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Arabia Saudita, la condizione delle donne descritta da Michela Fontana


di Farian Sabahi e Domenico Affinito (IoDonna, 14 luglio 2015)


– È l’autrice di “Nonostante il velo”, pubblicato in formato elettronico da Vanda e stampato on demand dal sito Amazon.

In Arabia Saudita le donne sono confinate in un ruolo di secondo piano, secondo una rigida applicazione del diritto islamico. Per tutta la vita sono considerate minori, e di conseguenza non possono muoversi liberamente, nemmeno per andare all’ospedale, se non sono accompagnate da un guardiano. È l’istituto del guardiano che le relega in secondo piano. Eppure, sebbene non possano guidare l’automobile e tanti diritti (che noi diamo per scontato) negati, esprimono forti istanze di rinnovamento. Ad aprirci uno squarcio nella realtà femminile saudita è Michela Fontana che in Arabia Saudita ha vissuto due anni e mezzo, dal 2010 al 2012, al seguito del marito ambasciatore d’Italia a Riad. Un soggiorno che le ha permesso di incontrare tante donne, diverse, e di scrivere il libro “Nonostante il velo” pubblicato in formato elettronico da Vanda e stampato on demand dal sito Amazon.


 

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Quello che le donne saudite non dicono


di Giulia Marani (Giornalettismo, 17 giugno 2015)


– Essere donna in Arabia Saudita può sembrare un esercizio complesso ai nostri occhi occidentali.

Essere donna in Arabia Saudita può sembrare un esercizio complesso ai nostri occhi occidentali. Si tratta di camminare su un filo teso tra ciò che è lecito – comportamenti, frequentazioni, azioni anche quotidiane o banali – e ciò che è haram, proibito, eludendo i controlli della polizia religiosa. Si tratta di indossare l’abaya, una tunica nera larga e lunga fino alle caviglie, completata dall’hijab, un velo dello stesso colore che deve necessariamente celare alla vista i capelli, le orecchie e la nuca, oppure dal niqab, che lascia scoperti solo gli occhi, e di dipendere per tutta la vita da un tutore maschio. Il divieto di guidare, inoltre, obbliga le donne a fare ricorso a un autista per qualunque spostamento, compreso il tragitto casa-lavoro.

Strette in una morsa di divieti e proibizioni, le donne saudite non sono spesso al centro dell’attenzione in Occidente, se si escludono i dati raccolti dagli osservatori che si occupano di diritti civili e qualche exploit cinematografico – per esempio, il successo di pubblico e critica del film “La bicicletta verde”, della regista Haifa al Mansour, uscito nel 2012. Una delle ragioni di questo silenzio è senz’altro la difficoltà d’accesso alle opinioni della metà femminile dei sudditi di Re Salman: nel paese dove vige la più rigida segregazione di genere al mondo, la frequentazione delle donne locali è preclusa agli stranieri, a meno che questi non appartengano al gentil sesso e non risiedano per un periodo abbastanza lungo a Riad e dintorni.

NONOSTANTE IL VELO: L’OPERA – Una giornalista e saggista italiana, Michela Fontana, ha trascorso più di due anni in Arabia Saudita al seguito del marito e ha avuto modo di penetrare l’harem diffuso nel quale vive la popolazione femminile del paese. Il risultato di questa esperienza è un e-book dal titolo Nonostante il velo, pubblicato da una giovane casa editrice digitale, Vanda ePublishing, che raccoglie le storie di moltissime donne saudite – alcune molto famose, come la scrittrice Rajaa Alsanea, autrice del controverso romanzo “Ragazze di Riad”, o la giornalista Somayya Abarti, la prima saudita nominata direttore di un quotidiano, mentre altre sono semplici mogli e madri – mettendo a nudo ambiguità e contraddizioni di una cultura che conosciamo ancora poco a queste latitudini. Un libro lucido e necessario, che le donne di cui si parla non leggeranno perché come tanti altri è stato messo al bando nel paese.

SOCIAL NETWORK E ATTIVISMO DIGITALE – Eman è la più nota blogger saudita. Attraverso internet, lei e le sue compagne hanno riportato al centro dell’attenzione la rivendicazione del diritto di guidare l’auto, con una serie di azioni dimostrative ispirate alle manifestazioni dei primi anni Novanta. Iva abita nel Qasim, la provincia considerata il nucleo più conservatore del paese. Negli anni Ottanta ha creato un centro autogestito per fornire assistenza alle donne che avevano subito violenze. Oggi, la sua campagna per favorire la partecipazione delle donne alle elezioni municipali si appoggia sulla rete. Wadha, vittima di un padre padrone, ha programmato la sua fuga all’estero fin nei minimi dettagli con la complicità di una ragazza conosciuta in chat. Asma è stata ripudiata due volte. Tradizionalista e molto religiosa, trascorre le giornate accudendo il figlio del fratello e cercando di scovare su Twitter le persone, soprattutto ragazze, che organizzano picnic o altre attività che considera “troppo licenziose”, per poi denunciarle ai mutaween. Che si tratti di attiviste che si battono per l’emancipazione femminile oppure di paladine del fondamentalismo di stampo wahhabita, nessuna donna saudita si allontana troppo dal suo smartphone.

Internet, accessibile nel paese dal 1999, ha assunto un ruolo di primo piano in Arabia Saudita. Gli utenti di Facebook – oltre sei milioni – e di Twitter – tre milioni circa – sono in percentuale tra i più numerosi nei paesi arabi. Anche se la censura sul web è palese, le autorità faticano ad arginare la circolazione delle informazioni sui social network. Mentre Facebook e Twitter diventano piattaforme attraverso le quali organizzare – sempre con estrema prudenza – il dissenso, la comunicazione digitale svela i soprusi compiuti dalle autorità nei confronti di alcune donne e le situazioni di degrado rendendo le nuove generazioni più consapevoli delle ineguaglianze sociali e di genere.

MASCHERE E COMPLICITÀ – Se alcuni aspetti della vita delle donne intervistate da Michela Fontana possono sorprendere, per esempio l’uso di abiti provocanti sotto l’abaya o il ricorso massiccio alla medicina estetica, uno degli aspetti che emergono con più forza dalla narrazione è la necessità di un continuo adattamento al contesto sociale. “A noi riesce bene modificare i nostri comportamenti a seconda degli ambienti in cui ci troviamo, lo facciamo per spirito di sopravvivenza” rivela la scrittrice e attivista Munira. Oltre alla paura, entra in gioco anche il benessere economico, che spesso agisce come freno alle possibili rivendicazioni. Il flusso di petrodollari nelle casse reali garantisce al paese un apporto costante di ricchezza e offre il miraggio di una vita facile e agiata alla maggioranza della popolazione, rendendo la società saudita una delle più consumistiche al mondo. I cittadini godono di numerosi vantaggi, dalle scuole pubbliche gratuite alla sanità gratuita, dal prezzo irrisorio della benzina allo stipendio garantito dal governo ai giovani che frequentano le università pubbliche. La cura della casa e l’elevamento dei figli, che prima del boom petrolifero costituivano l’occupazione principale per le donne, sono oggi appannaggio quasi esclusivo delle domestiche straniere, una presenza costante nelle case saudite. Se le donne non lottano con forza per conquistare maggiore libertà, quindi, non è soltanto per timore delle conseguenze ma anche perché la ricchezza compensa le limitazioni della libertà.“Scherzi? E dover prendere il metrò tutte le mattine per andare al lavoro? Qui la vita è facile, ho un ottimo stipendio e non devo lavorare troppo per raggiungere una buona posizione” chiosa un conoscente dell’autrice, descritto come un uomo di larghe vedute e cosmopolita, in risposta alla domanda su un suo eventuale trasferimento a Londra.


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Islam, risorse e contraddizioni


di Mariangela Milani (La Libertà, 10 Giugno 2015)


La giornalista Michela Fontana ha presentato “Nonostante il velo”.

L’Arabia Saudita? Un paese pieno di paradossi, dove la donna o il povero possono aspirare a migliorare la loro condizione solo in virtù della benevolenza del re, a tutti gli effetti ancora un monarca assoluto, e dove ogni aspetto della vita sociale e politica è scandito da una rigidissima applicazione di un Islam puritano i cui precetti si rifanno a quello dello origini. Parola di Michela Fontana, giornalista e divulgatrice scientifica, autrice tra l’altro del noto Matteo Ricci un gesuita alla corte dei Ming la cui edizione francese ha vinto il Grand prix de la biographie politique 2010. La giornalista è stata ospite l’altro pomeriggio a Castelsangiovanni all’interno della rassegna Libri in villa per parlare di un altro volume, e cioè Nonostante il velo – Donne dell’Arabia Saudita, frutto di una sua particolare esperienza. Per due anni, dal 2010 al 2012, Fontana ha infatti avuto l’eccezionale opportunità, al seguito del marito Valentino Simonetti ambasciatore italiano a Riyadh (ospite anche lui a Castelsangiovanni), di vivere in questo paese dove ancora oggi è difficile entrare (non lo si può fare ad esempio per semplice turismo). Caratteristica questa che lo rende “opaco” agli occhi degli occidentali. Un paese dove esiste una segragazione dei genere che fa sì che una donna dipenda per tutta la vita dal suo “guardiano”e cioè marito, padre o figlio che sia.  […]. [Michela Fontana ha] quindi cercato di esplorare, con piglio giornalistico, l’universo femminile intervistando le donne. «Ciò che ho cercato di fare – ha precisato a margine dell’incontro organizzato nel salone di villa Braghieri – è stato quello di fotografare la situazione così come mi veniva raccontata e restituirla nel modo più veritiero possibile, senza dare giudizi ma lasciando al lettore il compito di farsi una sua idea». Alcune delle donne intervistate sono le stesse che nel 1990 inscenarono la famosa protesta mettendosi alla guida. «Loro stesse non immaginavano di andare incontro a una tale reazione» ha spiegato la giornalista ospite a Castelsangiovanni. Tutte persero il lavoro e vennero sottoposte a una vera e propria gogna pubblica, insieme anche alle loro famiglie. Non c’è però solo questo. Dietro al velo c’è anche una gran voglia di cambiamento. «Nonostante il velo – ha detto Fontana – c’è un fermento, si fanno piccoli passi in avanti. Dietro al velo c’è un mondo da scoprire che stupisce per vivacità, sia in senso positivo che negativo».


 

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Come vive oggi una ventenne saudita? “Tutto il giorno su Instagram e Twitter. E (personalmente) non voglio guidare”


di Viviana Mazza (La 27esima ora, 30 maggio 2015)


“Le saudite possono finalmente guidare – titolava nei giorni scorsi il Wall Street Journal –  ma solo in un videogioco”. 

Si chiama “Saudi Girls Revolution” e l’ha messo in commercio un principe saudita trentunenne (nipote del re). Le eroine indossano l’abaya obbligatoria ma guidano moto potentissime (qui il trailer). “Se possiamo raccontare storie di donne che guidano, forse succederà davvero”, ha detto il principe Fahad bin Faisal Al Saud, che ha dato alle protagoniste i nomi delle sue parenti inclusa la nonna.  “La vita per molti giovani sauditi è un ecosistema di app – scriveva di recente anche l’inviato del New York Times a Riad – In mancanza di libertà di espressione, si dibatte su Twitter. Visto che non possono flirtare al centro commerciale, lo fanno su WhatsApp e Snapchat. Poiché alle ragazze è vietato guidare, prenotano l’auto su Uber e Careem…. Ma essere sempre più connessi non significa necessariamente diventare occidentalizzati. I conservatori religiosi usano i social media quanto i progressisti, e molti giovani restano rispettosi e orgogliosi della propria cultura. Anche chi vuole il cambiamento dice che deve avvenire gradualmente”. Cosa sta cambiando con il boom di Internet e dei social media  in un Paese in cui oltre la metà dei 18 milioni dei cittadini ha meno di 30 anni?  Lo abbiamo chiesto a una ventenne saudita, contattata attraverso Michela Fontana, matematica milanese che ha vissuto per due anni a Riad (ascoltatela anche in radio) e autrice del libro “Nonostante il velo” (appena pubblicato da VandA). Ecco il suo racconto.

Diversi anni fa, Internet era accessibile soltanto attraverso il PC e il  portatile, per cui la gente poteva collegarsi solo da casa, dall’ufficio o dagli Internet café. Oggi Internet è nelle nostre mani, portiamo i nostri smartphone e iPad dappertutto. Siamo su Facebook, Instagram, Twitter e Snapchat quasi tutto il giorno, a mandare foto, registrare video e così via. Uso Internet per guardare film o condividere foto e video o per leggere. Credo che in Arabia Saudita Instagram, Snapchat e Twitter siano i social più popolari, senza dimenticare YouTube dove puoi guardare film o serie tv, ascoltare la musica, caricare i tuoi video, parlare liberamente. Internet ci ha dato (non solo in Arabia Saudita ma ovunque) l’opportunità di incontrare persone di tutto il mondo.

Internet ha aiutato anche ad abbattere molti muri tra uomini e  donne.

Possiamo interagire liberamente attraverso Twitter oppure in video su Snapchat o commentando le foto su Instagram e i video su Youtube. Da noi ci sono persone favorevoli e che incoraggiano quest’idea che uomini e donne possano interagire. A volte uomini e donne lavorano insieme a progetti comuni via Internet o organizzano incontri d’affari o workshop online. La gente è più aperta oggi all’idea, basta che non venga superata la linea rossa.

Sfortunatamente ci sono stati casi in cui alcune ragazze sono state ricattate da uomini che avevano visto le loro foto senza velo.Penso che questi uomini siano malati! Non capisco che divertimento ci possa essere nel ricattare una ragazza per le sue foto. Ma credo che oggi questo sia diventato molto raro. Personalmente, non conosco nessuna che sia stata vittima di una cosa del genere, ma ho sentito in giro un paio di storie.

Se dovessi scegliere un determinato valore occidentale come modello? Forse sceglierei la libertà di parola anche se penso che anche noi abbiamo libertà di parola (fino a un certo punto).

Penso che i piccoli passi siano meglio che nessun movimento. E’ vero che per alcuni versi l’Arabia Saudita è più lenta rispetto ad altri Paesi, ma almeno stiamo facendo qualcosa.  Non posso dimenticare o negare gli enormi cambiamenti che sono avvenuti nel nostro Paese sotto Re Abdullah (che riposi in pace). E in soli nove anni! Era un grande sostenitore delle donne! Spero che il cambiamento continui e che le idee e l’eredità di Abdullah continuino a vivere.

Il diritto alla guida? Personalmente non voglio guidare, non mi piace il traffico e non sono molto paziente. Comunque, appoggio il diritto delle donne a guidare: alcune non possono permettersi di avere un autista, altre credono che sia più rapido e conveniente anziché dipendere da qualcun altro. Non so se guideremo mai qui in Arabia Saudita, ma credo che tutto sia possibile, l’unica cosa che ci serve è il tempo, per quanto lungo possa essere.

Dimenticavo! C’è una cosa che proprio non prenderei a modello dal mondo occidentale, e cioè il fatto che così tanti occidentali non hanno forti legami familiari. In alcuni Paesi occidentali, i ragazzi lasciano la casa dei genitori prima del college per andare a vivere da soli. Non fraintendetemi: mi piacerebbe andare a vivere da sola, ma non così presto. Anche se la cosa ha dei vantaggi, significa pure essere lontana dalla tua famiglia e in alcuni casi non poter vedere spesso i tuoi cari. Capite quel che voglio dire?


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Un dono sovversivo


di Alessandra Pigliaru (Il Manifesto, 24 aprile 2015)


– Un incontro con Genevieve Vaughan, filosofa e femminista americana che studia le società del libero scambio, individuando in quella gratuità, che ha radici materne, il principio anticapitalista per eccellenza.

Tra antropologia, filosofia, semiotica e linguistica, secondo Genevieve Vaughan l’economia del dono è efficace perché le si riconoscono le radici nel dono materno unilaterale. La scelta radicale di parlare di dono attraverso una critica femminista è stata una pratica e una scoperta, metodo teorico-pratico di lettura della realtà. Negli anni, alcune intersezioni – come per esempio i Moderni studi matriarcali fondati da Heide Goettner-Abendroth – hanno lambito le originali analisi di Vaughan sull’urgenza dell’economia del dono. Passando dal ripensamento delle categorie marxiane fino alle pratiche messe in atto da società pre-capitalistiche e spesso matricentriche ancora esistenti, i suoi interventi sono integralmente consultabili al sito internet: www.gift-economy.com.
Tra i suoi libri più significativi vi è certamente quello che riassume la questione dell’economia del dono, For-giving. A feminist criticism of Exchange (1997) tradotto in Per-donare. Una critica femminista dello scambio (Meltemi, 2005). Più recenti sono invece The Gift in the Heart of Language: the maternal source of meaning (Mimesis International, 2015) e Homo Donans, scritto qualche anno fa in inglese e ora in italiano in ebook (edizioni VandA, 2015). Negli Stati Uniti ha creato una fondazione composta da donne che si è occupata di antinucleare, pace, antirazzismo e varie altre questioni. Si chiamava Foundation for a Compassionate Society. «Mi hanno detto che la parola compassione non suona bene in italiano – racconta Vaughan – in realtà intendevo solo dire che la società, invece di crudele, doveva essere compassionevole. È stato un tentativo di cambiare i valori attraverso la pratica».

Quando ha cominciato a riflettere sul dono?
Ho iniziato negli anni Sessanta, mi ci è voluto però molto tempo per arrivare a un pensiero compiuto. Sono una slow philosopher, ho praticato slow thinking. Allora c’erano pochi autori che ne parlavano. C’era stato Marcel Mauss, ma i tre punti del «dare, ricevere, ricambiare» – che secondo lui caratterizzano il dono – non mi soddisfacevano; poi Lewis Hyde negli Stati Uniti, con il suo libro del 78 The Gift e il gruppo della rivista Mauss fondata all’inizio degli anni Ottanta in Francia sono stati fra i primi. Nei miei libri spiego come ho iniziato allora a cercare di definire il dono. Trovo che sia una base del linguaggio. Sono diventata femminista qui in Italia, ma poi sono tornata a vivere negli Stati Uniti nel 1983 e ho portato a casa sia il femminismo italiano che le mie idee sull’economia del dono. Siccome nessuno del mio ambiente aveva mai sentito niente del genere, ho pensato che dovessi praticarlo. L’ho fatto in Texas con la Foundation for a Compassionate Society, che è stato un esperimento fondamentale.

Perché l’idea di proporre un convegno sulle radici materne dell’economia del dono?
Gli studi matriarcali e indigeni ci aiutano a connettere il materno e l’economia del dono perché mostrano come possa funzionare l’economia del dono nella realtà. Gli studiosi e attivisti indigeni non hanno la stessa visione del dono che aveva Mauss e abbiamo ora la possibilità diretta di ascoltarli e collaborare. Nelle loro società, in molti casi, si vede il dono ancora funzionante malgrado gli attacchi della società patriarcale e capitalista europea. Tutte le diversi voci che riflettono sul dono uniscono moltissimi movimenti economici, femministi, indigeni, ecologisti, pacifisti che operano per soddisfare il bisogno di cambiamento di paradigma, per realizzare una società radicalmente diversa.

Dal 2001 a oggi si è sempre occupata dell’«International Feminists for a Gift Economy». Nel suo ragionamento c’è un legame primario tra il dono e la cura materna; il paradigma è lo spostamento dal «do ut des» nella infinita catena di dono e contro-dono al piano del bisogno. È il riconoscimento di sapersi dipendenti?
La logica del dono unilaterale aderisce alla logica primaria della vita, ed è molto diffusa; non c’è niente di straordinario né l’ho mai intesa come una conquista di carattere morale, piuttosto come una pratica di cura che, fin dall’infanzia, crea rapporti di mutualità e fiducia. Dal momento della nascita si riceve tutto in dono – dalla madre o da chi si prende cura di chi è piccolo che, in alcuni posti del mondo, sono addirittura villaggi interi. Nel caso dei bambini e delle bambine è una questione di vita o di morte, nel senso che chi non viene curato non sopravvive. La logica del dare e ricevere è transitiva, ovvero ciò che viene prodotto passa dall’uno all’altro per soddisfare un bisogno. Il dono gratuito costituisce quello che in economia si chiama modo di distribuzione e la matrice, la modalità in cui si dispiega, dà uno spazio allo sviluppo infantile di una soggettività imperniata intorno a quella esperienza trasmissiva, non alla esperienza dello scambio, che i bambini capiscono molto più tardi.
È interessante notare come l’esperienza della dipendenza positiva si scontri con l’indipendenza proposta dal mercato: paradossalmente, quest’ultima è proporzionale al guadagno di una efficiente dipendenza. In una comunità basata invece sull’economia del dono, tutti si riconoscono dipendenti e tale dipendenza – di altra qualità rispetto a quella offerta dal mercato – fa arretrare la prestazione coercitiva e selettiva.

In un momento drammatico come quello che stiamo vivendo, con il neoliberismo che inneggia all’agonismo, vi è una pesante divaricazione tutta retorica che prevede la gratuità per «meritare di esistere» e il sacrificio. Come fa il dono a non essere divorato o piegato agli interessi perversi dello sfruttamento contemporaneo?
Il mercato è un meccanismo di appropriazione dei doni. Il plus-lavoro, inteso come lavoro non pagato, è un dono forzato così come lo sono le risorse naturali – l’acqua per esempio o i semi che un tempo erano gratuiti e ora sono stati acquisiti, privatizzati e trasformati in merci dalle multinazionali.
Il lavoro delle casalinghe, anche se non è forzato nella stessa maniera, costituisce un dono all’economia stessa (aumentando il Pil di un’alta percentuale di cui l’entità esatta è ancora dibattuta da ricercatori come Waring e Ironmonger) poiché i datori di lavoro non devono pagare e quindi il «dono» delle casalinghe contribuisce al loro profitto.

Il mercato si erge come modello di comportamento, creando un homo economicus che non è mosso dal bisogno altrui. Si pone come unica misura di benessere, peccato che il dare per ricevere qualcosa in cambio nasconda come unica mira il «dono di profitto» creando l’illusione di essere principio di valore autosufficiente. C’è un modello di convivenza sotteso a tale dinamica, un motto equivalente al mors tua vita mea, un dispositivo vendicativo dell’occhio per occhio ma anche esempi più insidiosi perché apparentemente positivi – la giustizia come indennizzo del crimine o il senso di colpa come preparazione al risarcimento. In queste strutture includerei anche il meritare di esistere o attraverso lo scambio o attraverso il dono. Se sul piano macro-economico il mercato divora il dono e lo piega ai propri interessi, su quello della pratica quotidiana penso sia importante una presa di coscienza dell’esistenza di questa economia materna nascosta, per potersi sottrarre al cannibalismo del mercato che vorrebbe piegare universalmente volontà e desideri.

Che cosa esattamente produce questo mercato rovinoso che cerca di servirsi dell’economia del dono?
Proprio negli ultimi giorni abbiamo tristemente assistito alla rappresentazione dei valori bio-patici di cui questo mercato è intriso; questi valori sono facilitati dalla negazione o rimozione della memoria storica e di contesti materiali più ampi. La mia amica Charito Basa (presidente del Filipino Women’s Council, ndr) ha detto che i migranti «vanno dove sono andati i loro soldi»; vengono in Europa perché prima c’è stato lo sfruttamento dei doni e delle risorse dei loro paesi da parte dell’Europa (e degli Stati Uniti). Questa accumulazione dei doni nel Nord del mondo ci fa apparire come se avessimo una grande e ricchissima economia indipendente, anche se facciamo finta di ignorare la provenienza di quella ricchezza.

Non vogliamo che gli immigrati si impadroniscano del nostro bottino che abbiamo preso da loro. Così quello che viene prodotto – che deriva dallo statuto dell’homo economicus – è una cecità stupefacente dinanzi ai deboli, agli ultimi, alle vittime di una povertà inaudita e causata dalle guerre armate anche dall’occidente. Gli uomini e le donne, le bambine e i bambini, che spesso trovano la morte nel nostro Mediterraneo si spingono fin qui per poter dare da mangiare ai propri figli e alle proprie figlie, per poter praticare il dono necessario alla loro vita.


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Medioevo Arabia Saudita. Cosa cambia sotto il velo.


di Claudia Cangemi (Il Giorno, 19 aprile 2015)


Michela Fontana racconta la vita la vita delle donne a Riad.

Il volto meno disumano dell’integralismo islamico. Si potrebbe forse definire così l’Arabia Saudita, accusata in passato d’essere stata culla dei terroristi di Al Qaeda ma ufficialmente al fianco dell’Islam moderatoe del fronte anti Isis. Ma il Paese governato in base ai dettami della Sharia è noto alle cronache anche per la rigida segregazione e le oppressive limitazioni della libertà delle donne, cui è vietato guidare la macchina e muoversi senza un “guardiano”, pena l’arresto. In questa nazione teocratica, e ricca di preziose materie prime (il petriolio innanzi tutto) ha vissuto per due anni e mezzo Michela Fontana, giornalista e saggista milanese con lunghi trascorsi all’estero anche come addettascientifica nelle ambasciate, dagli Stati Uniti alla Cina. E con il pragmatismo tipico del documentarismo e il piglio del miglior giornalista d’inchiesta, Fontana ha voluto esplorare in profondità quella società, per capire cosa pensano le donne sotto e “Nonostante il velo – Donne dell’Arabia Saudita“. «Parlare con le dirette interessate era il solo modo per capire – spiega-. In una società così chiusa ci vuole tempo per superare la diffidenza inculcata verso l’occidente inculcata in queste persone».

Qual è il quadro che emerge dalle sue ricerche sul campo? «Dall’interno può sembrare una società immobile in regressione, ma da vicino si scorge qualche segnale di movimento, in mezzo a mille contraddizioni».

Nell’anno 2015 come possono le donne arabe accettare una condizione così anacronisticamente subalterna? «Pare incomprensibile in effetti. Ma occorre considerare il fatto che l’Arabia Saudita non è una democrazia bensì una monarchia assoluta di tipo teocratico. i sauditi fon dalla tenera età subiscono un vero e proprio lavaggio del crevello: basti pensare che frequentano 5 volte al giorno di lezioni religiose e il merito più grande è recitare a memoria tutto il Corano».

Nel libro racconta un episodio straziante, accaduto tredici anni fa. «Una storia ancora peggiore di quella ricordata nella Giornata della Donna. L’11 marzo 2002 scoppiò un incendio in una scuola della Mecca. Le ragazze che seguivano le lezioni tentarono di mettersi in salvo, ma i sacerdoti le ricacciarono indietro perchè non indossavanoo “abaja”e il velo. Impedirono di entrare persinio ai vigili del fuoco e ai genitori disperati. Morirono in quindici, altre cinquanta rimasero ferite».

Ci racconti come vive “l’araba media”. «È soggetta al potere maschile, come si suol dire, dalla culla alla tomba. In genere passa senza soluzione di continuità dalla prevaricazione del padre a quella del marito. raramento lavora e resta quasi sempre segragata in ambienti esclusivamente femminili. Non può uscire se non velata o in compagnia di un uomo».

E quali sono i segnali di cambiamento di cui parla? «Le ragazze studiano più a lungo, si sposano spesso molto più tardi (non a 16-17 ma a 25 o 30) o a volte rifiutano le nozze per restare nella famiglia d’origine e non subire più botte e violenze o di finire ripudiate. Sempre più frequenti sono i matrimoni d’amore anzichè combinati dalle famiglie».

Merito di tv e web che portano il mondo in casa? «Infatti, questo è un elemento più tra i più stridenti. In un Paese dove viene impedito ogni contatto tra uomini e donne, molte ragazzine chattano via Internet proprio come le loro coetanee americane…».

E dal virtuale si passa poi al reale? «Capita, sì. Ma poichè le più emancipate e intraprendenti sono considerate “facili”, spesso i ragazzi ne approfittano: le seducono promettendo il matrimonio e poi le lasciano, senza subire alcuna riprovazione sociale. Gli uomini possono sposare tutte le donne che sono in grado di mantenere e c’è persino una forma di adulterio legalizzato: il matrimonio temporaneo può durare pochi giorni e non implica alcun obbligo».

Come possono accettare tutto ciò, le donne? «Oltre all’educazione oppressiva, hanno molta da perdere. Essere messe al margine o in carcere. Alcune poi sostengono di sentirsi protette dalla segregazione e di considerare noi occidentali alla mercé della violenza maschile».

C’è modo di aiutarle sulla via dell’emencipazione? «Le attiviste chiedono di parlare di loro il più possibile: la cattiva reputazione internazionale è il tallone d’Achille del regime».


 

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‘Nonostante il velo’, come le donne cambiano la storia


(Ansa, 1 aprile 2015)


Michela Fontana racconta l’Arabia Saudita al femminile.

Un diario-reportage-intervista in cui le donne arabe, raccontando se stesse, svelano allo sguardo occidentale il misterioso universo femminile che in Arabia Saudita sta, tra mille difficoltà, cambiando la storia: è questo ‘Nonostante il velo‘, libro della giornalista Michela Fontana (VandA.ePublishing. Disponibile online in tutti i bookstore).

In quello che è uno dei più misteriosi Paesi islamici, dove è praticata una rigida segregazione dei sessi, qualsiasi sia il loro ruolo sociale o la loro professione le donne ”vivono confinate nel ruolo disegnato per loro dalla Sharia, dipendono a vita da un guardiano, non possono guidare l’automobile, non possono mescolarsi agli uomini, né in pubblico né privato, in un harem diffuso fatto di divieti, di soglie, di proibizioni, di ingressi separati”. Vivendo e lavorando a Riad per due anni e mezzo l’autrice ha potuto accedere ad un mondo femminile del tutto precluso a molte occidentali di passaggio e a qualsiasi uomo, esplorando la società saudita dall’interno e raccontandola attraverso gli occhi delle donne che ne fanno parte. Con loro ha parlato, si è confrontata scoprendo che dietro questa cortina di ferro ”sono proprio le donne ad esprimere le più forti istanze di rinnovamento del paese”.

Raccontando le storie delle donne Fontana fornisce inoltre una chiave di lettura per interpretare il mondo islamico e una cultura che a noi appare spesso incomprensibile. Michela Fontana giornalista e saggista, ha vissuto quindici anni tra Usa, Canada, Svizzera, Cina e Arabia Saudita. Il suo libro ‘Matteo Ricci. Un gesuita alla corte dei Ming’ (Mondadori 2005), tradotto in francese e inglese, ha vinto il “Grand Prix de la biographie politique” nel 2010. (ANSAmed).


 

 

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Arabia Saudita: un ritratto al femminile


di Mimma Zuffi (Sognaparole, 18 marzo 2015)


– Il paese islamico più segreto visto per la prima volta attraverso gli occhi delle donne che lo abitano.

Che siano attiviste, donne d’affari, studentesse, giovani professioniste, islamiste radicali, scrittrici, o semplici mogli e madri, le donne in Arabia Saudita,  il paese dove è praticata una segregazione dei sessi tra le più rigide al mondo, vivono confinate nel ruolo disegnato per loro dalla Sharia, dipendono a vita da un guardiano, non possono guidare l’automobile, non possono mescolarsi agli uomini, né in pubblico né privato, in un harem diffuso fatto di divieti, di soglie, di proibizioni, di ingressi separati.
Vivendo e lavorando a Riad per due anni e mezzo, dal luglio 2010 al dicembre 2012, l’autrice di questo straordinario diario ha potuto accedere ad un mondo femminile del tutto precluso a molte occidentali di passaggio e a qualsiasi uomo, esplorando la società saudita dall’interno e raccontandola per la prima volta attraverso gli occhi delle donne che ne fanno parte. Con loro ha parlato, si è confrontata, ha condiviso segreti, esperienze e racconti, scoprendo che dietro questa cortina di ferro sono proprio le donne ad esprimere le più forti istanze di rinnovamento del paese.
Ogni pagina è un viaggio attraverso il deserto e la magia di un luogo tanto lontano dalla nostra cultura e quotidianità quanto magnetico e affascinante nella sua dualità. Il risultato è una straordinaria polifonia di voci che mostra i paradossi e le ambiguità di un paese, il più opaco del mondo arabo,  che ha ispirato alcuni dei più pericolosi movimenti fondamentalisti, fornendo una chiave di lettura per interpretare un mondo islamico che fatichiamo a comprendere, semplicemente perché non lo conosciamo.
Le storie che Michela Fontana raccoglie si basano su interviste approfondite e sincere, si fondano sulla verità, sulla parola e sul racconto della vita di queste donne, in alcuni casi tutelate dall’anonimato, che come eterne minorenni sono costrette a chiedere il permesso per uscire di casa, per studiare, per viaggiare, per sposarsi, ma che iniziano a sentire il vento del cambiamento sulla loro pelle.
Esperienza unica e indimenticabile, l’accesso a questo mondo segreto ricco di stimoli e fascinazioni è stata un’avventura che l’autrice ha vissuto come un vero privilegio, consapevole che oggi il metro di misura per capire l’evoluzione della società, nei paesi islamici, è proprio il ruolo riservato alla donna. Soltanto moglie o madre, destinata esclusivamente alla procreazione, come vorrebbe la tradizione, oppure protagonista a pieno titolo del mondo dell’educazione e del lavoro, parte attiva e imprescindibile dello sviluppo economico, come invece la realtà sembra dimostrare?
Michela Fontana giornalista e saggista milanese, ha vissuto quindici anni tra Usa, Canada, Svizzera, Cina e Arabia Saudita. Il suo libro Matteo Ricci. Un gesuita alla corte dei Ming (Mondadori 2005), tradotto in francese e inglese, ha vinto il “Grand Prix de la biographie politique” nel 2010. Ha pubblicato inoltre Percorsi calcolati e Cina, la mia vita a Pechino (Le Mani, 1996, 2010).
VandA.ePublishing – fondata da  Vicki Satlow, agente letterario, Angela Di Luciano, editor, e Silvia Brena, giornalista, direttore di magazine e oggi a capo di un’importante agenzia di comunicazione – è una nuova casa editrice digitale, indipendente, senza confini, innovativa, che sfrutta le possibilità offerte dalla rete e le nuove tecnologie per un approccio diverso al mercato editoriale. Nasce con un dna digitale e l’intento di coinvolgere autori e lettori in una community, con criteri di condivisione e complicità tipici della rete.  Pubblica autori già noti o esordienti, puntando su contenuti originali, di qualità e di vario genere, dalla fiction alla graphic novel, dalla saggistica all’érotique, al teatro e alla letteratura per bambini, con oltre 180 titoli già in catalogo e disponibili in tutto il mondo anche in inglese. Con la collana Gli Introvabili ha avviato un’impegnativa operazione di recupero di testi introvabili in libreria perché ormai fuori commercio, anche se recenti, particolarmente apprezzata dai lettori.

 

 

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“A testa in giù”, di Raffalla Formillo


di Giorgia Tarocchi (SaltinAria, 19 ottobre 2014)


– Ritrovarsi capovolti in un turbine di situazioni, con eventi piuttosto diversi tra loro ma legati da un filo conduttore che li fa rincorrere come giostre in un parco giochi, sono i presupposti del nuovo libro della scrittrice psicoterapeuta Raffaella Formillo intitolato “A testa in giù”.

Ritrovarsi capovolti in un turbine di situazioni, con eventi piuttosto diversi tra loro ma legati da un filo conduttore che li fa rincorrere come giostre in un parco giochi, sono i presupposti del nuovo libro della scrittrice psicoterapeuta Raffaella Formillo intitolato “A testa in giù“.

Pubblicato dalla casa editrice Vanda, in formato e-book, il libro presenta una raccolta di dodici brevi racconti che invitano il lettore a guardare il mondo da un’altra prospettiva, che rompe gli schemi classici e che racchiude nel titolo stesso la chiave di lettura.

Due bambine, una donna abbandonata, un internato, un ladro, un tassista ed un bambolaio, sono i principali protagonisti di queste storie folli e sbagliate, ma dal contenuto profondo in cui il senso della vita viene visto come una “ingenua e dolce tristezza”.

Ogni racconto ha un suo genere narrativo ben preciso, che spazia dal diario, all’intima confessione fino ad arrivare all’horror; tenendo il lettore costantemente capovolto in un insieme di sensazioni che lo tengono con il fiato sospeso fino all’ultimo racconto.

Il flashback, cosi come la tecnica della ricostruzione della memoria, sono strumenti utilizzati dalla scrittrice per inviare a chi legge un messaggio ben preciso: stravolgere, ribaltare e riconsiderare la propria opinione, che non si deve soffermare all’apparenza di un singolo punto di vista che ci fa stare con i piedi per terra, ma che deve permetterci di provare a stare “a testa giù” per migliorare la prospettiva di giudizio.


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Giuseppina Norcia: Siracusa. Dizionario sentimentale di una città


di Simona Lo Iacono, (Letteratitudinenews, 22 settembre 2014)


– Con “Siracusa. Dizionario sentimentale di una città” (VandA ePublishing) [Norcia] ha calendato un alfabeto tutto amoroso e senza tempo, in cui ad ogni lettera segue non una definizione ma un sussurro, un gemito, un riconoscimento.

E’ l’alba. Siracusa si sveglia.
Scalpitano i primi passi sul selciato, garriscono i gabbiani.
Sulla vetta della cattedrale, dove prima sfavillava lo scudo d’Atena, si scioglie il sole.
Ecco i barconi carichi di reti che tornano borbottando, mentre i pescatori storditi dal sonno gettano la corda dalla prora.
Ecco la bottega artigiana schincagliare i suoi ciondoli marini, misti a stelle porose e a sassi di lava.
Ecco la vita, passata e presente, che si mescola sotto gli occhi esterrefatti di un turista.
Ogni mattina così, da mille e più anni, in mille e più risvegli sovrapposti, ognuno dei quali ha lasciato una traccia misteriosa, un segnale da codificare, una cicatrice e una ferita.
Come se Siracusa non potesse che essere la somma di ogni tempo e di ogni condizione, di tutte le resurrezioni e di tutte morti.
Per questo non stupisce che nel traffico delle auto, in mezzo ai clacson che strepitano e ululano, si affaccendino ancora calzolai e sarti operosi, che arricciano la vista sull’ago.
Né che tra i passanti impegnati in frettolose faccende, spassino i fantasmi dei coreuti o dei sacerdoti che andavano a pregare nel vicino tempio d’Apollo.
Una confusione di stati e secoli, dunque, Siracusa, di vivi e di trapassati, di chiese nuove erette sulle scaglie di antichissimi templi. Di nomi greci (Gelone, Teocrito, Pindaro) sussurrati tra quelli moderni.
Come raccontarla, allora, senza perdere l’incanto di questa sua indistricabile corposità? Dell’antico come del nuovo, del sacro come del profano, del mitico come dell’ordinario?
Per Giuseppina Norcia non è stato difficile.
Siracusana e laureata in lettera classiche, Giuseppina, che ha lavorato per oltre un decennio presso l’Istituto Nazionale del Dramma Antico, da moltissimo tempo studia la cultura classica e le sue “persistenze” nella contemporaneità.
Con “Siracusa. Dizionario sentimentale di una città” (VandA ePublishing) ha calendato un alfabeto tutto amoroso e senza tempo, in cui ad ogni lettera segue non una definizione ma un sussurro, un gemito, un riconoscimento.
Vocali che ricordano la bellissima Ninfa trasformata in acqua e proveniente dal regno delle notturne esperidi (A, come Aretusa).
Consonanti che dicono della materia di cui Siracusa è fatta, tutta impressa di luce propria (C, come cave di pietra).
Lettere che invocano nomi (D, come Dionisio), scrittori (V, come Vittorini), cibi fragranti e colorati (Z,come zucchero).
Un abecedario dei sensi e della memoria, che non si limita a indicare luoghi ma a riviverli in una sconcertante attualità, rendendo omaggio a quella frotta di dèi del passato che ancora sovrastano il nostro cielo, e agli uggiolanti canti che ancora fanno trepidare le scalinate del vecchio teatro.

– Giusi, le chiedo ancora scossa dalla meraviglia di queste pagine, com’è nato questo viaggio nella Siracusa del nostro tempo e di tutti i tempi?
Talora intraprendiamo viaggi senza neanche accorgercene. Questo accade soprattutto con i percorsi interiori che hanno un tempo emotivo e il dono dell’invisibilità.
Di Siracusa ho sempre amato la luce e questa pietra bianca scavata dall’acqua, la roccia da cui la città è stata ‘estratta’ e forgiata come se fosse una scultura vivente.
Credo che i primi semi di questo libro risalgano ai miei vent’anni, quando studiavo lettere in Lombardia e trascorrevo molti mesi lontana dalla Sicilia: ad ogni ritorno visitavo luoghi (che tra l’altro, paradossalmente, erano spesso oggetto dei miei studi universitari) e trascorrevo interi pomeriggi nell’isola di Ortigia che molti giovani come me stavano riscoprendo, dopo anni bui, di dimenticanza. Tra i testi e gli appunti di quel periodo ho ritrovato frasi e spunti che avrei riutilizzato, senza accorgermene, molto tempo dopo, scrivendo questo libro.

– Il titolo “dizionario sentimentale”, già fa comprendere la assoluta originalità del viaggio che tu proponi, perché la caratteristica del dizionario dovrebbe essere quella di dare aride definizioni, mentre invece tu – lettera dopo lettera – introduci il lettore in una narrazione colma di suggestione, che attinge al mito e alla storia, alla fantasia e alla realtà. Perché narrare Siracusa attraverso l’alfabeto?
Ho sempre immaginato i dizionari non come freddi strumenti analitici ma come scrigni di parole, tesori cui attingere per dare corpo al pensiero e alle immagini che affollano la nostra mente. Quando ‘entriamo’ dentro una parola, svelandone il significato profondo e l’immagine originaria che essa contiene, si libera un’energia immensa, come fosse un atomo. Le parole sono come mandorle – diceva Chiara di Assisi -: dentro il loro guscio si nasconde un frutto meraviglioso, con la sua fragranza, il suo gusto.
Tornando al libro, tra le miriadi di parole che avevo a disposizione, ho poi scelto quelle che sentivo in risonanza emotiva con la mia vita e con l’anima di Siracusa: così, questo scrigno di luoghi e parole è divenuto ‘sentimentale’.

– Ciascuna voce risente di una approfondita indagine e di studio appassionato. Come si è svolto il tuo lavoro di stesura?
La stesura è stata ibrida e multanime, come la città cui il libro è dedicato. Momenti e ingredienti diversi (ma tutti irrinunciabili) si sono mescolati tra loro: il patrimonio di storie e memorie che si trasmette solo da vita a vita, lo studio di alcuni tra i moltissimi testi di valore dedicati a Siracusa, le visite ai siti svolte non come sopralluoghi tecnici ma come veri e propri viaggi…Soprattutto, scrivendo questo ‘Dizionario sentimentale’ ho avuto l’occasione di imparare che il viaggio è una condizione mentale, non dipende da quanti chilometri percorriamo ma dallo spirito di ricerca e dal piacere che lo anima.

– Infine tre lettere tra le più amate e altrettante definizioni con cui incuriosire chi ci legge!
Non saprei dire quali siano le mie lettere preferite perché non potrei rinunciare a nessuna di loro: un fil rouge unisce ogni capitolo all’altro rendendolo una tessera indispensabile del mosaico.
Quel che posso dire è che ho cercato di mantenere sempre vivo il legame tra i luoghi e le storie in essi ambientate, fino a renderli inscindibili. La mia sensazione è che le vite che si sono avvicendate, i fatti storici, le leggende rimangano ‘attaccati’ alle pietre divenendo parte della loro anima. L’ombra del tiranno Dionisio si allunga ancora sul Castello Eurialo e sulle Latomie, Aretusa continua a raccontare la sua storia tra le acque della sua Fonte, sentiamo i versi struggenti del poeta di Ibn Hamdis e le parole di Vittorini quando il sole tramonta e il vento inonda d’oleandri le vie di Ortigia. L’amore per il teatro rivive nell’immensa cavea del Temenite, così come nel nostro modo di stare a tavola, o nel gusto del racconto.
Siracusa è questo e molto altro ancora, non resta che scoprirlo leggendo…

– Grazie Giusi, grazie di questo viaggio nel cuore della nostra bellissima città.

* * *

Giuseppina Norcia è nata a Siracusa nel 1973. Ama la musica, il mare, la buona cucina e i racconti intorno al fuoco. Da anni si occupa di divulgazione culturale, con particolare riferimento al teatro antico, alla cultura classica e alle sue “persistenze” nella contemporaneità. Ha realizzato progetti didattici con università italiane e straniere e ha lavorato per oltre dieci anni presso la Fondazione INDA (Istituto Nazionale del Dramma Antico). Negli ultimi anni ha tenuto corsi di drammaturgia antica e coordinato laboratori per ragazzi sul teatro classico, la lingua italiana e la trasformazione creativa dei conflitti. È autrice di contributi, di taglio sia scientifico sia divulgativo, relativi alla storia di Siracusa e alla messinscena contemporanea della tragedia greca, pubblicati su riviste specializzate (tra cui Dioniso), e di articoli sulla filosofia e sulla religione buddista. Con Giovanni Di Maria ha realizzato l’audiovisivo Le Ragioni di Antigone (Videoscope, 2006), monografia dedicata all’Antigone di Sofocle e ad alcune “riscritture novecentesche” del mito; è autrice del libro L’Isola dei miti. Racconti della Sicilia al tempo dei Greci (VerbaVolant, 2013).


 

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Gloria, oblio. E luce. Biografia di Siracusa


di Alessandro Cannavò (Corriere della Sera, 9 agosto 2014)


– Un ebook sul passato e i tesori della provoncia. Dalle leggende alle illusioni di Platone. Anche Vittorini ne fu sedotto.

La luce. Accecante, per la pietra calcarea che forgia la struttura dei palazzi. Il buio. Delle stupefacenti latomie, delle catacombe, dei bagni ebraici. La luce e il buio. Con Siracusa. Dizionario sentimentale di una città (in versione ebook) di Giuseppina Norcia, divulgatrice culturale, studiosa di teatro antico e cultura classica, ha fatto di questo contrasto il perno di un’affascinante narrazione che lega con un filo di Arianna passato e presente.

Chi viene per la prima volta a Siracusa rimane abbagliato dalla bellezza di Ortigia, l’isolotto-quartiere che compete nel suo chiarore lo scintillio del mare. Un incanto con il forte sapore dell’immaginazione; che non vede (o poetizza) la fatiscenza di mlti edifici, mosso salle suggestioni di mito e storia. E allora bisogna ripercorrere la leggenda della ninfa Aretusa e del fiume Alfeo, suo spasimante, per capire una città circondata dall’acqua salata ma che deve la sua fortuna alle acque dolci.

o rievocare, mirando il tramonto sulla baia naturale del porto vecchio (ogni tanto approdo di yatch di emiri e rockstar), l’eoica e vittoriosa battaglia navale contro gli ateniesi che sancì la potenza della Siracusa greca. O ancora contemplare, dalle alture del Castello Eurialo, i resti delle mura monumentali volute dal tiranno Dionigi e nel contempo fissare attoniti la distesa di ciminiere dello stabilimento petrolchimico, lungo la costa a nord della città, tempio moderno di un illusorio sviluppo economico. L’illusione fu già di Platone che pensava di cambiare Dionigi e il suo erede Dionigi II, applicando qui la sua idea di governo guidato dalla filosofia; ma anche Elio Vittoini, che a Ortigia crebbe enlla casa dei nonni e tornò nel ’43 pensando di radunare alcune forze di liberazione: l’addio a Siracusa fu con una bella nuotata davanti al lungomare di Levante.

Gloria e oblio. La potenza immagnifica della tragedia greca portò qui Eschilo a creare un paio di opere; salvò alcunii prigionieri ateniesi perchè conoscevano a memoria i versi di Euripide; cento anni fa spinse il grecista Ettore Romagnoli a recuperare il magnifico teatro antico, ridotti a scenario di pascoli e lavandaie. E poi l’immaginazione-ossessione di Maupassant, venuto nel 1885 solo per ammirare la Venere Landolina appena ritrovata, come se fosse un’amante in carne e ossa.

Tutto scompare e riappare, a Siracusa, come i suoi fiumi carsici. E Norcia trova la metafora ideale in Archimede, immerso nelle sue ultime formule mentre la ciittà cedeva all’assedio dei Romani: la sua tomba ben presto ignota ai siracusani, trovata poi da Cicerone e di nuovo sparita; il suo Metodo cancellato secoli dopo con del succo di limone, ricodificato, ricomparso e poi riemerso e battuto all’asta da Christie’s. un gioco di specchi senza fine.


 

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Siracusa. Dizionario sentimentale di una città


di Brunella Bonaccorsi, (Sicilia&Donna, 2 luglio 2014)


– Siracusa. Dizionario sentimentale di una città, prima ebook, tra i primi indicati in Amazon e da Giugno in cartaceo (a Siracusa è già un bestseller) nasce dall’incontro tra una casa editrice tutta al femminile ed un’autrice siracusana.

Siracusa. Dizionario sentimentale di una città, prima ebook, tra i primi indicati in Amazon e da Giugno in cartaceo (a Siracusa è già un bestseller) nasce dall’incontro tra una casa editrice tutta al femminile ed un’autrice siracusana.

VandA si presenta così “VandA. Non è una bambola, non è un pesce e neanche un’operazione della Cia… è una casa editrice digitale, indipendente, che opera a livello globale secondo una logica di condivisione e complicità.” Anche la data di fondazione non è casuale: VandA.ePublishing è stata fondata a Milano l’8 marzo 2013 da tre professioniste del campo editoriale. Vicki Satlow, presidente della omonima Agenzia Letteraria, che ad oggi rappresenta più di 50 autori di tutto il mondo, Angela Di Luciano, per 13 anni Senior Editor della Divisione Libri di Economia e Management del Gruppo 24 ore e che ha introdotto in Italia gli studi sulla Womenomics e Silvia Brena, scrittrice ed editorialista, nonché docente di Teorie e Tecniche di Comunicazione presso l’Università Cattolica di Milano. Insomma un trio esplosivo, che ha deciso di puntare su un libro splendido, apprezzato anche da grossi editori ma che il mercato editoriale oggi vede complicato da “collocare” come genere e come vendita.

Giuseppina Norcia ci spiega: “La natura ibrida del libro, tra memoire, guida e romanzo può essere per un editore un punto di debolezza oppure un punto di forza. VandA.ePublishing e Angela hanno creduto nella sua particolarità e spero che andremo lontano”. Un libro rivolto ai viaggiatori ma anche agli abitanti della città di Siracusa, perché continua Giuseppina “Viaggiare è un fatto mentale, è lo sguardo con cui ti muovi, anche se per un Siracusano il libro mette in gioco il rapporto con le proprie radici. Questo libro ha avuto una lunga gestazione, che si è nutrita di passeggiate tra le strade di Siracusa, di silenzi, di letture, di ascolto, ma soprattutto dello sguardo su Siracusa che mi hanno restituito delle persone straniere. A distanza, quando mi trovavo negli Stati Uniti, amici americani che conoscevano la città mi hanno ridonato occhi sognanti su di essa.”

Il libro ha una curiosa struttura, va per ordine alfabetico, come un dizionario, ma mescola emozioni e narrazione storica, come mai?

“È vero ho scelto la struttura semplice del dizionario per poter collocare in modo irregolare storie, luoghi e personaggi. A me colpisce della Storiografia antica la presenza dei dialoghi, in Tucidide, in Erodoto. La questione è: come raccontare un fatto storico senza renderlo algido? Perché bisogna dare conto del fatto che la vita irrompe sempre. L’oggettività è un’illusione. Resto una classicista nel bisogno di dare una architettura alle cose, ma ho voluto unire ragione e sentimento, fare entrare l’irrazionale per poter disciplinare l’emozione. Ho preferito un’ottica soggettiva, guardando la città dal punto di vista dei personaggi, che l’hanno attraversata, e Siracusa in questo ha tratti di universalità,  e dal punto di vista delle emozioni che sono rimaste impigliate nei luoghi, le vicende avvenute, le intenzioni…”

 Il libro rende bene l’esperienza di chi osserva Siracusa nelle sue stratificazioni continue e simultanee

“La simultaneità è parte del genius loci. Quando cammini tra queste vie e mentre osservi un tempio dorico incroci una scala catalana e subito dopo un archetto medievale da cui puoi intravedere il mercato del pesce: percepisci in simultanea diverse epoche. Se le scomponi è un artificio. Siracusa è un palinsesto, per questo ho scelto di raccontarla mescolando i periodi storici, i luoghi, i sentimenti”

C’è anche una percezione non lineare del tempo che caratterizza il libro

“Si, il tempo ciclico è anche un modo di narrare, da Sherazade a Borges, in cui siamo tutti seduti in cerchio e ciascuno narra un pezzo della storia, senza la pretesa che sia tutta la storia. Il libro vorrebbe offrire anche uno slancio al lettore per continuare a narrare, a incantarsi di questa città. Questo è il mio desiderio per questo libro.


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Chiara Aurora Giunta: «La mia Maria, simbolo delle siciliane che non si arrendono»


di Danila Giaquinta (SiciliaInRosa, 2 luglio 2014)


– Genere, commedia. Ambientazione, anni Sessanta. Location, Catania. Trama: una donna del popolo si ritrova senza marito e con cinque figli a carico. Non è un film ma un romanzo.

Genere, commedia. Ambientazione, anni Sessanta. Location, Catania. Trama: una donna del popolo si ritrova senza marito e con cinque figli a carico. Non è un film ma un romanzo. Maria Recupero della Pescheria è l’ebook della scrittrice catanese Chiara Aurora Giunta edito da VandA. epublishing e pronto per il carrello da qualche mese.

Dopo una lunga carriera cartacea fatta di racconti e saggi per ragazzi e una serie di romanzi rosa, che hanno in comune un’impostazione storica, l’autrice approda al digitale. «Nella crisi dell’editoria è una proiezione nel futuro. Mi piace sperimentare – racconta divertita – ho fiducia nell’avventura intrapresa con Vicki Satlow, la siracusana Angela Di Luciano e Silvia Brena, le tre signore che stanno dietro questa casa editrice che pubblica on line».

Tutto ha inizio negli anni del boom, quelli in cui le case cominciano a riempirsi di frigoriferi e lavatrici e le donne ad avere più tempo libero anche per riflettere. Anni in cui, mentre circolano le Topolino e si formano le prime file ai caselli, tanti nodi vengono al pettine. In primo piano ci sono una donna e Catania, sullo sfondo la società italiana e la potenza del sesso debole.

«Attraverso il suo personaggio e in chiave comica – spiega l’autrice – racconto i problemi delle famiglie prima delle leggi sull’aborto e sul divorzio. Lei è molto forte e molto siciliana: è pratica, passionale e, in un modo o in un altro, se la cava. Descrivo la città e il Paese, come si viveva. La tv non era per tutti, c’erano i primi 45 giri e il mangiadischi. Si cominciava a parlare di sesso. Non è detto che Maria sapesse cosa fosse pur avendo fatto cinque bambini. E nella contrapposizione con le figlie si coglie come la società pian piano stesse cambiando».

Il marito emigra, non dà più notizie né manda soldi e lei si trova a giocare quel doppio ruolo che le donne conoscono da anni: portano il pane a casa e si prendono cura della famiglia. Maria si mette a vendere pesce con lo zio che ha un bancone alla pescheria. Il tutto con un testo in italiano spruzzato di dialetto. «Nei dialoghi il verbo è alla fine e li ho scritti come se sentissi parlare – continua la Giunta –. Una provocazione, quella di inserirla in un mondo di uomini. Volevo ribaltare la visione del maschio che decide e lo stereotipo della siciliana sottomessa. Vivo a Milano da 40 anni e all’inizio spesso mi chiedevano: “ma è vero che vi vestite ancora col velo?”. Il motore delle famiglie erano le donne e nella protagonista ci sono tante di quelle forti che ho conosciuto, come mia nonna: se n’è andata a 105 anni, era già separata prima della Seconda Guerra Mondiale e la chiamavano ‘la leonessa’».

Quando ci si tuffa nel passato, viene da chiedersi se qualcosa è cambiato. In quale Catania vivrebbe oggi Maria? Farebbe la pescivendola? E le donne, come se la passano? «La società è cambiata con la riforma del diritto di famiglia – conclude la scrittrice -. Le siciliane hanno sviluppato quello che era dentro di loro raggiungendo gli obiettivi mancati da mamme e nonne. Credono di avere di più ma hanno perso altro. C’è chi, per lavoro o carriera, deve rinunciare alla maternità o la rimanda fino a che la natura ha fatto il suo corso. Insomma, qualcosa si rincorre sempre. Oggi Maria non aspetterebbe il marito, non farebbe tanti figli. Il nuovo compagno non resterebbe sullo sfondo e una delle figlie che ha un’inclinazione omosessuale, che neppure riesce a cogliere, porterebbe la compagna a casa. Insomma, la protagonista avrebbe altri problemi ma resterebbe quella passionalità tipica delle siciliane. Catania è diversa fisicamente, si è allargata e vive anche di notte.

Allora la vita era concentrata nel centro storico e di sera le strade erano poco illuminate e vuote.

Molti gli edifici in stato di abbandono, i palazzi sventrati dalle bombe. In quegli anni parte la speculazione edilizia e l’idea che fosse bello solo il nuovo. Non c’era come adesso la cultura della conservazione e del restauro».


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Libro d’amore e di memoria. Un dizionario sentimentale per un viaggio incantato


di Prospero Dente (iN, giugno 2014)


«La vera magia di questa terra le rimane attaccata addosso, traluce nel ricordo, tra suggestioni e mitologie, ma può non essere riprodotta altrove, se non in forma di fantasia o di sogno. È questo il suo incantamento, la sua maledizione, la sua ragione, forse, di tanti ritorni».

Giuseppina Norcia, autrice di Siracusa. Dizionario sentimentale di una città (VandA ePublishing, 5,99 €, ebook) ha scelto di viaggiare dentro la sua città per ben sette anni. Ha studiato, guardato, scoperto e riscoperto, imparato; è rimasta meravigliata, incantata, a volte in silenzio. Alla fine del viaggio questo lubro, a metà tra guida e romanzo. Parole dense di storia, aneddoti, nostalgie e memoria. Parole piene, soprattutto, di un incantamento unico per questo luogo.

«Senza memoria, quella feconda, non ci può essere racconto – sottolinea l’autrice mentre conversiamo a pochi metri dal tempio di Apollo – Questo libro mi ha regalato pomeriggi favolosi con viaggi low cost. Prima l’ho immaginato, poi sono passata alle letture, quindi ai luoghi».

Giuseppina Norcia ha una dote importante: riesce a risponderrti raccontando. Le sue risposte non sono fredde, dovuteper rispetto all’interlocutore; si regala con la narrazione ene viene fuori un ulteriore percorso attraverso i secoli e i siracusani di ogni epoca.

«I ricordi e le parole di nonna felicetta – citando una donna importante nel suo cammino – mi hano aiutatata molto. Grazie a lei ho seminato conoscenza e poi raccolto. I tempi dell’agricoltur, infatti, sono quelli della vita. Quelle parole e quei racconti, ma penso anche ai libri di Corrado Piccione, sono stati per ,e uno stimolo verso il futuro».

E questo intende proporre questo Dizionario sentimentale, un grande senso di fiducia verso Siracusa e la sua gente. «Ho incontrato tanti siracusani innamorati della propria città – aggiunge la Norcia – Ho trovatp tanti compagni di viaggio che hanno incoraggiato il cammino».

Il libro scorre appassionante viaggiando nel tempo, anche, attraverso aneddoti e curiosità che hanno preso la stessa autrice. «Dovessi citarne alcuni – continua – penserei, certamente, alla storia dei prigionieri ateniesi liberati dai siracusani per aver recitato loro a memoria alcuni versi di Euripide; l’idea sottesa che la poesia, la parola possa salvarci la vita. E poi, ancora, la storia delle ceneri di Pirandello raccontata da Corrado Sofia. L’idea di queste ceneri in viaggio dentro un vaso chiuso in una scatola, e di quel treno verso la Sicilia in cui questa scatola fu usata come tavolo per giocare a carte dagli ignari viaggiatori. C’è tutto éirandello, e molta Sicilia, in questo ironico, paradossale racconto».

Il dizionario sentimentale di Giuseppina Norcia, da anni impegnata nella divulgazione culturale con particolare riferimento al teatro antico, alla cultura classica e alle sue “persistenze2 nella contemporaneità, elenca i miti e le leggende, le storie, le ferite e le gioie di questa città. Un libro che si scorre calandosi nell’atmosfera che non è solo greca, ma piena e totale dell’essenza multiculturale che impregna ogni angolo.

«È un libro destinato all’incompletezza – suggerisce l’autrice confessando una sua impressione – Un libroche può essere continuato dal lettore al quale offro la staffetta». Quasi un invito a viaggiare, nella storia e lungo le strade ed i vicoli attraversati migliaia di volte ma, probabilmente, mai veramente osservati e compresi.

Siracusa. Dizionario sentientale di una città, è sicuramente un atto di amore e, allo stesso tempo, l’occasione di una riscoperta importante. È, anche, uno strumento di promozione di una città in crisi come altre ma ancora viva e pulsante. «Non penso sia troppo tardi; – sottolinea decisa – alcune cose sono cambiate. Credo sia il momento giusto, senza snaturare nulla, per un turismo che nasce con le caratteristiche dei luoghi. L’accoglienza è un’arte; noi abbiamo il privilegio di girare il mondo rimanendo qui».

Il libro, che la stessa autrice vorrebbe «avesse un destino nel mondo», è nato a Newport, a migliaia di chilometri. «Ho dovuto guardarla da lontano per vederla intera – si legge nel prologo – nella vertigine di un giorno di vento e vele spiegate a Newoport. Perchè se è vero che basta un punto di appoggio per sollevare il mondo, bisogna poi trovare la buona distanza, il braccio lungo della leva, per portalo in alto, quel mondo, e vederlo galleggiare su di noi, come se non avesse peso».

«Nutro la fiducia – mi saluta mentre camminiamo sotto il sole che tramenta e ricolora le pietro attorno – che questa nostra capitale possa ancora risplendere. Dobbiamo solo “creare il tempo”…».

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VandA.ePublishing è una casa editrice digitale e indipendente, che opera a livello globale secondo una logica di condivisione e complicità. Punta su una piattaforma di contenuti e di autori di vario genre: fiction, non fiction, graphic novel, erotique, teatro, letteratura per bambini, in diverse lingue in tutto il mondo. VandA.ePublishing è stata fondata a Milano l’8 marzo 2013 da tre professioniste nel campo editoriale: Vicki Satlow, agente letteraria, Angela Di Luciano, editor e pubblicista, e Silvia Brena, scrittrice e giornalista.


 

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Il dittatore riluttante


di Giuliano Milani (Internazionale, 28 aprile 2014)


– Nell’attesa di sapere cosa sarà di Bashar al Assad è utile questa biografia che ne ricostruisce la carriera.

Anna MomiglianoIl macellaio di Damasco
VandA epublishing, ebook. 

Nel marzo del 2008 durante una riunione della lega araba dopo la morte di Saddam Hussein, Gheddafi esclamò: “Come può un prigioniero di guerra, il presidente di un paese arabo e anche un membro della Lega araba, essere appeso alla forca senza che nessuno dica nulla?”. Poi, di fronte alle risate dei leader tunisini, siriani, egiziani, aggiunse: “Ma non capite che ognuno di noi potrebbe essere il prossimo?”.

Sappiamo come è andata a finire per molti dei presenti. Nell’attesa di sapere cosa sarà di Bashar al Assad è utile questa biografia che ne ricostruisce la carriera: dalle premesse, le lotte interne al clan dominato dal padre, fino alla lunga e sanguinosa lotta che conduce oggi contro gli oppositori, riuscendo a destreggiarsi nonostante le pressioni. Per ora il risultato è che “quello di Assad è l’unico governo al mondo che abbia gasato i propri cittadini e ne sia uscito più legittimato internazionalmente di prima”.

Escono male governi e giornalisti di Europa e Stati Uniti: da subito pronti a scommettere su un leader di cui si decantava “l’educazione occidentale” anche se aveva passato a Londra poco più di un anno; poi convinti della sua capacità di produrre democrazia esclusivamente per mezzo di riforme economiche; infine incapaci di distinguere la realtà dalla versione propagandata dal regime, in merito tanto alla vita familiare quanto alla repressione dei ribelli.


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Siracusa. Dizionario sentimentale di una città


di Anna Vallerugo (Satisfiction, 2014)


– Rispetto e amore: non c’è pagina di “Siracusa Dizionario sentimentale di una città” (VandA epublishing) di Giuseppina Norcia che non lasci trasparire entrambi, nella tangibile profondità del legame che lega l’autrice – scrittrice giovane, entusiasta divulgatrice culturale, esperta di drammaturgia classica –  alla sua città.

Un legame vivo, tutt’altro che fine a se stesso, che le concede la grazia di stilare un suo personale percorso di conoscenza tra storia, arte e mito siracusani, costruito sulla falsariga della guida turistica ma disposto secondo uno criterio alfabetico emozionale stupefacente che ne fa vero romanzo.
Il solco in cui si muove Norcia è quello del “manuale colto”: chi si accosta a questo libro vi troverà certo precise indicazioni per imbastire una significativa visita personale della città.
Il bello però (e ce n’è molto), viene dopo.  Dal potenzialmente arido elenco di “must see”, Giuseppina Norcia si distacca in modo dichiarato fin dalle prime righe, dove annuncia un percorso tra  memorie e agnizioni, tra la pesante eredità siracusana di un passato stratificato e la vitalità della Sicilia del presente.
“Di Siracusa potrei dirti molte cose, ma sarebbe come non dirti nulla”, spiega l’autrice, attaccando frontalmente il lettore.  “Perché la città dei desideri scivola sempre dentro quella della realtà, la modella, la inventa a tal punto da non sapere io stessa  quale sia la verità.

Il modo in cui raccontiamo una città non è che lo specchio della nostra anima. Ho sognato di essere felice, qui.  Un mosaico di infinte storie guariva una terra malata. Ma ho visto anche città diverse separarsi sotto lo stesso nome o succedersi indifferenti e distratte, senza neanche guardarsi. Allora ho sentito come un suono di solitudini, di fughe immaginarie, di incolmabili distanze. Così non so dire se Siracusa sia una città felice o infelice.”

E’ solo ponendosela alle spalle dopo “averla abitata”, dice, e “lasciato che mi abitasse”, in una concreta lontananza geografica (un po’ come succede a certi grandi amori, che si inquadrano in tutta la loro potenza solo prendendone una necessaria, salvifica distanza), andando ad abitare lontanissima, a Newport, l’autrice riesce a coglierne finalmente l’anima e “china sul suo cuore di conchiglia” arriva a sentirne l’ “alfabeto segreto”.

Dalla A di Aretusa, la ninfa greca che a Siracusa trovò casa, alla zeta di Zucchero, presenza costante e copiosa  delle leccornie del quotidiano, è tutto uno svolgersi di inviti a scoprire gli angoli noti ma soprattutto quelli più reconditi, intimi, della città, e dei cui splendori estasianti l’autrice ci rende partecipi portandoci con forza “dentro una Bellezza insostenibile”.

Norcia non “suggerisce” la visita: ci incalza, con un trasporto amorevole e contagioso e con un scrittura sorprendente, sorretta da un linguaggio colto e da un bagaglio di conoscenza che trasmette in totale assenza di qualsivoglia forma di pedanteria.

Più che nelle inevitabili descrizioni di vestigia antiche, fontane, piazze, angoli barocchi, dei retaggi di presenze greche, arabe, ebraiche, di interminabili assedi, di vittorie e sconfitte, di personaggi a vario titolo legati a Siracusa, (da Platone a Vittorini, tra gli altri, passando per Maupassant), Giuseppina Norcia incanta con i ritratti del presente, del piccolo, del quotidiano, che acquisiscono nelle sue pagine piena dignità di racconto.

E’ nella descrizione delle stradine secondarie che nessuno conosce, dei bassi trasudanti sensualità incontenibile, è nelle “imperfezioni colme di gioia” di vicoli gravati di “respiri d’ombra” (la cui apparizione inattesa potrebbe interrompere i nostri propositi di visita propriamente turistica e instillarci il dubbio “se continuare a camminare, diritti verso il mare, o rallentare il passo per farsi toccare da questa vita che vibra dietro le tende, dentro quei muri pieni di cicatrici, e ascoltarla, rispettosamente, senza fare rumore”), che Norcia prende voce alta, e tutta sua.

Uscendo dalla semplice funzione di vademecum, di guida, ogni storia si espande, tracima il passato, arricchisce il presente di senso e vita: Giuseppina Norcia  ha la capacità di penetrare e com-prendere tutta la bellezza dell’ “infinitamente piccolo” che irrompe nella vita, disarma ogni calcolo, sa riempirci di doni inattesi”, così come di com-prendere e fare proprio il mito, presenza visibile e invisibile, scenografia sostanziante.

E’ compito non facile, che presuppone facilità di parola e una solida “intelligenza sentimentale”: caratteristiche che in questa giovane scrittrice ci sono tutte e che fanno ben sperare nel suo futuro nel mondo delle lettere.


 

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Gli ebook di VandA: l’editoria in crowdfunding


di Giuseppe Matarazzo (Avvenire, 11 marzo 2014)


– «Il 50% degli italiani non legge nemmeno un libro all’anno? Noi ci proviamo lo stesso».

«Il 50% degli italiani non legge nemmeno un libro all’anno? Noi ci proviamo lo stesso». Ed ecco una nuova casa editrice. Tutta digitale, indipendente e senza confini. Che punta sull’innovazione, che si sostiene con la «finanza popolare» e parla al femminile. Si chiama VandA e ha il volto di tre donne, già affermate, ma con tanta voglia di scommettersi in una iniziativa tutta loro: Vicki Satlow, da Boston, in Italia da vent’anni, dirige una nota agenzia letteraria con più di 50 autori di tutto il mondo; Angela Di Luciano, siracusana trapiantata a Milano, a lungo redattore della Garzanti e poi senior editor alla divisione libri del Sole 24 Ore; Silvia Brena, giornalista e scrittrice milanese, direttore di diversi femminili e oggi Ceo di Network Comunicazione e docente all’Università Cattolica. «Le riflessioni sul futuro ell’editoria e la spinta a metterci in discussione ci hanno aperto un mondo- spiega Angela Di Luciano, che ha lasciato il gruppo di via Monte rasa per catapultarsi in questo progetto- Così l’8 marzo scorso, senza troppo pensare alla data, abbiamo avviato questa start up: una casa editrice che nuota controcorrente. Che pubblica solo ebook, si muove sul web, usa le nuove tecnologie, e si finanzia con il crowdfunding sulla piattaforma limoney.it. Nel mondo dell’ediptoria sta cambiando tutto. E allora bisogna davvero avere il coraggio di modificare l’approccio».

La lettura digitale interessa ormai – secondo gli ultimi dati dell’Aei – il 10% della popolazione e se 6 italiani su 10 non leggono nemmeno un libro all’anno, il 21,5% dei lettori tradizionali ha avuto un contatto con il libro digitale. Nel 2011 questa percentuale era appena del 2,3 %. C’è, insomma, un mondo in evoluzione. E VandA a questo mondo vuole parlare. «Pubblichiamo autori di qualità già noti o esordienti – spiega la Di Luciano -, li traduciamo in inglese rendendoli disponibili in libreria, anche se recenti, perchè ormai fuori catalogo. Ci crediamo moltissimo e siamo sicure che la nostra scelta possa davvero fare la differenza». Il vintage con un Dna digitale e l’intento di coinvolgere autori e lettori in una community. Superando le logiche distributive attuali e senza le costrizioni della carta, VandA può permettersi di rischiare e sperimentare. Nel 2013 sono stati pubblicati 60 titoli in varie collane – 28 novità e 32 riedizioni di fuori catalogo – con l’obiettivo di arrivare a 100 titoli all’anno. Domani due nuove uscite:  «Il conflitto fra le donne» di Sofie della Vantah sulla tendenza femminile a non fare squadra, e «Per donare» di Genevieve Vaughan, un testo sull’economia del dono legata all’attitudine delle donne alla cura a generare la vita.

Oggi VandA compie un anno. La squadra coinvolge altre sei persone. La scommessa è solo all’inizio, ma il sentiero è tracciato. In rete.


 

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VandA, una casa editrice alla scoperta delle persone


di Geraldina Morlino (MenteLocale, 5 marzo 2014)


– Oggi, davanti a noi, si presenta VandA. Vuole raccontarci qualcosa di sé. Si tratta forse di una bambola, un pesce o un’operazione della Cia? Nulla di tutto questo. VandA. epublishing è una casa editrice digitale e indipendente, creata da tre donne con una grande passione verso i libri.

Oggi, davanti a noi, si presenta VandA. Vuole raccontarci qualcosa di sé. Si tratta forse di una bambola, un pesce o un’operazione della Cia? Nulla di tutto questo. VandA. epublishing è una casa editrice digitale e indipendente, creata da tre donne con una grande passione verso i libri.

Dopo anni di esperienze nel settore, hanno sentito l’esigenza di una strada alternativa, lontana dalle dinamiche in cui, nella maggioranza dei casi, si muove l’editoria attuale. Le professioniste che l’8 marzo 2013, a Milano, hanno fondato la nuova casa editrice digitale sono: Vicki Satlow, Angela di Luciano e Silvia Brena.

Angela di Luciano, editor e pubblicista, ci spiega le scelte. «Tengo subito a precisare che lavoriamo attuando una strategia per singolo autore. Il lato umano, infatti, è il fulcro della nostra attività. Inoltre identifichiamo, per ciascun libro, il percorso più consono. Come facevano gli editori di una volta».
Viene riservato particolare interesse alle opere fuori catalogo. «Si tratta di libri, magari recenti e validi, che non raggiungono un certo numero di vendite annuali. A causa delle leggi di mercato, sono condannati al macero. Trasformandoli in formato digitale, possiamo recuperarli e rimetterli in circolazione come ebook».

Vanda.epublishing punta sul talento, sia di autori già pubblicati che sconosciuti. «Troppi scrittori vengono presto dimenticati o, addirittura, le loro doti completamente ignorate. «È la conseguenza di un sistema rigido, dove prevalgono requisiti letterari o di genere prestabiliti. Noi crediamo, invece, in una lettura libera da schemi e omologazioni». Al contrario, qui la scelta di temi e generi risulta davvero varia. «Presto presenteremo anche una collana Lgbt, fondamentale per arricchire la nostra offerta. Inoltre, ci interessa aprirci al mondo, non solo all’Italia. Garantiamo, quindi, una diffusione in lingue e mercati diversi».

Ora conosciamo qualcosa in più su VandA. Ha vivacizzato la nostra curiosità. In sintesi, come leggiamo sul sito «è una casa editrice digitale, indipendente, che opera a livello globale secondo una logica di condivisione e complicità». Il percorso di ricerca e scoperta delle persone, per Vicki, Angela e Silvia, è importante quanto valutare e valorizzare i loro scritti. Esistono elementi decisamente stimolanti per continuare a crescere.


 

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Tutti all’asta di nome VandA


(Corriere della Sera, 20 febbraio 2014)


– Un’asta di nome VandA. Oggi allo spazio di via Cenisio al 16 (dalle 19, iscrizioni su www.vandaepublishing.com).

VandA. è un originale e un po’ folle progetto editoriale con dna digitale (e tutto al femminile) che ha… tre teste. Vicki Satlow, celebre agente letteraria, l’editor e pubblicista Angela Di Luciano e Silvia Brena, scrittrice e giornalista. VandA. sta per le iniziali dei nomi delle prime due unite da «and» più un punto a rappresentare la terza socia. E anche fuori dai confini. i titoli, tradotti in inglese, vengono resi disponibili per un pubblico più allargato. «Non siamo in competizione con gli altri editori», spiega Satlow, «a volte lavoriamo fianco a fianco. Con alcuuni autori facciamo da apirpista, pubblicandoil nuovo libro in formato elettronico prima che cartaceo, nell’interesse dell’autore e del libro». Nata un anno fa VandA. Conta già 60 titoli e una squadra di nomi noti, tra i quali Andrea G. Pinketts, Roberta Schira, Luca Ricci, Alfio Caruso e la superstar Susanna Tamaro. Libri introvabili, vintage. Dietro VandA. c’è un’idea che merita di essere sostenuta: è la prima casa editrice in crowdfunding. Fino a metà marzo si può finanziare il progetto (su Limoney.it), in cambio VandA. offre una community tra lettore e autore, serate esclusive con l’autore o l’ingresso nel comitato editoriale. Al «Party con asta», con il collettivo NomadidiParole, tra i pezzi battuti la òprima edizione con autografo di «Va’ dove ti porta il cuore».


 

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Crowdfunding


(Il Sole 24 Ore, 2 febbraio 2014)


– Vicki Satlow, agente letterario, Angela Di Luciano, editor, e Silvia Brena, giornalista, direttore di magazine e oggi a capo di un’importante agenzia di comunicazione, hanno dato vita a VandA.ePublishing, nuova casa editrice digitale, indipendente, senza confini.

VandA. è una casa editrice innovativa, che sfrutta le possibilità offerte dalla rete e le nuove tecnologie per un approccio diverso al mercato editoriale. Nasce con un dna digitale e l’intento di coinvolgere autori e lettori in una community, con criteri di condivisione e complicità tipici della rete. E a questo dna ruisponde la scelta – fino ad oggi inedita per una casa editrice italiana – di presentare il progetto su una piattaforma di crowdfunding, Limoney.it. L’obiettivo è di pubblicare 100 titoli l’anno, tra novità e recuperi, restituendo ai lettori il piacere di nuove scoperte o di ritrovare i libri amati. Pubblica fiction, non fiction, graphic novel, erotique, teatro, letteratura per bambini. 60 i titoli già in catalogo suddivisi in varie collane.