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Agenda Rossa – articolo di Luciana Grillo

Recensione comparsa su L’Adigetto.it

Giulia Mafai, «Agenda rossa» – Uno quadro duro, amaro e impietoso sui pregiudizi di un mondo maschilista e retrogrado

Giulia Mafai ha un cognome importante, figlia di Mario Mafai e di Antonietta Raphael, sorella di Miriam, è stata una importante protagonista della vita culturale italiana del secondo Novecento.
La sua ultima fatica letteraria, Agenda rossa, è stata pubblicata dopo la sua morte.
Al centro della storia c’è Katya, a cui dà vita una giovane donna, aspirante giornalista – Samantha detta Samy – che per una pura coincidenza va a vivere, una volta laureata, proprio nella casa dove Katya aveva abitato fino alla morte.
Lì trova un’agenda rossa «dimenticata o scivolata inavvertitamente dal sacco di plastica: anno 1965… dentro i giorni e i mesi si srotolavano vuoti… qualche appunto senza interesse… treni e riunioni, riunioni e treni…».
 
Per Samy il desiderio di scoprire chi fosse stata la donna che l’aveva preceduta fra quelle mura è insopprimibile, così comincia a indagare: esiste solo un indizio, il nome Katya e l’iniziale del cognome, B.
Samy chiede all’agente immobiliare, alla cassiera del bar dove va a prendere il caffè e lentamente cominciano ad apparire ricordi e dettagli: non Katya, ma Adua; non un’oscura impiegata ma una donna impegnata in politica, «una vera combattente…altro che anonima signora borghese… Su internet c’erano pagine e pagine».
Una figlia, a cui il padre aveva dato un nome che testimoniasse l’appartenenza al Fascismo (Adua), nome che lei aveva rifiutato, dopo aver capito, dopo averlo visto partire per Salò insieme al giovane Umberto, il fratello non ancora maggiorenne <<che aveva opposto una timida resistenza dicendo che non se la sentiva…».
 
Di Umberto, madre e sorella non seppero più nulla, «disperso», mentre il padre tornò, ma non gli fu permesso di rientrare in casa, come se nulla fosse accaduto.
Adua-Katya «era cresciuta odiandolo per come si muoveva, per la voracità con cui mangiava, per la voce sempre alta, volgare. Il solo ricordo le faceva orrore, provocandole repulsione, perciò le era stato facile, istintivo, ritrovarsi a combattere sulla sponda opposta».
Con l’aiuto del suo primo, grande amore – Renzo – Adua era cresciuta, aveva capito, era entrata nella Resistenza; poi la vita li aveva separati, ma avevano continuato a sentirsi.
Per Adua il Partito era stato lavoro e vita, ma con le donne non sempre gli uomini del Partito erano teneri, dunque Adua dovette lasciare Roma, affrontare ambienti ostili, dove era semplicemente donna, sola e per giunta comunista.
Pregiudizi che la isolavano dalla comunità.
 
Lo sguardo di Mafai su questo mondo maschilista e retrogrado è impietoso.
Per Adua sempre e soltanto lavoro – lavoro – lavoro, anche quando nascono i suoi figli che, abituati a vivere negli ambienti della Sezione, crescendo si rivelano ribelli e contrari ad impostazioni politiche.
Così è la vita, Adua!
Tuo marito se ne va con una donna più giovane, a te non rimangono che una prestigiosa onorificenza e un’agenda rossa da lasciare a Samy con le pagine bianche.

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Stefania Arcara

Stefania Arcara insegna Letteratura inglese e Gender Studies all’Università di Catania ed è presidente del Centro Interdisciplinare Studi di Genere GENUS. Si occupa di traduzione letteraria, letteratura di viaggio, scrittura femminile, gay & lesbian studies, queer studies, pornografia e discorsi sulla sessualità nell’età vittoriana.

È curatrice e traduttrice per VandA Edizioni di Trilogia Scum di Valerie Solanas e di Aphra Behn, l’incomparabile Astrea di Vita Sackville-West.

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Recensione Il mio nome è Aoise

Recensione di Cristina Quochi, originariamente apparsa qui

Con il romanzo “Il mio nome è Aoise” Marta Correggia, magistrato della Procura di Santa Maria Capua Vetere che si occupa di sfruttamento della prostituzione, è riuscita a realizzare un piccolo, importante miracolo: raccontare l’orrore della tratta delle donne nigeriane coniugando realtà e finzione, muovendosi in perfetto equilibrio fra un realismo crudo e spietato e una delicatezza che rasenta la poesia.
Sin dalle prime pagine è chiaro al lettore che non si tratta semplicemente di una storia di fantasia, o meglio che nella potentissima figura della protagonista si condensano le storie di tante ragazze che hanno avuto lo stesso tragico destino. Aoise ha soltanto diciassette anni quando viene indotta a lasciare il suo villaggio in Nigeria per raggiungere l’Italia dove, le promettono, un’organizzazione di connazionali la farà lavorare come parrucchiera. In questo modo, saldato il debito con chi le ha pagato il viaggio, potrà avere un futuro e mandare soldi alla madre e i fratelli più giovani in Nigeria, visto che il padre è morto lasciando la famiglia in assoluta povertà.
La realtà, di cui un po’ abbiamo sentito parlare anche noi ma che l’autrice conosce benissimo in virtù del suo lavoro, è ben diversa: il giuramento ju-ju che Aoise è costretta a fare prima di partire, la vincola a una sorta di patto col diavolo che, per quanto a stento concepibile per noi occidentali, ha su di lei un potere assoluto ponendola alla completa mercé dell’organizzazione criminale che la destina al mercato della prostituzione a Castel Volturno all’interno di una Connection House.
Con un linguaggio scorrevole e alternando il racconto delle atrocità subite nel presente con le esperienze vissute nell’amata Nigeria, dove la povertà e la difficile situazione familiare non hanno impedito ad Aoise, nonostante la sofferenza, di sentirsi comunque amata e partecipe di un contesto culturale ricco di significato, l’autrice conduce con grazia il lettore all’interno di una realtà che ha il triste sapore dell’incubo: una pennellata dopo l’altra, il quadro che tratteggia appare terribilmente vero e fonte di vergogna per la nostra società che, di fronte all’impero economico costruito dalle organizzazioni criminali nigeriane, libiche e italiane, preferisce fingere di non sapere, abbandonando tante donne al loro destino. Ridotte in schiavitù e private persino del loro nome, a queste ragazze non resta nulla: chi tenta di resistere o di opporsi finisce con l’essere uccisa o col subire comunque violenze tali da scivolare nella pazzia.
Eppure anche in quell’inferno può aprirsi uno spiraglio di speranza, possono nascere affetti profondi, sentimenti di amicizia e complicità fra persone che, nonostante l’orrore, non rinunciano alla loro umanità e offrono, mettendosi in gioco e spesso anche in pericolo, una possibile via d’uscita.
Un romanzo la cui lettura consiglio assolutamente per comprendere “dall’interno” un fenomeno che troppo spesso ci lascia indifferenti e che potrebbe essere addirittura proposto in classe agli studenti delle scuole superiori, nonostante le scene crude e raccontate senza filtri. Oltre ad essere una storia emozionante, avvincente e ben scritta, offre infatti tantissimi preziosi spunti di riflessione su una realtà ancora troppo poco conosciuta o raccontata parzialmente, che merita invece di essere affrontata e approfondita con onestà e coraggio.
(Cristina Quochi)

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A Beirut non ci sono più cani – Mescalina

Articolo di Silvano Rubino originariamente apparso qui

Quando lavoravo con Danielle Sassoon a VITAnon profit sapevo di avere una collega istrionica (quante risate), sapevo che era anche una brava attrice e un’artista figurativa. Non immaginavo, però, di essere collega di una scrittrice.

Ci tengo a dirlo. Una scrittrice. Non una pittrice, attrice e molto altro, che nella vita ha scritto un libro (in Italia chi non l’ha fatto? Persino io…). No, uso la parola in un senso più specifico e pesante: Danielle è una scrittrice. Forse, all’epoca, non lo sapeva nemmeno lei. Figurarsi io che sono stato di lei un buon collega e nulla più.

Dopo aver letteralmente divorato il suo libro “A Beirut non ci sono più i cani“, mi sento di dirlo senza timore di essere smentito. Magari lo ha scoperto tardi, magari non darà seguito a questo primo tempo letterario, ma Danielle è una scrittrice, vera, sorprendentemente matura per un esordio (per quanto tardivo).

Che cos’è una scrittrice? Una che scrive una raccolta di racconti capaci di creare un piccolo universo, un popolo dolente e marginale, alla ricerca – come dice lei -“di un immeritato posto al sole“. Un popolo in esilio, dalle terre di origini, dalle proprie famiglie, da percorsi già scritti e consapevolmente abbandonati, dal conformismo relazionale, dalla salute mentale. Danielle riesce a guardare questi personaggi con un’ironia che non è mai feroce, ma che scaturisce da una profonda compartecipazione al loro destino. Anche perché alcuni di loro non sono nient’altro che alter ego dell’autrice. E quel disincanto con cui li guarda, che spesso diventa umorismo, è quello in cui lei guarda a se stessa e alla sua vita. Sapersi raccontare senza fare narrativa ombelicale è sicuramente una dote da scrittrice. Così come lo è saper alternare umorismo e malinconia, crudeltà e tenerezza, incatenando il lettore in una specie di giostra di emozioni. E una scrittrice è anche la sua lingua, piena di immagini vivide, raffinata ma non autocompiaciuta. Una scrittrice è una che sa chiudere i racconti sempre con un guizzo, una sorpresa, un piccolo colpo di teatro (sipario!).

A Beirut non ci sono più i cani usa i racconti per fare una riflessione profonda sull’esperienza dell’esilio e sulla ricerca dell’identità. Danielle Sassoon riesce a trasmettere, in modo delicato e sottile, la sensazione di sentirsi stranieri ovunque, di cercare un luogo dove sentirsi a casa e non trovarlo mai, ma anche di apprezzare la bellezza della diversità e la ricchezza delle culture che ci circondano.

In questa festa della donna, regalatevi un bel libro scritto da una donna con tante donne dentro, una viaggio nella loro forza e resilienza, ma anche un invito a riscoprire la bellezza e la complessità della vita attraverso la sensibilità e la profondità del loro sguardo.

Grazie Danielle. È stato un bel viaggio. Ora fammi un favore: scrivi un grande romanzo ebraico alla Singer, alla Richler. So che puoi farlo.

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SAVE THE DATE: eventi di marzo-aprile

  • 3-5 marzo FEMINISM a Roma, qui tutti i dettagli
  • 5 marzo Ciclo Letture Bologna ore 16:00-18:00 (da remoto)
  • 8 marzo Pina Mandolfo presenta Lo scandalo della felicità ad Augusta. Presentano: Pina Romeo Spina e Gaetanella Bruno. Legge Gaetanella Bruno. Organizzazione Club Fidapa con Circolo Unione e Archeoclub Augusta.
  • 11 marzo BOOKPRIDE a Milano ore 14:30, “Il corpo lesbico a cinquant’anni dalla sua prima edizione” con Deborah Ardilli e Carlotta Cossutta
  • 13 marzo Verso Libri ore 19:00 presentazione de Il corpo lesbico con Deborah Ardilli e Laura Scarmoncin
  • 17 marzo Pina Mandolfo presenta Lo scandalo della felicità a Napoli, Sala Cirillo di città metropolitana, presenta Marie Lippiello, ore 17:30
  • 17 marzo Libreria delle donne Padova, ore 18:00 presentazione de Il corpo lesbico
  • 21 marzo Pina Mandolfo presenta Lo scandalo della felicità a Palermo, Istituto Gramsci. Con Daniela Dioguardi e Silvana Polizzi. Legge Patrizia D’Antona, ore 17:30
  • 21 marzo presso Libreria Tuba, Il corpo lesbico con Deborah Ardilli, Elena Biagini (Roma) ore 18:30
  • 22 marzo Danielle Sassoon presenta A Beirut non ci sono più cani con Moni Ovadia presso Libreria Virginia&co a Monza, ore 21:00
  • 22 marzo Pina Mandolfo presenta Lo scandalo della felicità a Trapani, Libreria del corso. Presenta Giacomo Pilati, ore 17:30
  • 23 marzo: Alessandra Bocchetti presenta Basta lacrime. Storia politica di una femminista (1995-2000), UDI Unione delle donne, Ferrara ore 18:00
  • 24 marzo: presentazione Basta lacrime. Storia politica di una femminista (1995-2000). Con Alessandra Bocchetti e Daniela Dioguardi; modera Laura Piretti. Sala Renata Bergonzoni – Casa delle Donne di Modena, ore 18:00.
  • 27 marzo Danielle Sassoon presenta A Beirut non ci sono più cani con Moni Ovadia, Casa Testori Milano ore 18:30
  • 29 marzo: Pina Mandolfo presenta Lo scandalo della felicità alla Biblioteca delle donne, Bologna, con Anna Pramstrahler, Lara Michelacci, Loredana Magazzeni, legge Cleonice Bortolotti, ore 18:00
  • 1 aprile Pina Mandolfo presenta Lo scandalo della felicità a Firenze, Giardino dei ciliegi. Presentano Clotilde Barbarulli e Monica Farnetti. 
  • 14 aprile Marta Correggia presenta Il mio nome è Aoise a Roma, Casa Internazionale delle Donne, ore 18:00.
  • 17 aprile Pina Mandolfo presenta Lo scandalo della felicità a Roma, Casa Internazionale delle Donne. Con Francesca Comencini e Laura Delli Colli legge Patrizia D’Antona, ore 18:00.
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Chiara Valerio parla de “Il corpo Lesbico” su Repubblica

Essere lesbiche non è fare sesso

È fare politica

Scomparsa vent’anni fa, Monique Wittig torna di grandissima attualità, e in libreria, con le sue opere fondamentali. Ecco perché va riscoperta

di Chiara Valerio (per leggere l’articolo integrale qui)

«Tu nel momento stesso in cui non sei altro che una pressione un’insistenza nel m/io corpo… i/o ti chiedo di lasciarti vedere, ti domando di lasciarti toccare».

È probabile che Monique Wittig scrittrice e teorica francese, lesbica, scomparsa venti anni or sono, il 3 gennaio del 2003 a Tucson, dove insegnava letteratura francese e studi di genere – abbia scritto ciò che ha scritto, troppo presto. Il suo primo romanzo L’opoponax – pubblicato per la prima volta nel 1966 (Einaudi, trad. C. Lusignoli), uscirà presto in una nuova traduzione di Ilaria Piperno per Luiss University Press – vince il Prix Médicis e racconta la storia d’amore tra due adolescenti. È il 1964 e, del romanzo, Marguerite Duras dirà che è un capolavoro, il New Yorker, quando il libro uscirà in America, ne sottolineerà le prodezze linguistiche e la New York Times Review of Books strillerà che la migliore definizione è «uno smagliante rientro nell’infanzia». Quando, insomma, Monique Wittig, nata nel 1935 in una famiglia modesta e conservatrice a Dannemarie, paesino nell’Alto Reno, irrompe sulla scena letteraria, se ne accorgono tutti. Nathalie Sarraute dira: «Probabilmente non sarò qui a testimoniarlo, ma vedrete tra venti o trenta anni che scrittrice abbiamo premiato oggi».

Monique Wittig voleva essere chiamata “scrittore”.

Amore, prodezze linguistiche e infanzia, dunque trasformazione, rimarranno caratteristiche fondanti e motrici di tutta l’opera di Wittig – sia letteraria che teorica, teorica perché letteraria – talmente presenti che quando nel 1973 esce Il corpo lesbico, non tutti – e, in questo tutto, la comunità lesbica – capiscono che per Wittig il lesbismo non è solo un orientamento sessuale ma una pratica politica. Wittig lavora sui pronomi, cerca la scomparsa dei generi, scrive all’impersonale, smantella i generi grammaticali per tentare di intaccare le gabbie di genere nella società. Forse è troppo presto, oggi aggettivi come fluido o queer sono componenti di una riflessione che non riguarda solo le comunità omosessuali e gli studiosi e le studiose di genere.

Corpi che mutano in nuove forme. Lavorare sui pronomi, in parole forse troppo povere, significa rifiutarsi che il maschile faccia funzione di neutro, si appropri dell’universale.

Il 26 agosto 1970 Wittig è nello sparuto drappello di militanti che depone una corona di fiori alla memoria della moglie del milite ignoto, sotto l’Arc de Triomphe a Parigi. Il gesto, la performance diremmo oggi, segna la nascita del movimento femminista francese.

Sei anni più tardi, Wittig lascia la Francia per gli Stati Uniti, in rotta con le compagne del movimento, o si mette in discussione l’eterosessualità come modello sociale, o non si va da nessuna parte, ribadisce che lesbismo è pratica politica e non solo orientamento sessuale.

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VandA a Feminism

Ci vediamo a Feminism dal 3 al 6 marzo! VandA parteciperà a una serie di tavole rotonde:

  • Venerdì 3 marzo ore 17:00, Dialogo persone-personagge in conduzione Marina Vitale e Laura Fortini, Lo scandalo della felicità di Pina Mandolfo
  • Domenica 5 marzo ore 15:00, Sala Lonzi, Dialogo memorie in conduzione Anna Segre e Annalisa Camilli, Basta lacrime di Alessandra Bocchetti
  • Domenica 5 marzo ore 17:00, Sala Lonzi, Dialogo patriarcato in conduzione Giorgia Serughetti e Anna Maria Crispino, Il corpo lesbico di Monique Wittig
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Cristina Pietrantonio

Cristina Pietrantonio, cantante, vocal coach esperta in vocalità femminile, docente nella formazione per educatrici alla mestrualità di Red School Italia, ha mixato queste esperienze professionali nel “womb’s voice coaching” per aiutare le donne ad attraversare le grandi trasformazioni del menarca, del ciclo mestruale, del ciclo materno, della menopausa. Ha pubblicato Le tre anime del suono, La voce tra mente e corpo (2016). Con VandA Edizioni ha pubblicato Lady V (2023).

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“Lo scandalo della felicità”, storia della Principessa Valdina di Palermo

Articolo di Margherita Francalanza, originariamente apparso qui.

L’ultimo romanzo di Pina Mandolfo, scrittrice e sceneggiatrice, intellettuale da anni impegnata nella difesa e promozione dei diritti internazionali delle donne e nel riscatto culturale della Sicilia, narra la storia vera e straordinaria di una donna, Anna Valdina, principessa palermitana che, nel 1600 a Palermo, fu monacata a forza quasi bambina.

La protagonista trascorse cinquant’anni della sua vita nel tentativo di ottenere un processo per lo scioglimento dei voti, fino a riuscirci. Con implacabile geometria narrativa, Pina Mandolfo racconta la volontà e le ragioni di Anna Valdina, un’autentica e coraggiosa combattente, vissuta in un’epoca in cui il potere patriarcale comprimeva ogni anelito di libertà femminile. La storia di Anna e della sua vita in convento si intreccia con i fatti più rilevanti e con i personaggi della Palermo spagnola, in un racconto affascinante e struggente, carico di tensione.

La Valdina è certamente una donna di cui difficilmente ci si dimentica, la sua sola voce risuona forte da un lontano passato , attraversa i secoli e giunge alla contemporaneità. Provoca nel lettore una naturale complicità partecipativa, di indignazione e insieme desiderio di battersi al suo fianco, camminare scandalosamente .passo dopo passo, verso il diritto alla felicità degno di ogni essere umano.

“Il mio racconto , scrive l’autrice, è carico di tutta la passione verso un personaggio femminile non comune di cui ho voluto narrare la grandezza, descrivendone l’esemplarità di donna assoggettata ma non soggetta.”

Il racconto trae spunto da alcuni documenti d’Archivio ritrovati casualmente da Pina Mandolfo, poche trame elaborate tra ricerca storica, eventi del tempo e molta invenzione narrativa. Ma forse il “ caso “ è la miglior guida nel far emergere dal silenzio storie di donne dimenticate o volutamente occultate dalla Storia ufficiale per ulteriormente mortificarne la grandezza.

Numerosi personaggi ruotano attorno alle continue e singolari azioni di Anna Valdina, irriducibile nella volontà di chiedere un processo per lo scioglimento dei voti monacali. La storia della protagonista e la sua strana vita in convento si intrecciano con i più importanti fatti e personaggi della Palermo spagnola secentesca, le cui tracce, da quel tempo particolare, sono giunte fino a noi in un emozionante “continuum narrativo “.

Tra tanti personaggi, ad esempio, emerge Eleonora di Mora, l’unica donna, taciuta dalla storia, che divenne viceré a Palermo per ventinove giorni e rivoluzionò la città, ma “ taciuta dalla storia ufficiale “ e tutta da esplorare.

“Lo scandalo della felicità, storia della principessa Valdina di Palermo” potrebbe rientrare nella categoria del romanzo storico, le tracce d’archivio, la ricerca degli accadimenti e della società del tempo sembrano ricondurci a tale definizione. Eppure il libro , nella sua originalità , ci appare libero da “recinti” temporali e di genere. L’autrice crea un ponte ben visibile tra passato e presente, trascina il lettore dentro la storia che , trascinato nel tempo e nello spazio di Anna Valdina , è costretto a farsene carico , a portarla con se’ , finalmente alla luce del sole, fuori dalle stanze buie conventuali ,a farla finalmente vivere libera e ri/conosciuta.

La prosa di Pina Mandolfo è agile e insieme ricercata l’ impianto narrativo ritmato e intenso, un romanzo degno della migliore tradizione narrativa italiana e insieme una scoperta dell’immensa ricchezza nascosta della nostra Isola ,metafora del viaggio esistenziale delle donne (e dell’umanità tutta) nell’incessante ricerca della “ felicità” come diritto e dovere , promotrici di “ scandalo” e di scomode vite , pronte ad essere distrutte , per divenire Seme generativo di libertà.

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Basta lacrime – Storia politica di una femminista

Articolo di Alessandra Macci originariamente apparso qui .

Basta lacrime – Storia politica di una femminista-1995-2020 Vanda Edizioni 2022 di Alessandra Bocchetti, figura autorevole del femminismo italiano e presidente per molti anni del Centro Culturale Virginia Woolf di cui è stata tra le fondatrici, è un libro di grande interesse che raccoglie interventi, lettere, articoli, saggi scritti dal 1995 al 2020, anni in cui il femminismo della differenza si afferma sempre più come filosofia, politica e pratica quotidiana. Basta lacrime è un invito, una “chiamata” che tiene insieme pratica politica e pensiero delle donne, a non lasciarsi considerare sempre oppresse, perseguitate, osteggiate e danneggiate dal sistema patriarcale. Basta lacrime dice Bocchetti è un invito a uscire dalla trappola del vittimismo e a far leva, a prendere coscienza della grande forza che hanno le donne. E’certamente spiazzante per la storia e per l’esperienza troppo a lungo inespressa anche dalle donne stesse. Ragiona su dualismi quali: violenza-forza; declinata anche come debolezza/forza; bisogni-desideri; potere-potenza; autorità-potere; ordine-disordine; civiltà degli uomini-civiltà delle donne. E racconta le parole del femminismo: il privato è politico; il partire da sé; il diritto alla felicità. Si sofferma sul perché è importante passare dalla civiltà dell’uno alla civiltà del due che rappresenterebbe un cambiamento epocale, il tanto auspicato cambio di civiltà. Pone criticamente il tema dell’utero in affitto affermando che si sta operando sul corpo delle donne uno sfruttamento peggiore di quello operato sulla classe operaia. Non dimentica la pandemia, la fragilità e il bisogno di attenzione, cura ed amore espressa dalle donne in quella tragica fase. Ai dualismi, alle parole del femminismo, alle critiche alla politica dei partiti e delle istituzioni l’autrice in e cerca di offrire un terreno di confronto e di lavoro politico. Lo fa percorrendo la storia del movimento delle donne, del femminismo della fine degli anni sessanta, a partire dalle lotte che hanno segnato il femminismo della differenza e quello di Stato. Ricorda la grande manifestazione del 13 febbraio 2011 quando il paese da spettacolo da basso impero e le prime pagine dei quotidiani sono piene delle performance sessuali del Presidente del Consiglio. Ma quel giorno le donne danno al Paese una grande lezione di civiltà. E la Bocchetti intervenendo alla manifestazione in Piazza del Popolo gremita, esordisce con un “Bentornate”. E conclude con: “Buona fortuna a tutte, perché anche la fortuna ci vuole!” Basta lacrime dunque.

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SAVE THE DATE: eventi di gennaio-febbraio 2023

13 gennaio
Collettivo Mama presenta ROSA SPIA
Biblioteca Auris (Vignola MO) ore 20:30
Con le autrici Anna Paragliola, musica e voce Ellen River

13 gennaio
Alessandra Bocchetti presenta BASTA LACRIME
Istituto Gramsci Siciliano (Palermo) ore 17:00
Con l’autrice Mariella Pasinati e Maria Concetta Sala

14 gennaio
Alessandra Bocchetti presenta BASTA LACRIME
Cavallotto Librerie (Catania) ore 17:30
Con l’autrice José Calabrò, Giovanna Crivelli, Anna di Salvo

15 gennaio
Alessandra Bocchetti presenta BASTA LACRIME
Biblioteca Comunale (Giarre CT) ore 17:30
Con l’autrice Teresa Sciacca, Gabriella Gullotta, Alessandra Nucifora, Tania Spitaleri

19 gennaio 
Antonella Ortelli presenta SENZA AZIONE
Casa delle donne (Milano) ore 18:00
Azione teatrale di Irene Quartana
Con l’autrice Giulia Kimberly Colombo, Chiara Martucci, Giuliana Peyronel e Annamaria Teruzzi

23 gennaio
Alessandra Bocchetti presenta BASTA LACRIME
Spazio Sette Libreria (Roma) ore 18:30
Con l’autrice Nadia Fusini, Daniela Preziosi e Linda Laura Sabbadini

26 gennaio
Alessandra Bocchetti presenta BASTA LACRIME
Istituto studi filosofici (Napoli) ore 16:30
Con l’autrice Giovanna Borrello, Alessandra Macci e Stefania Tarantino

27 gennaio

Marta Correggia presenta IL MIO NOME È AOISE
Galleria d’Arte di Palazzo Candia (Aversa) ore 18:00
con l’autrice Dott. Nicola Graziano, Dott.ssa Caterina di Martino e Avv. Giovanni Puca
Riflessioni musicali del Mastero Edoardo Amirante, Reading a cura di Camilla Aiello

1 febbraio
Danielle Sassoon presenta A BEIRUT NON CI SONO PIÙ CANI
Verso Libri (Milano) ore 19:00
con l’autrice Moni Ovadia

2 febbraio
Pina Mandolfo presenta LO SCANDALO DELLA FELICITÀ
Cavallotto Librerie (Catania) ore 17:30
Con l’autrice Giovanna Giordano 

8 febbraio 
Alessandra Bocchetti presenta BASTA LACRIME
Manfredonia (FG)

9 febbraio 
Alessandra Bocchetti presenta BASTA LACRIME
Biblioteca Magna Capitanata ore 17:00 (Viale Michelangelo 1 Foggia)
Con l’autrice Gabriella Berardi, Adele Longo, Mariagrazia Napolitano, Katia Ricci

10 febbraio
Alessandra Bocchetti presenta BASTA LACRIME
Palazzo dell’Acquedotto Pugliese Via Cognetti 38 Bari
Con l’autrice Chiara Divella e Giusi Giannelli

10 febbraio
Danielle Sassoon presenta A BEIRUT NON CI SONO PIÙ CANI
Libreria Ubik Ferrara ore 17:30
con l’autrice Moni Ovadia

21 febbraio
Danielle Sassoon presenta A BEIRUT NON CI SONO PIÙ CANI
Libreria degli Asinelli (Varese) ore 19:00
con l’autrice Moni Ovadia

24 febbraio
Pina Mandolfo presenta LO SCANDALO DELLA FELICITÀ
Belpasso, presso Biblioteca comunare Roberto Sava. Converseranno con l’autrice Margherita Francalanza e Luigi Calabrese. Agata Longo leggerà alcuni brani del romanzo. Introdurranno l’incontro gli assessori Fiorella Valadà alla Pubblica Istruzione e Tony di Mauro alla cultura- sarà presente il Sindaco Daniele Motta.

13 gennaio
Collettivo Mama presenta ROSA SPIA
Biblioteca Auris (Vignola MO) ore 20:30
Con le autrici Anna Paragliola, musica e voce Ellen River

13 gennaio
Alessandra Bocchetti presenta BASTA LACRIME
Istituto Gramsci Siciliano (Palermo) ore 17:00
Con l’autrice Mariella Pasinati e Maria Concetta Sala

14 gennaio
Alessandra Bocchetti presenta BASTA LACRIME
Cavallotto Librerie (Catania) ore 17:30
Con l’autrice José Calabrò, Giovanna Crivelli, Anna di Salvo

15 gennaio
Alessandra Bocchetti presenta BASTA LACRIME
Biblioteca Comunale (Giarre CT) ore 17:30
Con l’autrice Teresa Sciacca, Gabriella Gullotta, Alessandra Nucifora, Tania Spitaleri

19 gennaio
Antonella Ortelli presenta SENZA AZIONE
Casa delle donne (Milano) ore 18:00
Azione teatrale di Irene Quartana
Con l’autrice Giulia Kimberly Colombo, Chiara Martucci, Giuliana Peyronel e Annamaria Teruzzi

23 gennaio
Alessandra Bocchetti presenta BASTA LACRIME
Spazio Sette Libreria (Roma) ore 18:30
Con l’autrice Nadia Fusini, Daniela Preziosi e Linda Laura Sabbadini

26 gennaio
Alessandra Bocchetti presenta BASTA LACRIME
Istituto studi filosofici (Napoli) ore 16:30
Con l’autrice Giovanna Borrello, Alessandra Macci e Stefania Tarantino

27 gennaio

Marta Correggia presenta IL MIO NOME È AOISE
Galleria d’Arte di Palazzo Candia (Aversa) ore 18:00
con l’autrice Dott. Nicola Graziano, Dott.ssa Caterina di Martino e Avv. Giovanni Puca
Riflessioni musicali del Mastero Edoardo Amirante, Reading a cura di Camilla Aiello

1 febbraio
Danielle Sassoon presenta A BEIRUT NON CI SONO PIÙ CANI
Verso Libri (Milano) ore 19:00
con l’autrice Moni Ovadia

2 febbraio
Pina Mandolfo presenta LO SCANDALO DELLA FELICITÀ
Cavallotto Librerie (Catania) ore 17:30
Con l’autrice Giovanna Giordano

8 febbraio
Alessandra Bocchetti presenta BASTA LACRIME
Manfredonia (FG)

9 febbraio
Alessandra Bocchetti presenta BASTA LACRIME
Biblioteca Magna Capitanata ore 17:00 (Viale Michelangelo 1 Foggia)
Con l’autrice Gabriella Berardi, Adele Longo, Mariagrazia Napolitano, Katia Ricci

10 febbraio
Alessandra Bocchetti presenta BASTA LACRIME
Palazzo dell’Acquedotto Pugliese Via Cognetti 38 Bari
Con l’autrice Chiara Divella e Giusi Giannelli

10 febbraio
Danielle Sassoon presenta A BEIRUT NON CI SONO PIÙ CANI
Libreria Ubik Ferrara ore 17:30
con l’autrice Moni Ovadia

21 febbraio
Danielle Sassoon presenta A BEIRUT NON CI SONO PIÙ CANI
Libreria degli Asinelli (Varese) ore 19:00
con l’autrice Moni Ovadia

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Un buon auspicio! Basta lacrime!

Articolo di Maria Concetta Sala originariamente apparso qui.

Nel contesto sconquassato e sgangherato in cui ci troviamo a vivere la lettura dell’ultimo libro di Alessandra Bocchetti Basta lacrime (VandA.edizioni, 2022) offre a donne e uomini, a ragazze e ragazzi – interessati a leggere il risvolto meno noto delle origini dello scardinamento in atto e delle aperture su idee e visioni in un orizzonte di autentica libertà grazie alla potenza di un’idea sovvertitrice dell’ordine millenario del patriarcato – la possibilità di ripercorrere, se non di scoprire, la storia politica dell’Italia nel venticinquennio 1995-2020 attraverso lo sguardo di una donna impegnata insieme ad altre donne nell’edificazione di una civiltà che metta al primo posto un nuovo senso dell’umano rivolto alla cura del vivente, all’attenzione materna, alla tensione verso la giustizia.

Si tratta di una storia politica che continua ad alimentare « principi ordinatori della società » totalmente diversi da quelli dominanti –  quali il potere, il denaro, la violenza –  e che contribuisce a diffondere « una cultura meno eroica, meno violenta, più radicata nel mondo » (p. 287), perché ancorata alla conoscenza e all’accettazione della fragilità umana e della condizione di interdipendenza alla quale tutti, donne e uomini, siamo sottoposti. Si tratta di una straordinaria reinvenzione dello stare al mondo e nel mondo a partire dal « lavoro oscuro » delle donne, « insomma, l’invisibile della storia », che è « oggi, un tesoro da spendere accumulato nel corso di secoli, che è il loro sapere materiale generato dall’aver visto l’umanità sempre da molto vicino, nel suo splendore e nella sua miseria, nei profumi e nelle puzze » (p. 78).

Alla femminista della differenza Alessandra Bocchetti, figura di spicco del  Centro culturale Virginia Woolf di Roma, fondato nel 1979 insieme ad altre amiche, alla donna da sempre in dialogo con le istituzioni ma distante dal femminismo istituzionale o di Stato dobbiamo questa raccolta di scritti politici che pur precisamente datati in quel ventennio ruotano intorno a questioni ancor oggi decisive per il futuro dell’umanità tutta e sollecitano a un ulteriore dibattito – ne elenco alcune: violenza e identità, corpo e maternità, violenza e giustizia, diritti e desideri, libertà e liberazione, femminismo e femminismi, soggettività e governo delle donne… Questioni complesse che i documenti, le lettere, gli articoli di Bocchetti hanno il pregio di porgere con grande pacatezza e di formulare in un registro piano, scorrevole e chiaro.

Mi soffermo su alcuni aspetti in una certa misura sorprendenti e che più hanno destato la mia curiosità e suscitato interesse, primo fra tutti il riaffiorare in diversi scritti di un vocabolo quale « dignità umana », che vorrei reinterrogare tenendo presente la possibilità di stabilire dei nessi con la ricerca della felicità da parte di una donna.

Dignità è una parolina che ha una lunga storia: riguarda il valore unico e irripetibile che ogni individuo maschio o femmina possiede di per sé in quanto essere umano esistente su questa terra, nella sua qualità di essere umano, nel suo essere partecipe alla comune umanità. Simone Weil, molto amata da Alessandra Bocchetti, e il cui pensiero ricorre spesso in questa raccolta,  è la prima a fare dell’affermazione della dignità umana un obbligo incondizionato, l’obbligo primario, agganciandola ai bisogni umani, al nutrimento del corpo e dell’anima di ogni essere umano:

L’oggetto dell’obbligo, nel campo delle cose umane, è sempre l’essere umano in quanto tale. C’è obbligo verso ogni essere umano, per il solo fatto che è un essere umano, senza che alcun’altra condizione abbia ad intervenire; e persino quando non gliene si riconoscesse alcuno.

Quest’obbligo non si fonda su nessuna situazione di fatto, né sulla giurisprudenza, né sui costumi, né sulla struttura sociale, né sui rapporti di forza, né sull’eredità del passato, né sul supposto orientamento della storia. Perché nessuna situazione di fatto può suscitare un obbligo.

Quest’obbligo non si fonda su alcuna convenzione. Perché tutte le convenzioni sono modificabili secondo la volontà dei contraenti, mentre in esso nessun cambiamento nella volontà degli uomini può nulla modificare (1) .

Si tratta, continua Simone Weil, di un obbligo fondamentale, eterno, incondizionato, che « non ha un fondamento, bensì una verifica nell’accordo della coscienza universale » (2) e che si trova espresso nei più antichi testi a partire dall’antico Egitto.

Per Alessandra Bocchetti dignità è una grande parola: « A pensarci bene, da sola basterebbe a fare un buon programma di governo. Se si pensasse alla dignità che a ciascun essere umano si deve in questa terra, che meravigliosi programmi si farebbero per il lavoro, per l’istruzione, per la salute! Sì, dignità è una parola che ci aiuta a fare bene » (p. 224). Gli esseri umani, donne e uomini, sostiene giustamente Bocchetti, sono uguali unicamente nella dignità, che « non è un bene da conquistare ma che ciascuno ha, malgrado se stesso, per il solo fatto di essere nato, per il solo fatto di condividere la condizione umana. Mi piacerebbe leggere nelle aule dei tribunali la scritta in bella vista: “La dignità è in ciascuno di noi”, sarebbe forse una frase profondamente più vera de “La giustizia è uguale per tutti”» (p. 245).

Il riconoscimento della dignità umana, lo sappiamo,  è un pilastro della civiltà giuridica e della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani approvata nel 1948 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, e sappiamo anche quali e quante lotte le donne hanno dovuto sostenere perché questo principio si traducesse in realtà di fatto, ma, sottolinea con vigore Bocchetti, tutto quello che le donne hanno conquistato sulla carta, nei diritti, « può restare lettera morta se non viene animato da un soffio […] che dà energia» e questo soffio « è appunto un’idea nuova e forte, capace di cambiare le regole del gioco. […] È l’idea di diritto-aspettativa di felicità. Vedete, ho usato una doppia parola, “diritto-aspettativa”, in realtà né l’una né l’altra vanno bene, la parola diritto è troppo arrogante, la parola aspettativa è troppo debole. Ce ne vorrebbe una terza…» (p. 81).

Saggiamente viene sottolineato in un altro scritto che si tratta di un’idea nuova, di uno straordinario e rivoluzionario risultato, perché ha innescato un mutamento nell’ordine del discorso e nell’ordine dei fatti, ma qua e là affiora l’impazienza del “tutto e subito” che è a mio parere un errore, perché la rivoluzione delle donne è una rivoluzione simbolica, nella quale rientrano azione e contemplazione, e necessita di tempi lunghissimi E del resto lo ammette la stessa Bocchetti nel suo intervento nel corso di  un convegno sugli anni Settanta svoltosi a Cinisi nel 2018: « La felicità di una donna ha dato sempre un certo scandalo nell’ordine dei padri, risultava sempre un po’ fuori posto, il dolore era il sentimento che più si addiceva alla donna, la sua icona. Adesso invece questa felicità possibile è nella testa di tutte noi » (p. 239); e questo «è stato un grandioso passo avanti verso la libertà » (p. 247), lo ribadisce in un discorso tenuto durante il convegno “Stereotipi e pregiudizi sulla violenza di genere” organizzato dall’ Area Democratica per la Giustizia in Senato nel 2019.

Un altro aspetto importante di questo libro è il rilievo dato al lavoro delle donne, quello in casa, quello fuori di casa, fino alla presa di posizione giustamente intransigente nei confronti di quel terribile contratto che regola la  maternità per altri. Bocchetti è consapevole della visione statica della libertà delle donne che la politica tradizionale ha fatto propria e denuncia le armi a doppio taglio quali, ad esempio i congedi parentali e il part time, che mantengono le donne prigioniere e protette in gabbia; e si pronuncia contro le politiche di genere che hanno rafforzato e non eroso la miseria e la debolezza femminili in una sincera autocritica che è qualcosa di raro e di esemplare nella storia del movimento delle donne: « Abbiamo dato credito solo alla miseria delle donne, alla loro debolezza e abbiamo cercato di mettere a punto politiche di tutela, di riparo, di consolazione, non rendendoci conto che, così facendo, contribuiamo alla nostra imperfetta cittadinanza. […] La nostra cittadinanza diventa piena solo quando la nostra attenzione e tensione modificatrice va alla società intesa nella sua complessità », perché le donne sono « parte costituente della società stessa» (pp. 152-53). La sua riflessione sulla formula “forza-lavoro” è fondamentale ancora oggi : «Un padrone di fabbrica non compera l’operaio, compera la sua “forza-lavoro”. L’operaio non vende il suo corpo, vende la sua “forza-lavoro”. Simone Weil e altri ci hanno spiegato questo puro imbroglio. Weil, che ha voluto sperimentare la catena di montaggio alla Renault, ci racconta che è l’intera vita che se ne va, se ne va il poter pensare, il poter immaginare, la voglia di parlare, la salute, l’eros…» (pp. 217-18).

Alessandra Bocchetti fa bene a sottolineare l’importanza che potrebbe avere oggi una riflessione delle donne sul lavoro: « Nessuno ha mai difeso veramente il lavoro delle donne, né i partiti, né i sindacati. Il lavoro delle donne è stato sempre considerato aggiuntivo. […] È importante che il femminismo si assuma questo tema in questo momento, è un tema allo stesso tempo materiale e profondamente simbolico » (articolo apparso il 20 luglio 2020 sul supplemento La 27esima ora del «Corriere della Sera»). Sono d’accordo, bisogna riprendere le fila del discorso a partire dal «Sottosopra» del 2009, Immagina che il lavoro, un manifesto ben sintetizzato nella formula Primum vivere, che significa mettere al centro la vita ma non subordinando l’esperienza materiale del vivere alla riflessione teorica sul vivere o viceversa, bensì attribuendo valore a ciò che rende la vita degna di essere vissuta, a ciò che è vitale e non mortifero (3).

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1) Simone Weil, La prima radice. Preludio ad una dichiarazione dei doveri verso l’essere umano, trad. di Franco Fortini, SE, Milano, 1990, p. 14.

2) Ibid., p. 15.

3) A questo proposito si  vedano ulteriori considerazioni nell’articolo redatto per «pressenza. International Press Agency, redazione di Palermo:  https://www.pressenza.com/it/2020/11/tutto-il-lavoro-indispensabile-alla-vita/

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Una donna in tribunale per fuggire dal convento

Articolo di Antonella Scandone (Repubblica.it) originariamente apparso qui.

Io non ci morirò in questo luogo“.Fu questo il ripetuto grido di dolore che per oltre quaranta lunghi anni accompagnò la vita di una nobile palermitana del Seicento, la sua discesa in un inferno rappresentato da una vita che non voleva e contro la quale lottò, a dispetto degli uomini e delle loro ottuse convinzioni. Questa è la storia di una donna, nata principessa Anna Valdina, vissuta come suor Maddalena e morta come principessa Anna Valdina. Finalmente donna libera dopo una vita da suora. La sua vicenda, sconosciuta ai più, è venuta fuori da tre polverosi faldoni che raccolgono le carte di un processo lungo tre anni. Processo che le consentì il ritorno alla vita secolare, dopo che, entrata in convento a sette anni per ricevere un’ educazione consona ad una donna del suo ceto, fu costretta a prendere i voti a soli dodici anni. Cinquanta anni da sepolta viva nel Monastero delle Stimmate, a Porta Maqueda, successivamente distrutto per far spazio alla costruzione del Teatro Massimo. Ne uscirà, la suora-principessa, grazie ad un’ incredibile forza d’ animo che non l’ abbandonò mai, a 57 anni. Morì, dopo essere tornata in possesso dei suoi averi e del suo titolo, cinque anni dopo. A fare rivivere la dolorosa vicenda di Anna dei principi Valdina è stata giovedì scorso al Kalhesa la professoressa Pina Mandolfo, tra le fondatrici della “Società italiana delle letterate” che si occupa della scoperta e della diffusione del sapere e della cultura delle donne, delle loro vite spesso nascoste. La Mandolfo ha tenuto una conferenza sulla Valdina, nell’ ambito del ciclo di incontri organizzato dal Fai. «Mi sono imbattuta nella storia di Anna Valdina – racconta Pina Mandolfo, autrice del libro “Desiderio” – mentre effettuavo una ricerca all’ Archivio di Stato sui ruoli femminili dal dodicesimo al diciannovesimo secolo. Erano gli atti del suo processo per lo scioglimento dei voti, e mi sono sembrati una scoperta interessante per lo spaccato che offrivano sulla realtà politica e sociale della Palermo del Seicento. Non vorrei sembrare estremista, ma mi sembra che nulla, o quasi, sia cambiato da allora. Questa è ancora una terra piena di intrighi, privilegi, dove qualsiasi iniziativa culturale è boicottata al fine di rendere tutto immutabile. Dove vige solo una cultura del privilegio, dell’ apparire e del non essere». Una cultura, insomma, intrisa ancora di quella mentalità che portò la famiglia a rinchiudere Anna e le sue tre sorelle in un convento per preservare i beni della famiglia ad un unico erede. La sua storia si differisce, però, da quella di tante altre sfortunate che prima e dopo di lei subirono lo stesso destino, perché Anna non si rassegnò mai, gridò per tutta la vita, contro chi le impediva una vita normale. «Fu solo dopo la morte del fratello – prosegue la Mandolfo – che dopo aver causato tanto dolore a lei ed alle sorelle, morì senza lasciare eredi, che Anna riuscì a farsi aiutare da un potente zio, protonotaro del Regno, al quale promise di lasciare in eredità tutti i suoi beni, se solo fosse riuscita a tornarne in possesso, sciogliendosi dai voti. Quei beni che, il fratello, morendo, aveva lasciato ad un prelato con il quale, per tutta la vita, aveva intessuto una relazione dai contorni non chiari, e che fu uno dei più strenui oppositori alla libertà di Anna». Dopo la morte del padre e del fratello, figure fortemente temute, molti accettarono di testimoniare e di raccontare come i suoi voti non avessero nulla a che vedere con la vocazione ma fossero solamente il frutto di una barbara usanza. Testimonianze che, alla fine, le consentirono di vincere il processo. «Alla morte di Anna, ultima erede della sua famiglia – racconta ancora la Mandolfo – i beni passarono, così come da lei promesso, alla famiglia dello zio. Il palazzo Papè Valdina in via del Protonotaro, di fronte alla biblioteca, appartiene ancora oggi alla famiglia ma versa in uno stato di totale degrado e mi auguro che si possa intervenire per restituirlo agli antichi splendori, così come è avvenuto per un’ altra proprietà della famiglia, il castello di Rocca Valdina, che è stato restaurato ed aperto al pubblico. Trovo particolarmente impressionante in questa vicenda, che tra le numerose carte esistenti, tra tutte le testimonianze, non compaiono mai donne. Neppure la madre della stessa Anna. Nessuna voce femminile che si alzi a difesa della sua libertà, a riprova che il presunto matriarcato di cui tanto si parla, funge solo da portavoce di una cultura maschile». Dalla ricerca della professoressa sono venute fuori anche altre storie simili, altri destini che si sono incrociati con quelli di Anna. Come quello della siciliana Francesca Lucchesi Palli, contemporanea della prima, o come quella di due sorelle ragusane, della famiglia Grimaldi, che nell’ Ottocento riuscirono ad uscire dal convento, a sposarsi e poi a donare tutti i loro averi per la costruzione di scuole femminili. Con la convinzione che solo la conoscenza potesse liberare le donne da un destino senza speranza. Ed esistono anche delle testimonianze autobiografiche, come quella di Arcangela Tarabotti, anche lei vissuta nel Seicento e del suo manoscritto, conservato per decenni in un archivio privato e recentemente ritrovato e pubblicato con l’ esplicito titolo di “Inferno monacale”, o come “Misteri del Chiostro napoletano”, nel quale Enrichetta Caracciolo, napoletana vissuta nell’ Ottocento, narra la sua vicenda di reclusione e di libertà riconquistata con una resistenza ed una lotta ostinata che più volte la portò a dichiarare: “Fossi uomo!”. Sulla figura di Anna Valdina, Pina Mandolfo prossimamente pubblicherà un libro. Una storia che, partendo dai documenti esistenti, si trasformerà in romanzo, per restituire ad Anna i desideri e i sogni che le furono sottratti.
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Racconti d’esilio: storie femminili dal mondo arabo-ebraico

Articolo di Sofia Tranchina, originariamente apparso qui.

Personaggi solitari, brandelli di ricordi, intuizioni camusiane e, soprattutto, storie di ebrei. Questo il filo conduttore dei cinquantatré racconti brevi raccolti sotto il titolo A Beirut non ci sono più cani, prima pubblicazione di Danielle Sassoon presso VandA Edizioni.

Nata a Milano nel 1965 da famiglia sefardita, Danielle ha conseguito una formazione umanistica, diplomandosi presso il Liceo Classico Parini di Milano, per poi essere ammessa al corso attori della Civica Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi, da cui viene espulsa per cattiva condotta. Seguono gli anni dedicati al disegno e alla pittura, una passione coltivata sin da bambina. L’appuntamento senza sconti con la malattia mentale, che si conclama anni dopo come sindrome bipolare, segna un passaggio tra il prima e il dopo.  I ricoveri ospedalieri e la fatica di quei giorni sono all’origine della sua nuova spinta creativa, quando mette vie matite e colori e comincia a scrivere. I suoi brevi racconti si fanno sempre più fitti, prima sulle bacheche dei social network e ora, per la prima volta, raccolti in un libro.

Tutti i racconti, intrisi della proverbiale amarezza della creatività di Danielle, trattano il tema della sconfitta e della perdita, senza alcuna deriva sentimentale né pretesa di riscatto individuale.

Sono soprattutto donne le protagoniste dell’universo creativo di Danielle, il solo soggetto umano che ha sempre ritratto nei suoi quadri, in una sorta di ossessione monotematica. Nei racconti invece, come linfa nuova, ci si presentano per la prima volta anche protagonisti maschili: Giovanni, lo zio Marcel, il professor Pedretti…

«Sono nata e cresciuta in un contesto prevalentemente femminile: le sorelle, le amiche, gli amori … donna sono poi io, un cammino di identificazione faticoso e non scontato, al cui traguardo approdo felice in età avanzata, appena in tempo per incontrare l’altro sesso».

È proprio una casa editrice di stampo femminista che si è fatta carico di lanciare questo primo libro, VandA Edizioni: «devo tutto ad Angela di Luciano e Vicki Satlow, due matte, talmente matte da investire su di me. Comunque, non amo cadere nel cliché del femminismo che dipinge le donne come creature angeliche. Le mie donne sono vere, crude, capaci di compiere il male, né più né meno degli uomini».

«Questo libro nasce sotto l’ala di un miracolo, che mi ha consentito di uscire dalla notte della malattia e di venirla a raccontare. Ma la ragione più profonda è racchiusa nella dedica a Barbara, mia sorella, che da sempre è l’ispiratrice più profonda della mia creatività. Sarebbe corretto dire che il libro è stato scritto a due anime».

È forte anche il tema dell’ebraismo, da cui «non si scappa». Ma è quell’ebraismo contaminato, laico, che si sono portate dietro tante famiglie esiliate: «una rete di superstizioni, modi di fare, modi di dire, trasmessi alle generazioni ‘occidentalizzate’». Un ebraismo con il quale la scrittrice ha sempre avuto un rapporto controverso, tra tentativi di assimilazione e riscoperta delle origini. Per un ebreo «è inevitabile fare ritorno. Io non sapevo che avrei scritto un libro sugli ebrei, ma alla fine devo riconoscere che l’ebraismo è la struttura portante del mio libro».

Anche il titolo parla di ebraismo: «Papà mi raccontava che quando viveva in Libano gli ebrei spesso venivano chiamati cani, e a Beirut non ci sono più cani».

I racconti sono per la maggior parte ispirati a episodi autobiografici – benché senza alcuna pretesa di realismo – giocati in bilico tra la modernità occidentale e la cultura secolare araba. Altri racconti, ambientati negli anni dell’esodo ebraico dai paesi arabi, si svolgono in Libano, Egitto, Siria, in una sorta di omaggio tardivo verso quel che non c’è più. Non mancano ulteriori personaggi claudicanti, presi in prestito dai tempi presenti: la piccola, pura Mirella nelle mani di una nonna avida; il portinaio Mario che abusa della giovane inquilina; Alda, la donna che vuole fare un figlio su commissione perché ha bisogno di soldi…

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“Senza azione”. Un libro di Antonella Ortelli.

Articolo di Alba Robustelli originariamente apparso qui 

Agilissime, e pure senza numerazione sono le pagine di questo libretto di Antonella Ortelli, per sperdersi come dentro un bosco o nell’erba, un fanciullino ci vedrebbe interessanti cose reali: formiche, grilli, piccole cavallette e maggiolini, e persino al crepuscolo le lucciole.

E basta aprire la biografia, prime dieci pagine, poi una o due qui e là…  qualsiasi parola o riga, ne resti incantata progressivamente, sempre di più, e ancora di più… Dovendo smettere, per un arrivederci, mi sono accorta che non lo volevo lasciare, e ne ho morso un pezzetto di copertina, in alto, a sinistra. Ha un aroma giapponese ed una carta soavissima.

Autocoscienza siamo in poche, ma tutte lo siamo con buona ragione – questo libro ci rappresenta tutte. Chi può, lo legga. Poi, se vuole, lo distribuisca: è snellissimo e scivola in tasca. In più: merita di trovare piccole e grandi lettrici, e soprattutto visibilità. Perfetto regalo ad amiche ed amici preziosi, ai familiari…, insegnanti, vicini di casa simpatici, all’infinito…Sinteticamente ecco la mia opinione personale: un piccolo inaspettato capolavoro. Qualcuna vi leggerà Antonella, altre se stesse o proprie sensazioni…

È poesia pura ed autocoscienza pura: ma con un particolare carattere; e ancora di più c’è da intravvedere…
Grazie oceanico a chi ha aiutato l’autrice in questo lungo travaglio (Anna Teruzzi che ne ha curato la grafica e Cosimo Quartana per il bel ritratto), lei che, come anguilla, si tutela da ogni forma di autoincensamento o autoinganno.
Lo proporrò a chiunque ne sia degno, è talmente poetico… e pochi leggono.

Ma la poesia è immortale. Chiudo e… ritorno al sonno soave, sto  insieme alla mia bestia preferita di oggi. Una capra. E domani quale bestia? Onore a tutte, tutte. Me lo appoggio e dormo sulla pagina, beatamente sino all’alba. Mi bastano altre due ore di sonno, d’ogni sogno…

Senza azione (Milano, VandA edizioni, 2022) verrà presentato nello Spazio da Vivere della Casa delle Donne giovedì 19 gennaio 2023, alle ore 18:00.

Dialogheranno con l’autrice Annamaria TeruzziChiara MartucciGiulia Kimberly ColomboGiuliana Peyronel.
Azione teatrale di Irene Quartana.