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“Lo scandalo della felicità”, storia della Principessa Valdina di Palermo

Articolo di Margherita Francalanza, originariamente apparso qui.

L’ultimo romanzo di Pina Mandolfo, scrittrice e sceneggiatrice, intellettuale da anni impegnata nella difesa e promozione dei diritti internazionali delle donne e nel riscatto culturale della Sicilia, narra la storia vera e straordinaria di una donna, Anna Valdina, principessa palermitana che, nel 1600 a Palermo, fu monacata a forza quasi bambina.

La protagonista trascorse cinquant’anni della sua vita nel tentativo di ottenere un processo per lo scioglimento dei voti, fino a riuscirci. Con implacabile geometria narrativa, Pina Mandolfo racconta la volontà e le ragioni di Anna Valdina, un’autentica e coraggiosa combattente, vissuta in un’epoca in cui il potere patriarcale comprimeva ogni anelito di libertà femminile. La storia di Anna e della sua vita in convento si intreccia con i fatti più rilevanti e con i personaggi della Palermo spagnola, in un racconto affascinante e struggente, carico di tensione.

La Valdina è certamente una donna di cui difficilmente ci si dimentica, la sua sola voce risuona forte da un lontano passato , attraversa i secoli e giunge alla contemporaneità. Provoca nel lettore una naturale complicità partecipativa, di indignazione e insieme desiderio di battersi al suo fianco, camminare scandalosamente .passo dopo passo, verso il diritto alla felicità degno di ogni essere umano.

“Il mio racconto , scrive l’autrice, è carico di tutta la passione verso un personaggio femminile non comune di cui ho voluto narrare la grandezza, descrivendone l’esemplarità di donna assoggettata ma non soggetta.”

Il racconto trae spunto da alcuni documenti d’Archivio ritrovati casualmente da Pina Mandolfo, poche trame elaborate tra ricerca storica, eventi del tempo e molta invenzione narrativa. Ma forse il “ caso “ è la miglior guida nel far emergere dal silenzio storie di donne dimenticate o volutamente occultate dalla Storia ufficiale per ulteriormente mortificarne la grandezza.

Numerosi personaggi ruotano attorno alle continue e singolari azioni di Anna Valdina, irriducibile nella volontà di chiedere un processo per lo scioglimento dei voti monacali. La storia della protagonista e la sua strana vita in convento si intrecciano con i più importanti fatti e personaggi della Palermo spagnola secentesca, le cui tracce, da quel tempo particolare, sono giunte fino a noi in un emozionante “continuum narrativo “.

Tra tanti personaggi, ad esempio, emerge Eleonora di Mora, l’unica donna, taciuta dalla storia, che divenne viceré a Palermo per ventinove giorni e rivoluzionò la città, ma “ taciuta dalla storia ufficiale “ e tutta da esplorare.

“Lo scandalo della felicità, storia della principessa Valdina di Palermo” potrebbe rientrare nella categoria del romanzo storico, le tracce d’archivio, la ricerca degli accadimenti e della società del tempo sembrano ricondurci a tale definizione. Eppure il libro , nella sua originalità , ci appare libero da “recinti” temporali e di genere. L’autrice crea un ponte ben visibile tra passato e presente, trascina il lettore dentro la storia che , trascinato nel tempo e nello spazio di Anna Valdina , è costretto a farsene carico , a portarla con se’ , finalmente alla luce del sole, fuori dalle stanze buie conventuali ,a farla finalmente vivere libera e ri/conosciuta.

La prosa di Pina Mandolfo è agile e insieme ricercata l’ impianto narrativo ritmato e intenso, un romanzo degno della migliore tradizione narrativa italiana e insieme una scoperta dell’immensa ricchezza nascosta della nostra Isola ,metafora del viaggio esistenziale delle donne (e dell’umanità tutta) nell’incessante ricerca della “ felicità” come diritto e dovere , promotrici di “ scandalo” e di scomode vite , pronte ad essere distrutte , per divenire Seme generativo di libertà.

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Una donna in tribunale per fuggire dal convento

Articolo di Antonella Scandone (Repubblica.it) originariamente apparso qui.

Io non ci morirò in questo luogo“.Fu questo il ripetuto grido di dolore che per oltre quaranta lunghi anni accompagnò la vita di una nobile palermitana del Seicento, la sua discesa in un inferno rappresentato da una vita che non voleva e contro la quale lottò, a dispetto degli uomini e delle loro ottuse convinzioni. Questa è la storia di una donna, nata principessa Anna Valdina, vissuta come suor Maddalena e morta come principessa Anna Valdina. Finalmente donna libera dopo una vita da suora. La sua vicenda, sconosciuta ai più, è venuta fuori da tre polverosi faldoni che raccolgono le carte di un processo lungo tre anni. Processo che le consentì il ritorno alla vita secolare, dopo che, entrata in convento a sette anni per ricevere un’ educazione consona ad una donna del suo ceto, fu costretta a prendere i voti a soli dodici anni. Cinquanta anni da sepolta viva nel Monastero delle Stimmate, a Porta Maqueda, successivamente distrutto per far spazio alla costruzione del Teatro Massimo. Ne uscirà, la suora-principessa, grazie ad un’ incredibile forza d’ animo che non l’ abbandonò mai, a 57 anni. Morì, dopo essere tornata in possesso dei suoi averi e del suo titolo, cinque anni dopo. A fare rivivere la dolorosa vicenda di Anna dei principi Valdina è stata giovedì scorso al Kalhesa la professoressa Pina Mandolfo, tra le fondatrici della “Società italiana delle letterate” che si occupa della scoperta e della diffusione del sapere e della cultura delle donne, delle loro vite spesso nascoste. La Mandolfo ha tenuto una conferenza sulla Valdina, nell’ ambito del ciclo di incontri organizzato dal Fai. «Mi sono imbattuta nella storia di Anna Valdina – racconta Pina Mandolfo, autrice del libro “Desiderio” – mentre effettuavo una ricerca all’ Archivio di Stato sui ruoli femminili dal dodicesimo al diciannovesimo secolo. Erano gli atti del suo processo per lo scioglimento dei voti, e mi sono sembrati una scoperta interessante per lo spaccato che offrivano sulla realtà politica e sociale della Palermo del Seicento. Non vorrei sembrare estremista, ma mi sembra che nulla, o quasi, sia cambiato da allora. Questa è ancora una terra piena di intrighi, privilegi, dove qualsiasi iniziativa culturale è boicottata al fine di rendere tutto immutabile. Dove vige solo una cultura del privilegio, dell’ apparire e del non essere». Una cultura, insomma, intrisa ancora di quella mentalità che portò la famiglia a rinchiudere Anna e le sue tre sorelle in un convento per preservare i beni della famiglia ad un unico erede. La sua storia si differisce, però, da quella di tante altre sfortunate che prima e dopo di lei subirono lo stesso destino, perché Anna non si rassegnò mai, gridò per tutta la vita, contro chi le impediva una vita normale. «Fu solo dopo la morte del fratello – prosegue la Mandolfo – che dopo aver causato tanto dolore a lei ed alle sorelle, morì senza lasciare eredi, che Anna riuscì a farsi aiutare da un potente zio, protonotaro del Regno, al quale promise di lasciare in eredità tutti i suoi beni, se solo fosse riuscita a tornarne in possesso, sciogliendosi dai voti. Quei beni che, il fratello, morendo, aveva lasciato ad un prelato con il quale, per tutta la vita, aveva intessuto una relazione dai contorni non chiari, e che fu uno dei più strenui oppositori alla libertà di Anna». Dopo la morte del padre e del fratello, figure fortemente temute, molti accettarono di testimoniare e di raccontare come i suoi voti non avessero nulla a che vedere con la vocazione ma fossero solamente il frutto di una barbara usanza. Testimonianze che, alla fine, le consentirono di vincere il processo. «Alla morte di Anna, ultima erede della sua famiglia – racconta ancora la Mandolfo – i beni passarono, così come da lei promesso, alla famiglia dello zio. Il palazzo Papè Valdina in via del Protonotaro, di fronte alla biblioteca, appartiene ancora oggi alla famiglia ma versa in uno stato di totale degrado e mi auguro che si possa intervenire per restituirlo agli antichi splendori, così come è avvenuto per un’ altra proprietà della famiglia, il castello di Rocca Valdina, che è stato restaurato ed aperto al pubblico. Trovo particolarmente impressionante in questa vicenda, che tra le numerose carte esistenti, tra tutte le testimonianze, non compaiono mai donne. Neppure la madre della stessa Anna. Nessuna voce femminile che si alzi a difesa della sua libertà, a riprova che il presunto matriarcato di cui tanto si parla, funge solo da portavoce di una cultura maschile». Dalla ricerca della professoressa sono venute fuori anche altre storie simili, altri destini che si sono incrociati con quelli di Anna. Come quello della siciliana Francesca Lucchesi Palli, contemporanea della prima, o come quella di due sorelle ragusane, della famiglia Grimaldi, che nell’ Ottocento riuscirono ad uscire dal convento, a sposarsi e poi a donare tutti i loro averi per la costruzione di scuole femminili. Con la convinzione che solo la conoscenza potesse liberare le donne da un destino senza speranza. Ed esistono anche delle testimonianze autobiografiche, come quella di Arcangela Tarabotti, anche lei vissuta nel Seicento e del suo manoscritto, conservato per decenni in un archivio privato e recentemente ritrovato e pubblicato con l’ esplicito titolo di “Inferno monacale”, o come “Misteri del Chiostro napoletano”, nel quale Enrichetta Caracciolo, napoletana vissuta nell’ Ottocento, narra la sua vicenda di reclusione e di libertà riconquistata con una resistenza ed una lotta ostinata che più volte la portò a dichiarare: “Fossi uomo!”. Sulla figura di Anna Valdina, Pina Mandolfo prossimamente pubblicherà un libro. Una storia che, partendo dai documenti esistenti, si trasformerà in romanzo, per restituire ad Anna i desideri e i sogni che le furono sottratti.