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Liberazioni


di Clotilde Barbarulli (Il Manifesto Le monde diplomatique, giugno 2019)


MANIFESTI FEMMINISTI 
Il femminismo radicale attraverso i suoi scritti
programmatici (1964-1977)
Deborah Ardilli (a cura di)
VandAePublishing/Morellini (2018) 15.90 euro

Il libro raccoglie, con una interessante introduzione, una selezione di testi del femminismo radicale dalla seconda meta degli anni Sessanta alla seconda metà degli anni Settanta in Italia, Francia e Stati Uniti, per offrire supporti testuali alle più giovani così da ricostruire una trama significativa di pensieri nel percorso politico delle donne. Il manifesto, fra rabbia politica e proiezione utopica, si presta a restituire l’articolazione di quella stagione, attraversata da diverse correnti e segnata dalla presa di coscienza delle donne, il soggetto imprevisto, che prende forza dalle relazioni fra donne. L’implicazione logica della rivolta delle donne è che la loro condizione può essere modificata, che il rapporto sociale che le definisce come la natura, il sesso, la differenza, l’alterità complementare all’uomo, può essere sovvertito. Se l’orizzonte è comune, la varietà delle posizioni rappresentate mette in luce che il femmininismo radicale è una modalità storicamente e geograficamente situata «di pensarsi, di agire e di pensare il propria agire». Il significato di radicale slitta dall’ambito della controcultura e della nuova sinistra al movimento di liberazione delle donne che rifiutano di considerare la propria oppressione come una ricaduta secondaria delle contraddizioni di classe, e che riconoscono l’impossibilità sociale dell’uguaglianza all’interno di un sistema etero-patriarcale. Così se una giovane americana era considerata radicale quando apparteneva alla frastagliata area dell’attivismo studentesco per i diritti civili e contro la guerra in Vietnam, successivamente la radicalità si riferisce al movimento delle donne perché prende le distanze dalle organizzaioni femminili di impronta emancipazionista, staccandosi dalla militanza mista. Ardilli ritiene giustamente importante far conoscere il passato – restituendo «un minimo di respiro storico» ai ragionamenti oltre la «densa coltre di sentito dire» – e mettere così in luce la complessità del rovesciamento di prospettiva di quegli anni.


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Sicuri che è di sinistra?


di Marina Terragni (Il Resto del Carlino, 13 maggio 2019)


Il 50 per cento di disoccupazione femminile è un bel problema: è in questa chiave che Cgil si attiva per consentire alle donne italiane di affittare l’utero a coppie etero e gay?

Il 19 giugno a Roma presso la Cgil nazionale saranno presentate ben due proposte di regolamentazione della cosiddetta gestazione per altri, in collaborazione con le associazioni Luca Coscioni, Famiglie Arcobaleno e altre.

La Corte Costituzionale ha sancito che l’utero in affitto «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane». La Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha stoppato le trascrizioni alle anagrafi dei “genitori” non biologici dei bambini nati da utero in affitto. Per la Referente dell’ONU sulla vendita e lo sfruttamento sessuale dei minori, la Gpa “è nient’altro che vendita di bambini, qualunque siano gli artifici giuridici impiegati».

Del resto tutta la sinistra europea si schiera in modo inequivoco contro l’utero in affitto: dalla Svezia a Pedro Sanchez, che ha intrapreso misure durissime contro la pratica.

La Cgil – Ufficio Nuovi Diritti sembra invece affascinata dalle infinite possibilità offerte dall’autosfruttamento femminile, compreso il cosiddetto “libero” sex work (libero un accidente, ha chiarito la Corte Costituzionale): pochi mesi fa, ospite d’onore la “puta-feminista” argentina Georgina Orellano, in platea un’entusiasta Monica Cirinnà, si è discusso di un sindacato delle prostitute.

“L’interno del corpo femminile non è un posto di lavoro” dice la femminista inglese Julie Bindel. A quanto pare Cgil la vede diversamente.

Nel suo documento politico il Pride di Milano tuona: “Esigiamo… libero accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita”, uteri compresi. E Cgil prontamente risponde, anche se forse vi sarebbero altre priorità a cui dedicarsi.

La probabilità che passi una legge pro-utero in affitto è pari a zero: il divieto vige quasi in tutto il mondo salvo 18 nazioni su 206.

L’iniziativa Cgil offre piuttosto un ulteriore spunto di riflessione sulla deriva dirittistica, radicaloide e distopica della sinistra italiana. Deriva che peraltro, a giudicare dai numeri delle urne, non sta dando grandiosi risultati.