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Chiara Valerio parla de “Il corpo Lesbico” su Repubblica

Essere lesbiche non è fare sesso

È fare politica

Scomparsa vent’anni fa, Monique Wittig torna di grandissima attualità, e in libreria, con le sue opere fondamentali. Ecco perché va riscoperta

di Chiara Valerio (per leggere l’articolo integrale qui)

«Tu nel momento stesso in cui non sei altro che una pressione un’insistenza nel m/io corpo… i/o ti chiedo di lasciarti vedere, ti domando di lasciarti toccare».

È probabile che Monique Wittig scrittrice e teorica francese, lesbica, scomparsa venti anni or sono, il 3 gennaio del 2003 a Tucson, dove insegnava letteratura francese e studi di genere – abbia scritto ciò che ha scritto, troppo presto. Il suo primo romanzo L’opoponax – pubblicato per la prima volta nel 1966 (Einaudi, trad. C. Lusignoli), uscirà presto in una nuova traduzione di Ilaria Piperno per Luiss University Press – vince il Prix Médicis e racconta la storia d’amore tra due adolescenti. È il 1964 e, del romanzo, Marguerite Duras dirà che è un capolavoro, il New Yorker, quando il libro uscirà in America, ne sottolineerà le prodezze linguistiche e la New York Times Review of Books strillerà che la migliore definizione è «uno smagliante rientro nell’infanzia». Quando, insomma, Monique Wittig, nata nel 1935 in una famiglia modesta e conservatrice a Dannemarie, paesino nell’Alto Reno, irrompe sulla scena letteraria, se ne accorgono tutti. Nathalie Sarraute dira: «Probabilmente non sarò qui a testimoniarlo, ma vedrete tra venti o trenta anni che scrittrice abbiamo premiato oggi».

Monique Wittig voleva essere chiamata “scrittore”.

Amore, prodezze linguistiche e infanzia, dunque trasformazione, rimarranno caratteristiche fondanti e motrici di tutta l’opera di Wittig – sia letteraria che teorica, teorica perché letteraria – talmente presenti che quando nel 1973 esce Il corpo lesbico, non tutti – e, in questo tutto, la comunità lesbica – capiscono che per Wittig il lesbismo non è solo un orientamento sessuale ma una pratica politica. Wittig lavora sui pronomi, cerca la scomparsa dei generi, scrive all’impersonale, smantella i generi grammaticali per tentare di intaccare le gabbie di genere nella società. Forse è troppo presto, oggi aggettivi come fluido o queer sono componenti di una riflessione che non riguarda solo le comunità omosessuali e gli studiosi e le studiose di genere.

Corpi che mutano in nuove forme. Lavorare sui pronomi, in parole forse troppo povere, significa rifiutarsi che il maschile faccia funzione di neutro, si appropri dell’universale.

Il 26 agosto 1970 Wittig è nello sparuto drappello di militanti che depone una corona di fiori alla memoria della moglie del milite ignoto, sotto l’Arc de Triomphe a Parigi. Il gesto, la performance diremmo oggi, segna la nascita del movimento femminista francese.

Sei anni più tardi, Wittig lascia la Francia per gli Stati Uniti, in rotta con le compagne del movimento, o si mette in discussione l’eterosessualità come modello sociale, o non si va da nessuna parte, ribadisce che lesbismo è pratica politica e non solo orientamento sessuale.