Articolo di Alessandro Cannavò pubblicato sul Corriere della Sera (11 novembre 2024), dedicato al libro di Giuseppina Norcia “Con cuore di donna”.
Riletture Giuseppina Norcia (Vanda)
Un nuovo finale per Alcesti
Il mito è libertà
di Alessandro Cannavò
Che fare oggi del mito che tuttora ci chiama, ci attira, ci coinvolge riempiendo i teatri com’è successo anche quest’anno a Siracusa per le rappresentazioni classiche? Accettarlo così com’è, nell’intreccio di passioni, eroismi, nefandezze, dilemmi che accumunano personaggi mortali e divinità; o cedere a una contestazione e a una riscrittura, anticamera di una cancel culture? Giuseppina Norcia propone una terza via in Con cuore di donna. Alcesti, Teti, Atena ( Vanda Edizioni, pp. 90, € 17). Che è quella di riprendere per mano il mito là dove conclude ogni sua storia. E dargli un’altra possibilità di epilogo. Scrittrice, grecista e divulgatrice, Norcia ricerca, nelle sue narrazioni punti di vista meno granitici, per raccontare i personaggi della mitologia. Lo aveva già fatto ne L’ultima notte di Achille, sulla giovinezza del grande guerriero; o in A proposito di Elena, risarcimento alla donna che la leggenda ha «condannato» per la sua bellezza, cagione della guerra tra Greci e Troiani. In Con cuore di donna, Norcia riprende il lavoro di riscatto di personaggi femminili, dee o donne mortali che siano, ancorate in modi diversi da una visione maschile, se non da una dinamica maschilista.
Prendiamo Alcesti, la sposa di Admeto, che accetta più o meno consapevolmente di andare nell’Ade, dunque di morire al posto del marito che avrebbe cambiato il suo destino deciso dagli dei solo con il sacrificio di un’altra persona. Né il padre né la madre accettano lo scambio; non resta che lei, la quale per amore è disposta anche a dire addio ai figli. Ercole riporterà sulla terra Alcesti presentandola velata ad Admeto che si era nel frattempo costruito un simulacro di lei per colmare la mancanza. Tutto è bene quel che finisce bene? Non è successo nulla, si riprende la vita come prima? No, perché il viaggio negli inferi ha dato ad Alcesti una nuova consapevolezza di sé. Così, ecco l’intervento di Norcia: Alcesti se ne va, stavolta con il figlio Eumelo, e Admeto resterà con la sua statua e la sua codardia. Non è un discorso femminista, è un discorso di libertà. Libertà, per esempio, di morire per rinascere che nutre una dea metamorfica come Teti, madre di Achille, oltre che di Efesto, personaggio chiave nella teogonia greca, al centro di molti punti chiave, eppure da sempre «dietro le quinte».
Infine Atena, dea figlia di Zeus, regolatrice di giustizia, che istituisce un tribunale perché scelga di condannare o assolvere Oreste matricida di Clitennestra per vendicare la morte del padre, Agamennone. Il verdetto finale sarà a favore di Oreste, proprio grazie al suo voto che permette di sbilanciare un tribunale esattamente spaccato a metà. Eppure in un sogno in cui vedrà per la prima volta la madre Metis che non l’aveva partorita, perché era stata fagocitata da Zeus, Atena si rende conto, nel racconto proseguito da Norcia, che tutto il processo era inficiato dal falso ideologico della superiorità del padre sulla madre, dell’inferiorità della donna sull’uomo. Da qui comincia una riflessione che porta a una rifondazione.
Gli epiloghi di Norcia sono debitori, come la scrittrice dichiara apertamente, delle riflessioni sul mito e le differenze di genere di Christa Wolf, Maria Zambrano, Clarice Lispector, Luce Irigaray, Jacqueline Morineau, Carla Lonzi, Gianna Mazzini, Giovanna Galletti. Ma anche di Pier Paolo Pasolini. Tutti alla ricerca di un’altra verità in una materia, quella del mito, che si rigenera. E che per questo resta tremendamente attuale.