei Benedettini a Catania, il più grande d’Europa, dove il barocco si confronta in un corpo a corpo con la lava e trova un arbitro impeccabile nell’intervento architettonico contemporaneo del progettista Giancarlo De Carlo. La visita al complesso è affidata a Officine Culturali, un caso di successo tra imprese giovanili. La cultura come fonte di sviluppo. Proprio quello di cui ha un bisogno urgente, vitale, la Sicilia.