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La buona moneta. Come azzerare il debito pubblico e vivere felici (o solo un po’ meglio), Pierangelo Dacrema

“Le dimensioni del debito pubblico italiano sono un fattore di rischio che ostacola qualunque politica di sviluppo della nostra economia. Un problema annoso, tema di dibattito e di scontro a ogni vigilia del voto. Le politiche di austerità volte ad arginare il debito si sono rivelate inefficaci, oltre che dolorose. In un’Italia afflitta da disoccupazione e vaste sacche di indigenza occorrono provvedimenti adatti a promuovere consumi, investimenti, occupazione e reddito. E il loro ineludibile presupposto è la disponibilità di moneta”. 

Pierangelo Dacrema in “La buona moneta” offre una raccolta di spunti per un’economia del futuro.

Se, come spesso accade nei ragionamenti economici, il denaro è sia causa che soluzione come procurarsi moneta?

Leggine un estratto…  

“L’idea all’origine della proposta che formulerò in modo articolato nella terza parte di questo lavoro non è affatto nuova. Nuova semmai è la proposta, anche sotto l’aspetto tecnico.

L’idea, infatti, è stata non solo formulata ma anche applicata con successo nella prima metà degli anni Trenta del secolo scorso, ed è alla base del “miracolo” compiuto dalla politica economica del governo nazionalsocialista prima della sciagurata decisione di scatenare la guerra in Europa e nel mondo.

A tale proposito credo che si possa trovare ormai ampio consenso sul principio per cui una condanna senza appello del nazismo per gli orribili delitti e le devastazioni di cui si è reso responsabile sia compatibile con un’analisi degli apprezzabili risultati da esso ottenuti, fino al 1937, sul piano economico-sociale. Studiosi come Joachim Fest non hanno esitato ad ammettere 1 che, se Hitler fosse morto prima del 1938 – o non avesse invaso l’Austria perseverando poi nel folle disegno che avrebbe scatenato la seconda guerra mondiale –, sarebbe stato ricordato come un grande statista tedesco, forse il più grande.

Quando Adolf Hitler, nel gennaio del 1933, riceve da Paul von Hindenburgh l’incarico di formare il nuovo governo, la Germania è un Paese allo stremo. Sono fatti noti, ma è il caso di ricordarli brevemente. Una trentina di partiti e sei milioni e mezzo di disoccupati – poco meno di un quarto della forza lavoro del Paese – rendono la situazione potenzialmente esplosiva. La nazione è oberata di debiti per le riparazioni di guerra, praticamente impossibili da pagare, l’indigenza è diffusa, un gran numero di famiglie e di individui è alla fame. Ed è proprio cavalcando questo malcontento che lo NSDAP – Nazionalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei – ottiene un risultato elettorale più che soddisfacente. Con le parole roboanti e lo stile tipici di un dittatore che si trova a un passo del potere assoluto, Hitler fa alcune promesse ai tedeschi. E le mantiene. Con un Rudolph Hess sorridente e ammiccante al suo fianco, si rivolge a un pubblico osannante ricordando che lui e i suoi seguaci erano in sette, all’inizio. E che ora sono diventati milioni.

Per questo potrà permettersi di selezionare, allontanare gli opportunisti e gli incapaci, scegliere i migliori. Parlando d’economia, giura di avere come unico obiettivo il benessere del popolo tedesco, e assicura di tenere ben presente come la prosperità nasca dal lavoro, dall’attività del popolo, e non dal denaro, che ne è banale e meccanica conseguenza. Promette che lo Stato non lascerà isolati gli individui operosi, volenterosi e intenzionati a collaborare, a entrare in azione a vantaggio di tutti. Garantisce un controllo dello Stato sull’attività dei privati e un rapporto di collaborazione tra Stato e industria destinato ad aumentare la produzione e una distribuzione della ricchezza nazionale attenta ai meriti e ai bisogni individuali.

Con la nazionalizzazione di diverse grandi imprese, ma sempre in dialogo con l’industria privata, lancia un programma di investimenti pubblici volto a rivoluzionare il sistema dei trasporti, a potenziare le infrastrutture, a dare ai tedeschi nuove prospettive. Artefice della politica economica del governo nazista dall’inizio del 1933 alla fine del 1937 è Hjalmar Schacht, che non è nazionalsocialista (e per di più ha origini ebraiche). Ciò a riprova di come certi giudizi possano, e forse debbano, tenersi separati. È probabile che Schacht avesse visto in Hitler il capo di una forza politica – eccentrico sia il capo che il partito da lui creato – capace di mettersi alla guida di un Paese bisognoso soprattutto di: a) godere di un periodo di stabilità politica; b) approfittare di tale periodo per risollevare le sorti di un’economia che versava in condizioni disastrose. È probabile, anzi, quasi certo, che Hitler accarezzasse fin dal 1933 i suoi perniciosi disegni di guerra e di dominio sull’Europa, e che avesse visto in Schacht l’uomo giusto per realizzarli (senza un’economia forte alle spalle, la guerra sarebbe parsa una follia anche al più folle dei dittatori). Perché la scelta del Führer si è rivelata (malauguratamente) intelligente? Stiamo parlando, ripeto, di eventi e di uomini ben conosciuti. Ma ripercorrere in estrema sintesi alcuni brani del passato può rendere più facile l’analisi del presente e l’individuazione di possibili soluzioni per il futuro.

Si consideri che Schacht è già un eroe nazionale. Diventato responsabile economico della Repubblica di Weimar su incarico del cancelliere Gustav Stresemann nel 1923, nonché presidente della Reichsbank nel 1924, diffonde sul mercato una nuova valuta, il Rentenmark, che soppianta il vecchio marco, ormai inservibile, e sconfigge l’iperinflazione di quel tempo. Rimane al vertice dell’istituto di emissione fino al marzo del 1930, sei mesi dopo l’inizio della Grande Depressione. Hitler si esprimeva in modo enfatico, drammatico. Era amato, il suo eloquio era estremamente appassionato. Un tipo strano. Ma strana era anche la situazione.

Nel marzo del 1933 Schacht accetta di tornare a essere il presidente della Reichsbank, e nell’agosto del 1934 diventa ministro dell’Economia. I risultati ottenuti dall’economia tedesca sotto la sua guida, in pochi anni, sono oggettivamente straordinari. Già alla fine del 1936 la disoccupazione è ridotta al minimo e tutti i settori dell’industria registrano fenomenali incrementi della produzione.

È giudizio unanime che il successo di questa operazione di rilancio del sistema economico sia dovuto in buona misura ad alcune innovazioni introdotte da Schacht nel sistema dei pagamenti. Si tratta in particolare di due accorgimenti, entrambi volti all’esigenza di offrire liquidità al sistema evitando di creare un eccesso di base monetaria con la deprecabile conseguenza dell’inflazione, un problema di cui la Germania ha un ricordo fresco e drammatico. La prima innovazione riguarda le modalità di finanziamento delle importazioni, vale a dire delle merci di cui il Paese ha un estremo bisogno, soprattutto in campo alimentare.

L’idea è semplice e centrata sull’obiettivo: non deprimere il marco, la valuta nazionale. Il che significa non costringere la banca centrale a emettere marchi o a spendere valuta estera, che la banca si trova costretta ad amministrare con molta parsimonia. Le importazioni, pertanto, vengono pagate con cambiali spendibili solo in Germania, sul mercato tedesco. Il risultato è che ogni spesa all’estero (importazione) destinata a rifornire il sistema produttivo tedesco si traduce in una spesa dall’estero che alimenta il sistema ulteriormente (esportazione). Si tratta in sostanza di un baratto con esiti virtuosi, capace di scavalcare qualunque forma di intermediazione finanziaria associata di norma a qualsiasi operazione economica (considerando economica un’operazione per cui esiste un soggetto che produce e che vende – l’offerta – e un altro che acquista e consuma – la domanda). Facile fornire un esempio. L’Argentina è ricca di grano e di carne, che può esportare in abbondanza. E la Germania è in grado di produrre macchine utensili di cui l’Argentina ha bisogno per favorire un progresso tecnologico che non è capace di promuovere da sola. Benissimo. La Germania avrà il grano e la carne di cui necessita in cambio di tecnologia pagata dall’Argentina con strumenti finanziari spendibili solo in Germania. È un baratto, nient’altro che un baratto assistito e garantito dallo Stato.

La seconda idea, per quanto in tutto simile alla prima, è ancora più ardita, e si risolve in un meccanismo di finanziamento della spesa pubblica senza il ricorso a emissioni di moneta né al collocamento di veri e propri titoli di Stato. Nella Germania che i nazisti si accingono a governare la liquidità scarseggia, le aziende licenziano o, nella migliore delle ipotesi, non assumono, ed esiste una capacità produttiva largamente inutilizzata.

Occorrerebbe una politica monetaria di stimolo, fortemente espansiva, che trova però un ostacolo insormontabile nel pericolo dell’inflazione e nella diffidenza dell’Europa nei confronti di una valuta come il marco e di una nazione come la Germania, che si ha ragione di considerare risentita, umiliata, e sempre pronta a varare una politica del riarmo. Schacht decide allora di creare la Metallurgischen Forschungsgesellschaft, Società per la ricerca metallurgica (abbreviata in MEFO). L’organismo, interamente posseduto dalla Reichsbank, è una scatola vuota: non fa nulla e non possiede nulla. Però ha la peculiare e pregiata caratteristica di poter emettere cambiali garantite, di fatto, dallo Stato (più esattamente dalla Reichsbank). Queste cambiali – i titoli MEFO – rendono il 4 per cento su base annua e hanno scadenza breve, trimestrale o quadrimestrale. Possono tuttavia essere rinnovate fino a cinque anni. Attraverso di esse la MEFO – indirettamente la Reichsbank, e in sostanza lo Stato – può raccogliere denaro ma può anche pagare in via dilazionata le commesse industriali, vale a dire sostenere la spesa pubblica, finanziare la produzione e la domanda globale. Da notare che i soggetti, per lo più industriali, che accettano titoli MEFO in pagamento si rendono conto di poter decidere di non rinnovarli, o di scontarli presso la Reichsbank ottenendo moneta ufficiale, marchi. Ma non lo fanno, vuoi perché i titoli hanno un rendimento interessante, vuoi, soprattutto, perché hanno fiducia in questi titoli.

Per le aziende tedesche è prevista poi la possibilità di emettere cambiali garantite dalla MEFO, circostanza, quest’ultima, che accredita i titoli in loro possesso come strumenti di pagamento del tutto affidabili. Il risultato è che i titoli MEFO proliferano, circolano come moneta e, come la moneta, servono al finanziamento e al funzionamento del sistema economico. Si tenga presente che i MEFO sono spendibili solo in Germania. Ma è quanto si è pianificato fin dall’inizio: doveva essere la Germania a trarne beneficio. E così fu. La Germania godette per diversi anni di un regime di doppia circolazione della moneta che si rivelò molto utile per la rivitalizzazione dell’industria nazionale.”

Ti è piaciuto questo libro? Lo trovi qui: La buona moneta. Come azzerare il debito pubblico e vivere felici (o solo un po’ meglio)

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Evento – La buona moneta, Siracusa


Venerdì 14 dicembre
Urban Center, via Nino Bixio 1, Siracusa


Pierangelo Dacrema, autore de “La buona moneta. Come azzerare il debito pubblico e vivere felici (o solo un po’ meglio)” partecipa venerdì 14 dicembre Moneta complementare. Uno strumento a “impatto zero” per gestire le sindromi da crisi.

PROGRAMMA
Introduzione
Luigi Martines
                     Onda Coin

Interventi
Pierangelo Dacrema
Economista e docente all’Università della Calabria

in Breve storia della moneta
– Funzione della moneta nell’economia;
– Economia finanziaria e credit crunch;
– Le monete complementari come soluzione : storia e attualità;

Renato Mannheimer
                 Sociologo, saggista e sondaggista italiano

in Sondaggio sulle monete complementari
– Percezione della crisi e l’atteggiamento verso le monete complementari

Tavola Rotonda
Modera
Laura Del Santo
Opinionista Economica

 


Le dimensioni del debito pubblico italiano sono un fattore di rischio che ostacola qualunque politica di sviluppo della nostra economia. Un problema annoso, tema di dibattito e di scontro a ogni vigilia del voto.
Le politiche di austerità volte ad arginare il debito si sono rivelate inefficaci, oltre che dolorose. In un’Italia afflitta da disoccupazione e vaste sacche di indigenza occorrono provvedimenti adatti a promuovere consumi, investimenti, occupazione e reddito. E il loro ineludibile presupposto è la disponibilità di moneta.
Ma come procurarsela in presenza di un debito pubblico abnorme e di regole europee che ne impongono il drastico ridimensionamento?
L’unica risposta a esigenze così contrastanti è che il nostro debito pubblico venga rimborsato con una nuova moneta nazionale a corso forzoso. In più occasioni, Lega e M5S hanno preso le distanze dall’euro e caldeggiato la creazione di una moneta italiana. La posizione di Pierangelo Dacrema è radicalmente diversa. In modo chiaro, asciutto e convincente, questo libro mostra che il benessere della nostra nazione non sta nell’uscita dall’euro. E che un’Italia alleggerita dal debito e dotata di una propria moneta diventerebbe più forte, a tutto vantaggio dell’euro e dell’Europa.

 

Pierangelo Dacrema è professore ordinario di Economia degli intermediari finanziari all’Università della Calabria. Ha insegnato nelle Università di Bergamo, di Siena, alla Cattolica, alla Bocconi e alla Nuova Accademia di Belle Arti di Milano. Con VandAePublishing ha pubblicato La dittatura del PIL, Trattato di economia in breve, Lettera aperta a uno studente universitario e Fumo bevo e mangio molta carne.

 

 


 

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Via all’Invasione di libri

 

– Si parte martedì con Pierangelo Dacrema. Anche quest’anno il Festival delle Invasioni – Stagioni d’estate dedica una sezione di “Beni parlati”, luoghi di rilevanza storica che diventano location per la presentazione di novità editoriali.

Si comincia dal Chiostro di San Domenico martedì 10 luglio (ore 19), con l’economista Pierangelo Dacrema, che presenta il suo libro “La buona moneta” (ed. All Around). Docente di economia degli Intermediari finanziari all’Università della Calabria, Dacrema ha scritto diversi libri, e non solo di carattere accademico.

Conversando con il sindaco Mario Occhiuto e il prof. Franco Piperno, ci dirà qual è la sua ricetta per azzerare il debito pubblico e – come dice nel sottotitolo al libro – ‘vivere felici o solo un po’ meglio’.

A distanza di un anno, torna a Cosenza, di cui è cittadino onorario, Antonio Monda. Il suo ultimo romanzo, il sesto della sagra newyorkese, ancora per i timbri di Mondadori, è “Io sono il fuoco” e lo presenta, sempre nel Chiostro di San Domenico venerdì 13 luglio (ore 19).

Questa volta Monda – scrittore, giornalista, professore alla New York University, Direttore Artistico della Festa del Cinema di Roma e del festival letterario “Le Conversazioni” – ci porta nella New York degli Anni Quaranta, dove si rifugia il protagonista Baldur Cranach, “uomo pavido e mediocre” perché non ha salvato alcuni ebrei dal campo di concentramento.