Pubblicato il

Recensione – Lo scandalo della felicità

Articolo di Floriana Coppola, originariamente comparso su Re[a]daction Magazine

Nel romanzo Lo scandalo della felicità, storia della principessa Valdina di Palermo, edito da Vanda Edizioni,  Pina Mandolfo narra con uno stile fluido e scorrevole le drammatiche vicende di una ragazzina della nobiltà palermitana che, nel seicento, fu costretta forzatamente a diventare monaca e a rimanere per cinquant’anni reclusa in un monastero. Trascorse una vita intera nel tentativo di ottenere un processo per lo scioglimento dei voti, fino a riuscirci pochi anni prima di morire.

Pina Mandolfo, regista e scrittrice palermitana, socia fondatrice della Società Italiana delle Letterate, dice “ A volte una donna dimenticata e taciuta, si “appella” a un’altra donna per prendere corpo e uscire dall’oblio. E’ un richiamo misterioso che, negli ultimi decenni storiche, letterate, artiste hanno imparato a riconoscere e decifrare. Siamo una schiera che porta alla luce un incommensurabile patrimonio di vite celate per costruire finalmente una genealogia femminile: solo allora un millennio diverrà un giorno. Un giorno in cui altri e altre conosceranno le “sconosciute” nascoste negli scarti della storia. Nell’Archivio privato gentilizio Papè di Valdina, Pina Mandolfo ha studiato con paziente tenacia il lungo epistolario che ha portato Anna Valdina allo scioglimento dei voti. Il romanzo racconta questa battaglia interminabile di questa giovane donna costretta dal padre tiranno e anaffettivo, per motivi economici ed ereditari, ad accettare un destino di abuso e di maltrattamento psicologico.

La bambina è costretta a rinunciare alla vita e ai suoi desideri, ai suoi talenti per diventare prigioniera in convento, senza aver mai dichiarato  nessuna vocazione religiosa. La storia della protagonista e della sua vita di clausura si intreccia con i fatti più rilevanti e con i personaggi della Palermo spagnola, in un racconto affascinante e struggente, carico di tensione. Un personaggio femminile coraggioso e indimenticabile che emerge in tutta la sua diversità. Mai compiacente, sicura di volere assolutamente porre fine a quella ingiustizia vissuta dalla famiglia come un destino ineluttabile, Anna Valdina scrisse realmente lettere appassionate e sincere, cercando ogni genere di alleanze per uscire dal convento, in cui era stata rinchiusa contro la sua volontà. Lettere che vengono in parte inserite nel romanzo.

Altre “personagge” emergono dalla narrazione, disegnando un’umanità femminile piegata dal potere religioso e politico, serva del potere economico, oppure perversamente dominata dalle logiche classiste e sessiste esistenti in quell’epoca. Sicuramente l’atteggiamento ribelle e provocatorio della protagonista venne tollerato, essendo una ricca nobildonna, la cui ricca famiglia foraggiava lautamente il monastero che imprigionava la principessa. Il padre e il fratello di Anna sono la rappresentazione del potere patriarcale sulle donne, trattate come schiave, persone considerate inferiori subordinate all’interesse economico della dinastia e per questo private di ogni libertà e del loro patrimonio anche legittimo.

Nel Seicento, per molto meno, le donne popolane rischiavano la morte, la tortura e il rogo. Pina Mandolfo riesce attraverso questo racconto drammatico a focalizzare l’attenzione sugli abusi e i maltrattamenti sulle donne novizie dalle donne consacrate e dai preti dell’istituzione cattolica, questione drammatica che sta diventando oggetto di studio e di denuncia da parte dell’Osservatorio Interreligioso contro la violenza sulle donne, associazione voluta fortemente dalla teologa Paola Cavallari. Infatti oltre la monacazione forzata, costume orrendo esistente in quel secolo, esiste un’ incresciosa dimensione di violenza e di sopraffazione  maschile. Le suore ancora oggi si chiudono nel silenzio per non denunciare gli abusi subiti, i casi di pedofilia attraversati, gli stupri e le gravidanze indesiderate. Silenzio dovuto anche agli effetti post-traumatici di tanta violenza e al senso di colpa che rende le suore psicologicamente travagliate da una percezione abnorme di complicità involontaria.

La dipendenza psicologica che si evince determina silenzio, vergogna e imbarazzo nel percorso di denuncia di tanta violenza.  Da qualche anno si sta affrontando la ricerca che studia e testimonia la violenza e i maltrattamenti fisici e psicologici che subiscono le donne nei conventi da parte dei preti. Nel romanzo di Mandolfo, l’atteggiamento aggressivo e giudicante interessa anche le donne che hanno gradi superiori e si accaniscono contro le giovani novizie.

Nella storia di Anna Valdina, il patriarcato religioso viene sostenuto sia dai sacerdoti che dalle badesse in questa narrazione. Il codice di genere presente nel racconto indica una cornice temporale politica e di classe ma apre uno squarcio nell’educazione ecclesiastica basata sulla manipolazione psicologica della gerarchia religiosa cattolica. Il monastero diventa una cittadella chiusa, una prigione reale dove la piramide gerarchica maschilista e misogina si duplica in un contesto verticistico e violento.  La forza delle donne consacrate, quando la vocazione è autentica,  testimonia la loro fede nella verità, fruttifica relazioni mature di sostegno e di reciprocità, vivendo in pieno la loro responsabilità nel servizio missionario, mentre la logica del potere che sta emergendo da tante denunce oggi fa capire che esiste ancora una misoginia e una sperequazione di genere che umilia e mortifica le donne nella chiesa, non dando loro la possibilità di emergere in quanto persone autonome e libere di scegliere. In questo contesto di abusi che parte da lontano, si evince la vulnerabilità femminile ancora presente negli spazi chiusi dei monasteri e dei conventi. Vulnerabilità psicologiche che le rendono ingenuamente dipendenti affettivamente dalle figure maschili dirigenti, che le accompagnano nella loro vita spirituale.

Alda Valdina non ha paura della gerarchia, riesce coraggiosamente a reggere dialetticamente il contrasto con le suore superiori per grado e con le altre persone di potere che incontra nella sua vita. In questo però è erede della sua classe, perché da aristocratica è consapevole della sua cultura, della sua collocazione sociale nel mondo. Nel romanzo è chiara la sudditanza sociale economica e culturale delle giovani donne, provenienti da classi marginali, contadine e operaie.   Ma questo coraggio è sicuramente non condiviso dalla maggioranza delle donne costrette nell’istituzione religiosa a subire il potere maschile. Causa di questa subordinazione può essere dovuto soprattutto dall’accompagnamento spirituale duale, che piega e manipola profondamente l’animo delle giovani e non le rende idonee a una conversazione paritaria e dialettica. Il romanzo di Pina Landolfo rende illuminante il principio che ci deve guidare ogni giorno nella nostra vita, ciò che è per ogni donna assolutamente irrinunciabile : la libertà, essere libera di scegliere.