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Valerie Solanas

Valerie Solanas (Ventnor, New Jersey, 1936 – San Francisco 1988) fu scrittrice e commediografa. Più volte vittima di abusi sessuali fin dall’infanzia da parte del padre, visse dall’età  di 15 anni per le strade di New York sostenendosi con l’elemosina e la prostituzione. Nonostante ciò riuscì a terminare brillantemente gli studi liceali e quelli universitari in psicologia. Nel 1965 scrisse il dramma teatrale “Up Your Ass” (“In culo a te“) e nel 1967 “Manifesto SCUM“, dapprima autoprodotto e venduto da lei stessa a 25 cent alle donne e un dollaro agli uomini, in seguito pubblicato – con qualche manipolazione anche nel titolo – da Olympia Press, editore di Lolita, di Burroughs e parte della beat generation. Nel 1968 sparò a Warhol, che si era rifiutato di produrre “Up Your Ass”, e fu condannata a tre anni di detenzione. Passò il resto dei suoi giorni fra la strada e vari ospedali psichiatrici (con la diagnosi di schizofrenia paranoide), morì a San Francisco all’età di 52 anni, abbandonata a se stessa.

Trilogia SCUM raccoglie i suoi scritti (VandA 2017).

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50 anni di Pride – consigli di lettura

Domenica 28 giugno 2020 ricorre il cinquantesimo anniversario del primo Pride, tenutosi a New York nel 1970 per celebrare i Moti di Stonewall dell’anno precedente.

In occasione di questa ricorrenza, noi di VandA Edizioni vogliamo contribuire al sostegno della battaglia per i diritti LGBTQ+ con una lista dei nostri libri a supporto di questa causa.

  1. Innamorate“, di Chiara Aurora Giunta
    Francesca e Gaetana s’incontrano per caso e tra loro scoppia una passione travolgente. Un sentimento fuori dalle regole che coinvolge la loro vita e quella di chi le ama. Una storia moderna, uno spaccato della società che muta, la nascita di una famiglia non tradizionale. Tra menzogne e verità celate, emerge la storia segreta delle loro famiglie d’origine. In un gioco di specchi, le passioni di ieri e di domani si confrontano. Nulla e nessuno si salva, se non la speranza di un avvenire in cui i sentimenti e la tolleranza troveranno spazio.

2. “#ioquestamelasposo“, di Agata Baronello
È la cronaca vera di due anni di chat. Due anni di vita di una professionista semigiovane e dei suoi goffi tentativi di trovare una compagna –  la compagna. Ventiquattro mesi alla ricerca dell’“Amore”. Settecentotrenta giorni di speranze, di sesso a perdere, di mani, occhi e labbra che non si ricordano, di disastri annunciati, conquiste inattese e fallimenti straordinariamente ben riusciti.

3. “Basta che paghino“, di Alessandro Golinelli
Quando questo romanzo fu pubblicato, nel 1992, suscitò scandalo. Non solo perché raccontava senza falsi pudori la prostituzione maschile, ma anche perché, per la prima e ultima volta in Italia, la descriveva dall’interno, attraverso gli occhi di un ragazzo che vende il proprio corpo. La storia di Kurt, che si offre sulle strade di Milano con estrema consapevolezza e lucidità intellettuale, dei suoi incontri con clienti e colleghi, la sua curiosità nei confronti delle culture altre, rappresentate dai giovani brasiliani e arabi con cui condivide il lavoro, la sua spietata analisi delle leggi di quel mercato, trasformato in misura di tutte le cose, impongono il libro come una potente metafora dell’etica del commercio che domina i nostri tempi, ma soprattutto come un’incalzante costruzione narrativa, come il corrosivo ritratto di un mondo non tanto marginale quanto si potrebbe supporre.
Ambientato in un quotidiano notturno percorso da ragazzi e uomini maturi alla disperata ricerca di un amore impossibile da vendere e da acquistare. Basta che paghino è un romanzo di formazione al disincanto del mondo, alla perdita della purezza, all’inaccettabile vittoria dell’avere sull’essere.

4. “I miei meravigliosi amanti“, di Massimo Scotti
“Da giovani si scrive per cercare l’amore, da grandi per liberarsene; mi riferisco ovviamente a quel tipo di amore narcisistico che fa solo soffrire.
Un tempo scrivevo per sedurre, perché i miei grandi amori trovassero struggenti le poesie che avevo composto unicamente per loro, i quali d’altra parte non le hanno mai lette (non era gente molto interessata alla lettura). Le mie amiche, più sveglie, non perdevano tempo in madrigali. Infatti hanno raggiunto i loro scopi, in genere piuttosto concreti, mentre io mi accontentavo di aspettare, riempiendo quaderni.
Tutte quelle poesie sono rimaste inedite e forse è meglio così. Passate tante notti fra smanie inutili e superflue composizioni, arriva il tempo dei ripensamenti, si leggono autori come Dorothy Parker, regina del disincanto, e si scopre che su quei vecchi tormenti si può ridere un po’, cosa che non fa mai male.

5. “Maschiaccio“, di Liz Prince
Maschiaccio è una graphic novel che parla del rifiuto delle costrizioni di genere, ma anche di come del genere si possano involontariamente far propri gli stereotipi, per poi rendersi conto più avanti nella vita che si può essere una femmina sia in jeans e t-shirt che in tutù rosa. Autobiografia narrata per aneddoti, Maschiaccio segue Liz dalla primissima infanzia fino all’età adulta, esplorando le sue tribolazioni e i suoi desideri – in costante evoluzione – rispetto.

6. “La piccola principe“, di Daniela Danna
Possono i minorenni voler cambiare sesso? Da dove viene questa strana richiesta, dal momento che cambiare sesso non è realmente possibile? L’attuale confusione tra “sesso” e “genere” indotta dalla filosofia postmoderna, secondo la quale il mondo è un testo e la realtà materiale non ha alcuna importanza, sta dando una spinta potentissima alla normalizzazione delle nuove generazioni.
Se sei un bambino effeminato, diventerai bambina. Se sei un maschiaccio, allora sei “veramente” un ragazzo. Big Pharma ti sorride: ti venderà ormoni per tutta la vita.

7. “Trilogia SCUM“, di Valerie Solanas
Composta prima del risveglio della seconda ondata femminista degli anni Settanta, a cui ha fornito un impulso decisivo, e prima della rivolta di Stonewall e della nascita del movimento LGBTI e queer, l’opera di Solanas rivela tutta la sua straordinaria attualità. Un umorismo cinico, incendiario, a tratti sconcertante, si dispiega in una pratica di scrittura che sfugge a facili classificazioni letterarie e apre invece uno squarcio sulla “fogna” da cui la scrittrice fa recapitare il proprio messaggio. La sua verve polemica anticipa temi dibattuti ancora oggi, tra i quali l’uso della tecnologia (inclusa quella riproduttiva), l’esclusione delle donne dalla cultura, dall’arte, dalla scienza e dalle risorse economiche, il lavoro domestico non retribuito delle donne, il sessismo psichiatrico e la critica radicale all’eterosessualità obbligatoria.

8. “In culo a te“, di Valerie Solanas
Up Your Ass (In culo a te), che tanto terrorizzò il guru della provocazione Andy Warhol, è un atto unico che racconta la giornata di una giovane prostituta, Bongi Perez – spiritosa, lesbica, implacabile castigatrice delle dinamiche di potere uomo-donna a colpi di battute folgoranti, nonché palesemente alter ego della stessa Solanas – e della variegata fauna metropolitana con cui quest’ultima si trova a interagire: drag queen, marchettari più o meno sfortunati, attempati sporcaccioni, dinamici intellettuali, casalinghe disperate e ragazze emancipate. Di ognuno di essi Bongi, con esilarante e scanzonata puntualità, rivela idiosincrasie, paradossi e contraddizioni – non ultima la grottesca assurdità dei comportamenti tramite cui le donne passivamente adagiate su modelli patriarcali tentano di compiacere gli uomini.

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Trilogia Scum. Scritti di Valerie Solanas

a cura di Stefania Arcara e Deborah Ardilli

Per molto tempo il nome di Valerie Solanas è stato associato solo al ferimento di Andy Warhol, in realtà l’autrice di “Trilogia Scum” è stata la pioniera del femminismo radicale. Una figura spesso mal interpretata, strumentalizzata e fino a oggi rimossa sia dagli archivi della controcultura che dal femminismo. 


Trilogia Scum”, pubblicato da VandA Edizioni, ripara questo torto pubblicando tutti gli scritti dell’autrice inserendo anche due inediti importanti “Up Your Ass” e il racconto “Come conquistare la classe agiata. Prontuario per fanciulle”.

Leggine un estratto…

“Per bene che ci vada, la vita in questa società è una noia sconfinata. E poiché non esiste aspetto di questa società che abbia la minima rilevanza per le donne, alle femmine dotate di spirito civico, responsabili e avventurose non resta che rovesciare il governo, eliminare il sistema monetario, istituire l’automazione completa e distruggere il sesso maschile.

Oggi è tecnicamente possibile riprodursi senza l’aiuto dei maschi (o, se è per questo, delle femmine) e produrre soltanto femmine. Dobbiamo cominciare a farlo subito. Conservare il maschio non serve più nemmeno al pur discutibile obiettivo della riproduzione. Il maschio è un incidente biologico: poiché il gene Y (maschile) è un gene X (femminile) incompleto, ha una serie incompleta di cromosomi. In altre parole, il maschio è una femmina incompleta, un aborto ambulante, abortito a livello genetico. Essere maschio equivale a essere deficiente, emotivamente limitato; la maschilità è una tara e i maschi sono emotivamente storpi.

Il maschio è completamente egocentrico, intrappolato in se stesso, incapace di empatizzare con gli altri o di identificarsi con loro, incapace di amore, amicizia, affetto, tenerezza. È un’unità completamente isolata, incapace di qualsiasi rapporto. Le sue reazioni sono interamente viscerali, non cerebrali; la sua intelligenza è un mero strumento al servizio dei suoi istinti e dei suoi bisogni; è incapace di passioni della mente, di interazione intellettuale; non è in grado di relazionarsi a nulla, fuorché alle proprie sensazioni fisiche. È un’escrescenza inerte, un morto vivente, incapace di dare o ricevere piacere o felicità; di conseguenza, nel migliore dei casi, è una noia infinita, un inetto inoffensivo, perché solo chi è capace di interessarsi veramente agli altri può essere seducente. Il maschio è imprigionato in una zona grigia a metà strada tra gli umani e le scimmie, ma è molto peggio delle scimmie perché, diversamente da loro, dispone di un’ampia gamma di sentimenti negativi – odio, gelosia, disprezzo, disgusto, senso di colpa, vergogna, insicurezza – e, inoltre, è consapevole di ciò che è e di ciò che non è.

Benché completamente fisico, il maschio è inadatto persino a fare lo stallone. Anche ipotizzando che abbia la competenza tecnica necessaria, di cui comunque pochi uomini dispongono, egli è, in primo luogo, incapace di godersi una bella scopata sensuale e piccante, essendo divorato dai sensi di colpa, dalla vergogna, dalla paura e dall’insicurezza, sentimenti radicati nella natura maschile, che anche l’addestramento più illuminato può soltanto moderare. In secondo luogo, il godimento fisico che ne ricava è prossimo allo zero. E, in terzo luogo, non empatizza con la sua partner, ma è ossessionato dal pensiero di come se la cava, di fornire una prestazione d’eccellenza, di fare un lavoro a regola d’arte. Equiparare un uomo a un animale significa fargli un complimento: è una macchina, un dildo ambulante. Si dice spesso che gli uomini usano le donne. Usarle a che scopo? Sicuramente non per ricavarne piacere.

Divorato dal senso di colpa, dalla vergogna, da paure e insicurezze e capace, se è fortunato, di sensazioni fisiche appena percettibili, il maschio ha tuttavia l’ossessione di scopare; attraverserà a nuoto un fiume di muco, passerà a guado un miglio di vomito immerso fino alle narici, se si convince che ci sarà una figa accogliente ad attenderlo. Scoperà una donna che disprezza, una qualsiasi befana sdentata, e oltretutto pagherà per farlo. Perché? La risposta non sta nel bisogno di alleviare la tensione fisica, visto che la masturbazione è sufficiente allo scopo. E non si tratta nemmeno di soddisfare il suo ego, visto che allora non si spiega come mai scopi anche bambini e cadaveri.

Completamente egocentrico, incapace di relazionarsi, empatizzare o identificarsi con gli altri, colmo di una sessualità debordante, pervasiva e diffusa, il maschio è psichicamente passivo. Odia la propria passività e per questo motivo la proietta sulle donne, definisce il maschio come attivo, quindi si mette all’opera per dimostrare di esserlo (“dimostrare di essere un Uomo”). Il mezzo principale a cui ricorre per dimostrarlo è scopare (il Grande Uomo con un Gran Cazzo che si fa un Gran Pezzo di Figa). Poiché si sta affannando a dimostrare un errore, deve ripetere la “dimostrazione” all’infinito. Scopare, pertanto, è un tentativo disperato e compulsivo per dimostrare di non essere passivo, di non essere una donna; ma lui è passivo, e vuole essere una donna.

Essendo una femmina incompleta, il maschio trascorre la vita cercando di completarsi, di diventare femmina. Prova a farlo mettendosi costantemente alla ricerca di una femmina con cui fraternizzare, cercando di fondersi con lei e di vivere attraverso di lei, e rivendicando come proprie tutte le caratteristiche femminili – forza e indipendenza emotiva, energia, dinamismo, risolutezza, disinvoltura, obiettività, assertività, coraggio, integrità, vitalità, intensità, profondità di carattere, fascino e così via – e proiettando sulle donne tutti i tratti maschili – vanità, frivolezza, banalità, debolezza e così via.

Bisogna riconoscere, tuttavia, che esiste un campo in cui la superiorità del maschio sulla femmina è lampante: le pubbliche relazioni. (Ha fatto un ottimo lavoro quando si è trattato di convincere milioni di donne che gli uomini sono donne e le donne sono uomini.) La pretesa maschile che le donne si realizzino attraverso la maternità e la sessualità rispecchia l’idea di ciò che i maschi troverebbero gratificante se fossero femmine. In altre parole, le donne non soffrono di invidia del pene; sono gli uomini a invidiare la figa. Quando il maschio accetta la propria passività si definisce donna (tanto i maschi quanto le femmine sono convinti che gli uomini siano donne e che le donne siano uomini) e diventa un travestito, perde il desiderio di scopare (o di fare qualsiasi altra cosa, a dire il vero; essere una drag queen lo appaga pienamente) e si fa tagliare via l’uccello. “Essere una donna” gli permette così di raggiungere una sensibilità sessuale continua e diffusa. Scopare, per un uomo, è una difesa contro il desiderio di essere femmina. Il sesso è di per sé una sublimazione”.

Ti è piaciuto questo brano? Trovi il libro qui: Trilogia Scum. Scritti di Valerie Solanas, a cura di Stefania Arcara e Deborah Ardilli.

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Valerie Solanas – intervista alla regista Mary Harron

Su Volture.com è stata pubblicata un’intervista a Mary Harron, la regista canadese di American Psycho, L’altra Grace e Ho sparato a Andy Warhol, film del 1996 basato sulla vera storia di Valerie Solanas, femminista radicale e autrice dei nostri “Manifesto SCUM“, “Trilogia SCUM” e “Up your ass“.

Valerie Solanas sta vivendo un momento di grande riconoscimento. Negli ultimi vent’anni, Solanas è stata il soggetto di numerosi libri accademici e di critica e ha ispirato ben tre opere teatrali e un romanzo. Nel 2017 è stata persino ritratta in un episodio della serie televisiva statunitense American Horror Story.

Qui di seguito un estratto dell’intervista originale:

And then I Shot Andy Warhol was a hit at Sundance

In 1996, Variety’s Todd McCarthy wrote, “Filmmakers have been dancing around the idea of dealing with Andy Warhol and his world ever since his death. Now that it’s been done, the result, as well as the angle taken on the material, is as unexpected as it is riveting.”.
The offer to do the script for American Psycho came in right after I got back from Sundance. That’s what happens if you have a first film that does well at Sundance.

Valerie Solanas is having a big moment now

Over the last two decades, Solanas has been the subject of a number of academic and critical books and the inspiration for three plays and a novel. In 2017, she was portrayed in an episode of American Horror Story: Cult by Lena Dunham..
At the time, feminism was not cool. At all. Now everyone wants to say they’re a feminist. But at the time — I never denied it. I always said I was, because I felt like, without feminism, I would never be doing this.

Where do you think your feminism comes from?

It was pretty instinctive. My mother was very old school in a lot of ways. She believed men were superior to women with two exceptions — my sister and myself. She was very ambitious for me and wanted me to be an artist. She would’ve been horrified if I hadn’t. She was very upset that my sister married and had kids early. At the same time, we’d disagree. She thought feminism was silly. She ran a radio program, and on her show, they used to excerpt books, and she refused to do Simone de Beauvoir. Still, I always thought I was going to have a career. That’s how I thought about my future — my career, my work, my ambition.

But I always felt like people were saying “Are you a feminist?” back in the day because they wanted to pigeonhole you as an ideological filmmaker, which I’m not, I don’t believe.”

Per leggere l’intervista completa clicca qui.