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“Manifesti femministi” a Milano

Vi aspettiamo alle 18 alla Libreria Antigone!

Interviene la curatrice

Con

Daniela Pellegrini e Carlotta Cossutta

Il volume raccoglie testi composti in Italia, in Francia e negli Stati Uniti (alcuni di questi tradotti per la prima volta) dalle più attive rappresentanze del femminismo radicale dalla seconda metà degli anni Sessanta alla seconda metà degli anni Settanta del XX secolo. “Radicale”, a partire dal ‘68 e fino alla fine degli anni Settanta, fu soprattutto il “soggetto imprevisto” del femminismo. Il manifesto politico è il genere che meglio si presta a restituire la complessità di quella straordinaria stagione che segnò la presa di coscienza delle donne, attraverso un drastico ripensamento delle relazioni tra loro e della forza che da questo deriva. Riletto attraverso i suoi manifesti, il femminismo radicale sconvolge la banalizzazione corrente di ciò che è stato per riconsegnarci la testimonianza della sua verità e un’immagine in movimento di ciò che potrebbe essere.

 

Deborah Ardilli ha conseguito un dottorato di ricerca in Filosofia Politica presso l’Università di Trieste, è traduttrice e studiosa di teoria politica e storia dei movimenti femministi. Attualmente collabora con il “Laboratorio Anni Settanta” dell’Istituto Storico di Modena. Tra le sue ultime pubblicazioni ricordiamo: Trilogia SCUM. Scritti di Valerie Solanas, edizione curata insieme a Stefania Arcara e pubblicato da VandAePublishing e Morellini Editore.

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Distruggi La Mia Vagina!


dal blog di Marina Terragni (19 marzo 2019)


La foto è pubblicata sul profilo social delle Wagga Feminist.

La ragazza è un’under 20 anni italiana –si vede dal cartello stradale sullo sfondo, può essere Roma o Milano-, sta partecipando alla manifestazione per l’ambiente, quella ispirata da Greta per capirci.

Lo slogan sul cartello dice: “Distruggi la mia vagina, non il mio pianeta”.

Il linguaggio è quello della pornografia corrente, perfettamente introiettato, pervade tutto e può venire buono anche per la lotta ambientalista.

Il sesso come allegra distruzioneIl corpo non è più tempio di nulla, è in assoluta discontinuità con la natura: quella va salvata, la vagina no. Ecco il tipo di sesso che ti rende libera.

Sesso violento=femminismo=libertà. Pochi gradi di separazione con il sex work che è work, un lavoro come un altro, un’opzione, una possibilità.

Qualche commento delle Wagga Feminist:

So sad. The terminology she is using is so anti-women. Sex being synonymous with destruction“. (Che tristezza. Usa termini così anti-donne. Il sesso che diventa sinonimo di distruzione)

Basically this sign says “rape me, not my planet” which is horrific”. (Di fatto questa scritta significa: stupra me, non il mio pianeta, cosa orribile)

Utterly tragic and reprehensible that we have allowed the brainwashing of girls to this degree“. (Assolutamente tragico e riprovevole aver permesso il lavaggio del cervello delle ragazze fino a questo punto)

“Destroy patriarchy, not the world nor human body parts” (E’ il patriarcato che va distrutto, non il mondo o parti del corpo umano).

Concentrate on what they are teaching in schools to our young girls!!” (Pensate a quello che insegnano a scuola alle ragazzine!!)

La mattina di 8 marzo a Milano un’arcinota trans sex-worker, attivista della Lega e fervida testimonial della proposta salviniana di riaprire i bordelli, si è confrontata a lungo con studenti delle medie nel corso del presidio indetto da Non Una di meno. Ecco per esempio che cosa stiamo insegnando alle ragazzine.

Il medium è il messaggio: più che le posizioni sulla prostituzione e sulla legge Merlin -Nudm la vuole smontare, depenalizzando il favoreggiamento– conta il fatto che il tema sex-work si sia saldamente piazzato al centro del femminismo.

C’è da pensarci attentamente: perché prostituzione e immaginario pornografico pretendono di stare al cuore del discorso femminista? Come mai quello che può essere nato come gioco trasgressivo, facciamo-che-io-ero (una prostituta) spinge per consolidarsi come paradigma di libertà femminile, e di qui a dare corpo a iniziative politiche a tutto vantaggio del colossale business del mercato prostituente? (i suoi lobbisti stanno ovunque, allungano le mani su molte Ong, associazioni filantropiche, perfino su Amnesty International: leggete il libro-inchiesta di Julie Bindel “Il mito Pretty Woman”, appena pubblicato da VandA).

Qualcuna è in grado di spiegarcelo?

Mi domando anche se non ci fosse nessuna buona maestra, accanto a quella ragazzina. Nessuna che le abbia chiesto: “Perché porti quel cartello? Perché chiedi che la tua vagina venga distrutta? Non sai che il male che viene fatto al mondo e quello che viene fatto al tuo corpo sono la stessa cosa?”.

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Ragazze di Catania ieri e oggi

– VandA.ePublishing è lieta di presentare Maria Recupero della pescheria di Chiara Aurora Giunta

 

Maria è un’indomita siciliana di trentatré anni, abbandonata dal marito senza un soldo, con sei bambini a carico e un’incombente minaccia di sfratto, che non si fa mettere i piedi in testa da nessuno e con le unghie e con i denti, una buona dose di sfacciataggine e un po’ di fortuna riesce a costruire un futuro per lei e per i suoi figli, alla faccia delle malelingue e di tutte le difficoltà di una terra maledetta. Fra drammi familiari, amori improbabili, mille avversità e l’introvabile eredità di uno zio d’America, la vita di Maria e dei suoi figli si snocciola giorno dopo giorno, pagina dopo pagina fra gioie, dolori, pianti e risate e un vocio di sottofondo, quello del popolo, della povera gente di una Catania degli anni ’60 disastrata ma appassionata, dove la vita vince sempre su tutto, fino a un provvidenziale                                               quanto casuale lieto fine.

 

Chiara Aurora Giunta, catanese d’origine, vive e lavora a Milano. I suoi primi romanzi sono del genere rosa, poi si è dedicata al racconto storico e ai saggi per ragazzi. Ha pubblicato “Partita d’amore” (Mondadori, 1996), “Il mio amore ti salverà” (Mondadori, 2000), “Imparerò ad amarti” (Mondadori, 2001), “Aélis” (Neri Pozza, 2003), “Il velo di Agata” (Neri Pozza, 2008). È inoltre autrice del saggio storico per ragazzi, “Rumoroso Risorgimento” (Salani, 2005).

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Intervista a Deborah Ardilli


(Radio Vanloon, 9 marzo 2019)


Femminismo, i suoi manifesti

La donna non va definita in rapporto all’uomo. Su questa coscienza si fondano tanto la nostra lotta quanto la nostra libertà (Manifesto di Rivolta femminile, 1970)

Nella settimana dell’8 marzo Radio Vanloon ha ripercorso i manifesti del femminismo radicale degli anni Settanta con Deborah Ardilli, traduttrice e studiosa dei movimenti. Con lei hanno visto alcune delle particolarità degli scritti del femminismo italiano e i suoi collegamenti con quello statunitense e francese.

Qui l’intervista.


 

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Julie Bindel: “La prostituzione cancro sociale”


di Francesco Rigatelli (La Stampa, 8 marzo)


– Amnesty International?

Il mondo del cinema? Amnesty International? I medici contro l’Aids? Favoriscono tutti lo sfruttamento della donna. Lo sostiene Julie Bindel, attivista inglese, collaboratrice del Guardian e fondatrice di Justice for woman, nel suo libro Il mito Pretty woman. Come la lobby dell’industria del sesso ci spaccia la prostituzione edito da Vanda con Morellini. Camicione bianco e fare da mastino, l’autrice, 56 anni, non teme la definizione di femminista radicale. Per lei semplicemente la prostituzione andrebbe proibita come il fumo. E chiunque la depenalizzi o semplicemente la accetti ne è complice.

Dopo due anni di ricerca e 250 interviste nel settore, Bindel sfata il mito della prostituta felice: «Non si tratta mai di una scelta della donna. È sempre un abuso pagato dal cliente. Infatti, parlare di lavoratrici del sesso è sbagliato, perché non è un lavoro e non è sesso. E anche definire i compratori di sesso come dei clienti è l’inizio di un abuso».

L’autrice, forte di viaggi in luoghi problematici per i diritti delle donne come l’India, la Cambogia, Dubai e la Turchia, ma anche negli Stati Uniti, in Germania, in Svizzera e nei Paesi Bassi, entra nel sistema: «Spesso il contratto è tra l’uomo e il pappone e anche quando l’accordo è diretto chi paga lo fa per il corpo della donna. Lui paga, ma lei non vuole veramente». Più che un libro sulle donne, il suo è uno studio sulla responsabilità degli uomini: «Invece di fare tante domande sul perché e il percome una finisca per prostituirsi, la vera questione è perché ci sia chi paghi per avere un rapporto non consensuale. Molti uomini sostengono di avere più diritto al sesso delle donne». Per Bindel dunque la prostituzione è essenzialmente «una questione di potere, perché molti uomini non desiderano nessuna interazione umana».

E anche la cosiddetta «girlfriend experience» del film Pretty Woman del 1990 di Garry Marshall con Richard Gere e Julia Roberts finisce per far passare «una schiavitù normalizzata». Così come Amnesty International, che è per la depenalizzazione del settore e non distingue lo sfruttamento in base al sesso «eppure è risaputo che la maggior parte dei compratori sono maschi e delle sfruttate sono femmine». Stesso discorso per «la lobby gay dei medici contro l’Aids, che include nella libertà sessuale pure la prostituzione». Altro rischio è la rete delle webcam, dove avviene secondo l’autrice «la connessione tra pornografia e prostituzione per i compratori di sesso virtuale».


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Il mito della “puttana felice”: come la lobby del sesso ci vende i bordelli


(Il Fatto quotidiano, 7 marzo 2019)


– In tour in Italia. L’inchiesta della giornalista sul funzionamento del mercato del sesso

La prima occasione in cui ho incontrato i miti persuasivi del mercato del sesso è stata il film Pretty Woman del 1990, diretto da Garry Marshall. È una commedia romantica e la storia va così: Julia Roberts, che interpreta una donna prostituita sulla strada, incontra Richard Gere, che fa la parte di un ricco uomo d’affari e la porta nel suo albergo di gran lusso. Scopriamo che il compratore vuole una “prestazione fidanzatina” (girlfriend experience) da parte della donna, e assistiamo a diverse scene in cui si beve champagne e si mangiano fragole. Richard Gere ostenta Julia Roberts come un trofeo con i suoi contatti d’affari altrettanto upper-class e le rispettive mogli della buona società, cui risulta evidente che lei non è una di loro, tuttavia alla fine i due si innamorano e vivono felici e contenti. La relazione tra il compratore di sesso e la donna prostituita viene presentata come quella tra un cavaliere dalla splendente armatura che salva la fanciulla povera ma bella secondo i canoni tradizionali, la quale è finita sulla strada per circostanze difficili e senza colpa alcuna. Salvandola, Gere pulisce Roberts del suo status di “puttana”. Allo stesso tempo, salva sé stesso dall’identificazione con i ruoli del puttaniere predatore o del patetico incapace di una vera relazione. Nel 1991 ero a Mosca per parlare a un gruppo di studentesse tra i 16 e i 18 anni. Domandai alle ragazze che lavoro avrebbero voluto fare e più del 50 per cento rispose che avrebbe voluto essere una prostituta. Scioccata, chiesi come mai. La risposta più comune, a parte il fatto che in questo modo sarebbero potute emigrare dalla Russia in Occidente, fu che cosi avrebbero potuto incontrare un uomo come Richard Gere e avere una bella vita. (…)

Nasceva così il mito della “puttana felice”. L’espressione “sex work” (“lavoro sessuale”)/”sex worker” (“lavoratrice sessuale”) diventerà la parola d’ordine di una lobby composta da accademici, assistenti sociali, politici, proprietari di bordelli e di agenzie di escort, nonché compratori di sesso, una lobby ben finanziata con lo scopo di decriminalizzare l’industria del sesso a livello globale, ossia trasformare gli sfruttatori in manager e garantire il “diritto” degli uomini di abusare impuniti dei corpi delle donne. Ma, come spiega Rachel Moran, la prostituzione non è “né sesso, né lavoro”, il fatto che ci sia di mezzo del denaro non cambia la natura di quello che succede. (…) In anni recenti il mercato del sesso è stato sottoposto a un rinnovamento d’immagine perdere l’impressione che non sia pericoloso, che addirittura non si tratti di prostituzione. Chi è a favore del commercio sessuale utilizza una terminologia che maschera la realtà di ciò che in-vece è; una persona, quasi sempre un uomo, che fa sesso con un’altra persona, quasi sempre una donna, senza desiderio reciproco. (…) Ho sempre sentito le sopravvissute, o donne ancora in prostituzione ma che vorrebbero uscirne, parlare di cosa è davvero il sesso che si fa. A differenza della lobby pro-prostituzione, i cui membri parlano di “sesso sicuro”, le donne che ho intervistato raccontano i dettagli. Parlano dell’odore tremendo dei compratori, del dolore di una vagina disidratata e ulcerata che viene penetrata da una molteplicità di uomini. L’orrore di avere lo sperma o altri fluidi corporali vicino alla faccia. La barba che sfrega sulla guancia fino a farla sanguinare, il collo dolorante a forza di girare la testa di colpo per allontanarla dalla lingua che cerca di baciarle. O di non riuscire a mangiare, a bere o a baciare i figli per via di quello che hanno dovuto fare con la bocca. Di come il braccio e il gomito fanno male per avere disperatamente cercato di farlo venire per non essere penetrata un’altra volta. (…) La sopravvissuta alla prostituzione Fiona Broadfoot racconta che “i compratori ti fanno sentire una merda quando hanno una bella camera d’albergo e possono comprarti. Tu sei la puttana schifosa e loro quelli con i soldi e il potere. Almeno in strada veniamo guardati tutti e due come schifezze, in un modo o nell’altro, da parte dei resi-denti e della polizia”.

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Prostitute al bando, l’Europa è divisa


di Maddalena Oculi (Il resto del Carlino, 5 marzo 2019)


– Il modello nordico che punisce i clienti e le vetrine del quartiere a luci rosse di Amsterdam

PROIBIRE o regolamentare? Da Stoccolma a Roma, sono diversi e spesso opposti i sistemi dei Paesi europei in tema di trattamento legale della prostituzione. Il cosiddetto “modello nordico” depenalizza l’adescamento e punisce invece i clienti. Dopo la Svezia, dove è entrato in vigore nel 1999, è stato adottato da Islanda, Norvegia e da poco tempo an-che in Francia. Il modello, di cui negli ultimi anni si discute molto tra le femministe e gli attivisti per i diritti umani, si fonda sul ragionamento che alla base della compravendita del corpo ci sia sempre una relazione diseguale tra uomo e donna. È PROMOSSO da un movimento globale di ex prostitute e sopravvissute alla tratta, che fa capo all’associazione Space International. Donne secondo cui la prostituzione non può essere considerato un lavoro scelto liberamente, come spiega la giornalista del Guardian, Julie Bindel, nel libro-inchiesta che sta presentando in questi giorni in Italia Il mito Pretty Woman. Come la lobby dell’industria del sesso ci spaccia la prostituzione. Al modello abolizionista svedese si contrappone quello regolamentarista, adottato in Paesi come Olanda, Germania, Austria, Svizzera, Grecia, Ungheria c Lettonia. Qui la prostituzione è regolamentata con modalità differenti, ad esempio con la statalizzazione dei bordelli e i quartieri a luci rosse.

IN OLANDA le case chiuse sono legali e le lavoratrici del sesso pagano regolar-mente le tasse. Ad Amsterdam, De Wallen è uno dei quartieri a luci rosse più famosi d’Europa e una delle maggiori attrazioni turistiche della città. Anche in Germania la prostituzione è legale e regolamentata: le ragazze possono esercitare nei bordelli (quasi sempre sono libere professioniste), in strada o casa loro. In Italia, da quando 61 anni fa è entrata in vigore la legge Merlin, i bordelli sono stati aboliti. La prostituzione non è illegale, ma lo sono il favoreggiamento, lo sfruttamento e l’organizzazione in luoghi chiusi. II commercio del sesso è al centro in ogni Paese europeo di accesi dibattiti. In Francia, quando nel 2016 è stata approvata una legge con cui veniva adottato il modello nordico, i lavoratori del sesso sono scesi in piazza a Parigi. In Italia non tutte le femministe la pensa-no allo stesso modo. Stalla riapertura del-le case chiuse la posizione dell’Udi, tra le più storiche delle associazioni femministe è netta: «La prostituzione di Stato è una schifezza inenarrabile, da sessant’anni non c’è legislatura in Italia che non abbia tentato di affossare la legge Merlin», spiega Vittoria Tola, della segreteria nazionale. MA sul tema delle sex workers, il discorso è più complesso e include il concetto di gestione libera del proprio corpo: «C’è una parte di associazioni più giovani— continua Tola— che sostiene il concetto di autodeterminazione, per cui la prostituzione può essere un lavoro come un altro, e quindi sostenendone la regolamentazione si evitano gli abusi». Sul modello svedese, poi, all’interno della stessa Udi ci sono visioni diverse: «C’è una parte di movimento — spiega —che sarebbe molto d’accordo di modificare la Merlin con la punizione del cliente, ma c’è una parte molto più consistente che pensa che toccarla sia un errore clamoroso. Non perché non ci piacerebbe che i clienti uscissero fuori da questa dimensione tutelata, ma temiamo non ci voglia molto ad alimentare la prostituzione clandestina, nei modi e nelle forme in cui viene gestita la tratta».

DIBATTITO APERTO Non tutte le associazioni femminili sono contrarie alla prostituzione


 

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Manifesti femministi – Feminism2

sabato 9 marzo alle ore 15

Casa Internazionale delle Donne, via della Lungara 19, Roma

Nell’ambito della fiera dell’editoria delle donne FEMINISM,

presentazione del volume

MANIFESTI FEMMINISTI
Il femminismo radicale attraverso i suoi scritti programmatici (1964-1977)

a cura di Deborah Ardilli
(VanderWomen: una coedizione VandA ePublishing – Morellini Editore)

Interviene la curatrice

Presenta
Barbara Bonomi Romagnoli, giornalista e saggista

Con letture di Nadia Spicuglia Franceschi

Il volume raccoglie testi composti in Italia, in Francia e negli Stati Uniti (alcuni di questi tradotti per la prima volta) dalle più attive rappresentanze del femminismo radicale dalla seconda metà degli anni Sessanta alla seconda metà degli anni Settanta del XX secolo. “Radicale”, a partire dal ‘68 e fino alla fine degli anni Settanta, fu soprattutto il “soggetto imprevisto” del femminismo. Il manifesto politico è il genere che meglio si presta a restituire la complessità di quella straordinaria stagione che segnò la presa di coscienza delle donne, attraverso un drastico ripensamento delle relazioni tra loro e della forza che da questo deriva. Riletto attraverso i suoi manifesti, il femminismo radicale sconvolge la banalizzazione corrente di ciò che è stato per riconsegnarci la testimonianza della sua verità e un’immagine in movimento di ciò che potrebbe essere.

 

Deborah Ardilli ha conseguito un dottorato di ricerca in Filosofia Politica presso l’Università di Trieste, è traduttrice e studiosa di teoria politica e storia dei movimenti femministi. Attualmente collabora con il “Laboratorio Anni Settanta” dell’Istituto Storico di Modena. Tra le sue ultime pubblicazioni ricordiamo: Trilogia SCUM. Scritti di Valerie Solanas, edizione curata insieme a Stefania Arcara e pubblicato da VandAePublishing e Morellini Editore.

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Manifesti femminsti


di Pinella Leocata (La Sicilia, 5 marzo 2019)


– La riscoperta. Deborah Ardilli nel suo volume ricostruisce le lotte delle donne degli anni Sessanta e Settanta del ‘900, spesso dimenticate e sconosciute alle nuove generazioni, attraverso gli scritti politici e programmatici elaborati da gruppi e singole tra il 1964 e il 1977, partendo dalla consapevolezza che «la nostra inferiorità era oppressione»

Le nuove generazioni di donne hanno smarrito la memoria del femminismo radicale degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, un periodo dimenticato anche dall’editoria che lo ha raccontato in modo monologico, riduttivo, sebbene al suo interno abbiano convissuto anime ed esperienze diverse.
Soprattutto a loro, alle nuove generazioni, è rivolto il libro “Manifesti femministi” (Morellini editore) di Deborah Ardilli, studiosa di teoria politica e storia dei movimenti femministi, che ricostruisce la ricchezza e la varietà del femminismo radicale attraverso gli innumerevoli scritti politici e programmatici elaborati da gruppi e singole femministe tra il 1964 e il 1977.
ll femminismo radicale – scrive – non è una cosa, congelata in assiomi fuori dal tempo, ma una modalità storicamente (e geograficamente) situata di pensarsi. di agire e di pensare il proprio agire». E l’atto stesso di elaborare e pubblicare un manifesto è una pratica politica. Lo ha spiegato bene – nel corso della presentazione del saggio tenutasi nei giorni scorsi al centro antiviolenza Thamaia di Catania – Maria Grazia Nicolosi, docente di Letteratura inglese comparata e studi di genere nell’università etnea.
Il manifesto politico è un documento pubblico per definizione, vecchio quanto la storia del soggetto liberale-borghese, un atto retorico che ha avuto sempre una declinazione al maschile. Dunque per le donne scrivere manifesti, rendere pubblica la propria voce in un territorio maschile, era un atto di rottura, un inter¬vento politico, a prescindere dal contenuto, una scelta dirompente perché interpella e chiede di prendere posizione. Un atto divisivo».
E se della diversità, e rivalità, delle posizioni delle femministe si è persa la memoria, è anche perché le donne hanno difficoltà a gestire il “polemos”. A differenza degli uomini che sono addestrati alla competizione dialettica e legittimati a farlo. Invece le donne vivono lo scontrarsi tra loro come una cancellazione del proprio essere, come se litigando si dissolvessero.
“Manifesti femministi” vuole riportare alla luce tutta la ricchezza e la complessità delle pratiche politiche e delle riflessioni teoriche di quel periodo, anche lanciando un ponte al di qua e al di là dell’Atlantico per mettere in risalto la reciprocità del debito delle elaborazioni prodotte in Italia, Francia e Stati Uniti.

Perché, come sottolinea Deborah Ardilli, il movimento femminista è transnazionale e, a differenza di quanto si legge nei resti universitari, non procede per ondate omogenee. Ne consegue che gli anni ’60 e ’70 sono quelli della radicalità, della valorizzazione di una specificità sessuata (essenzialismo): gli anni ’80 quelli della politica della differenza, basata sull’affidamento: e i ’90 quelli in cui in nome della micropolitica del quotidiano si smarriscono i riferimenti al potere politico.
I testi dei manifesti femministi ci riconsegnano una realtà storica più complessa e varia: dalle riflessioni delle attiviste americane dei movimenti per i diritti civili sulla doppia subordinazione di genere e di razza, alla centralità e diversità dei gruppi di autocoscienza, esperienza in seguito svilita come se fosse stato un modo di indulgere ad una dimensione privata, mentre quel privato aveva urta grande valenza politica.
E ancora. Gli scritti programmatici restituiscono gli argomenti diversi con cui è stata giustificata la scelta separatista, le analisi sulla complicità delle donne alla propria subordinazione, le spiegazioni diverse e contrastanti sui motivi del per¬durare del potere patriarcale, le differenti posizioni critiche rispetto al modello di emancipazione femminile, la politicizzazione del lesbismo all’interno del movimento, le diverse interpretazioni sulle origini del patriarcato, e le riflessioni sul modo in cui il conflitto tra classi di sesso s’interseca con quello servo-padrone.
Tutte questioni aperte ancora oggi e che continuano ad interpellarci.
Per questo nel saggio di Deborah Ardilli non si ritrova alcun trionfalismo, non si sostiene che il femminismo è l’unica rivoluzione riuscita del Novecento, ma viene messo in evidenza lo scarto tra gli obiettivi del movimento e ciò che si è riuscito a fare.
E questo a partire da una consapevolezza di fondo di cui noi donne sono debitrici a Carla Lonzi: la scoperta che ala nostra inferiorità era oppressione.. Una coscienza difficile da acquisire e da porre al centro del confronto perché, soprattutto nell’attuale contesto storico, «si teme che dirsi oppresse equivale a dirsi vittime, a condannarsi ad una passività senza riscatto».
Invece, ricorda Ardilli, per le generazioni del femminismo radicale «questo aut aut non esisteva e la coscienza dell’oppressione corrispondeva alla propria soggettivazione, punto di partenza del lavoro di autocostruzione».


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Prostituzione e legge Merlin, così la battaglia di Julie Bindel e delle donne smaschera il mito Pretty Woman


di Donatella Trotta (Il Mattino, 4 marzo 2019)


– Il mito Pretty Woman

Il mito e la realtà. L’immaginario (di parte) e le verità delle dinamiche economicistiche. L’edulcorazione fiabesca dello star system – incarnata al cinema dal sorriso di Julia Roberts, prostituta “salvata” da Richard Gere o, nella musica, dall’idealizzazione romantica delle ballate di De André sulle tante Bocca di Rosa – e l’amaro orrore quotidiano della mercificazione concreta, cinica e spietata di corpi bambini, adolescenti, adulti (in prevalenza, ma non solo, femminili) con la sua scia di abusi, dolore, sopraffazioni, sfruttamento e violenza. Sono infinite le trappole ideologiche e le ambiguità semantiche nascoste nell’uso di parole che rischiano – è il caso di dire – di far prendere “lucciole” per “lanterne”. Tipo: il “sesso a pagamento”, che un eufemismo inglese sintetizza come sex work, è davvero un “lavoro”, che necessita di “albo” – e magari di sindacati – per “regolamentarlo”, come sta ad esempio proponendo un progetto di legge di iniziativa statale in discussione al Consiglio regionale del Veneto, dopo la proposta leghista di riaprire le case chiuse? O non è piuttosto – sempre, comunque, dovunque – uno stupro, più o meno autorizzato e/o tollerato dallo Stato, che i fautori della liberalizzazione e legalizzazione della prostituzione annoverano con disinvoltura (come l’invisibilità sociale delle protagoniste, fino alla morte fisica) tra i “rischi del mestiere” più antico del mondo, magari criminalizzando solo le vittime e decriminalizzando i loro sfruttatori e clienti?

La questione è ben complessa. E mentre in Francia la lotta contro l’abuso sulle donne, rilanciata dal movimento mondiale #metoo, ha appena incassato da parte del Consiglio Costituzionale l’ammissione di costituzionalità della legge emanata nel 2016 che introduceva la criminalizzazione dell’acquisto di sesso, messa in discussione, forse converrebbe tener conto di questi distinguo anche da noi, in vista del 5 marzo: quando in Italia la Consulta dovrà pronunciarsi sulla costituzionalità della legge 20 febbraio 1958, n. 75 sull’abolizione della regolamentazione della prostituzione, più nota come legge Merlin – fortemente voluta dalla partigiana, insegnante e senatrice socialista alla quale si deve l’iniziativa di liberazione delle schiave del sesso nei casini – e non a caso difesa con altrettanta forza, oggi, da molti movimenti femministi e associazioni, con l’hashtag #iosonoLinaMerlin. Ma basterebbe solo leggere le struggenti, toccanti lettere che le donne rinchiuse nelle case di tolleranza inviavano alla Merlin, raccolte dalla Fondazione Kuliscioff e di recente ripubblicate da Giunti (Cara senatrice Merlin… Lettere dalle case chiuse. Ragioni e sfide di una legge attuale) per farsi un’idea concreta – non soltanto storica – del problema. Ben oltre la contrapposizione manichea tra orgoglio sgualdrinesco e “puttanofobia”, o tra sedicente “libertà di autodeterminazione” sessuale – esibiti ad esempio dal manifesto (e dall’Associazione) «Les Putes», lanciato in Francia nel 2007 da Maitresse Nikita e Thierry Schaffauser con il libro Fiere di essere puttane (DeriveApprodi), con tanto di “Putes Pride” promosso ogni 18 marzo – e femminismo antagonista radicale, dopo l’attivismo socio-sanitario, sindacale ed editoriale, capeggiato, nell’Italia degli anni ’80, dall’ex prostituta Carla Corso (coautrice con Sandra Landi di Ritratto a tinte forti, Giunti) con Pia Covre.

Che il dibattito sul tema sia diventato oggi tra i più incandescenti non solo in Italia, ma a livello mondiale, lo sa (e lo documenta) molto bene Julie Bindel, classe 1962, celebre giornalista d’inchiesta (per The Guardian, NewStatesman, Bbc e Sky News) e scrittrice britannica, attivista politica di fama internazionale, fondatrice dell’associazione “Justice for Women” e autrice di un corposo volume-indagine sul commercio globale del sesso da poco nelle librerie italiane: Il mito Pretty Woman. Come la lobby dell’industria del sesso ci spaccia la prostituzione(tradotto da Resistenza Femminista per VandaEpublishing e Morellini editore nella collana VanderWomen, pp. 310, euro 17,90). L’autrice ne parlerà oggi a Napoli (in un incontro dal titolo «Prostituzione. Quale libertà?» a Santa Maria La Nova, ore 17: con lei anche Rachel Moran, autrice di Stupro a pagamento. La verità sulla prostituzione, edito da RoundRobin), domani a Roma (ore 17, Casa delle Letteratura, piazza dell’Orologio 3), poi a Milano (il 6 marzo, presso la Fondazione Feltrinelli, ore 18.30, con una Lectio Magistralis su «Sex work: è un lavoro?», promossa in occasione della Giornata internazionale della Donna e nell’ambito delle attività legate al libro e alla lettura BookLab), a Torino (7 marzo, ore 10, Campus Luigi Einaudi, Lungo Dora Siena 100), a Rimini (8 marzo, ore 15, Teatro degli Atti, via Cairoli 32) e nuovamente a Milano (9 marzo, ore 18, nella Libreria delle Donne, via Calvi 29).
Impegnata da decenni su temi come il fondamentalismo religioso, le patologie del patriarcato, la violenza contro le donne, le disuguaglianze di genere, la maternità surrogata, il commercio di mogli ordinate su catalogo, la tratta di esseri umani e i delitti insoluti, Bindel sfodera in questo libro – che rappresenta la prima più completa e sinora unica inchiesta globale sulla prostituzione – le armi del migliore giornalismo investigativo anglosassone: fatto di tenace ricerca e meticolosa verifica delle fonti, paziente raccolta di dati, cifre e testimonianze e di ascolto, osservazione, analisi oggettive e riflessioni personali. Sono centinaia le interviste raccolte da Bindel in un approfondito, appassionato quanto sofferto lavoro sul campo, viaggiando in oltre due anni per le strade e dentro i bordelli legali di 40 paesi, città e stati fra Europa, Asia, Nordamerica, Australia, Nuova Zelanda e Africa, di cui viene delineata una mappa anche legislativa comparativa aggiornata.

L’autrice ha incontrato e dialogato con sopravvissute alla prostituzione e papponi, femministe abolizioniste (la cui storia, spiega, inizia con il coraggio di Josephine Butler nel 1860) e attivisti “pro-sex work” (spesso insospettabili, come Amnesty International), accademici “queer” inclini al politicamente corretto persino nella manipolazione dei “diritti sessuali” dei disabili, poliziotti e uomini di governo, oltre che clienti che vanno abitualmente a puttane, e pornografi. Nel libro, Bindel ricostruisce così sigle, movimenti e motivazioni di opposti schieramenti (come il gruppo Whisper, “Donne che hanno subito violenza nel sistema prostituente in rivolta”, nato negli anni ’80, o Space international, che con donne di tutto il mondo sta dicendo dal 2012 che la prostituzione è violenza) smascherandone bugie e ambiguità (come nel gruppo Coyote, “Basta con la vostra vecchia morale”, che si spaccia per “la voce delle prostitute” ma mistifica messaggi liberisti, come il mito della “puttana felice” per scelta, e interessi ben poco limpidi (tra i finanziatori aveva la rivista Playboy, ma non solo).

«Per decenni – sottolinea l’autrice – la sinistra liberale ha oscillato  fra il pro-sex work e l’abolizionismo. Ma oggi le donne che hanno vissuto la violenza della prostituzione hanno preso la parola contro la favola di Pretty Woman, dando vita a un movimento globale che sta portando avanti una battaglia a favore del Modello nordico, introdotto in Svezia con una legge del 1999 che criminalizza chi acquista sesso e decriminalizza chi vende il proprio corpo, rendendo così  visibile la responsabilità degli uomini nel mantenimento di un sistema di controllo e di oppressione della libertà delle donne: l’unico modello legislativo che protegge davvero i diritti umani delle persone prostituite». Il vento, insomma, sta cambiando, sottolinea la Bindel elencando gli Stati che hanno adottato il Modello nordico (Svezia, Norvegia, Islanda, Irlanda del Nord, Irlanda e Francia) e accumulando e mostrando le prove del fallimento degli esperimenti di regolamentazione del commercio del sesso, dall’Olanda alla Germania (dove come è noto si è arrivati alla deriva etica dei bordelli con prostitute di silicone, anche incinte, su cui esercitare ogni tipo di violenza e tortura: aberrazione inaugurata a Dortmund nel 2017 e replicata, tra le polemiche, da altri Paesi, dalla Francia a Torino, Italia) fino al falso modello Nuova Zelanda, dove il tentativo di “normalizzazione” si è rivelato, sottolinea Bindel, «una licenza per trafficanti, sfruttatori e compratori di sesso di fare ciò che desiderano», a danno delle donne. Una battaglia però – aggiunge la Bindel – «che ha come maggiore antagonista la potente e ben finanziata lobby pro-prostituzione, costituita principalmente da proprietari di bordello, agenzie di escort e compratori di sesso, il cui intento è ridurre la prostituzione a un lavoro come un altro, necessario, innocuo e persino inevitabile, occultando la violenza subita dalla donna e trasformando gli sfruttatori in imprenditori, allo scopo di decriminalizzare l’industria del sesso e proteggere il diritto dei soli compratori ad abusare dei corpi delle donne».

Una battaglia persa? Un’utopia doncisciottesca? Tutt’altro: per Bindel, «una buona analogia per non mollare è quella con la lotta contro l’industria del tabacco, costellata di campagne di sensibilizzazione, pressione sulle lobbies del tabacco, class action e sanzioni normative che nel tempo hanno ridotto di molto i danni del fumo». La prostituzione, è la tesi portata avanti dal suo libro-inchiesta, va insomma radicalmente debellata in quanto violenza contro le donne e le bambine, che un’industria mondiale condanna a milioni alla morte sociale (ma spesso, letteralmente, alla morte) solo per il piacere sessuale e il profitto maschile. E in barba alla dittatura del “politicamente corretto”, il movimento abolizionista sostenuto da attiviste come la Bindel, o la Moran, sta facendo sentire sempre più forte la sua voce in difesa delle sopravvissute (termine emblematico, ben oltre la tragedia della tratta) al sesso a pagamento: rifiutando le menzogne, i miti e le collusioni annidate dietro ogni tentativo di edulcorazione e legalizzazione dell’industria del sesso, con i suoi profitti criminali derivanti dalla compravendita dei corpi delle donne. Lo ribadisce, nella prefazione all’edizione italiana del libro di BIndel curata da Ilaria Baldini, Chiara Carpita e Ilaria Maccaroni, anche Resistenza Femminista, schierandosi apertamente in difesa della legge Merlin e dell’impegno coraggioso di attiviste che hanno guardato in faccia la realtà del commercio mondiale del sesso, oltre “il mito Pretty Woman”.

E con la consueta lucidità, lo ricorda infine la filosofa Luisa Muraro, collegando la spirale della violenza sulle donne e le dinamiche inique dei rapporti di potere a questo antico e irrisolto problema: «Secoli di complicità tra uomini, di assoggettamento delle donne, di moralismo ingiusto, di cattiva letteratura e di assuefazione hanno portato la società – scrive Muraro in libreriadelledonne.it) a non rendersi conto che la ferita inflitta all’umanità con la pratica della prostituzione non è più accettabile. E non lo è mai stata. Non ci sono regole che tengano. Così come è accaduto per i ricatti sessuali sul posto di lavoro da parte di quelli che hanno più potere, verrà il momento – ed è questo – in cui la non eliminabile vergogna della prostituzione, sempre rigettata sulle donne, tornerà alla sua vera causa, che è una concezione maschile degradata del desiderio e della corporeità». La tutela dei diritti umani e delle pari opportunità passa anche e soprattutto da questo: se non ora, quando?


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Julie Bindel “Vi racconto il mio viaggio nel terrore della prostituzione”


di Annarita Briganti (La Repubblica, 3 marzo 2019)


– Intervista

La letteratura che racconta la realtà, la rivincita della non-fiction, il ritorno dell’impegno, che si tratti di un graphic novel che raccoglie le storie dei migranti salvati in mare o, come in questo caso, di un saggio-reportage sulla prostituzione, mentre in Italia sta per riesplodere il dibattito. La giornalista inglese Julie Bindel (Guardian), attivista femminista, arriva a Milano mercoledì, dopo la decisione della Consulta, prevista per martedì, sull’eventuale incostituzionalità della legge Merlin, il che potrebbe portare alla riapertura delle case chiuse. Un tema delicato e controverso, che divide le femministe stesse, al centro del libro di Bindel, Il mito Pretty Woman, pubblicato dalle case editrici milanesi Morellini e VandA.ePublishing, che l’autrice presenterà sabato alla Libreria delle donne.

Qual è il senso di questa inchiesta contro la “lobby dell’industria del sesso”?
«Volevo sfatare il mito, che Hollywood ha contribuito a diffondere, della prostituta felice. Ho viaggiato per tre anni, raccogliendo 250 interviste in 40 Paesi. Ho parlato con protettori, proprietari di case di tolleranza, client, consumatori di porno, forze dell’ordine, donne che si vendono in strada, negli appartamenti, nei centri massaggi e sopravvissute a tutto questo. Attraverso le loro voci, e grazie a quello che ho imparato sul campo, ho cercato di svelare il vero volto del commercio mondiale del sesso».

Quali sono le storie che I’hanno colpita di più?

«Quelle delle ex prostitute, le uniche che dicono la verità. Una 65enne mi ha raccontato che a 14 anni e scappata di casa. Pensava di fare una ragazzata, di stare via un paio di giorni. Poi ha conosciuto un uomo che faceva quello gentile, quello che ascolta la tua triste storia. In realtà, questo pseudo amico ha portato la ragazza da un altro uomo e l’ha venduta a lui. Quest’ultimo l’ha picchiata fino quasi ad ammazzarla quando ha tentato di fuggire. La donna ci avrebbe messo molto tempo a liberarsi di quella schiavitù.

Lei ci parla anche di un pericolo attuale come la prostituzione sul web.

«Il sesso via webcam è un business da un miliardo di dollari all’anno, un quinto del porno, con lo stesso rischio di normalizzazione, ed è sempre più diffuso tra i giovani, magari per pagarsi gli studi, come mi ha raccontato un’altra intervistata. Questa giovane donna ha fatto “webcamming” per dodici mesi, mentre finiva di studiare. Un suo amico fotografo le aveva detto che con’ora online avrebbe guadagnato quanto una settimana in un bar. Pensava di farcela, credeva che sarebbe stato facile senza un contatto con il cliente, ma poi ha iniziato a soffrire di insonnia e a stare male».

Cosa dirà nei suoi due incontri milanesi, quando la Corte Costituzionale si sarà già espressa sull’argomento?

«Se avessi un dollaro per tutte le volte in cui ho sentito dire che la prostituzione e il mestiere più antico del mondo, che c’è sempre stata e sempre ci sarà, le organizzazioni femministe non sarebbero così a corto di fondi. E come affermare che la povertà non è una novità quindi costruiamo più case fatiscenti per i poveri. O che il problema post #metoo è il femminismo e non il privilegio maschile. A Milano parlerò dei disastri della legalizzazione».

La letteratura deve essere politica?

«I libri sono fondamentali per dare un senso ai movimenti politici e al contesto nel quale si sviluppano. Quando si scrive un reportage secondo me bisogna parlare con quante più persone possibili, andare ovunque e avere uno scopo. Scrivo per fare finire la violenza contro le donne».


 

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«In fin dei conti sei arrapato…». Voci (maschili) dai bordelli legalizzati


(La 27esima ora, 3 marzo 2019)


– Pretty Woman un mito da sfatare

Il 1 febbraio la Francia, dopo 6 anni di indagini e dibattiti, ha sancito la costituzionalità della legge del 13 aprile 2016, approvata da una maggioranza trasversale in Parlamento, che ha introdotto la criminalizzazione dell’acquisto di sesso, ha decriminalizzato le persone prostituite e ha creato programmi di uscita, politiche di protezione e sostegno per le vittime di prostituzione, sfruttamento sessuale, induzione alla prostituzione e tratta. In Italia torna ciclicamente la discussione intorno alla legge Merlin, sulla opportunità di riaprire le case chiuse e legalizzare la prostituzione. Il 5 marzo la Corte Costituzionale terrà una pubblica udienza sulla legittimità della legge nella parte che riguarda il favoreggiamento e il reclutamento della prostituzione, legata al processo Tarantini. E intanto, a inizio febbraio, è stato presentata un disegno di legge che mira a istituire in ogni comune un albo professionale delle prostitute, garantendo il rispetto del diritto alla riservatezza delle interessate.

Julie Bindel«Ilmito di Pretty woman . Come la lobby dell’industria del sesso ci spaccia la prostituzione»VandA | Morellini 17.90 euro
Julie Bindel«Ilmito di Pretty woman . Come la lobby dell’industria del sesso ci spaccia la prostituzione»VandA | Morellini 17.90 euro

In attesa che la Consulta si pronunci sulla costituzionalità della legge Merlin, fortemente difesa da molte associazioni femministe al grido di #IosonoLinaMerlin pubblichiamo alcuni estratti del libro-inchiesta della giornalista inglese Julie Bindel, scrittrice e militante politica. Titolo: Il mito Pretty Woman. Come la lobby dell’industria del sesso ci spaccia la prostituzione, pubblicato in Italia da VandA.ePublishing con Morellini editore, è la prima indagine globale sulla prostituzione, con dati e testimonianze raccolti in 40 paesi, città e stati fra Europa, Asia, Nordamerica, Australia, Nuova Zelanda e Africa. Julie Bindel è il 6 marzo a Milano dove tiene una lectio magistralis, alla 18.30 in Fondazione Giangiacomo.
A seguire un selezione di pagine dal volume

Il mito Pretty Woman. Come la lobby dell’industria del sesso ci spaccia la prostituzione

La lobby pro-prostituzione raramente parla della prostituzione tradizionale, quella in cui un uomo dà dei soldi a una donna per accedere all’interno del suo corpo allo scopo di ottenere un piacere unilaterale. E non parla neppure del sesso che concretamente viene messo in atto. Ho sempre sentito le sopravvissute, o donne ancora in prostituzione ma che vorrebbero uscirne, parlare di cosa è davvero il sesso che si fa. A differenza della lobby pro-prostituzione, i cui membri parlano di “sesso sicuro”, le donne che ho intervistato raccontano i dettagli. Parlano dell’odore tremendo dei compratori, del dolore di una vagina disidratata e ulcerata che viene penetrata da una molteplicità di uomini. L’orrore di avere lo sperma o altri fluidi corporali vicino alla faccia. La barba che sfrega sulla guancia fino a farla sanguinare, il collo dolorante a forza di girare la testa di colpo per allontanarla dalla lingua che cerca di baciarle. O di non riuscire a mangiare, a bere o a baciare i figli per via di quello che hanno dovuto fare con la bocca. Di come il braccio e il gomito fanno male per avere disperatamente cercato di farlo venire per non essere penetrata un’altra volta. In seguito alla conferenza di Brighton del 1996, quando ho sentito le sopravvissute parlare di cosa davvero succede nella prostituzione, e dato che conoscevo nei dettagli gli abusi subiti da Emma Humphreys durante gli anni passati nel mercato del sesso, ho cominciato a chiedere alle cosiddette attiviste per i “diritti delle sex worker” che si esprimevano con tanta convinzione di descrivermi esattamente cosa facevano per vivere. Tutte, senza eccezione, sollevavano obiezioni a questa domanda, nonostante insistessero che si trattasse semplicemente di un lavoro come un altro ( Cap 3 pp. 91)

Divieto di sorridere

Dennis Hof, un personaggio che abbiamo già incontrato, è un pappone popolare che si vede spesso in tv nella serie Cathouse, un programma di propaganda per il mercato legale del sesso. È proprietario del Love Ranch nella contea di Nye e del famoso Moonlite Bunny Ranch, poche miglia a sud di Carson City, nel Nevada, e di altre attività legate alla commercializzazione del sesso. Hof dichiara di essere un attivista impegnatissimo contro la tratta. A sentire lui, non c’è stupro né tratta né Hiv né alcuna forma di attività illecita nei bordelli che operano in regime di regolamentazione. Nei suoi bordelli le donne hanno il divieto di sorridere, giocherellare con i capelli o dare l’impressione di “spingere” la vendita delle loro prestazioni, perché si tratterebbe di competizione sleale.

I compratori di sesso sono uomini dall’aspetto ordinario, di tutte le età e in generale sufficientemente presentabili da poter rimorchiare una donna in un qualunque bar. Hof sostiene che legalizzare i bordelli serva a prevenire la diffusione dell’industria illegale. Sta di fatto che i bordelli illegali stanno aumentando in Nevada, come del resto in ogni parte del mondo in cui sono stati regolamentati. L’industria della prostituzione illegale, secondo indagini del governo statunitense, è, in questo stato, già nove volte maggiore di quella dei bordelli legali.

Il bordello Love Ranch di Hof è a un’ora d’auto da Las Vegas. La costruzione è circondata da un muro molto alto sormontato da filo spinato. Parlo con diverse donne, la maggior parte delle quali vive nel bordello per settimane e a volte per mesi senza interruzione, spesso senza vedere un cliente per giorni. Lance Gilman è un agente immobiliare miliardario proprietario di due bordelli, tra cui il Mustang Ranch, a proposito del quale dice con orgoglio che s’ispira al modello di una prigione. Mi dice anche di avere l’abitudine di riferirsi alle donne che vi lavorano chiamandole “le detenute”. I bordelli vengono gestiti dalla sua partner, Susan Austin. “Appena legalizzi, si scatenano i predatori”, afferma Gilman. “Bisogna stabilire delle regole. Abbiamo una scuderia di mille donne. Se Susan non gestisse questo posto con il pugno di ferro, finiremmo presto per perdere il controllo.”

Come succede nella maggior parte degli altri bordelli, le donne non possono uscire senza il permesso del gestore e, quando lo fanno, sono accompagnate da un assistente sfruttatore. Gli sfruttatori legali non sono contrari alla vendita di donne con disabilità mentali. Al Mustang Ranch ho potuto parlare brevemente con Sindy, anche se Austin non mi aveva dato il permesso di intervistarla. Austin me l’ha descritta come “una bambina di 9 anni intrappolata in un corpo di adulta”. A quanto mi ha raccontato, Sindy era cresciuta in una famiglia affidataria ed era stata venduta al bordello dal padre del suo ragazzo mentre questi era in prigione, con una condanna a dieci anni per detenzione di immagini di violenze su minorenni.

Sindy, che aveva 22 anni al momento del nostro incontro, era stata insieme a quel ragazzo da quando ne aveva 12. Austin aveva assunto il controllo della gestione dei suoi guadagni e affermava che lei “si rifiutava” di mandare gli assegni al padre del ragazzo. Molte donne nei bordelli legali hanno due sfruttatori: il gestore manda i guadagni della donna prostituita direttamente alla persona che l’ha consegnata al bordello. Racconta Austin: “Ho chiamato le ragazze in riunione e gli ho detto: stiamo tirando su una bambina che non crescerà mai. Quando Sindy si diverte [cioè rende servizi sessuali a un compratore], una delle ragazze si siede nel bagno della stanza accanto, per assicurarsi che l’uomo non se ne approfitti quando si rende conto di chi ha per le mani”.

Chiedo perché, data la disabilità e la vulnerabilità di Sindy, non si faccia alcun problema a prostituirla. Austin mi dice di avere stretto un patto con le altre donne, che hanno accettato di badare a lei, “atrimenti finirebbe sulle strade della Florida”. Pare che non ci sia alcuna legge in Nevada contro la prostituzione di donne con disabilità mentali, e perché mai dovrebbe esserci? Dopo tutto, con la regolamentazione è diventato un lavoro come un altro. ( Cap. 4 pp. 127/128 )

Voci dai bordelli

Cosa dicono gli uomini
“Pago per il sesso perché posso. Portare una donna fuori a cena mi costa soldi, e allora perché no? Perché è una mia necessità e così lei può dare da mangiare ai suoi figli. (Un uomo che paga per il sesso, Amsterdam) (Cap 5 p. 168)
In quanto femminista radicale, vengo spesso accusata di sostenere che “tutti gli uomini sono potenziali stupratori”. Niente potrebbe essere più lontano dalla verità: le femministe radicali non pensano che i bambini nascano programmati per compiere atti di violenza contro le donne, come non credono che le bambine nascano per diventare vittime. Ciò che noi crediamo è che nel patriarcato agli uomini si attribuisca potere sulle donne e che un modo per esercitare quel potere sia essere violenti verso le donne. Per usare le parole di uno dei compratori di sesso incontrati a Londra: “Se non mi fosse possibile fare sesso con una prostituta e fossi frustrato, potrebbe capitarmi di uscire e assalire una donna vera”. La “donna vera” a cui l’uomo si riferiva è una donna non prostituita. (Cap. pp. 174)

Di seguito alcuni commenti espressi dagli uomini intervistati a Londra. Non ho scelto volutamente i peggiori, li ho semplicemente organizzati per categorie, in modo da mostrare la gamma di atteggiamenti problematici sviluppati dagli uomini che considerano il sesso con le donne un bene di consumo.
Donne prostituite come prodotti
• “Mi sono fatto una lista mentale. Mi sono detto che andrò con razze diverse, per esempio giapponesi, indiane, cinesi… Una volta che ci sarò stato, metterò un segno di spunta. È un po’ come la lista della spesa.”
• “Puoi scegliere, come su un catalogo.”
• “Selezionare e comprare ha qualcosa a che vedere con il dominio e il controllo.”
• “È come andare a bere qualcosa. Non fai niente di illegale.”
• “Le prostitute sono migliorate negli anni. Sono più giovani adesso, più belle e più pulite.”

La prostituzione ha a che vedere con una necessità incontrollabile degli uomini
• “Non vorrei vederla abolita. È un servizio che uso.”
• “È un intrattenimento garantito. Ti godi le cose specifiche che ti piacciono. Puoi svuotarti le palle e sentirti completamente soddisfatto.”
• Compratore di sesso di Londra: “Se non mi fosse possibile fare sesso con una prostituta e fossi frustrato, potrebbe capitarmi di uscire e assalire una donna vera”.

Cosa dicono delle donne
• “Una prostituta è come la valvola di una pentola a pressione.”
• “Paghi per la comodità, un po’ come per i gabinetti pubblici.”
• “È solo un lavoro, perché dovrebbero pensare diversamente? Non hanno sensi di colpa. All’inizio provano delle emozioni, ma poi diventa una routine, dopo un po’ certe emozioni spariscono.”
• “Sono ragazze che nessun altro vuole sposare, dunque fanno sesso come lavoro. Nessuno vuole che la propria moglie sia una prostituta.”
• “Uso quelle che ho addestrato io stesso.”

Normalizzazione/atteggiamento pro-legalizzazione
• “In fin dei conti, sei arrapato, stanco di masturbarti, dunque cos’altro puoi fare?”
• “È come farsi un bel pranzetto.”
• “Sono stato anni senza una compagna fissa: per me ha significato non dover entrare in un mondo che non mi voleva. Quando penso alla benzina e alle scarpe dei bambini che ho permesso di comprare… Non dico che sono esattamente un filantropo, ma certo ho fatto la differenza.”
• “Forse se gli uomini potessero averla [la prostituzione] come servizio sanitario pubblico se sono disabili, questo potrebbe prevenire gli stupri.”

Deterrente/ambivalenza
• A proposito della sua peggiore esperienza di sesso a pagamento: “Ragazza con un gran brutto carattere, barriera linguistica [era del Sud-est asiatico], era obbligata a farlo, era meccanica, fare sesso con lei è stato frustrante. Cose così ti lasciano il senso di aver sprecato denaro. È in questi casi che ti senti in colpa.”
• “Hanno scelto di fare quello che fanno per guadagnare e devono accettare quel che viene: il buono, il cattivo, il brutto.”
• “A proposito dell’assassino seriale di Ipswich: “Provo una sorta di compassione per i parenti delle prostitute uccise. Ma se giochi a un certo gioco devi accettarne le conseguenze. La penso davvero così.”

Misoginia
• “Ha solo a che fare con quel momento di piacere. Che lei mi piacesse non era rilevante per l’esperienza.”
• “Io raggiungo la soddisfazione sessuale in cambio dei miei soldi. Se lei non la raggiunge, a me non importa.”
• “Se lei non piange ma dice ‘no’, io continuo. Mi fermo solo se si mette a piangere sul serio.”
• “Chiamiamo due ragazze e facciamo a gara per vedere chi di noi è il migliore. Chiediamo alle ragazze di darci un voto per la nostra prestazione sessuale, ce le facciamo individualmente e poi ce le scambiamo, e alla fine vediamo chi ha preso il punteggio più alto.”
• “Sono un male necessario.”
• “Provo rabbia nei miei confronti per dover andare e spendere soldi, e verso mia moglie perché mi ci fa andare.” (Parole di un utilizzatore che si definisce “dipendente da sesso” e la cui moglie non vuole fare sesso quanto lui.)
• “Ho visto papponi con le prostitute che urlavano. Ho visto ragazze venire trascinate dentro gli appartamenti. Voglio che le persone con cui ho a che fare non siano coinvolte in affari sordidi.”
• “Se vai da quella sbagliata, è come andare all’obitorio, ti trovi davanti solo un pezzo di carne.”

La prostituzione fa diminuire gli stupri e la violenza sessuale
• “La prostituzione non dovrebbe essere abolita. Previene gli stupri e dovrebbe essere regolamentata.”
• “Se le donne sapessero soddisfare completamente mariti e fidanzati gli uomini non andrebbero con le prostitute.”

Tutte le relazioni sono forme di prostituzione
• “Non c’è bisogno di abolire la prostituzione. Ogni donna è una prostituta. Prima di andare a letto con una donna la porti fuori a cena e a bere, prima che venga a letto con te devi comprarle dei regali. Quindi per farci del sesso alla fine devi spendere soldi per lei.”
• “Effettivamente è più economico andare a prostitute che con una donna normale.”
• “È semplicemente sesso a pagamento. Vai da una donna che è molto provocante, mentre una donna normale non lo è mai quanto una prostituta. Sarebbe sbagliato.”
• “Le donne vogliono fare quel lavoro e gli uomini vogliono comprarle, ognuno ha il suo ruolo.” (Cap. 5, pp. 174-177 )

Mercato libero?

Ho incontrato Nicky ad Auckland, in Nuova Zelanda, nel 2016. Le ho chiesto se i compratori fossero diventati meno violenti dopo la decriminalizzazione: No. Di recente sono stata stuprata con una bottiglia. Non mi era mai capitato prima. Mi hanno infilato dentro una bottiglia e l’hanno rotta. Il giorno dopo mi sono trovata a raccontarlo all’Esercito della Salvezza. Poi ho telefonato a un’amica e le ho detto: “Sono stata stuprata”. Ho cominciato a piangere: adesso un poliziotto mi chiederà: “Quanto era grande la bottiglia? Di che colore era?”. Non importa di che colore era la bottiglia… era una bottiglia ed era dentro di me. Sono stata minacciata, mi hanno detto di andarmene dalla strada. Portavo sempre con me un’arma, infilata dentro un cappotto nero lungo. Poi ho comprato una pistola giocattolo che sembrava vera. Poi ho pensato, no, perché i maiali avranno la meglio, che sia una pistola di plastica oppure no. Poi mi sono messa un cacciavite nel reggiseno, e ora è diventato semplicemente: chi se ne fotte. Sabrinna Valisce, che è stata prostituita in Australia e in Nuova Zelanda sia prima sia dopo la regolamentazione e decriminalizzazione, mi dice che, contrariamente alle promesse della lobby pro-prostituzione, la violenza dei compratori di sesso è aumentata in Nuova Zelanda dopo il cambio legislativo nel 2003. Dice Sabrinna: “

Nel 2003 la violenza da parte della polizia è finita da un giorno all’altro con la decriminalizzazione, dunque da questo punto di vista è stato un bene, ma i clienti… nello spazio di un anno i compratori sono diventati più violenti e le loro aspettative sono aumentate. Pensavano di poter fare tutto quello che volevano, pensavano di avere comprato il tuo corpo. Non mi era mai capitato che uno mi dicesse: ‘Ho pagato per il tuo corpo e posso fare quello che mi pare’ prima della decriminalizzazione.” Nel mercato del sesso spesso le bambine subiscono violenze che cambiano la loro vita. Gli uomini che comprano sesso potrebbero faticare non poco a illudersi di pensare che una ragazzina o un ragazzino che se ne sta in piedi a un angolo di strada in cerca di “affari” stia compiendo una qualche forma di scelta, o che si tratta di qualcosa che lei o lui è felice di fare. Di tutte le donne con cui ho parlato che sono state prostituite da bambine, solo una sopravvissuta mi ha detto che una volta un compratore, rendendosi conto che era al di sotto dell’età del consenso (16 anni, nel suo paese), l’aveva risparmiata.

Ne’cole Daniels aveva 15 anni ed era stata messa sulla strada da un amico di famiglia. Mi racconta un episodio di violenza che su di lei ha avuto un effetto profondo: Si accosta un uomo in una bella macchina, ha l’aria di avere soldi. Dunque salgo e quando arriviamo a casa ce ne sono altri tre. Erano tutti neri [Daniels è afro-americana]. Si sono approfittati di me. Non importava che io fossi come una bambina di due anni. Hanno violato tutto il mio corpo. Sono stata sodomizzata. Mi sentivo male e lui cercava di infilarmi il pene in bocca. Io pensavo solo: “Dio, fa’ in fretta, prometto che non lo farò più, basta che facciano presto e finisca, che possa andarmene da qui.” Sono stata trattata peggio di un animale. Mentre ero ad Auckland ho incontrato Lisa, che se ne stava in strada in attesa di un compratore, seduta accanto al suo deambulatore. Aveva circa 50 anni ed era diventata disabile in seguito a una vita nella prostituzione. Le ho chiesto se la sua vita era migliorata dopo la decriminalizzazione, mi ha risposto di no perché, nella sua esperienza, gli uomini che la pagano si sentono in diritto di fare tutto quello che vogliono, come comprassero un hamburger. “L’unico vero aiuto per me sarebbe una via d’uscita” ha detto. (Cap. 5 pp. 184-185)

Julie in Italia

Napoli – lunedì 4 marzo, ore 17 Sala Consiliare della Città Metropolitana, via Santa Maria la Nova 44
Roma – martedì 5 marzo, ore 17 Casa delle Letterature, Piazza dell’Orologio 3
Milano – mercoledì 6 marzo, ore 18.30 LECTIO MAGISTRALIS: Sex work. È un lavoro? Fondazione Feltrinelli, viale Pasubio 5 nell’ambito delle iniziative di BookLab e in avvicinamento all’Otto marzo, con un percorso di riflessione su donne, diritti, disuguaglianze di genere, attivismo e inchieste che culmina il giorno successivo con l’incontro We, Women, Storie dal mondo al femminile.
Torino – giovedì 7 marzo, ore 10 Campus Luigi Einaudi, Lungo Dora Siena 100
Rimini – venerdì 8 marzo, ore 15 Teatro degli Atti, via Cairoli 32
Milano – sabato 9 marzo, ore 18 Libreria delle Donne, via Calvi 29

Julie Bindel e l’inchiesta contro la favola di Pretty Woman
Julie Bindel, militante, giornalista, fondatrice dell’associazione Justice for Women
Julie Bindel, militante, giornalista, fondatrice dell’associazione Justice for Women

Le interviste raccolte ne Il mito Pretty Woman rivelano le bugie di una mitologia tesa a truccare gli interessi di un’attività criminale fra le più redditizie a livello globale. Come evidenzia Julie Bindel, il commercio sessuale risulta ormai comunemente accettato, a partire dalla ricorrente affermazione che “la prostituzione è necessaria, inevitabile e innocua”. Oggi più che mai è necessario promuovere una campagna contro la normalizzazione dello sfruttamento, della proprietà di bordelli e dell’acquisto di sesso. Tradotto da Resistenza femminista, che da anni dà voce alle sopravvissute alla prostituzione lottando contro l’industria del commercio sessuale, il volume raccoglie 250 interviste che Julie Bindel ha realizzato visitando bordelli legali, conoscendo ‘papponi’, pornografi e sopravvissute alla prostituzione, incontrando femministe abolizioniste, attivisti pro-sex work, poliziotti, uomini di governo e uomini che “vanno a puttane”, con l’obiettivo di sfatare il falso mito del sex work: la prostituzione non è un lavoro ma un abuso a pagamento.
Il commercio internazionale del sesso è al centro di uno dei dibattiti più accesi a livello mondiale, non solo fra le femministe e gli attivisti per i diritti umani.

Oggi le donne che hanno vissuto la violenza della prostituzione hanno preso la parola contro la favola di Pretty Woman, la “puttana felice”, dando vita a un movimento globale che sta portando avanti una battaglia a favore del Modello nordico, l’unico modello legislativo che protegge i diritti umani delle persone prostituite. Una battaglia che ha come maggiore antagonista la potente e ben finanziata lobby pro-prostituzione, costituita principalmente da proprietari di bordello, agenzie di escort e compratori di sesso, il cui intento è ridurre la prostituzione a un “lavoro come un altro”, occultando la violenza subita dalla donna e trasformando gli sfruttatori in imprenditori, allo scopo di decriminalizzare l’industria del sesso e proteggere il “diritto” dei compratori ad abusare dei corpi delle donne.

Basti pensare – sottolinea Bindel nell’introduzione – a come per dare un “aspetto pulito e rispettabile” al commercio sessuale sia cambiato il linguaggio che lo descrive, per cui i papponi sono diventati “manager”, le donne prostitute “sex workers” e lo stupro “un rischio del mestiere”.


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VandA a Feminism

VandA.ePublishing partecipa alla seconda edizione della Fiera dell’editoria delle donne che si terrà a Roma dall’8 al 10 marzo.

 

venerdì 8 marzo alle ore 18

presentazione del volume fresco di stampa, in pubblicazione il 5 marzo
NE’ SESSO NE’ LAVORO. Politiche sulla prostituzione

di Daniela Danna, Silvia Niccolai, Luciana Tavernini e Grazia Villa
(VanderWomen: una coedizione VandA ePublishing – Morellini Editore)

Un incontro importante per chiarirsi le idee su qualcosa che, anche noi donne,
“facciamo finta di non vedere”.

Intervengono le autrici
Daniela Danna, sociologa
Silvia Niccolai, costituzionalista

Presenta
Anna Rosa Buttarelli, filosofa e saggista

Il volume esce tempestivamente nello stesso giorno della discussione della Consulta in Italia per fornire un contributo indispensabile al dibattito su prostituzione/sex work in Italia. Forti di competenze diverse e specifiche, le quattro autrici mostrano i differenti aspetti del fenomeno. Il sex work non è un lavoro come un altro, e il concetto stesso di sex work stravolge il senso sia del sesso sia del lavoro. Il testo descrive la portata culturale della prostituzione nei rapporti odierni tra i sessi, e le radici antiche dei dibattiti attuali, approfondendo la conoscenza dei modelli di politiche internazionali, con un focus sui paesi in cui i modelli proposti per uscire dall’abolizionismo della legge Merlin sono stati realizzati, passando all’analisi di questa bella e trascurata legge e delle modalità della sua applicazione, per concludere on le proposte presentate da i parlamentari e i partiti che vogliono modificarla o stravolgerla.

sabato 9 marzo alle ore 15

presentazione del volume

MANIFESTI FEMMINISTI
Il femminismo radicale attraverso i suoi scritti programmatici (1964-1977)

a cura di Deborah Ardilli
(VanderWomen: una coedizione VandA ePublishing – Morellini Editore)

Interviene la curatrice

Presenta
Barbara Bonomi Romagnoli, giornalista

Con letture di Nadia Spicuglia Franceschi

 

Il volume raccoglie testi composti in Italia, in Francia e negli Stati Uniti (alcuni di questi tradotti per la prima volta) dalle più attive rappresentanze del femminismo radicale dalla seconda metà degli anni Sessanta alla seconda metà degli anni Settanta del XX secolo. “Radicale”, a partire dal ‘68 e fino alla fine degli anni Settanta, fu soprattutto il “soggetto imprevisto” del femminismo. Il manifesto politico è il genere che meglio si presta a restituire la complessità di quella straordinaria stagione che segnò la presa di coscienza delle donne, attraverso un drastico ripensamento delle relazioni tra loro e della forza che da questo deriva. Riletto attraverso i suoi manifesti, il femminismo radicale sconvolge la banalizzazione corrente di ciò che è stato per riconsegnarci la testimonianza della sua verità e un’immagine in movimento di ciò che potrebbe essere.

Casa Internazionale delle Donne, via della Lungara 19, Roma


 

Pubblicato il

Julie Bindel – Libreria delle donne

– VandA.ePublishing insieme a Morellini editore è lieta di presentare Il mito Pretty Woman. Come la lobby dell’industria del sesso ci spaccia la prostituzione di Julie Bindel

Julie Bindel parteciperà il 9 marzo all’incontro Miti e lobby della prostituzione presso la Libreria delle Donne di Milano.

Vi aspettiamo!


 

Pubblicato il

Nè sesso nè lavoro – Feminism2

venerdì 8 marzo alle ore 18

Casa Internazionale delle Donne, via della Lungara 19, Roma

Nell’ambito della fiera dell’editoria delle donne FEMINISM,

presentazione del volume fresco di stampa, in pubblicazione il 5 marzo

NE’ SESSO NE’ LAVORO
Politiche sulla prostituzione

di Daniela Danna, Silvia Niccolai, Luciana Tavernini e Grazia Villa

Un incontro importante per chiarirsi le idee su qualcosa che, anche noi donne, “facciamo finta di non vedere”.

Intervengono le autrici

Daniela Danna, sociologa

Silvia Niccolai, costituzionalista

Presenta
Anna Rosa Buttarelli, filosofa e saggista

 

 Né sesso né lavoro. Politiche della prostituzione esce tempestivamente nello stesso giorno della discussione della Consulta in Italia per fornire un contributo indispensabile al dibattito su prostituzione/sex work in Italia.
Forti di competenze diverse e specifiche, le quattro autrici mostrano i differenti aspetti del fenomeno. Il sex work non è un lavoro come un altro, e il concetto stesso di sex work stravolge il senso sia del sesso sia del lavoro. Il testo descrive la portata culturale della prostituzione nei rapporti odierni tra i sessi, e le radici antiche dei dibattiti attuali, approfondendo la conoscenza dei modelli di politiche internazionali, con un focus sui paesi in cui i modelli proposti per uscire dall’abolizionismo della legge Merlin sono stati realizzati, passando all’analisi di questa bella e trascurata legge e delle modalità della sua applicazione, per concludere on le proposte presentate dai parlamentari e i partiti che vogliono modificarla o stravolgerla.

 

Daniela Danna è sociologa all’Università del Salento e si occupa di questioni di genere, analisi dei sistemi-mondo, rapporto società-ambiente, decrescita.
Silvia Niccolai è ordinaria di diritto costituzionale all’Università di Cagliari. È autrice del saggio Femminismo ed esperienza giuridica. A proposito del ritorno di un’antica regula iuris.
Luciana Tavernini ha partecipato all’Associazione Melusine e fin dagli anni Ottanta alla Pedagogia della differenza. Per anni si è occupata con Marina Santini delle iniziative della Libreria delle donne-Circolo della Rosa di Milano.
Grazia Villa è avvocata per i diritti delle persone. Con le donne ha promosso molte cause pilota in materia di riconoscimento di diritti nei luoghi di lavoro, costituzione di parte civile nei processi di stupro e violenza sessuale, denunce relative a molestie e stalking.