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Il mito di Pretty Woman, la puttana felice


di Ida Paola Sozzani (LaCittàFutura, 13 gennaio 2019)


– Esce nelle librerie italiane il prossimo 15 Gennaio 2019 l’ultimo dossier-inchiesta sulla prostituzione realizzato dalla giornalista inglese Julie Bindel, nell’appassionata traduzione realizzata dalle attiviste italiane di Resistenza Femminista, pubblicata da Vanda-Morellini editore.

MILANO. Le moderne abolizioniste della prostituzione rivendicano la loro genealogia da Josephine Butler, che fu antesignana del femminismo e riformatrice sociale e figlia di John Grey, un avvocato antischiavista, e moglie di George Butler, accademico progressista. Nell’Inghilterra vittoriana rigidamente classista del 1860, dove le donne non avevano ancora il diritto di voto, la Butler fu la prima a denunciare l’abuso che le donne e in particolare le bambine delle classi sociali disagiate subivano nella prostituzione, denunciando le contraddizioni borghesi insite nella società Vittoriana che relegava le donne povere a inutile feccia sociale sfruttabile dai maschi e dai papponi. Josephine Butler fu tra quelli che forzarono il Parlamento inglese ad aumentare l’età del consenso matrimoniale delle ragazze dai 13 ai 16 anni, impedendo di fatto i matrimoni delle bambine.

A partire dal 1869 la Butler si impegnò per l’abrogazione del Contagious Diseases Act, una legge brutale che stigmatizzava le donne come causa del diffondersi delle malattie veneree in particolare fra i soldati e autorizzava ronde poliziesche nelle città militari allo scopo di imporre controlli sanitari e ricoveri coatti alle donne, contravvenendo così di fatto al principio giuridico dell’ “Habeas corpus”, sancito in Inghilterra fin dal 1679 con l’Habeas Corpus Act a tutela della sicurezza e inviolabilità di ogni persona.

La Butler non fu certo una moralista cristiana o una sessuofoba – come venne denigrata – né una salvatrice paternalistica delle donne, bensì una progressista convinta che la prostituzione violasse i diritti umani delle donne e mise per la prima volta in discussione il diritto degli uomini ad avere accesso garantito e indiscriminato al corpo di donne e minori finiti vittime della prostituzione.

Ne “Il mito Pretty Woman” – che nell’edizione originale in Inglese reca il titolo “The Pimping of Prostitution” – lo sfruttamento della prostituzione – l’autrice e giornalista britannica Julie Bindel sfata il mito della “Puttana Felice”, quella Pretty Woman che Cinema e Media ci hanno rivenduto dagli anni Ottanta, quando le potenti lobby pro-prostituzione dagli USA sono riuscite a far passare la narrazione tossica che nella prostituzione la donna eserciti la propria libertà e autodeterminazione sessuale o addirittura una scelta di lavoro. Bindel ci offre una panoramica della realtà della prostituzione oggi a livello mondiale, a fronte di una ricerca condotta personalmente in 40 diversi Paesi, città e Stati, dove ha incontrato e intervistato 250 persone coinvolte a vario ruolo nel problema: attivisti o sedicenti tali per i diritti delle “sex workers”, papponi, compratori di sesso, prostitute in attività e fuoriuscite dalla prostituzione, donne e uomini vittime di tratta, tenutari di bordelli e sfruttatori-affaristi che reinvestono i profitti milionari nelle grandi catene dei bordelli, attivisti contro l’AIDS foraggiati dal governo, giornalisti di varia nazionalità, lesbiche, gay, associazioni di bisessuali e transgender, agenti di polizia e femministe.

Julie Bindel negli ultimi anni ha visitato bordelli legali e regolamentati in Nevada negli USA, Australia, Germania e Olanda e zone “gestite” come a Zurigo, Amburgo o Leeds in Gran Bretagna, e si è recata nel poverissimo Downtown East Side di Vancouver dove centinaia di donne e ragazze native pellirosse vengono prostituite e uccise. Nel Gujarat indiano ha visitato un villaggio che sussiste grazie alla prostituzione di madri, mogli, sorelle e zie, a Istanbul è riuscita a intervistare uomini turchi in fila davanti a un bordello legale, mentre in Cambogia ha conosciuto le prostitute che vivono lungo una linea ferroviaria dismessa a Phnom Penh senza acqua e servizi igienici e su cui la Ong WNU lucra finanziamenti governativi presentando quelle sventurate come “Attiviste per i diritti delle sex workers”.

Nel suo libro Julie Bindel ripercorre la storia del movimento abolizionista contemporaneo, dai suoi esordi con il movimento internazionale WHISPER (Donne in rivolta che hanno subito violenza nel sistema prostituente), fondato nel 1985 negli USA da Evelina Giobbe e che riuniva donne sopravvissute e fuoriuscite dal sistema prostituente, per giungere fino all’attuale SPACE International (Attiviste internazionali provenienti da nove Paesi sopravvissute all’abuso della prostituzione che chiedono di illuminare l’opinione pubblica).

Evelina Giobbe fu la prima trent’anni fa a evidenziare le analogie esistenti nelle moderne società patriarcali occidentali tra l’atteggiamento tenuto dalla Destra e dalla Sinistra relativamente al diritto di accesso del maschio nei confronti del corpo femminile: entrambi gli schieramenti sono interessati a controllare e di conseguenza regolamentare sociologicamente e quindi politicamente l’accesso ai corpi delle donne. La destra lo fa attraverso l’istituto del matrimonio e la sua tutela, la sinistra attraverso le “deroghe” libertarie della prostituzione e della pornografia. “Insomma – ha confidato ancora recentemente Giobbe alla Bindel – puoi sposare oppure comprare questa cosa, e noi siamo questa cosa”.

Mettendone in luce le contraddizioni, in parallelo, nel libro Julie Bindel tratteggia anche lo sviluppo nel mondo anglosassone e americano della potente lobby pro-prostituzione, ai suoi esordi incarnato dal gruppo liberista COYOTE (Call Off Your Old Tired Ethics cioè “Basta con la vostra vecchia morale!”) fondato nel 1973 negli USA da Margo St. James; era stato preceduto da WHO (Whores, House Wives and Others – Puttane, Casalinghe e Altro). St. James era finanziata dalla Fondazione Point, legata alla Chiesa metodista Glide Memorial di San Francisco e ricevette mille dollari dalla Fondazione Playboy. Margo St. James radunò cinquanta personalità di spicco nel comitato consultivo di COYOTE e incaricò alcune prostitute di condurre una campagna per la decriminalizzazione. Nel gruppo operarono donne che si spacciavano come “la voce delle prostitute” – senza però mai essere state nella prostituzione, bensì spesso nello sfruttamento di altre donne – affiancate da uomini anche importanti e potenti che ne sostenevano l’agenda politica e il concetto che la prostituzione fosse un lavoro come un altro: si trattava di politici, studenti, guru di associazioni e compratori di sesso che sdoganavano il marketing di questo abuso sessuale “vecchio come il mondo” rivisitandolo e riproponendolo in una forma socialmente accettabile costruita sul mito della “puttana felice” e della “puttana per scelta” o, paradossalmente, secondo i desiderata femministi più aggiornati dell’empowerment e della autodeterminazione della donna.

Xaviera Hollander pubblicò insieme a Robin Moore nel 1971 il best seller “The happy hooker” – La puttana felice – da cui furono tratti un film e una commedia musicale: grazie a questa sua finta biografia – ammise di essersi prostituita solo per sei mesi – riuscì a rendere popolare l’idea che la prostituzione sia un’attività piacevole. In Gran Bretagna Helen Buckingham, una ragazza squillo d’alto bordo, si promosse portavoce delle donne britanniche nel mercato del sesso. Fondò il gruppo PUSSI (Prostitutes United for Social and Sexual Integration – Prostitute unite per l’integrazione sociale e sessuale) che in seguito divenne PLAN (Prostitution Laws Are Nonsense – Le leggi sulla prostituzione sono una assurdità) e si alleò con Selma James, fondatrice della Campagna per il salario alle casalinghe, che chiedeva soldi allo stato per il lavoro non riconosciuto delle donne in casa. Insieme nel 1975 fondarono l’ECP (collettivo inglese delle prostitute).

Così, risciacquando il linguaggio e sostituendo ipocritamente le parole tradizionali cariche di stigma della prostituzione con altre socialmente accettabili e politically correcti termini sex work e sex workers – lavoro sessuale e lavoratori del sesso – sono diventati nell’arco di un ventennio la parola d’ordine di una lobby fatta di accademici, assistenti sociali, politici, proprietari di bordelli e di agenzie di escort (come Douglas Fox dell’International Union of sex Workers), giornalisti e manager coinvolti nel mercato pornografico e di acquirenti del sesso – una lobby ben finanziata negli USA che è riuscita anche ad accaparrarsi gli abbondanti fondi governativi per la lotta all’AIDS – con lo scopo di decriminalizzare l’industria del sesso e il suo mercato globale, trasformando dopo la mafia anche i comuni papponi in manager abili nel gestire il diritto degli uomini di abusare impuniti del corpo delle donne.

WHISPER ha rappresentato una sfida diretta all’idea che la prostituzione fosse o una libera scelta o un lavoro come gli altri e sul suo modello sono nati altri gruppi abolizionisti e anti-tratta: nel 1988 è sorta la Coalition Against Trafficking in Women che si è diffusa nelle Filippine, Bangladesh, Indonesia, Thailandia, Venezuela, Portorico, Cile, Canada, Norvegia e Grecia. Erano gli anni in cui il Turismo sessuale in quei Paesi stava diventando molto popolare.

Secondo Evelina Giobbe per mettere fine alla prostituzione e fermare gli uomini che la alimentano – i puttanieri – le donne comuni devono avere il coraggio di guardare in faccia gli uomini che hanno davanti tutti i giorni: i loro uomini. Ma le donne questo gesto che potrebbe destabilizzarle non lo vogliono fare, perciò preferiscono fare un passo indietro e continuare a credere che la prostituzione sia una libera scelta, altrimenti dovrebbero convincersi che i loro uomini sono dei perversi e degli stupratori. Norma Hotaling, sopravvissuta all’abuso sessuale infantile e alla prostituzione di strada, sopportata solo al costo di diventare eroinomane, dopo essersi disintossicata ha fondato SAGE (Standing Against Global Exploitation – Prendiamo posizione contro lo sfruttamento globale) per aiutare altre tossicodipendenti finite nella prostituzione e vittime di violenza.

Nel 1996 nella popolosa città di St. Paul nel Minnesota la sopravvissuta dal mercato del sesso Vednita Carter fonda Breaking Free, associazione che offre sostegno specifico, counseling e corsi di formazione e programmi di uscita per vittime di prostituzione. La maggioranza delle donne che si rivolgono a Breaking Free sono afro-americane, la categoria a maggior rischio di sfruttamento sessuale nel Nord America. Vednita è convinta che i servizi offerti vadano modulati per le donne a seconda dello stadio del loro processo di uscita dalla prostituzione: “Voglio che le donne sappiano che hanno un posto dove andare e che non saranno cacciate solo perché non sono pronte a uscire subito dalla prostituzione; può essere un processo lungo e complicato e se scoraggiamo queste ragazze giudicandole perché non stanno passando a un’altra vita, le perdiamo. Sono talmente emarginate e spesso viste come quelle che “scelgono” quella vita, perché davvero tanta gente bianca le vede in questo modo, invece di vedere l’assenza di alternative per loro”.

Poiché le varie Chiese possono contare su una stabile disponibilità economica, in molti Paesi stanno prevalendo i servizi di assistenza alle donne vittime di tratta e prostituzione gestiti da organizzazioni religiose, che agiscono ottimamente ed eticamente senza obbligo per le donne di diventare religiose praticanti prima di uscire dalla prostituzione, o di diventare religiose perché hanno beneficiato di questi servizi. Ma i programmi di fuoriuscita offerti da gruppi e associazioni femministe abolizioniste si avvantaggiano della fondamentale esperienza delle sopravvissute che collaborano con attiviste, psicologhe, giuriste e mediche esperte sulle cause e le conseguenze della violenza maschile sulle donne. Anche Rae Story, fuoriuscita dalla prostituzione nel 2015 e attivista femminista socialista conferma che “Oggi le necessità prioritarie sono case di accoglienza temporanea, counseling gratuito, assegni statali, servizi di welfare e disabilità per quelle di noi che soffrono di sindrome postraumatica da stress e problemi mentali come risultato della prostituzione”.

Fra le attiviste abolizioniste più attive negli ultimi anni si segnala Rachel Moran, di cui è stato recentemente pubblicato il libro “Stupro a pagamento, la verità sulla prostituzione – nella traduzione di Resistenza Femminista Round Robin Editrice 2017”. Rachel Moran, finita nella prostituzione di strada e poi al chiuso nei bordelli e centri massaggi irlandesi dai 15 ai 22 anni è la sopravvissuta fondatrice di Space International (Survivors of Prostitution-Abuse Calling for Enlightenment – Sopravvissute all’abuso della prostituzione che chiedono di illuminare l’opinione pubblica). Dal 2002, nei suoi viaggi in oltre 20 nazioni e in diverse sedi internazionali, incluso il Parlamento Italiano, il Parlamento Europeo, le Nazioni Unite e la Harvard University di Boston, Rachel ha portato la sua testimonianza spiegando che la prostituzione non è “né sesso, né lavoro” e il fatto che ci sia di mezzo del denaro non cambia la natura di quello che succede, cioè che si tratta di uno stupro a pagamento, reiterato, traumatico e devastante per la donna prostituita e costantemente “rimosso” nella percezione della maggior parte delle persone comuni perché ipocritamente ignorato, negato e normalizzato anche nella nostra società patriarcale capitalista.

Il sesso infatti esiste solo nella reciprocità del desiderio, mentre la prostituzione è soltanto una compensazione per un abuso sessuale che si è costrette a subire per sopravvivere e non si può in nessun modo parlare di lavoro in quanto la prostituzione è sostitutiva del lavoro, costituendo per migliaia di donne e bambine nel mondo il tentativo di avere una forma residuale ed estrema di sostentamento economico, quando il lavoro non c’è. Si smetta dunque consapevolmente di usare il termine “sex work” che fu inventato nei primi anni Ottanta da Carol Leigh, e adottato dall’industria del sesso di San Francisco nel periodo in cui dilagava l’AIDS per normalizzare e sanitarizzare la prostituzione, ma che soprattutto dopo la diffusione del fenomeno della Tratta si è rivelato per quello che è: un trucco linguistico “politically correct” – denunciato anche dall’icona femminista Kate Millet – che copre e occulta una situazione orribileun linguaggio che normalizza invece che opporsi alla violazione dei diritti umani e alle forme nuove di neocolonialismo funzionali alle società occidentali sviluppate sulla asimmetria e diseguaglianza di potere fra uomo e donna nella domanda di sesso.

Rachel Moran si batte insieme alle ormai numerose attiviste della rete abolizionista mondiale anche in CATW –coalizione contro la tratta delle donne e la European Women’s Lobby perché gli Stati adottino il Modello nordico nella legislazione e combattano il fenomeno della tratta delle donne e delle ragazze dai paesi economicamente svantaggiati verso quelli sviluppati dell’occidente capitalista per impedirne il loro sfruttamento sessuale.

In particolare sono convinte della necessità dell’adozione del modello legislativo nordico le femministe radicali che si ispirano al pensiero della statunitense Andrea Dworkin e della belga Luce Irigaray e in Italia alle pensatrici della seconda ondata del femminismo – quello detto “della differenza” che a partire da Carla Lonzi si esprime negli anni Settanta con personalità come Luisa Muraro, filosofa, linguista, docente e femminista, fondatrice insieme ad Adriana Cavarero e altre della comunità filosofica Diotima, oltreché animatrice a Milano negli anni Settanta insieme a Lia Cigarini, Elvio Fachinelli, Lea Melandri e altri di fondamentali esperienze di didattica antiautoritaria e dell’esperienza intellettuale della “Libreria delle donne”.

In questo continuo passaggio di testimone interno al Femminismo, anche le femministe radicali italiane di fronte al dilagare della Tratta ritengono sia giunto il momento di andare oltre la legge Merlin del 1958 per abbracciare, all’interno di una società capitalista, il Modello legislativo nordico, convinte sia la giusta strategia per contrastare qualsiasi mercato costruito sulla vulnerabilità, lo sfruttamento e la disperazione di un essere umano e sostenere le persone, in gran parte donne, ridotte a vendere l’accesso al proprio sesso, penalizzando invece la domanda maschile e gli sfruttatori. Lina Merlin si rifiutò sempre di definire la prostituzione un lavoro come un altro e con la legge a lei intitolata ha liberato le donne che venivano schedate, rinchiuse nei bordelli e bollate con infamia per l’abuso compiuto su di loro dagli uomini.

Il modello nordico neo-abolizionista

Radicato nella cultura dei diritti umani di matrice scandinava, il Modello nordico si prefigge di frenare la domanda di prostituzione e di promuovere l’uguaglianza delle donne e degli uomini. La logica alla sua base è che la prostituzione è una forma di violenza e dunque il cliente pagando per il sesso commette un crimine. Nel modello nordico si ritiene che la donna che vende sesso a fronte di una compensazione economica resti comunque un partner sfruttato nello scambio e quindi la prostituta in questo sistema non viene perseguita, mentre viene perseguito il cliente che pratica l’adescamento ai fini della compravendita sessuale, oltre che ovviamente chi favoreggia e sfrutta la prostituzione. Questa legislazione – il cosiddetto Sexköpslagen – è stata adottata per la prima volta al mondo in Svezia nel 1999 ed è integrata con politiche sociali che favoriscono la fuoriuscita delle donne dalla prostituzione.

In un’ottica progressista il Modello nordico si è diffuso nel mondo e finora è stato adottato anche da Norvegia, Islanda, Irlanda e Irlanda del nord, Corea del Sud, Canada, Francia. I governi di Israele, Lettonia e Lituania lo stanno valutando e nel 2014 il Parlamento Europeo e l’Assemblea del Consiglio d’Europa hanno approvato una Raccomandazione per implementare questo modello come il più utile per affrontare la prostituzione in Europa.

Il Modello Nordico è sorto dalla consapevolezza del fallimento del modello di “regolamentazione” della prostituzione legale sperimentato da socialdemocratici e verdi in Germania dal 2002 e poi in Olanda: qui la prostituzione legale al chiuso, negli auspici dei socialdemocratici si sarebbe dovuta trasformare in un lavoro come gli altri, con un capo, un contratto di lavoro e un sindacato e avrebbe dovuto svolgersi fuori dalle strade, lontano dagli sguardi dei benpensanti e dei bambini. Nella realtà la prostituzione nel cuore dell’Europa e in Svizzera (dove si possono prostituire anche le ragazze dai 16 anni) è diventata un mega business sotto la supervisione dello Stato in città come Amburgo o Stoccarda o Zurigo e un’enorme possibilità di sfruttamento economico per i tenutari di catene di bordelli – che percepiscono per ogni prostituta almeno 140-160 euro al giorno e alimentano un turismo maschile sessuale europeo dell’ordine di milioni di uomini – e una grande occasione per la rendita immobiliare dei proprietari di case, ma non è invece diventata un lavoro normale per le prostitute che continuano ad aumentare di numero.

Le donne in prostituzione nei Paesi dove essa è “regolamentata” sono diventate ancor più socialmente invisibili e stigmatizzate, povere e intrappolate in un sistema infernale. Lo evidenziava già nel gennaio 2007 il rapporto ufficiale sull’impatto della nuova legislazione pubblicato dal governo tedesco, oltre ad alcuni articoli apparsi nel 2012 sul quotidiano tedesco Der Spiegel nel decennale di entrata in vigore della legge. Anche Eurostat in un rapporto del 2013basato su dati ufficiali evidenziava come la condizione delle donne coinvolte nella prostituzione non era affatto migliorata con una legge che ne regolamentava la pratica.

A fronte di una popolazione di 80 milioni di abitanti, oggi in Germania ci sono 400.000 donne nella prostituzione e si stima che 1.200.000 uomini acquistino sesso ogni giorno. Ciononostante, l’impostazione legislativa in Germania e Paesi Bassi non è ancora stata modificata. La verità è anche che solo una minoranza di donne in prostituzione in Germania sono tedesche, mentre la maggioranza è affluita qui da tutta Europa dopo la caduta del Muro di Berlino soprattutto dai Paesi poveri dell’Est europeo come Ucraina, Moldavia, Romania, e più recentemente dai Paesi africani e asiatici di provenienza della Tratta. Sono ragazze, anche minorenni, in gran parte analfabete che devono mantenere tutta la famiglia; molte anche le Rom e le ragazze-madri, che esercitano mentre i figli crescono in braccio ai papponi. Tutte sono strangolate economicamente, ridotte a schiave e costrette a rimanere in una catena di sfruttamento legalizzata in cui anche lo Stato pretenderebbe la sua fetta di guadagno. Ma nella realtà neanche lo Stato ci ha guadagnato, dal momento che solo una minoranza ridicola, 44 (di cui due uomini) su 400.000 si sono di fatto iscritte e “regolarizzate” negli elenchi delle Camere di Commercio per pagare le tasse in regime forfettario.

Come ha raccontato una sopravvissuta italo-tedesca in un’intervista raccolta da Marina Terragni per Il Corriere della Sera “L’idea un po’ romantica e ingenua che gli uomini vadano a prostitute per farsi una scopata e via, va dimenticata. Una scopata se la possono fare con chiunque. Mica è “Pretty Woman”: vengono da te per ben altro. Vedono il porno (in TV e nel Web ndr.), ti chiedono di indossare falli artificiali, di travestirsi con parrucca o intimo femminile. Ci sono i feticisti, i coprofagi. Vanno molto i giochi con l’urina. Dall’anal sex alla zoofilia, un repertorio sterminato. Sono sporchi, maleodoranti, spesso ubriachi e strafatti. Pagano il diritto di scatenare quello che hanno dentro, e tu sei solo una latrina, né più né meno. Devi tacere, fare e lasciare fare, e saper fingere piacere. Ti pagano, e pretendono anche che tu sia soddisfatta delle loro prestazioni.

Qual è il senso profondo dell’andare a prostitute?Non si tratta di sesso. In questione c’è ben altro. È un mix tra il potere che ti dà il fatto di pagare e il piacere di umiliarti. Il tutto veicolato da una violenza di base. Hai a che fare con qualcosa di guasto. Una specie di camera di compensazione. L’uomo si sveste per un’ora o due dei ruoli che deve sostenere e si concede di manifestare una parte di sé che normalmente devo tenere compressa e nascosta, un suo doppio impresentabile.

Renate Van der Zee, giornalista olandese che non era abolizionista, ma si occupava di violenza sulle donne, nel 2013 ha pubblicato un nuovo studio critico dal titolo tradotto “La verità dietro il quartiere a luci rosse” e nel 2015 una indagine sulla domanda di prostituzione dal titolo “Uomini che comprano sesso”. In Nuova Zelanda la violenza sulle prostitute è aumentata ulteriormente dopo l’adozione del Prostitution Reform Act del 2003, il modello della de-criminalizzazione totale: la prostituzione, come il suo sfruttamento, favoreggiamento, reclutamento o induzione e organizzazione sono stati tutti legalizzati e dunque “normalizzati”. Le attività si svolgono in tutta comodità al chiuso, con controlli sanitari esigui e lasciati alla discrezione di ufficiali sanitari che si sono rivelati spesso inadempienti perché anche loro non sanzionabili e qualsiasi comportamento dei clienti e degli sfruttatori delle ragazze è accettato e normalizzato. Il potere dei papponi è ormai fuori controllo: sono loro a stabilire prezzi e prestazioni, sono loro che nascondendosi dietro la maschera perbenista dell’uomo di affari gestiscono la Tratta delle donne e delle bambine in un regime di totale impunità. A causa della decriminalizzazione anche la polizia non ha più l’obbligo di indagare. Il mercato del sesso nella sua versione più spietatamente neoliberista usa i corpi delle donne sottoponendole a ogni genere di violenza.


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Supernove @Libreria Verso, Milano


Mercoledì 16 gennaio 2019, ore 19.


Cinque artiste unite in un collettivo per una poesia attiva. Mercoledì 16 gennaio 2019 alle ore 19.00 alla Libreria Verso di Milano viene presentato il cofanetto Supernove. Poesie per gli anni 2000 (VandAePublishing e Sartoria Utopia), con Francesca GentiManuela DagoRoberta DuranteFrancesca GironiSilvia Salvagnini, che dialogano insieme a Irene Soave.

La raccolta di poesie nasce con l’intento di integrare la dimensione estetica e quella etica, come un punto di partenza per risanare e inventare parole, cose, creature, mondi. Poesie su cartoline come messaggio, rimedio, ponte, manciata di sassi.

 

Vi aspettiamo in Corso di Porta Ticinese 40 alle ore 19!


 

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Commento di Michela Fontana alla situazione femminile in Arabia Saudita


di Michela Fontana (gennaio 2018)


Nonostante il velo (Morellini – VandA.ePublishing 2018)

Cosa succede alla “questione femminile” in Arabia Saudita? Paradossalmente le riforme messe in atto dal principe ereditario Muhammed bin Salman, accolte positivamente dalle opinioni pubbliche saudite e internazionali, come la concessione alle donne di guidare l’automobile, di assistere – nel settore riservato alle famiglie – alle partite di calcio, di ricevere un sms quando il marito ha deciso di divorziare (prima non veniva nemmeno loro notificato), mettono ancora più in evidenza la mancanza di libertà delle donne, ancora oggi costrette a dipendere legalmente tutta la vita da un guardiano (padre, marito, parente maschile o giudice islamico), che poi è spesso l’autore di soprusi e violenze su di loro. Le donne sono ancora oggi costrette a sottostare ad una cultura e una religione patriarcale che le considera proprietà dell’uomo. Lo dimostra in modo clamoroso la vicenda della diciottenne saudita Rahaf Mohammed al-Qunun , figlia di un funzionario governativo che la sottoponeva a violenze, fuggita durante un viaggio in Kuwait e fermata all’aeroporto di Bangkok per essere rispedita a casa . La giovane, dopo essersi barricata in una stanza di hotel in aeroporto, e avere lanciato disperate richieste di aiuto e di asilo politico via twitter (ulteriore prova che per le saudite internet è realmente rivoluzionaria) è ora sotto la protezione del governo Tailandese e della UNCHR (l’ente delle Nazioni Unite preposto alla protezione dei rifugiati). Non solo, ma la giovane donna ha avuto anche l’ardire di infrangere un divieto assoluto, ovvero di dichiarare che rinuncia all’Islam, dimostrando così di capire bene il ruolo della religione, come viene professata in Arabia saudita, nel giustificare l’ oppressione femminile. Un presa di posizione molto coraggiosa dal momento che l’apostasia in Arabia Saudita e in molti paesi islamici può essere punita con la morte.
Un caso limite? Assolutamente no. Sono molte le donne saudite sottoposte a violenze di vario genere in famiglia che cercano di lasciare il paese. E fuggono anche molte attiviste , temendo di essere imprigionate, e di sparire nelle carceri senza avere nemmeno assistenza legale. Io ho conosciuto bene molte donne che hanno vissuto vicende drammatiche. Wadha, una quasi trentenne fuggita da un padre che la picchiava selvaggiamente e la chiudeva in casa per mesi se la scopriva al telefono con un amico che, dopo una fuga rocambolesca attraverso il Bahrein e Londra, ha raggiunto il Canada dove ha ottenuto asilo politico. Oppure Omaima, una attivista per i diritti umani e medico che , temendo di essere imprigionata per le sue posizioni femministe, (come Eman El Nafjan, attivista per i diritti alla guida in prigione senza processo dallo scorso maggio) è arrivata in Italia dalla Cina, dove si trovava per studiare e ha ottenuto asilo politico nel nostro paese. Potete leggere le storie di Eman, Omaima, Wadha, e molte altre ancora, nel mio libro Nonostante il velo (Morellini – VandA.ePublishing) nella nuova edizione attualmente in libreria.

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Rebecca Town… alla scoperta di cinque città!

Becky è una splendida newyorkese, modaiola, acuta, passionale, dal passato tormentato e scrittrice di guide turistiche.  È protagonista di una serie di romanzi ambientato ogni volta in una città diversa, una città descritta come si confà a una guida: le tappe da non perdere, i locali più trendy ma anche quelli più defilati e che però meritano “una menzione”, i luoghi dello shopping, le strade, i cibi… Ogni luogo diventa così l’incantevole cornice ai misteri che Becky, detective per caso, si trova a risolvere. Una città, un delitto. Ma c’è anche la personale vicenda della nostra esuberante guida, che nel corso di ogni romanzo troverà l’amore, scoprirà la verità sulla misteriosa morte dei genitori e… Chissà?

La serie:
– Rebecca Town a Parigi: edizione cartacea/e-book
– Rebecca Town a Londra: edizione cartacea/e-book
– Rebecca Town a Roma: edizione cartacea/e-book
– Rebecca Town a Praga: edizione cartacea/e-book
– Rebecca Town a New York: edizione cartacea/e-book

 

Manuela Siciliani è nata a Torino nel 1978. Laureata a Milano in Relazioni Pubbliche, oggi vive a Sanremo. Mamma e moglie prima di tutto, fa l’agente di viaggi per passione e scrive per diletto. Rebecca Town, la protagonista dei suoi romanzi, vi porterà alla scoperta di meravigliose città dove, suo malgrado, si troverà a risolvere complicati casi di omicidio. Il tutto condito da leggerezza e love story.

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Evento – La piccola principe

Milano, 16 dicembre 2018 ore 21


– VandA.ePublishing presenta  La piccola principe di Daniela Danna.

Domenica 16 dicembre Daniela Danna presenterà il suo libro, La piccola principe. Lettera aperta alle giovanissime su pubertà e transizione, uscito per VandAePublishing a luglio 2018, al circolo ARCI La Schigera.

Lo spunto dell’ultimo libro di Daniela Danna, sociologa, proviene dall’aumento negli ultimissimi anni, da parte di adolescenti e famiglie, di richieste di accesso ai percorsi di transizione e autodeterminazione, che permettono di smettere di vivere il ruolo di genere relativo al sesso biologico di appartenenza (transgenderismo).
È un tema che tocca vari aspetti, da quello legato alla fascia dell’adolescenza con le difficoltà di trovare una propria identità personale, fino a quello squisitamente medico e psicologico (in Italia la transizione è coperta dal Servizio Medico Nazionale mentre all’estero spesso è in regime privato).
Il libro ha aperto un dibattito, a volte dai toni aspri, che si inserisce in un clima di contrapposizione e di opposizione creatosi negli ultimi anni tra mondo lesbico/femminista e mondo trans. Dibattito che spesso rimane confinato ai circoli LGBT, ma che riveste un grande interesse per chiunque perché riguarda l’identità sessuale e quella di genere. Soprattutto in un periodo come quello attuale, nel quale la compagine governativa, ed evidentemente gran parte della popolazione, vuole ricondurre la questione a una rigida visione tradizionale dei ruoli.
La Pianta Anarchica, partendo proprio da La piccola principe, vuole provare a condividere la conoscenza della situazione. Insieme a Daniela Danna saranno presenti Nathan Bonni, attivista LGBT, e Marina Cortese, ginecologa. Per la Scighera Chiara Catellani e Andrea Perin.

Cucina aperta dalle 19.00
Ingresso con tessera Arci

Possono i minorenni voler cambiare sesso? Da dove viene questa strana richiesta, dal momento che cambiare sesso non è realmente possibile? L’attuale confusione tra “sesso” e “genere” indotta dalla filosofia postmoderna, secondo la quale il mondo è un testo e la realtà materiale non ha alcuna importanza, sta dando una spinta potentissima alla normalizzazione delle nuove generazioni.
Se sei un bambino effeminato, diventerai bambina. Se sei un maschiaccio, allora sei “veramente” un ragazzo. Big Pharma ti sorride: ti venderà ormoni per tutta la vita.

 

Daniela Danna, è ricercatrice confermata in Sociologia generale presso il Dipartimento di studi sociali e politici della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Milano. Insegna Politica sociale per la laurea triennale in Scienze sociali per la globalizzazione. Tra i suoi interessi di ricerca figurano analisi dei sistemi-mondo, rapporti tra i generi, studi sulla sessualità, sociologia dell’ambiente, sociologia storica. Tra le sue ultime pubblicazioni ricordiamo: Dalla parte della natura, VandAePublishing in coedizione con Morellini Editore.


Vi aspettiamo al circolo ARCI La Scighera, via Candiani 131, Milano

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Novità – Ottobre 2018

Il mese di ottobre è ricco di novità per VandA!
Arrivano in coedizione, con Morellini Editore, due nuove uscite.

 

Manifesti femministi. Il femminismo radicale attraverso i suoi i suoi scritti programmatici (1964-1977) – Deborah Ardilli

Saggio critico dedicato alle tesi dei movimenti femministi negli anni Settanta. La donna non va definita in rapporto all’uomo. Su questa coscienza si fondano tanto la nostra lotta quanto la nostra libertà. (Manifesto di Rivolta femminile, 1970)

“Radicale”, a partire dal ‘68 e fino alla fine degli anni Settanta, fu soprattutto il “soggetto imprevisto” del femminismo. Con la sua peculiare combinazione di rabbia e proiezione utopica, il manifesto politico è il genere che meglio si presta a restituire la complessità di quella straordinaria stagione che segnò la presa di coscienza delle donne, attraverso un drastico ripensamento delle relazioni tra loro e della forza che da questo deriva. Riletto attraverso i suoi manifesti, il femminismo radicale sconvolge la banalizzazione corrente di ciò che è stato per riconsegnarci la testimonianza della sua verità e un’immagine in movimento di ciò che potrebbe essere.

 

Dalla parte della natura. L’ecologia spiegata agli umaniDaniela Danna

Un pamphlet ecofemminista, una risposta indiretta al Manifesto dell’Ecomodernismo e alle posizioni post- e transumanistiche.

In un dialogo “a tu per tu” con l’umanità, la Natura, in una sorta di personalizzazione letteraria, “ci parla”, affrontando tematiche nevralgiche della nostra odierna civiltà: equilibrio ambientale, disuguaglianza sociale, predominio delle multinazionali, visione libera della sessualità. Con un approccio ecofemminista, questo breve ma fulminante pamphlet attacca il sistema capitalista e patriarcale caratterizzato dalla supremazia maschile, dove donne, animali e ambiente appartengono a categorie analoghe, considerate come proprietà e beni da dominare e sfruttare. E anche se noi esseri umani siamo parte della Natura, questo mondo ha tracciato un solco cosi profondo tra noi e lei, da renderla non solo estranea, ma addirittura ostile nemica. Queste semplici pagine sono un invito a conoscerla meglio, allo scopo di rispettarla. E in questo processo, cambiare noi, smettendo di modificare lei.

 

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