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A Beirut non ci sono più cani – Mescalina

Articolo di Silvano Rubino originariamente apparso qui

Quando lavoravo con Danielle Sassoon a VITAnon profit sapevo di avere una collega istrionica (quante risate), sapevo che era anche una brava attrice e un’artista figurativa. Non immaginavo, però, di essere collega di una scrittrice.

Ci tengo a dirlo. Una scrittrice. Non una pittrice, attrice e molto altro, che nella vita ha scritto un libro (in Italia chi non l’ha fatto? Persino io…). No, uso la parola in un senso più specifico e pesante: Danielle è una scrittrice. Forse, all’epoca, non lo sapeva nemmeno lei. Figurarsi io che sono stato di lei un buon collega e nulla più.

Dopo aver letteralmente divorato il suo libro “A Beirut non ci sono più i cani“, mi sento di dirlo senza timore di essere smentito. Magari lo ha scoperto tardi, magari non darà seguito a questo primo tempo letterario, ma Danielle è una scrittrice, vera, sorprendentemente matura per un esordio (per quanto tardivo).

Che cos’è una scrittrice? Una che scrive una raccolta di racconti capaci di creare un piccolo universo, un popolo dolente e marginale, alla ricerca – come dice lei -“di un immeritato posto al sole“. Un popolo in esilio, dalle terre di origini, dalle proprie famiglie, da percorsi già scritti e consapevolmente abbandonati, dal conformismo relazionale, dalla salute mentale. Danielle riesce a guardare questi personaggi con un’ironia che non è mai feroce, ma che scaturisce da una profonda compartecipazione al loro destino. Anche perché alcuni di loro non sono nient’altro che alter ego dell’autrice. E quel disincanto con cui li guarda, che spesso diventa umorismo, è quello in cui lei guarda a se stessa e alla sua vita. Sapersi raccontare senza fare narrativa ombelicale è sicuramente una dote da scrittrice. Così come lo è saper alternare umorismo e malinconia, crudeltà e tenerezza, incatenando il lettore in una specie di giostra di emozioni. E una scrittrice è anche la sua lingua, piena di immagini vivide, raffinata ma non autocompiaciuta. Una scrittrice è una che sa chiudere i racconti sempre con un guizzo, una sorpresa, un piccolo colpo di teatro (sipario!).

A Beirut non ci sono più i cani usa i racconti per fare una riflessione profonda sull’esperienza dell’esilio e sulla ricerca dell’identità. Danielle Sassoon riesce a trasmettere, in modo delicato e sottile, la sensazione di sentirsi stranieri ovunque, di cercare un luogo dove sentirsi a casa e non trovarlo mai, ma anche di apprezzare la bellezza della diversità e la ricchezza delle culture che ci circondano.

In questa festa della donna, regalatevi un bel libro scritto da una donna con tante donne dentro, una viaggio nella loro forza e resilienza, ma anche un invito a riscoprire la bellezza e la complessità della vita attraverso la sensibilità e la profondità del loro sguardo.

Grazie Danielle. È stato un bel viaggio. Ora fammi un favore: scrivi un grande romanzo ebraico alla Singer, alla Richler. So che puoi farlo.