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Siracusa. Dizionario sentimentale di una città


(Luoghi d’autore, 17 aprile 2019)


Certo un omaggio alla città, ma soprattutto un grande dono ai suoi visitatori, che in qualche ora, i più fortunati in qualche giorno, desiderano cogliere l’anima del luogo. Nel volume Siracusa. Dizionario sentimentale di una città, di Giuseppina Norcia, troviamo espresse in parole emozioni, sensazioni, suggestioni che proviamo andando per le vie di Ortigia;  i vicoli e le stradine che si incrociano, stupiscono il viaggiatore, riportando alla sua memoria luoghi già visti e vissuti: i palazzi e i cortili ricordano il Casco Antiguo di Palma de Mallorca, i muri scrostati e le case abbandonate l’esotica Stone Town di Zanzibar. In questo viaggio nel tempo, sovrapponendo luoghi e cercando i tanti segni del passato, ti accorgi poi anche  che Ortigia rivendica semplicemente e fortemente la sua identità.

Scrive Maria Grazia Ciani nella nota sentimentale, fra le pagine introduttive al volume: « non guida, quanto piuttosto “lettura” di una città, descrizione e memoria storica, rivelazione dell’antico come moderna epifania. Un andirivieni tra il passato che ammicca da ogni angolo e il presente che convive con il ricordo del passato […]»

Racconta Guseppina Norcia nel suo prologo: «Ho dovuto guardarla da lontano per vederla intera […] Poi l’ho abitata ancora. E ho lasciato che mi abitasse. Ne ho cercato l’anima che si rivela senza dissimularsi in maschera, che non lascia la sua luce scivolare via nei sotterranei imprendibili».

Un volume davvero prezioso il Dizionario di Giuseppina Norcia che ho trovato in una storica libreria di Siracusa, nella Casa del libro di Rosario Mascali.  Nota come Libreria Mascali, nel passato fu importante luogo di incontro e di passaggio di vari scrittori fra cui Salvatore Quasimodo, Elio Vittorini, Vitaliano Brancati, Leonardo Sciascia, per citare solo alcuni fra i prestigiosi visitatori.


 

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Presentazione “Né sesso né lavoro”

 Né sesso né lavoro vuole fornire, un contributo indispensabile al dibattito su prostituzione/sex work in Italia. Un testo importante per chi vuole capire qualcosa in più sulla prostituzione e sfilare la testa dalla sabbia dei luoghi comuni, andare oltre slogan sempre più diffusi che, volendo sdoganare la questione, negano gravi problemi sociali e mentono spudoratamente. Il sex work non è un lavoro come un altro, il concetto stesso di sex work stravolge il senso sia del sesso sia del lavoro. Forti di competenze specifiche, le quattro autrici mostrano i differenti aspetti del fenomeno in un’analisi calata nella peculiare realtà dell’abolizionismo tradito nel nostro paese, dove la lotta alla tratta non è una priorità e dove sulla prostituzione vige il laissez faire. Dall’esame dei modelli di politiche internazionali all’analisi della Legge Merlin (male interpretata) e delle numerose proposte parlamentari di modifica della legge, all’appassionata riflessione sulla portata della prostituzione negli attuali rapporti umani.

Le autrici
Daniela Danna è sociologa all’Università del Salento e si occupa di questioni di genere, analisi dei sistemi-mondo, rapporto società-ambiente, decrescita.

Silvia Niccolai è ordinaria di diritto costituzionale all’Università di Cagliari.

Luciana Tavernini ha partecipato dagli anni Ottanta all’Associazione Melusine, alla Pedagogia della differenza e poi alla Comunità di pratica e riflessione pedagogica e ricerca storica, ora Comunità di storia vivente. Ha insegnato nelle scuole medie, nei corsi 150 ore e italiano a donne straniere.

Grazia Villa è dal 1985 avvocata per i diritti delle persone (donne, lavoro, minori, famiglia, vita indipendente, immigrazione, cittadinanza, libertà). Con le donne ha promosso molte cause pilota in materia di riconoscimento di diritti nei luoghi di lavoro, costituzione di parte civile nei processi di stupro e violenza sessuale, denunce relative a molestie e stalking, tra queste la prima condanna per reato di schiavitù nel 2000.


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Daniela Danna a Pescara


Pescara, 18 maggio 2019


– Daniela Danna presenta Dalla parte della natura

 

In un dialogo “a tu per tu” con l’umanità, la Natura, in una sorta di personalizzazione letteraria, “ci parla”, affrontando tematiche nevralgiche della nostra odierna civiltà: equilibrio ambientale, disuguaglianza sociale, predominio delle multinazionali, visione libera della sessualità. Con un approccio ecofemminista, questo breve ma fulminante pamphlet attacca il sistema capitalista e patriarcale caratterizzato dalla supremazia maschile, dove donne, animali e ambiente appartengono a categorie analoghe, considerate come proprietà e beni da dominare e sfruttare. E anche se noi esseri umani siamo parte della Natura, questo mondo ha tracciato un solco cosi profondo tra noi e lei, da renderla non solo estranea, ma addirittura ostile nemica. Queste semplici pagine sono un invito a conoscerla meglio, allo scopo di rispettarla. E in questo processo, cambiare noi, smettendo di modificare lei.

 

Daniela Danna è sociologa e si occupa di questioni di genere, analisi dei sistemi-mondo, rapporto società-ambiente, decrescita. Le sue ultime pubblicazioni sono Fare un figlio per altri è giusto… (Falso)! (Laterza, 2017), Maternità. Surrogata? (Asterios, 2017), La Piccola Principe (VandA ePublishing 2018), Il peso dei numeri: Teorie e dinamiche della popolazione (Asterios, 2017). Vi aspetta sul sito Web  www.danieladanna.it.


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Il mito di Pretty Woman: l’inganno liberista della prostituta felice


di Antonella Mariani (Avvenire, 16 aprile 2019)


– «È sempre sfruttamento e abuso, anche quando è legale. Un’abile mistificazione alle spalle delle donne più fragili». Parla la giornalista Julie Bindel, autrice di una inchiesta internazionale

Ha visitato i bordelli legali in Australia, Germania, Nevada, Olanda; ha intervistato in tutto il mondo decine di sopravvissute alla prostituzione, proprietari di case di appuntamenti e di agenzie di escort, uomini di governo e compratori di sesso, attivisti per la legalizzazione del «lavoro sessuale» e femministe che al contrario lottano per la sua abolizione. La giornalista britannica Julie Bindel ha compiuto la più vasta ricerca mondiale mai effettuata sulla prostituzione, indagando sui meccanismi che regolano il business e sulle condizione delle donne che vi sono coinvolte. I risultati dell’indagine che le è costata due anni di lavoro e decine di viaggi in tutti i continenti sono condensati in Il mito Pretty Woman (VandA-Morellini, pagine 318, euro 17,90). Un titolo curioso, che già rivela le conclusioni dell’autrice: la lobby dell’industria del sesso anno dopo anno ha «spacciato» l’immagine falsa della «prostituta felice» – a cui peraltro ha dato una grande mano il celebre film interpretato dal Julia Roberts e Richard Gere –, celando la pura e semplice verità per ragioni di bottega: la prostituzione è sempre abuso e sopraffazione, mai libera scelta, e chi afferma – parte del femminismo compreso – che il «sex work» è un lavoro come gli altri e come tale va garantito, commette una crudele mistificazione alle spalle delle donne più fragili e marginali.

Julie Bindel, perché oggi si parla tanto di ‘sex workers’ come se si trattasse di normalissimi lavoratori e lavoratrici?

Grazie all’appoggio di enti come Human Rights Watch, Organizzazione mondiale della salute, Unaids e Amnesty International, il movimento per i diritti dei ‘sex workers’ può presentarsi al mondo come fondato sulla liberazione di un gruppo oppresso. Uno degli argomenti più ridicoli usati da questi cosiddetti gruppi per i diritti umani, è che grazie alla depenalizzazione della prostituzione diminuirà la violenza della polizia e degli sfruttatori contro le donne prostituite. Un altro argomento è che i nuovi casi di Hiv si ridurranno in modo significativo perché i protettori avranno l’obbligo di far usare i preservativi. Ma come ho visto visitando i bordelli legali in Nevada, Germania, Olanda e Australia, è impossibile applicare una ‘regola del preservativo’. In Nevada, ad esempio, alle donne è richiesto di sottoporsi ogni settimana a esami del sangue per assicurare ai protettori che sono sane, dato che molti uomini vogliono acquistare sesso senza protezione. La verità è che il neoliberismo ha innalzato il libero mercato del sesso al di sopra dei diritti umani, in particolare di quelli femminili. Un approccio corretto dovrebbe invece tutelare i diritti delle donne e degli uomini vittime del commercio sessuale. Questo è ciò che accade in Paesi come la Svezia, la Francia e la Repubblica d’Irlanda, che hanno adottato il modello abolizionista, in cui vengono criminalizzati coloro che creano la domanda, cioè i clienti.

Perché l’approccio abolizionista ha molto meno seguito rispetto a quello che reclama la libertà di prostituirsi?

Perché esiste la convinzione che ci saranno sempre uomini che pagano per il sesso e donne che lo vendono. La prostituzione, insomma, appare ‘necessaria’ e in qualche modo un ‘diritto’ del consumatore. I liberali sostengono inoltre che la depenalizzazione di tutte le modalità della prostituzione, compresi i bordelli, renda più sicure le donne e più facile sradicare gli abusi e lo sfruttamento. In quest’ottica i ‘sex workers’ possono essere protetti dai sindacati e da provvedimenti di sicurezza e sanità. Negli ultimi anni, questi argomenti purtroppo si sono fatti strada. Nel 2000 l’Olanda ha formalizzato ciò che era già culturalmente accettato, revocando il divieto ai bordelli e liberalizzando il commercio sessuale. Tre anni dopo, il governo neozelandese ha approvato, con un solo voto, la legge che ha completamente depenalizzato la prostituzione di strada e le case chiuse.

Cosa sostengono invece gli abolizionisti, categoria alla quale lei appartiene?

Gli abolizionisti respingono la descrizione provocatoria di ‘sex work’ e riconoscono che la prostituzione è violenza in un mondo neoliberale in cui la carne umana è diventata una merce, e sfruttamento unilaterale che affonda le radici nel potere maschile. Ritengono che la strada giusta sia aiutare le donne a uscire dal commercio sessuale e criminalizzare la domanda.

Anche il femminismo è diviso sulla posizione da tenere. Perché?

Il problema è che il termine ‘lavoratore del sesso’, coniato negli anni ’80 e oggi sempre più utilizzato dalla polizia, dagli operatori sanitari e dai media, comprende chiunque: pornografi, spogliarellisti e magnaccia, così come coloro che vendono sesso. Negli ultimi dieci anni o più, la discussione sulla prostituzione è stata dominata dai criminali e dagli sfruttatori che gestiscono il commercio sessuale, mascherati da benevoli imprenditori e protettori. Le femministe liberali di tutto il mondo sono state ingannate da una lobby industriale potente e ben finanziata, che impone la sua narrazione, occulta la violenza subita dalle donne e riduce la prostituzione a un lavoro come un altro allo scopo di decriminalizzare l’industria del sesso.

Come si possono contrastare, dunque, le lobby del sesso a pagamento e ridare voce alle vittime?

Fortunatamente un numero crescente di Paesi sta considerando il modello abolizionista. Le organizzazioni femministe guidate da sopravvissute al commercio sessuale, come Space International, affermano la verità dei fatti, al contrario degli sfruttatori e dei propagandisti: la prostituzione è violazione dei diritti umani. L’ascesa del movimento abolizionista farà sì che siano ascoltati e creduti coloro che hanno fatto parte del commercio sessuale e ne sono usciti, piuttosto che coloro che traggono profitto o comunque beneficiano della vendita di carne femminile.

Nel suo libro l’universo maschile rimane sottotraccia. Non pensa che a un certo punto diventerà indispensabile cercare l’alleanza con gli uomini per combattere la prostituzione?

Sì, gli uomini devono esprimersi contro il commercio sessuale e riconoscere che è una causa e una conseguenza dell’oppressione delle donne.


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La storia di Aisha e di molte altre donne arabe raccontata da Michela Fontana


di Luciana Grillo (TM, aprile 2019)


[Nonostante il velo. Donne dell’Arabia Saudita è un] libro serio e documentato – anche ai nostri [occhi], si è aperto un mondo ricco e arcaico, dove la divisione tra uomini e donne e rigorosa. Ha avuto (e cercato) la possibilità di parlare con tante donne, per esempio con Aisha che nel 1990 aveva guidato l’automobile nelle strade di Riad, insieme ad altre li quarantasette donne…arrestate e imprigionate per una notte, interrogate e rilasciate dopo che i mariti (o i parenti prossimi di sesso maschile) sono stati convocati per riaccompagnarle a casa. Aisha è un’interlocutrice importante per Fontana, le descrive il comportamento dei giudici che rifiutano quasi sempre di ammettere all’udienza una donna che non indossi il velo totale o le impongono di parlare sottovoce, perchè la voce femminile e considerata un pericoloso strumento di seduzione. Michela Fontana ha parlato con trasporto di questa esperienza, ha affascinato il foltissimo pubblico presente, che si e accontentato di stare in piedi o di sedersi sui gradini, pur di non perdere una parola…


 

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Davvero si può essere prostitute per scelta?


di Laura Badaracchi (Donna Moderna, 10 aprile 2019) – foto di Lindsay Irene


– «La prostituzione è sempre abuso a pagamento, mai un lavoro. È un modo per dare un’apparenza rispettabile al commercio sessuale: nei paesi in cui il fenomeno è regolamentato i “papponi” sono diventati manager e le donne “sexworker”».

INCHIESTA – DAVVERO SI PUÒ ESSERE PROSTITUTE PER SCELTA?

Negli ultimi 6 mesi gli annunci delle sex worker sono aumentati del 24%. Un trend, in crescita già da anni, che ha spostato l’offerta di sesso dalla strada al web. Ma capire se dietro a questo business ci siano escort “libere” o sfruttate è difficile. Come denunciano le associazioni e un’attivista che ha indagato sul mercato delle Pretty Woman

IL PROGETTO FOTOGRAFICO

Le immagini di questo servizio fanno parte del progetto della fotografa canadese Lindsay Irene, intitolato “The sex workers”. «Volevo cambiare la percezione con cui le persone vedano le prostitute» dice Lindsay. «Ho viaggiato un anno per il Canada e ho fotografato diverse lavoratrici del sesso nella loro quotidianità. Molte di loro vivono nello stigma sociale, hanno perso figli e famiglie. Le mostro per quello che sono: persone come noi».

Secondo un’indagine EscortAdvisor.com (uno dei portali di recensioni di escort più frequentati), negli ultimi 6 mesi gli annunci di incontri sessuali pubblicati sul web sono aumentati del 24%. La ricerca rileva anche che in 10 anni il numero di donne che praticano il sesso a pagamento sulle strade è drasticamente calato: nel 2009 la percentuale di prostitute che esercitava all’aperto era l’8o% del totale, si è passati al 40% nel 2019. Le sex worker sembrano dunque aver scoperto il web e luoghi di lavoro più casalinghi (il Codacons ne segnala circa 18.000). Per Mike Marra, fondatore del sito EscortAdvisor.com che richiede alle iscritte i documenti per verificarne l’identità, «lavorare attraverso la Rete offre minori spazi per la criminalità e maggiore sicurezza». Un’affermazione, però, che non convince. Soprattutto chi da anni si occupa di proteggere le schiave del sesso.

«È difficile capire se dietro l’annuncio di una escort ci sia uno sfruttatore». Tiziana Bianchini è responsabile dell’Area “immigrazione e tratta degli esseri umani” presso la cooperativa Lotta contro l’emarginazione, che dal 2017 collabora a una mappatura nazionale della prostituzione di strada insieme al Cnca (Coordinamento nazionale comunità di accoglienza), alla Piattaforma nazionale Antitratta e al Numero verde antitratta 800290290. Oltre 60 unità di strada in tutta Italia, nello stesso giorno, monitorano sul campo le presenze di persone che si prostituiscono. «Secondo l’ultima indagine del novembre 2018, in seguito al calo degli sbarchi di migranti le nigeriane sono diminuite al 31% e aumentano le donne dell’Est, in particolare romene e albanesi» spiega Bianchini. «Quindi non possiamo parlare di calo complessivo, ma di una riduzione motivata dalle scelte politiche». E riguardo alla prostituzione in casa, che sarebbe più “sicura” e tutelata rispetto a quella in strada, Bianchini è categorica: «Per le donne si riducono ancora di più ai minimi termini le possibilità di contatti sociali esterni e quindi di chiedere aiuto. Abbiamo provato a valutare gli annunci di sesso online, scoprendo in alcuni casi che a diversi numeri di telefono corrisponde sempre la stessa persona. Difficilissimo capire se dietro la escort ci sia uno sfruttatore».

«È un’illusione tentare di regolamentare al chiuso il fenomeno per ridurre quello della strada». Lo scenario descritto dai dati e da Tiziana Bianchini fa da sfondo al dibattito che si è riaperto nel nostro Paese sulle case chiuse, dopo che il mese scorso la Corte costituzionale ha riaffermato la legittimità della legge firmata nel 1958 da Lina Merlin. Questione sollevata dalla Corte d’appello di Bari, secondo la quale la prostituzione sarebbe “un’espressione della libertà sessuale tutelata dalla Costituzione”, e quindi punire intermediatori e clienti equivarrebbe a compromettere l’esercizio di questo diritto, oltre a privare della libertà di iniziativa economica la prostituta. «La senatrice Merlin aveva escluso di considerare la vendita di prestazioni sessuali come un lavoro, e aveva rubricato come crimine ogni attività volta a favorire e sfruttare questo commercio» fa nota-re l’avvocato Grazia Villa, fra le autrici del volume Né sesso né lavoro. Politiche sulla prostituzione (VandA.ePublishing). «Nelle ultime 2 legislature sono stati presentati 22 progetti di legge in materia: in alcuni si chiede la depenalizzazione, in altri vengono ipotizzate norme e sanzioni per i clienti. Ma è un’illusione tentare di regolamentare al chiuso il fenomeno per ridurlo sulle strade: lo dicono i fatti in Germania e Olanda, dove la normativa ha scatenato un boom esponenziale della domanda ma meno di un quarto delle donne che si vendono legalmente è iscritta al sindacato e gode di tutele».

«Non c’è “glamour” per le ragazze che offrono sesso, solo danno». A demolire l’idea della liberalizzazione delle sex workers contribuisce anche l’inchiesta condotta in 40 Paesi dalla giornalista Julie Bindel, autrice del libro Il mito Pretty Woman. Come la lobby dell’industria del sesso ci spaccia la prostituzione (Morellini editore). Secondo Bindel, una donna non può mai dirsi libera di svendere il proprio corpo: «Si tratta sempre di abuso a pagamento, mai di lavoro. Considero la prostituzione un modo per dare un’apparenza rispettabile al commercio sessuale: nei Paesi in cui il fenomeno è regolamentato i “papponi” sono diventati manager e le donne “sexworker”. I bordelli legali presenti in Germania, Olanda e Australia arricchiscono lobby potenti e moltiplicano i compratori di sesso». Invece in Paesi come Svezia, Norvegia, Canada, Corea del Sud, Irlanda e Francia «la legge criminalizza la domanda di sesso commerciale ma non chi vende sesso, per frenare la richiesta. Nel 2014 il Parlamento europeo e il Consiglio d’Europa hanno approvato le raccomandazioni per implementare questo modello come il modo migliore per affrontare la prostituzione». Secondo Bindel la lotta per l’abolizione di questo mercato è parte di un movimento più ampio contro la violenza di genere: «Non c’è “glamour” per le donne che offrono sesso, solo danno. Tutte le prostituite sopravvissute che ho incontrato sono state vittimizzate da trafficanti, sfruttatori, compratori. Nessuno dovrebbe essere pagato per dare accesso al proprio corpo».

I NUMERI

3,6 miliardi Il giro d’affari annuo della prostituzione in Italia.

90.000 Le prostitute donne, uomini o transessuali, in crescita del 28% nel periodo 2007-2014.

3 milioni I clienti delle sex worker in Italia.

Fonte: Codacons


 

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La materia sapiente del relativo plurale – Bologna

Autocoscienza 4.0

A Bologna finalmente la possibilità di creare un gruppo di autocoscienza

Armonie via E. Levante 138, Bologna

Sabato 13 aprile h 16

Presentazione del libro La materia sapiente del relativo plurale di e con Daniela Pellegrini

“La vita è Felicità da reciproci plurimi contatti.” Con queste parole Daniela Pellegrini conclude il suo ultimo libro, ma per arrivare a questa sintesi del rapporto con la vita che coinvolge tutte noi sono state necessarie 120 pagine di riflessione appassionata e puntuale, che si nutre di una vita intera passata nel movimento delle donne, dentro, a lato, da un punto di osservazione o di coinvolgimento intenso, di confronto o di scontro con le altre donne. Un percorso di filosofia femminista che si chiude riaprendosi come una spirale, rilanciando e offrendo a tutte la possibilità di espandersi e arricchire il disegno. Protagonista è sempre la materia, la realtà e la corporeità, interrogata da un pensiero di donna autentico e onesto, di profonda consapevolezza e limpida visione.

Domenica 14 aprile h 10-16
Autocoscienza 4.0: esperienziale in presenza

Da sempre sostenitrice della necessità dell’autocoscienza come strumento per uscire dalla gabbia patriarcale interiorizzata, Daniela Pellegrini continua a proporla come uno dei pochi metodi di liberazione autentica delle donne, in grado di avvicinarle a quella liberazione di cui non si parla più tanto, se non con le parole dell’incensamento di un’epoca di femminismo diffuso. Ma rimane il fatto che quella liberazione si è interrotta precocemente e che l’autocoscienza che tanto aveva contribuito a dare il via al movimento delle donne negli anni ’60, è stata abbandonata. La proposta è quella di riattivarla e di esplorarne le potenzialità in un epoca di grande confusione e smarrimento, e indagare, dopo quarant’anni di femminismo, quanto sia ancora problematico e irrisolto il rapporto con il maschile anche e soprattutto per le donne che si considerano emancipate, ma che scoprono di non aver mutato di molto i paradigmi relazionali che le imprigionano nel patriarcato. Lungi dall’essere morto, il sistema di dominio maschile ha elaborato trappole ancor più raffinate per avvalersi del nostro sostegno. Insieme a Daniela Pellegrini cercheremo ancora una volta di ritrovare quel parlarsi in presenza tra donne che potrebbe ancora offrire percorsi di consapevolezza e di liberazione.

Daniela Pellegrini Fondatrice a Milano nel 1965 del primo gruppo italiano di donne: Dacapo (Donne contro autoritarismo patriarcale o anche Donne a Capo) in seguito modificato in Demau (Demistificazione Autoritarismo Patriarcale). Nata a Belluno nel 1937, vive a Milano dove, insieme a Nadia Riva è stata animatrice del Circolo Culturale e Politico delle Donne, Cicip & Ciciap, da loro fondato nel 1981. Con Nadia Riva ha voluto, gestito e finanziato la rivista Fluttuaria, segni di autonomia nell’esperienza delle donne, di cui sono stati pubblicati diciassette numeri tra il 1987 e il 1994 e su cui appaiono molti suoi scritti. I suoi libri sono: Una donna di troppo. Storia di una vita politica ‘singolare’, Franco Angeli Editore, Liberiamoci della bestia, ovvero di una cultura del cazzo, edito in proprio, e La materia sapiente del relativo plurale, Vandaepublishing. Ripropone ora e agisce personalmente, anche in un gruppo che si incontra alla Casa delle Donne di Milano, la pratica dell’Autocoscienza e perora il Separatismo come azione fondante e creativa della Politica delle Donne e della sua vera autonomia dal patriarcato.

È richiesta iscrizione e un contributo libero per la sala e l’organizzazione.
Per informazioni e conferma presenza: Luisa 3408386192 – matriarcato@gmail.com


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Intervista a Daniela Pellegrini


di Giorgia Succi (Ai Amazones, 27 marzo 2019)


In questa quarta intervista targata Ai Amazones Giorgia dialoga con Daniela Pellegrini, femminista radicale, fondatrice del primo gruppo italiano di autocoscienza femminile nel 1964 (Dacapo poi Demau). Animatrice insieme a Nadia Riva del Circolo Culturale e Politico delle Donne, Cicip & Ciciap fondato dalle stesse nel 1981. Autrice di ‘Una donna di troppo. Storia di una vita politica singolare’(2012), ‘Liberiamoci della Bestia. Ovvero di una cultura del cazzo’ (2016) e ‘La materia sapiente del relativo plurale. Ovvero il luogo terzo delle parzialità’ (2017). Discutiamo di matriarcato, autocoscienza, separatismo e lesbismo politico, dello stato costante di violenza e manipolazione patriarcale e di femminismo contemporaneo. Un’intervista imperdibile di una donna e una pensatrice lucida e fiera nella sua analisi del mondo.

‘E i cosiddetti e auto-detti religiosi e credenti [..] hanno nascoste, ammutolite ed escluse le donne – quando non hanno approfittato dei loro linguaggi e azioni per rendersi belli e accettati dalle masse ingenue. Nello sfruttarle e farle sfruttare a loro piacimento. Hanno escluso le donne proprio perchè ‘femmine’, rifiutate e impedite a partecipare in prima persona di questa divinità di loro ‘maschia’ e boriosa competenza, se non nell’obbedire e nel genuflettersi  [..] hanno però salvato la Madonna che non sarà un caso se è ‘vergine’ ma con figlio maschio e nutrito al seno’ (Daniela Pellegrini, Liberiamoci della Bestia. Ovvero di una cultura del cazzo: 2016)

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Julie Bindel: «Legalizzare la prostituzione non serve»


di Elena Paparelli (Letteradonna, 2 aprile 2019)


– Nel libro Il mito Pretty Woman la giornalista e femminista inglese racconta cosa c’è dietro il mercato del sesso tra lobby e diritti delle donne ripetutamente violati. 

«La prostituzione è una violazione dei diritti umani contro donne e ragazze». Ad affermarlo senza mezzi termini a LetteraDonna è Julie Bindel, autrice del dossier-inchiesta Il mito Pretty Woman. Come la lobby dell’industria del sesso ci spaccia la prostituzione uscito nel 2019 per VandaEpublishing e Morellini editore nella collana VanderWomen (pp. 310, euro 17,90). Contro il mito della ‘puttana felice’, il libro traccia un quadro approfondito del commercio internazionale del sesso – una delle attività più redditizie al mondo – con un lavoro di ricerca sul campo in 40 Paesi, dall’Europa all’Asia, dal Nordamerica all’Australia fino alla Nuova Zelanda e all’Africa, frutto di 250 interviste con papponi, prostitute, sopravvissute, tenutari di bordelli, femministe, giornalisti, agenti di polizia, attivisti per i diritti delle sex workers, associazioni di bisessuali e transgender, vittime di tratta, clienti. Una corposa documentazione per fare il punto su una questione ancora controversa, che divide l’opinione pubblica. Anche in Italia dove spesso, anche nel 2019 su proposta della Lega, si è ventilata la possibilità della creazione di un albo professionale a cui le femministe si sono opposte.

Sul tema Bindel ha le idee chiare: «Sono stata un’attivista femminista contro la violenza maschile nei confronti delle donne dal 1979. Negli ultimi due decenni ho concentrato gran parte delle mie energie nella lotta per l’abolizione del commercio sessuale globale, a fianco di altre donne, molte delle quali sopravvissute allo sfruttamento», racconta la giornalista inglese che ha lavorato per The Guardian, NewStatesman, Bbc e Sky News. «Uno dei miti più perniciosi sul problema propagato dalla lobby del ‘settore’ è che questo non possa essere abolito». Perché esiste una vera e propria lobby dietro all’importante giro di soldi che «il mestiere più vecchio del mondo», come lo definiscono in tanti, frutta. «Molte persone, soprattutto uomini, ma anche alcune donne hanno un interesse particolare a proteggerlo». Con lo stesso identico mantra su cui insistono anche molti politici (anche progressisti e di sinistra): «Se avessi avuto un dollaro ogni volta che ho sentito dire che la prostituzione è sempre stata con noi e sempre lo sarà, le organizzazioni femministe non si troverebbero mai più a corto di fondi». Del resto «negli ultimi anni il commercio sessuale è stato rinominato per dare l’impressione che non sia nocivo». Espressioni come «vendere amore» o «sesso transazionale» cominciano infatti ad essere usate sempre più spesso. «Una terminologia che maschera la realtà di ciò che questo è: una persona, quasi sempre maschio, che ha rapporti sessuali con un’altra persona, quasi sempre femmina, senza desiderio reciproco», aggiunge Bindel.

L’EFFETTO NEGATIVO DELLA DECRIMINALIZZAZIONE
Oggi, il dibattito sull’argomento, svolto all’interno del mondo accademico, dei media, delle associazioni per i diritti umani e di genere, ha raggiunto un punto critico: si parla di decriminalizzare l’intero mercato, e rimuovere tutte le leggi relative al tema, da una parte. Oppure di criminalizzare l’acquisto di sesso secondo il Modello nordico (o neo-abolizionista) creato nel 1999 dalla Svezia e poi adottato da Norvegia, Islanda, Irlanda del Nord, Irlanda e Francia, dall’altra. Quest’ultimo – nato dalla presa d’atto dell’insuccesso del modello di “regolamentazione” della prostituzione legale- intende bloccare la domanda dell’acquisto del sesso, considerato una forma di violenza: a venire perseguito è il cliente che adesca sex worker. Viceversa, la vittima di sfruttamento non viene perseguita. Nel libro viene riportato l’effetto negativo che ha invece prodotto l’approccio opposto in Paesi come Australia, Germania, Olanda, Austria, Nord America e Nuova Zelanda: «Non c’è prova di alcuna diminuzione della violenza, della diffusione dell’HIV o del numero di donne uccise nel mercato legale del sesso mentre ci sono prove che i diritti e la libertà promessi sono andati ai proprietari dei bordelli e ai compratori». A sostenere, però, questo tipo di orientamento ci sono anche l’Organizzazione mondiale della sanità, Human Right Watch e Amnesty International. «Ritieniamo che la ricerca, l’acquisto, la vendita e l’adescamento per il sesso a pagamento debbano essere atti al riparo dall’interferenza dello Stato fintantoché non sussistano minacce, coercizione o violenza associate a tali atti. Gli uomini e le donne che comprano sesso da adulti consenzienti esercitano la propria autonomia personale», si legge nel documento di Amnesty. Intervento che Bindel chiaramente non condivide: «Se l’ong rimane fedele ai suoi principi dovrebbe concentrarsi su coloro i cui diritti umani sono violati, nel caso della prostituzione le donne, invece di quelli, come gli acquirenti del sesso e i protettori, che credono che sia loro diritto umano non rispettare quelli degli altri».