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Libertà di prostituirsi?


di Mira Furlani, 16 maggio 2019


Sabato 11 maggio 2019 alle ore 18.00 mi sono sintonizzata sulla pagina facebook di Dialogo-Libreria delle donne di Milano, e ho ascoltato in streaming l’incontro intitolato Prostituzione: né sesso, né lavoro. L’incontro si basava sul testo Né sesso né lavoro. Politiche sulla prostituzione di Daniela Danna, Silvia Niccolai, Luciana Tavernini, Grazia Villa, pubblicato da VandA.epublishing.

L’incontro, che si svolgeva nella sede della Libreria delle donne, era condotto dalla giornalista Mariangela Mianiti che ha animato la discussione con due delle autrici: la curatrice e sociologa Daniela Danna e la costituzionalista Silvia Niccolai.

Sia gli interventi delle due autrici che il dibattito che ne è seguito sono stati estremamente interessanti. Mi ricordo che a un certo punto Luisa Muraro ha affrontato la questione della libertà di prostituirsi e nel rispondere all’intervento di una giovane donna presente all’incontro, Luisa ha detto che sì, la giovane interlocutrice era libera di prostituirsi, ma in privato. Non ricordo bene tutto il resto. Ho cercato di riascoltare lo streaming in differita, ma fra i video pubblicati su you tube nella pagina della Libreria, purtroppo ancora non è comparso.

Di questi tempi mi sono trovata spesso in difficoltà nel discutere con donne, giovani e meno giovani, del desiderio e della libertà di poter usare il proprio corpo a piacimento nella prostituzione. Una discussione del genere è stata difficile perfino con una mia parente che difendeva la libertà delle donne di prostituirsi secondo il proprio desiderio. Una posizione difficile da contrastare perché frutto dell’ideologia neoliberista della nostra epoca e che resta incomprensibile per quelle che, come me, hanno letto il libro di Rachel Moran (Stupro a pagamento. La verità sulla prostituzione, Ed. Round Robin). Così, non soddisfatta della risposta ascoltata nello streaming, ho deciso di scrivere a Luisa Muraro una mail facendole la seguente domanda:«Cara Luisa, mi puoi dire, in breve, in che senso una si può prostituire in privato? Mi pare che Rachel Moran abbia scritto che farlo in privato o pubblicamente è sempre stupro a pagamento».

Ecco la pronta risposta di Luisa Muraro:

«Cominciamo con l’impostazione del problema, che è sempre la cosa trascurata, essendo secondo me la prima se non la più importante mossa da fare per ragionare bene. Ci troviamo sulla scena politica di oggi, nessuna di noi si trova nella posizione di Rachel Moran, alla quale riconosciamo per altro una grande autorità in questo tema. Noi siamo in Italia, ci interessa (a me e altre) impedire la manomissione della legge Merlin (una eventualità che incombe) e ci sono giovani donne (incoraggiate da uomini politicamente impegnati, di sinistra) che reclamano pubblicamente la libertà di prostituirsi. Questione n. 1: che cosa reclamano queste giovani donne (esclusi ovviamente quelli/e che le citano strumentalmente), che cosa reclamano da me e dal femminismo critico verso la pratica sociale della prostituzione?

Cerco di capirlo e rispondo alla giovane donna con cui mi sto idealmente confrontando (è successo anche realmente): se tu vuoi mettere il tuo corpo a disposizione di qualcuno desideroso di fare sesso e disposto a pagarti, guarda che la legge non te lo impedisce. Non solo: se è questo che desideri, io ti dico di farlo. Sono una femminista che ha sempre difeso il desiderio femminile. La legge, d’altra parte, non te lo proibisce. Per parte mia aggiungo una sola cosa: ti chiedo di farlo con riservatezza, penso a te (fare sesso è qualcosa che non si esibisce, che sia gratis o a pagamento, come la masturbazione o altre attività erotiche) e penso a un altro aspetto della faccenda: se tu pretendi che la prostituzione sia riconosciuta dalla legge come un tuo diritto, cioè come un’attività commerciale al pari di tante altre, tu apri le porte al commercio dei corpi femminili, non solo, le apri anche al dovere che la legge ha di tutelare tutte le attività lecite. Apri cioè le porte ai bordelli, ai quartieri a luci rosse, alla pubblicità e a tutto quello che fa sentire a posto un uomo che mette le mani sul corpo di una donna qualsiasi, sentendosi autorizzato dal fatto che la paga. E faciliti così enormemente la tratta di donne costrette a prostituirsi. Tu puoi dire in buona fede: non è questo che voglio, ma è questo che capita. Perciò ti dico: realizza quello che desideri senza chiedere autorizzazioni (dalla legge o dall’autorità femminile) che non sono necessarie. A questo cambiamento di natura simbolica che, dietro alla finzione neoliberista della libertà, ci riporterebbe alla civiltà patriarcale, io mi oppongo. E ti chiedo di realizzare il tuo desiderio o il tuo bisogno con tutta la riservatezza possibile: lo chiede la pratica della sessualità non pornografica, lo chiede la politica delle donne. Ciao, Luisa.»

Ho avuto l’autorizzazione da Luisa Muraro di pubblicare questa sua risposta che io ho trovato chiara e realista e penso sia necessario e urgente farla conoscere. Bisogna che, in qualche modo, venga pubblicata e divulgata, fatta leggere a donne e uomini, giovani e meno giovani, a madri e a nubili e anche a uomini di buona volontà (ne esistono, per fortuna). È cosa urgente. Grazie a Luisa.

(www.libreriadelledonne.it,15 maggio 2019)


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Prostituzione: esiste la libera scelta?


di Giovanna Pezzuoli (27esima ora, 12 maggio 2019)


– «Nè sesso nè lavoro»

«Io non lo farei mai, ma se qualcuna vuole farlo perché proibirglielo?», «È una libera scelta, non bisogna essere giudicanti», «Si deve legalizzare, se stanno al chiuso sono più protette». Ebbene sì, stiamo parlando di quello che viene definito «il mestiere più antico del mondo» e dei luoghi comuni, slogan, semplificazioni, fraintendimenti, che accompagnano le politiche sulla prostituzione, messi in luce da un libro per molti aspetti chiarificatore, Né sesso né lavoro (VandA.ePublishing, 2019), firmato da quattro autrici, la sociologa Daniela Danna, la costituzionalista Silvia Niccolai, la storica Luciana Tavernini e l’avvocata Grazia Villa. Se ne è parlato l’altra sera in un vivace e affollatissimo dibattito alla Libreria delle donne di via Calvi 29, dove si notava la presenza anche di molte giovani. Tutte (e tutti, visto che non mancava qualche uomo) coinvolte nella riflessione su un fenomeno complesso, di recente ritornato all’attenzione delle cronache, sia per le sentenze delle Corti Costituzionali italiane e francesi che hanno respinto, nel primo caso (il 6 marzo) il ricorso contro l’incostituzionalità della legge Merlin, nell’altro (il 2 febbraio) il ricorso contro la «penalizzazione» dei clienti, prevista dal modello nordico o neo abolizionista, adottato anche in Francia, Irlanda, Irlanda del Nord, Canada, Islanda e Norvegia, e dal 2020 in Israele.

Altro evento recente, la consegna, il 10 aprile, al Parlamento olandese di una petizione, con 42 mila firme, contro l’attuale regolamentazione (case chiuse) e a favore dell’introduzione del modello svedese (che prevede appunto non punibilità della prostituta, la punibilità del cliente e percorsi di sostegno per chi esce dall’attività).

Il modello svedese toglie la donna che si prostituisce da una posizione di inferiorità, ha sottolineato Silvia Niccolai, come già faceva la legge Merlin (promulgata in Italia il 20 febbraio del 1958), che denunciava il concetto di fondo della prostituzione, ovvero che il denaro compri il consenso per l’accesso a un corpo, denaro che assolve e risolve in questa «Idra alla quale non si è mai tagliata la testa», il ruolo del cliente o «prostitutore». Ma Lina Merlin, una socialista, umanitaria, con una forte sensibilità per le ingiustizie del mercato, si interrogava sui compiti dello Stato. La domanda era: la prostituzione è una fonte di profitto che lo Stato intende incoraggiare?

Cominciamo dunque a non lucrare sulla vendita dei corpi, invece la narrazione diffusa è che si tratti di una legge moralista. Di fatto i giudici hanno spesso tradito la legge Merlin, prosegue l’autrice, rifacendosi al codice Rocco che lasciava le donne libere di prostituirsi ma puniva comportamenti come violenza, sfruttamento, «condotte disfunzionali» che danneggiavano le case chiuse. Lina Merlin invece chiude i bordelli, vietando lo sfruttamento economico della prostituzione, ma non qualifica come punibile l’attività della prostituta che ha diritto alla piena cittadinanza. Le interessa cancellare lo stigma. Del resto, aggiunge Luciana Tavernini, Lina Merlin prima di formulare la legge ha letto le testimonianze, spesso drammatiche e desolanti, di oltre duemila donne delle case chiuse, tra cui molte lettere (una selezione pubblicata nel 1955 è ora scaricabile dal sito della Fondazione Anna Kuliscioff). Che senso avrebbe dunque punire chi subisce violenza?

L’accusa di moralismo alla legge deriva dal fatto che impedirebbe alla donna che si prostituisce di trasformare la propria attività in un’impresa. Il focus della legge non è il comportamento della donna ma l’attività economica che si svolge attorno a lei. È interessante, nota Daniela Danna, il fatto che il discorso a favore delle sex workers, ovvero dell’idea che le prostitute siano lavoratrici del sesso tout court, non sia diffuso soltanto fra governanti di destra ma anche tra le giovani generazioni con visioni progressiste e radicali. Secondo la sociologa, è proprio l’obiettivo delle politiche neo liberali ridurre tutto a mercato, invadendo la sfera personale/sessuale, mentre la vita lavorativa subisce la progressiva erosione di ogni tutela. Con l’illusione di una libera scelta e di un allargamento dei diritti delle donne, tutti i rapporti umani finiscono per essere regolati dai mercati, come nella gravidanza per altri e nella compravendita di neonati.

La prostituzione non è il mercato del sesso, ma il «mercato dell’abuso», dice ancora Daniela Danna, l’asimmetria messa in luce dalla legge Merlin è il nocciolo della questione. Chi compie l’abuso? Ogni uomo che paga, è un consenso comprato. In questo senso è un passo in avanti il modello svedese che multa i clienti, un segnale che ci sono limiti a ciò che si può fare al corpo di un’altra.

Quanto alla libera scelta come parola d’ordine, è appassionato l’intervento di Marisa Guarneri, del Cadmi di Milano, che dalla sua esperienza con le donne maltrattate ha tratto la convinzione che in situazioni di forte violenza la libera scelta non esiste. Così nel dibattito sulla prostituzione parole come libertà e libertà di scelta sarebbero solo mine vaganti. La tematica della libera scelta fa parte del linguaggio utilizzato dai movimenti radicali che inconsapevolmente usano termini neo liberisti. La libertà non è scegliere fra due alternative concesse ma capire come realizzarsi sviluppando al meglio le proprie potenzialità.

Parlare di sex workers sembrerebbe un modo per ridare dignità alle «puttane», sottolinea Daniela Danna, ma non è così. In Australia dove la prostituzione nei bordelli è legale, tra i consigli dati alle prostitute c’è quello di non usare anestetici locali altrimenti «non vi potete rendere conto di quanto il cliente vi sta facendo male». Nella richiesta di essere riconosciuta come sex worker Luisa Muraro coglie il desiderio di avere un minimo di dignità. Ed è proprio quello che ha tentato di fare Lina Merlin, non punendo la prostituta ma impedendo che si costruisse un’industria, privata o di Stato, sul suo sfruttamento.

Daniela Danna, Silvia Niccolai, Luciana Tavernini e Grazia Villa«Nè sesso nè lavoro. Politiche sulla prostituzione»VandA.e Publishing 15.99 euro
Daniela Danna, Silvia Niccolai, Luciana Tavernini e Grazia Villa «Nè sesso nè lavoro. Politiche sulla prostituzione» VandA.e Publishing 15.99 euro

Ci accusano di essere «proibizioniste», dice ancora Danna, ma il proibizionismo vieta l’uso di sostanze, mentre qui si tratta dell’uso delle persone. È un’arma retorica contro l’abolizionismo, termine che non a caso evoca le lotte dei movimenti abolizionisti che volevano eliminare la schiavitù.

Ma che senso ha impegnarsi nella difesa di una legge, peraltro in Italia molto maltrattata ed elusa, si chiede infine Silvia Niccolai. Non si tratta tanto di dire com’è bella questa legge, quanto di raccoglierne l’eredità, riconoscendo la validità del principio che non si può regolamentare la sfera privata. Per quanto abbia letto con dolore il libro di Rachel Moran Stupro a pagamento. La verità sulla prostituzione, Silvia capisce ma non condivide la scelta di punire il cliente, che in fondo non fa altro che «comprare una finzione». Piuttosto serve una riflessione, uno sguardo di donna sulla prostituzione, come cerca di fare Luciana Tavernini, ripercorrendo i rapporti fra femministe e prostitute dall’inizio del Novecento (quando Ersilia Majno fondò a Milano l’Asilo Mariuccia per adolescenti «traviate») ad oggi, interrogandosi sul senso del lavoro ed esplorando nuove possibili alleanze tra lavoratrici e lavoratori e prostitute «perché combattere contro la prostituzione non significa combattere contro queste ultime, ma, come con lo schiavismo, lottare per la dignità del lavoro dipendente e di chi lo fa».

A completare il libro, l’avvocata Grazia Villa mette a confronto i 22 progetti di riforma della legge Merlin depositati in Parlamento nelle ultime due legislature e nell’attuale, cogliendo gli elementi comuni a posizioni politiche che sembrano proporre concezioni differenti dei rapporti fra i sessi.

Restano tuttavia aperte molte questioni, a partire dal dilemma che veniva formulato da Bia Sarasini nella riproposta, nel 2012, del libro Sesso al lavoro di Roberta Tatafiore: perché aumenta la domanda di rapporti sessuali a pagamento in un’epoca in cui le donne non sono più inaccessibili fortezze da espugnare? Ovvero, che cosa cerca oggi chi vuole comprare sesso? E ancora: è giusto definire prostituta chiunque venda l’integrità del proprio corpo per denaro? È possibile tracciare un confine netto fra donne per bene e malefemmine? Problemi che coinvolgono soprattutto le nuove generazioni, frastornate dalla continua offerta dei corpi femminili in uno spazio pubblico e simbolico interamente permeato dal sesso commerciale.

E qui si coglie meglio il senso di quella domanda Why not? formulata da giovani che vendevano i loro corpi a pagamento, alimentando un immaginario, certamente distorto ma diffuso, per esempio in film come Giovane e bella di François Ozon, con la storia della doppia vita della diciassettenne Lèa che partendo da una sessualità vissuta con disagio, sceglie di prostituirsi non per necessità, né per denaro ma quasi per curiosità o forse per gioco.


 

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Ecco perché il «sex work» non esiste: 8 falsi miti sulla prostituzione


di Antonella Mariani (Avvenire, 8 maggio 2019)


Non è una scelta, non è libertà né autodeterminazione. E la Legge Merlin è ancora viva e vegeta. In un saggio quattro studiose spiegano perché la prostituzione si deve abolire. Come la schiavitù.

La prostituzione può essere considerata un lavoro? No, per nulla. Il sex work (come ora si usa dire per nascondere la realtà dei fatti, cioè la sopraffazione e l’abuso nascosti in un rapporto sessuale a pagamento) non è affatto un lavoro. E non è nemmeno sesso. Con passione e competenza quattro esperte in diversi campi analizzano il mercato del sesso in Italia, un Paese in cui una ottima legge (la Merlin del 1958), animata da una forte tensione etica, è ancora ben lungi dall’essere applicata fino in fondo: la lotta alla tratta non è una priorità e sulla prostituzione vige il laissez-faire, mentre si moltiplicano proposte di legge che mirano, sessant’anni dopo, alla riapertura delle case chiuse.

In “Sew work, né sesso né lavoro” (VandA, pagg. 208, euro 15,90) la sociologa Daniela Danna offre uno sguardo sulle politiche sulla prostituzione in vari Paesi del mondo. La giurista Silvia Niccolai ripercorre la vita travagliata della Legge Merlin, che oggi si vorrebbe ingiustamente smantellare, l’avvocata Grazia Villa commenta le tante proposte di legge avanzate in Italia e infine la pedagogista Luciana Tavernini ragiona sul rapporto tra gli uomini e la prostituzione, e tra quest’ultima e il femminismo, anche alla luce del movimento antimolestie #Metoo.

Nel complesso, un libro prezioso, che offre un contributo di documentazione e di riflessione per chi è convinto, come lo sono le autrici, che la linea giusta sia quella di abolire la prostituzione, così come in passato si è arrivati a cancellare la schiavitù. La presentazione del libro si terrà sabato 11 maggio alle 18 alla Libreria delle Donne di Milano, presenti Danna e Niccolai.

Servendoci dei contenuti di questo libro, largamente citati, abbiamo provato a sfatare alcuni tra i falsi miti più diffusi sulla prostituzione.

1) La prostituzione può essere una scelta, espressione della libertà sessuale e dell’autodeterminazione femminile. FALSO

Molte ex prostitute (le cosiddette sopravvissute, la più famosa delle quali è Rachel Moran che ha raccontato la sua esperienza in Stupro a pagamento) chiariscono come la prostituzione non è mai una libera scelta, nemmeno quando si tratta delle cosiddette escort. Nessuna donna può essere felice di essere umiliata e trattata come una merce. Chi si prostituisce di fatto rinuncia alla sua autodeterminazione sessuale, quindi alla sua libertà. Chi difende la (presunta) libertà della donna di prostituirsi in realtà difende la possibilità del cliente di approfittare del suo corpo. Quanto alla libertà di impresa economica, essa non ha diritto di essere riconosciuta come tale se genera profitti ingiusti, come pensava la senatrice Lina Merlin richiamandosi all’articolo 41 comma 2 della Costituzione (L’iniziativa economica privata (…) non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana). La prostituzione, anche se “libera”, rientra nel caso di un’economia immorale che alimenta i suoi profitti con lo sfruttamento puro e semplice del corpo delle donne. La prostituzione, in conclusione, è la negazione della libertà: è la dimostrazione che tutto – perfino la sfera sessuale – è misurabile con denaro, in un’ottica biecamente consumistica e capitalistica.

2) Si deve legalizzare la prostituzione: se le donne stanno al chiuso sono più protette. FALSO

Chi sostiene questo sta dalla parte degli sfruttatori e dei trafficanti di esseri umani che riforniscono i bordelli della merce-sesso. L’esperienza dimostra che oggi, in Germania come negli Stati Uniti, nei bordelli legali si trovano normalmente donne vittime di tratta, in gran parte straniere, soggette a violenze sessuali e in generale fisiche in misura ancora maggiore di coloro che esercitano “all’aperto”, dato che i clienti, poiché hanno pagato e si trovano in una situazione priva di rischi, si sentono legittimati a fare ciò che vogliono.

3) Con la legalizzazione almeno le prostitute pagherebbero le tasse e il Pil sarebbe più alto. CINICO

È quantomeno cinico considerare lo sfruttamento del corpo delle donne come una economia “sommersa” da far emergere, per partecipare anch’essa alla crescita del Pil. “Ce lo chiede l’Europa”, è la giustificazione che porterebbe, in nome del dio-Pil, ad abbatterebbe ogni confine alla mercificazione femminile.

4) Il lavoro sessuale (sex work) è un lavoro come gli altri. FALSO

Niente affatto, e lo dimostrano le testimonianze di chi è uscito dal “mercato”, che parlano di umiliazioni e soprusi continui. Ma è l’idea stessa di scambiare rapporti sessuali con denaro ad essere contraria alla dignità della donna e alla parità di genere. Nonostante la prostituzione sia regolamentata in diversi Paesi, la sessualità non è un bene commerciabile. Il termine “servizio sessuale” nasconde l’abuso; legalizzare il lavoro sessuale significa trasformare il corpo della donna in luogo di lavoro e legalizzare l’abuso sessuale. La differenza soggettiva con uno stupro è solo perché si è pattuito di non fare resistenza. Il “lavoratore del sesso” rinuncia alla propria sfera intima e mette sul mercato non solo la propria forza lavoro ma principalmente l’intimità sessuale, cosa che è strettamente tutelata in qualsiasi altro impiego. In ogni lavoro ogni sopraffazione, ogni abuso sono severamente perseguiti dalla legge, qui invece ne sono parte essenziale. Quindi, sex work non è lavoro. E non è nemmeno sesso.

5) Poter esercitare il sex work è un diritto umano. FALSO

Questo è il falso mito diffuso in particolare da alcune agenzie per i diritti umani (tra cui Human Right Watch, l’Oms, Unaids e Amnesty International), secondo il quale i sex workers sono un gruppo oppresso. In realtà il diritto che il modello del sex work difende è quello di chi compra, che vuole essere libero di offrire denaro per ottenere una prestazione sessuale. Chi la vende, invece, è solitamente in uno stato di bisogno. E le persone più deboli della società dovrebbero poter far valere ben altri diritti umani: al cibo, alla casa, alla sanità, al lavoro.

6) La prostituzione è una cosa, la tratta è un’altra. INGENUO

Chi sostiene questo finge di non sapere che per un cliente non c’è nessuna differenza tra “merce libera” e “merce trafficata”. Anzi, la maggior parte dei clienti cerca ragazze molto giovani, poco più che bambine. Come può credere che siano libere? In alcuni ambienti utraliberisti la finzione è così avanzata che si cancella la parola tratta per parlare di migrazione per il sex work. Al contrario la posizione abolizionista, condivisa da una parte importante e qualificata del mondo femminista, “considera la tratta non il caso particolare di ciò che di malvagio accade nella prostituzione, ma che l’acquisto dell’accondiscendenza al proprio sfogo sessuale diretto sul corpo altrui – quasi sempre femminile – è violento e inumano di per sé” (Daniela Danna).

7) Non ci sono solo donne nel mercato del sesso. IRRILEVANTE

No, ma sono la maggioranza. La narrazione di persone transessuali e ragazzi gay che rivendicano di scegliere la prostituzione non può oscurare le voci, sempre più numerose, di ex prostitute (le sopravvissute) che denunciano il falso mito della libertà di prostituirsi.

8) La Legge Merlin ha fatto il suo tempo. Bisogna prendere atto che è superata. FALSO

La Legge Merlin stabiliva un principio tuttora valido: il corpo di una donna non può essere oggetto di regolamentazione pubblica, perché questo offende l’eguaglianza e la libertà di ciascuna e mette a repentaglio le coordinate di una convivenza civile. Non considera affatto l’attività della prostituta lecita o libera, ma vuole tutelare la donna che si prostituisce come una cittadina, e rivolgere il suo giudizio d’immoralità non alle prostitute ma al mercato che le sfrutta. La Legge Merlin non è superata, bensì attualissima: persegue la libertà dalla prostituzione, cioè dal non essere considerati una merce in vendita.


 

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Siracusa. Dizionario sentimentale di una città


(Luoghi d’autore, 17 aprile 2019)


Certo un omaggio alla città, ma soprattutto un grande dono ai suoi visitatori, che in qualche ora, i più fortunati in qualche giorno, desiderano cogliere l’anima del luogo. Nel volume Siracusa. Dizionario sentimentale di una città, di Giuseppina Norcia, troviamo espresse in parole emozioni, sensazioni, suggestioni che proviamo andando per le vie di Ortigia;  i vicoli e le stradine che si incrociano, stupiscono il viaggiatore, riportando alla sua memoria luoghi già visti e vissuti: i palazzi e i cortili ricordano il Casco Antiguo di Palma de Mallorca, i muri scrostati e le case abbandonate l’esotica Stone Town di Zanzibar. In questo viaggio nel tempo, sovrapponendo luoghi e cercando i tanti segni del passato, ti accorgi poi anche  che Ortigia rivendica semplicemente e fortemente la sua identità.

Scrive Maria Grazia Ciani nella nota sentimentale, fra le pagine introduttive al volume: « non guida, quanto piuttosto “lettura” di una città, descrizione e memoria storica, rivelazione dell’antico come moderna epifania. Un andirivieni tra il passato che ammicca da ogni angolo e il presente che convive con il ricordo del passato […]»

Racconta Guseppina Norcia nel suo prologo: «Ho dovuto guardarla da lontano per vederla intera […] Poi l’ho abitata ancora. E ho lasciato che mi abitasse. Ne ho cercato l’anima che si rivela senza dissimularsi in maschera, che non lascia la sua luce scivolare via nei sotterranei imprendibili».

Un volume davvero prezioso il Dizionario di Giuseppina Norcia che ho trovato in una storica libreria di Siracusa, nella Casa del libro di Rosario Mascali.  Nota come Libreria Mascali, nel passato fu importante luogo di incontro e di passaggio di vari scrittori fra cui Salvatore Quasimodo, Elio Vittorini, Vitaliano Brancati, Leonardo Sciascia, per citare solo alcuni fra i prestigiosi visitatori.


 

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Presentazione “Né sesso né lavoro”

 Né sesso né lavoro vuole fornire, un contributo indispensabile al dibattito su prostituzione/sex work in Italia. Un testo importante per chi vuole capire qualcosa in più sulla prostituzione e sfilare la testa dalla sabbia dei luoghi comuni, andare oltre slogan sempre più diffusi che, volendo sdoganare la questione, negano gravi problemi sociali e mentono spudoratamente. Il sex work non è un lavoro come un altro, il concetto stesso di sex work stravolge il senso sia del sesso sia del lavoro. Forti di competenze specifiche, le quattro autrici mostrano i differenti aspetti del fenomeno in un’analisi calata nella peculiare realtà dell’abolizionismo tradito nel nostro paese, dove la lotta alla tratta non è una priorità e dove sulla prostituzione vige il laissez faire. Dall’esame dei modelli di politiche internazionali all’analisi della Legge Merlin (male interpretata) e delle numerose proposte parlamentari di modifica della legge, all’appassionata riflessione sulla portata della prostituzione negli attuali rapporti umani.

Le autrici
Daniela Danna è sociologa all’Università del Salento e si occupa di questioni di genere, analisi dei sistemi-mondo, rapporto società-ambiente, decrescita.

Silvia Niccolai è ordinaria di diritto costituzionale all’Università di Cagliari.

Luciana Tavernini ha partecipato dagli anni Ottanta all’Associazione Melusine, alla Pedagogia della differenza e poi alla Comunità di pratica e riflessione pedagogica e ricerca storica, ora Comunità di storia vivente. Ha insegnato nelle scuole medie, nei corsi 150 ore e italiano a donne straniere.

Grazia Villa è dal 1985 avvocata per i diritti delle persone (donne, lavoro, minori, famiglia, vita indipendente, immigrazione, cittadinanza, libertà). Con le donne ha promosso molte cause pilota in materia di riconoscimento di diritti nei luoghi di lavoro, costituzione di parte civile nei processi di stupro e violenza sessuale, denunce relative a molestie e stalking, tra queste la prima condanna per reato di schiavitù nel 2000.


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Daniela Danna a Pescara


Pescara, 18 maggio 2019


– Daniela Danna presenta Dalla parte della natura

 

In un dialogo “a tu per tu” con l’umanità, la Natura, in una sorta di personalizzazione letteraria, “ci parla”, affrontando tematiche nevralgiche della nostra odierna civiltà: equilibrio ambientale, disuguaglianza sociale, predominio delle multinazionali, visione libera della sessualità. Con un approccio ecofemminista, questo breve ma fulminante pamphlet attacca il sistema capitalista e patriarcale caratterizzato dalla supremazia maschile, dove donne, animali e ambiente appartengono a categorie analoghe, considerate come proprietà e beni da dominare e sfruttare. E anche se noi esseri umani siamo parte della Natura, questo mondo ha tracciato un solco cosi profondo tra noi e lei, da renderla non solo estranea, ma addirittura ostile nemica. Queste semplici pagine sono un invito a conoscerla meglio, allo scopo di rispettarla. E in questo processo, cambiare noi, smettendo di modificare lei.

 

Daniela Danna è sociologa e si occupa di questioni di genere, analisi dei sistemi-mondo, rapporto società-ambiente, decrescita. Le sue ultime pubblicazioni sono Fare un figlio per altri è giusto… (Falso)! (Laterza, 2017), Maternità. Surrogata? (Asterios, 2017), La Piccola Principe (VandA ePublishing 2018), Il peso dei numeri: Teorie e dinamiche della popolazione (Asterios, 2017). Vi aspetta sul sito Web  www.danieladanna.it.


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Il mito di Pretty Woman: l’inganno liberista della prostituta felice


di Antonella Mariani (Avvenire, 16 aprile 2019)


– «È sempre sfruttamento e abuso, anche quando è legale. Un’abile mistificazione alle spalle delle donne più fragili». Parla la giornalista Julie Bindel, autrice di una inchiesta internazionale

Ha visitato i bordelli legali in Australia, Germania, Nevada, Olanda; ha intervistato in tutto il mondo decine di sopravvissute alla prostituzione, proprietari di case di appuntamenti e di agenzie di escort, uomini di governo e compratori di sesso, attivisti per la legalizzazione del «lavoro sessuale» e femministe che al contrario lottano per la sua abolizione. La giornalista britannica Julie Bindel ha compiuto la più vasta ricerca mondiale mai effettuata sulla prostituzione, indagando sui meccanismi che regolano il business e sulle condizione delle donne che vi sono coinvolte. I risultati dell’indagine che le è costata due anni di lavoro e decine di viaggi in tutti i continenti sono condensati in Il mito Pretty Woman (VandA-Morellini, pagine 318, euro 17,90). Un titolo curioso, che già rivela le conclusioni dell’autrice: la lobby dell’industria del sesso anno dopo anno ha «spacciato» l’immagine falsa della «prostituta felice» – a cui peraltro ha dato una grande mano il celebre film interpretato dal Julia Roberts e Richard Gere –, celando la pura e semplice verità per ragioni di bottega: la prostituzione è sempre abuso e sopraffazione, mai libera scelta, e chi afferma – parte del femminismo compreso – che il «sex work» è un lavoro come gli altri e come tale va garantito, commette una crudele mistificazione alle spalle delle donne più fragili e marginali.

Julie Bindel, perché oggi si parla tanto di ‘sex workers’ come se si trattasse di normalissimi lavoratori e lavoratrici?

Grazie all’appoggio di enti come Human Rights Watch, Organizzazione mondiale della salute, Unaids e Amnesty International, il movimento per i diritti dei ‘sex workers’ può presentarsi al mondo come fondato sulla liberazione di un gruppo oppresso. Uno degli argomenti più ridicoli usati da questi cosiddetti gruppi per i diritti umani, è che grazie alla depenalizzazione della prostituzione diminuirà la violenza della polizia e degli sfruttatori contro le donne prostituite. Un altro argomento è che i nuovi casi di Hiv si ridurranno in modo significativo perché i protettori avranno l’obbligo di far usare i preservativi. Ma come ho visto visitando i bordelli legali in Nevada, Germania, Olanda e Australia, è impossibile applicare una ‘regola del preservativo’. In Nevada, ad esempio, alle donne è richiesto di sottoporsi ogni settimana a esami del sangue per assicurare ai protettori che sono sane, dato che molti uomini vogliono acquistare sesso senza protezione. La verità è che il neoliberismo ha innalzato il libero mercato del sesso al di sopra dei diritti umani, in particolare di quelli femminili. Un approccio corretto dovrebbe invece tutelare i diritti delle donne e degli uomini vittime del commercio sessuale. Questo è ciò che accade in Paesi come la Svezia, la Francia e la Repubblica d’Irlanda, che hanno adottato il modello abolizionista, in cui vengono criminalizzati coloro che creano la domanda, cioè i clienti.

Perché l’approccio abolizionista ha molto meno seguito rispetto a quello che reclama la libertà di prostituirsi?

Perché esiste la convinzione che ci saranno sempre uomini che pagano per il sesso e donne che lo vendono. La prostituzione, insomma, appare ‘necessaria’ e in qualche modo un ‘diritto’ del consumatore. I liberali sostengono inoltre che la depenalizzazione di tutte le modalità della prostituzione, compresi i bordelli, renda più sicure le donne e più facile sradicare gli abusi e lo sfruttamento. In quest’ottica i ‘sex workers’ possono essere protetti dai sindacati e da provvedimenti di sicurezza e sanità. Negli ultimi anni, questi argomenti purtroppo si sono fatti strada. Nel 2000 l’Olanda ha formalizzato ciò che era già culturalmente accettato, revocando il divieto ai bordelli e liberalizzando il commercio sessuale. Tre anni dopo, il governo neozelandese ha approvato, con un solo voto, la legge che ha completamente depenalizzato la prostituzione di strada e le case chiuse.

Cosa sostengono invece gli abolizionisti, categoria alla quale lei appartiene?

Gli abolizionisti respingono la descrizione provocatoria di ‘sex work’ e riconoscono che la prostituzione è violenza in un mondo neoliberale in cui la carne umana è diventata una merce, e sfruttamento unilaterale che affonda le radici nel potere maschile. Ritengono che la strada giusta sia aiutare le donne a uscire dal commercio sessuale e criminalizzare la domanda.

Anche il femminismo è diviso sulla posizione da tenere. Perché?

Il problema è che il termine ‘lavoratore del sesso’, coniato negli anni ’80 e oggi sempre più utilizzato dalla polizia, dagli operatori sanitari e dai media, comprende chiunque: pornografi, spogliarellisti e magnaccia, così come coloro che vendono sesso. Negli ultimi dieci anni o più, la discussione sulla prostituzione è stata dominata dai criminali e dagli sfruttatori che gestiscono il commercio sessuale, mascherati da benevoli imprenditori e protettori. Le femministe liberali di tutto il mondo sono state ingannate da una lobby industriale potente e ben finanziata, che impone la sua narrazione, occulta la violenza subita dalle donne e riduce la prostituzione a un lavoro come un altro allo scopo di decriminalizzare l’industria del sesso.

Come si possono contrastare, dunque, le lobby del sesso a pagamento e ridare voce alle vittime?

Fortunatamente un numero crescente di Paesi sta considerando il modello abolizionista. Le organizzazioni femministe guidate da sopravvissute al commercio sessuale, come Space International, affermano la verità dei fatti, al contrario degli sfruttatori e dei propagandisti: la prostituzione è violazione dei diritti umani. L’ascesa del movimento abolizionista farà sì che siano ascoltati e creduti coloro che hanno fatto parte del commercio sessuale e ne sono usciti, piuttosto che coloro che traggono profitto o comunque beneficiano della vendita di carne femminile.

Nel suo libro l’universo maschile rimane sottotraccia. Non pensa che a un certo punto diventerà indispensabile cercare l’alleanza con gli uomini per combattere la prostituzione?

Sì, gli uomini devono esprimersi contro il commercio sessuale e riconoscere che è una causa e una conseguenza dell’oppressione delle donne.


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La storia di Aisha e di molte altre donne arabe raccontata da Michela Fontana


di Luciana Grillo (TM, aprile 2019)


[Nonostante il velo. Donne dell’Arabia Saudita è un] libro serio e documentato – anche ai nostri [occhi], si è aperto un mondo ricco e arcaico, dove la divisione tra uomini e donne e rigorosa. Ha avuto (e cercato) la possibilità di parlare con tante donne, per esempio con Aisha che nel 1990 aveva guidato l’automobile nelle strade di Riad, insieme ad altre li quarantasette donne…arrestate e imprigionate per una notte, interrogate e rilasciate dopo che i mariti (o i parenti prossimi di sesso maschile) sono stati convocati per riaccompagnarle a casa. Aisha è un’interlocutrice importante per Fontana, le descrive il comportamento dei giudici che rifiutano quasi sempre di ammettere all’udienza una donna che non indossi il velo totale o le impongono di parlare sottovoce, perchè la voce femminile e considerata un pericoloso strumento di seduzione. Michela Fontana ha parlato con trasporto di questa esperienza, ha affascinato il foltissimo pubblico presente, che si e accontentato di stare in piedi o di sedersi sui gradini, pur di non perdere una parola…


 

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Davvero si può essere prostitute per scelta?


di Laura Badaracchi (Donna Moderna, 10 aprile 2019) – foto di Lindsay Irene


– «La prostituzione è sempre abuso a pagamento, mai un lavoro. È un modo per dare un’apparenza rispettabile al commercio sessuale: nei paesi in cui il fenomeno è regolamentato i “papponi” sono diventati manager e le donne “sexworker”».

INCHIESTA – DAVVERO SI PUÒ ESSERE PROSTITUTE PER SCELTA?

Negli ultimi 6 mesi gli annunci delle sex worker sono aumentati del 24%. Un trend, in crescita già da anni, che ha spostato l’offerta di sesso dalla strada al web. Ma capire se dietro a questo business ci siano escort “libere” o sfruttate è difficile. Come denunciano le associazioni e un’attivista che ha indagato sul mercato delle Pretty Woman

IL PROGETTO FOTOGRAFICO

Le immagini di questo servizio fanno parte del progetto della fotografa canadese Lindsay Irene, intitolato “The sex workers”. «Volevo cambiare la percezione con cui le persone vedano le prostitute» dice Lindsay. «Ho viaggiato un anno per il Canada e ho fotografato diverse lavoratrici del sesso nella loro quotidianità. Molte di loro vivono nello stigma sociale, hanno perso figli e famiglie. Le mostro per quello che sono: persone come noi».

Secondo un’indagine EscortAdvisor.com (uno dei portali di recensioni di escort più frequentati), negli ultimi 6 mesi gli annunci di incontri sessuali pubblicati sul web sono aumentati del 24%. La ricerca rileva anche che in 10 anni il numero di donne che praticano il sesso a pagamento sulle strade è drasticamente calato: nel 2009 la percentuale di prostitute che esercitava all’aperto era l’8o% del totale, si è passati al 40% nel 2019. Le sex worker sembrano dunque aver scoperto il web e luoghi di lavoro più casalinghi (il Codacons ne segnala circa 18.000). Per Mike Marra, fondatore del sito EscortAdvisor.com che richiede alle iscritte i documenti per verificarne l’identità, «lavorare attraverso la Rete offre minori spazi per la criminalità e maggiore sicurezza». Un’affermazione, però, che non convince. Soprattutto chi da anni si occupa di proteggere le schiave del sesso.

«È difficile capire se dietro l’annuncio di una escort ci sia uno sfruttatore». Tiziana Bianchini è responsabile dell’Area “immigrazione e tratta degli esseri umani” presso la cooperativa Lotta contro l’emarginazione, che dal 2017 collabora a una mappatura nazionale della prostituzione di strada insieme al Cnca (Coordinamento nazionale comunità di accoglienza), alla Piattaforma nazionale Antitratta e al Numero verde antitratta 800290290. Oltre 60 unità di strada in tutta Italia, nello stesso giorno, monitorano sul campo le presenze di persone che si prostituiscono. «Secondo l’ultima indagine del novembre 2018, in seguito al calo degli sbarchi di migranti le nigeriane sono diminuite al 31% e aumentano le donne dell’Est, in particolare romene e albanesi» spiega Bianchini. «Quindi non possiamo parlare di calo complessivo, ma di una riduzione motivata dalle scelte politiche». E riguardo alla prostituzione in casa, che sarebbe più “sicura” e tutelata rispetto a quella in strada, Bianchini è categorica: «Per le donne si riducono ancora di più ai minimi termini le possibilità di contatti sociali esterni e quindi di chiedere aiuto. Abbiamo provato a valutare gli annunci di sesso online, scoprendo in alcuni casi che a diversi numeri di telefono corrisponde sempre la stessa persona. Difficilissimo capire se dietro la escort ci sia uno sfruttatore».

«È un’illusione tentare di regolamentare al chiuso il fenomeno per ridurre quello della strada». Lo scenario descritto dai dati e da Tiziana Bianchini fa da sfondo al dibattito che si è riaperto nel nostro Paese sulle case chiuse, dopo che il mese scorso la Corte costituzionale ha riaffermato la legittimità della legge firmata nel 1958 da Lina Merlin. Questione sollevata dalla Corte d’appello di Bari, secondo la quale la prostituzione sarebbe “un’espressione della libertà sessuale tutelata dalla Costituzione”, e quindi punire intermediatori e clienti equivarrebbe a compromettere l’esercizio di questo diritto, oltre a privare della libertà di iniziativa economica la prostituta. «La senatrice Merlin aveva escluso di considerare la vendita di prestazioni sessuali come un lavoro, e aveva rubricato come crimine ogni attività volta a favorire e sfruttare questo commercio» fa nota-re l’avvocato Grazia Villa, fra le autrici del volume Né sesso né lavoro. Politiche sulla prostituzione (VandA.ePublishing). «Nelle ultime 2 legislature sono stati presentati 22 progetti di legge in materia: in alcuni si chiede la depenalizzazione, in altri vengono ipotizzate norme e sanzioni per i clienti. Ma è un’illusione tentare di regolamentare al chiuso il fenomeno per ridurlo sulle strade: lo dicono i fatti in Germania e Olanda, dove la normativa ha scatenato un boom esponenziale della domanda ma meno di un quarto delle donne che si vendono legalmente è iscritta al sindacato e gode di tutele».

«Non c’è “glamour” per le ragazze che offrono sesso, solo danno». A demolire l’idea della liberalizzazione delle sex workers contribuisce anche l’inchiesta condotta in 40 Paesi dalla giornalista Julie Bindel, autrice del libro Il mito Pretty Woman. Come la lobby dell’industria del sesso ci spaccia la prostituzione (Morellini editore). Secondo Bindel, una donna non può mai dirsi libera di svendere il proprio corpo: «Si tratta sempre di abuso a pagamento, mai di lavoro. Considero la prostituzione un modo per dare un’apparenza rispettabile al commercio sessuale: nei Paesi in cui il fenomeno è regolamentato i “papponi” sono diventati manager e le donne “sexworker”. I bordelli legali presenti in Germania, Olanda e Australia arricchiscono lobby potenti e moltiplicano i compratori di sesso». Invece in Paesi come Svezia, Norvegia, Canada, Corea del Sud, Irlanda e Francia «la legge criminalizza la domanda di sesso commerciale ma non chi vende sesso, per frenare la richiesta. Nel 2014 il Parlamento europeo e il Consiglio d’Europa hanno approvato le raccomandazioni per implementare questo modello come il modo migliore per affrontare la prostituzione». Secondo Bindel la lotta per l’abolizione di questo mercato è parte di un movimento più ampio contro la violenza di genere: «Non c’è “glamour” per le donne che offrono sesso, solo danno. Tutte le prostituite sopravvissute che ho incontrato sono state vittimizzate da trafficanti, sfruttatori, compratori. Nessuno dovrebbe essere pagato per dare accesso al proprio corpo».

I NUMERI

3,6 miliardi Il giro d’affari annuo della prostituzione in Italia.

90.000 Le prostitute donne, uomini o transessuali, in crescita del 28% nel periodo 2007-2014.

3 milioni I clienti delle sex worker in Italia.

Fonte: Codacons


 

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La materia sapiente del relativo plurale – Bologna

Autocoscienza 4.0

A Bologna finalmente la possibilità di creare un gruppo di autocoscienza

Armonie via E. Levante 138, Bologna

Sabato 13 aprile h 16

Presentazione del libro La materia sapiente del relativo plurale di e con Daniela Pellegrini

“La vita è Felicità da reciproci plurimi contatti.” Con queste parole Daniela Pellegrini conclude il suo ultimo libro, ma per arrivare a questa sintesi del rapporto con la vita che coinvolge tutte noi sono state necessarie 120 pagine di riflessione appassionata e puntuale, che si nutre di una vita intera passata nel movimento delle donne, dentro, a lato, da un punto di osservazione o di coinvolgimento intenso, di confronto o di scontro con le altre donne. Un percorso di filosofia femminista che si chiude riaprendosi come una spirale, rilanciando e offrendo a tutte la possibilità di espandersi e arricchire il disegno. Protagonista è sempre la materia, la realtà e la corporeità, interrogata da un pensiero di donna autentico e onesto, di profonda consapevolezza e limpida visione.

Domenica 14 aprile h 10-16
Autocoscienza 4.0: esperienziale in presenza

Da sempre sostenitrice della necessità dell’autocoscienza come strumento per uscire dalla gabbia patriarcale interiorizzata, Daniela Pellegrini continua a proporla come uno dei pochi metodi di liberazione autentica delle donne, in grado di avvicinarle a quella liberazione di cui non si parla più tanto, se non con le parole dell’incensamento di un’epoca di femminismo diffuso. Ma rimane il fatto che quella liberazione si è interrotta precocemente e che l’autocoscienza che tanto aveva contribuito a dare il via al movimento delle donne negli anni ’60, è stata abbandonata. La proposta è quella di riattivarla e di esplorarne le potenzialità in un epoca di grande confusione e smarrimento, e indagare, dopo quarant’anni di femminismo, quanto sia ancora problematico e irrisolto il rapporto con il maschile anche e soprattutto per le donne che si considerano emancipate, ma che scoprono di non aver mutato di molto i paradigmi relazionali che le imprigionano nel patriarcato. Lungi dall’essere morto, il sistema di dominio maschile ha elaborato trappole ancor più raffinate per avvalersi del nostro sostegno. Insieme a Daniela Pellegrini cercheremo ancora una volta di ritrovare quel parlarsi in presenza tra donne che potrebbe ancora offrire percorsi di consapevolezza e di liberazione.

Daniela Pellegrini Fondatrice a Milano nel 1965 del primo gruppo italiano di donne: Dacapo (Donne contro autoritarismo patriarcale o anche Donne a Capo) in seguito modificato in Demau (Demistificazione Autoritarismo Patriarcale). Nata a Belluno nel 1937, vive a Milano dove, insieme a Nadia Riva è stata animatrice del Circolo Culturale e Politico delle Donne, Cicip & Ciciap, da loro fondato nel 1981. Con Nadia Riva ha voluto, gestito e finanziato la rivista Fluttuaria, segni di autonomia nell’esperienza delle donne, di cui sono stati pubblicati diciassette numeri tra il 1987 e il 1994 e su cui appaiono molti suoi scritti. I suoi libri sono: Una donna di troppo. Storia di una vita politica ‘singolare’, Franco Angeli Editore, Liberiamoci della bestia, ovvero di una cultura del cazzo, edito in proprio, e La materia sapiente del relativo plurale, Vandaepublishing. Ripropone ora e agisce personalmente, anche in un gruppo che si incontra alla Casa delle Donne di Milano, la pratica dell’Autocoscienza e perora il Separatismo come azione fondante e creativa della Politica delle Donne e della sua vera autonomia dal patriarcato.

È richiesta iscrizione e un contributo libero per la sala e l’organizzazione.
Per informazioni e conferma presenza: Luisa 3408386192 – matriarcato@gmail.com


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Intervista a Daniela Pellegrini


di Giorgia Succi (Ai Amazones, 27 marzo 2019)


In questa quarta intervista targata Ai Amazones Giorgia dialoga con Daniela Pellegrini, femminista radicale, fondatrice del primo gruppo italiano di autocoscienza femminile nel 1964 (Dacapo poi Demau). Animatrice insieme a Nadia Riva del Circolo Culturale e Politico delle Donne, Cicip & Ciciap fondato dalle stesse nel 1981. Autrice di ‘Una donna di troppo. Storia di una vita politica singolare’(2012), ‘Liberiamoci della Bestia. Ovvero di una cultura del cazzo’ (2016) e ‘La materia sapiente del relativo plurale. Ovvero il luogo terzo delle parzialità’ (2017). Discutiamo di matriarcato, autocoscienza, separatismo e lesbismo politico, dello stato costante di violenza e manipolazione patriarcale e di femminismo contemporaneo. Un’intervista imperdibile di una donna e una pensatrice lucida e fiera nella sua analisi del mondo.

‘E i cosiddetti e auto-detti religiosi e credenti [..] hanno nascoste, ammutolite ed escluse le donne – quando non hanno approfittato dei loro linguaggi e azioni per rendersi belli e accettati dalle masse ingenue. Nello sfruttarle e farle sfruttare a loro piacimento. Hanno escluso le donne proprio perchè ‘femmine’, rifiutate e impedite a partecipare in prima persona di questa divinità di loro ‘maschia’ e boriosa competenza, se non nell’obbedire e nel genuflettersi  [..] hanno però salvato la Madonna che non sarà un caso se è ‘vergine’ ma con figlio maschio e nutrito al seno’ (Daniela Pellegrini, Liberiamoci della Bestia. Ovvero di una cultura del cazzo: 2016)

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Julie Bindel: «Legalizzare la prostituzione non serve»


di Elena Paparelli (Letteradonna, 2 aprile 2019)


– Nel libro Il mito Pretty Woman la giornalista e femminista inglese racconta cosa c’è dietro il mercato del sesso tra lobby e diritti delle donne ripetutamente violati. 

«La prostituzione è una violazione dei diritti umani contro donne e ragazze». Ad affermarlo senza mezzi termini a LetteraDonna è Julie Bindel, autrice del dossier-inchiesta Il mito Pretty Woman. Come la lobby dell’industria del sesso ci spaccia la prostituzione uscito nel 2019 per VandaEpublishing e Morellini editore nella collana VanderWomen (pp. 310, euro 17,90). Contro il mito della ‘puttana felice’, il libro traccia un quadro approfondito del commercio internazionale del sesso – una delle attività più redditizie al mondo – con un lavoro di ricerca sul campo in 40 Paesi, dall’Europa all’Asia, dal Nordamerica all’Australia fino alla Nuova Zelanda e all’Africa, frutto di 250 interviste con papponi, prostitute, sopravvissute, tenutari di bordelli, femministe, giornalisti, agenti di polizia, attivisti per i diritti delle sex workers, associazioni di bisessuali e transgender, vittime di tratta, clienti. Una corposa documentazione per fare il punto su una questione ancora controversa, che divide l’opinione pubblica. Anche in Italia dove spesso, anche nel 2019 su proposta della Lega, si è ventilata la possibilità della creazione di un albo professionale a cui le femministe si sono opposte.

Sul tema Bindel ha le idee chiare: «Sono stata un’attivista femminista contro la violenza maschile nei confronti delle donne dal 1979. Negli ultimi due decenni ho concentrato gran parte delle mie energie nella lotta per l’abolizione del commercio sessuale globale, a fianco di altre donne, molte delle quali sopravvissute allo sfruttamento», racconta la giornalista inglese che ha lavorato per The Guardian, NewStatesman, Bbc e Sky News. «Uno dei miti più perniciosi sul problema propagato dalla lobby del ‘settore’ è che questo non possa essere abolito». Perché esiste una vera e propria lobby dietro all’importante giro di soldi che «il mestiere più vecchio del mondo», come lo definiscono in tanti, frutta. «Molte persone, soprattutto uomini, ma anche alcune donne hanno un interesse particolare a proteggerlo». Con lo stesso identico mantra su cui insistono anche molti politici (anche progressisti e di sinistra): «Se avessi avuto un dollaro ogni volta che ho sentito dire che la prostituzione è sempre stata con noi e sempre lo sarà, le organizzazioni femministe non si troverebbero mai più a corto di fondi». Del resto «negli ultimi anni il commercio sessuale è stato rinominato per dare l’impressione che non sia nocivo». Espressioni come «vendere amore» o «sesso transazionale» cominciano infatti ad essere usate sempre più spesso. «Una terminologia che maschera la realtà di ciò che questo è: una persona, quasi sempre maschio, che ha rapporti sessuali con un’altra persona, quasi sempre femmina, senza desiderio reciproco», aggiunge Bindel.

L’EFFETTO NEGATIVO DELLA DECRIMINALIZZAZIONE
Oggi, il dibattito sull’argomento, svolto all’interno del mondo accademico, dei media, delle associazioni per i diritti umani e di genere, ha raggiunto un punto critico: si parla di decriminalizzare l’intero mercato, e rimuovere tutte le leggi relative al tema, da una parte. Oppure di criminalizzare l’acquisto di sesso secondo il Modello nordico (o neo-abolizionista) creato nel 1999 dalla Svezia e poi adottato da Norvegia, Islanda, Irlanda del Nord, Irlanda e Francia, dall’altra. Quest’ultimo – nato dalla presa d’atto dell’insuccesso del modello di “regolamentazione” della prostituzione legale- intende bloccare la domanda dell’acquisto del sesso, considerato una forma di violenza: a venire perseguito è il cliente che adesca sex worker. Viceversa, la vittima di sfruttamento non viene perseguita. Nel libro viene riportato l’effetto negativo che ha invece prodotto l’approccio opposto in Paesi come Australia, Germania, Olanda, Austria, Nord America e Nuova Zelanda: «Non c’è prova di alcuna diminuzione della violenza, della diffusione dell’HIV o del numero di donne uccise nel mercato legale del sesso mentre ci sono prove che i diritti e la libertà promessi sono andati ai proprietari dei bordelli e ai compratori». A sostenere, però, questo tipo di orientamento ci sono anche l’Organizzazione mondiale della sanità, Human Right Watch e Amnesty International. «Ritieniamo che la ricerca, l’acquisto, la vendita e l’adescamento per il sesso a pagamento debbano essere atti al riparo dall’interferenza dello Stato fintantoché non sussistano minacce, coercizione o violenza associate a tali atti. Gli uomini e le donne che comprano sesso da adulti consenzienti esercitano la propria autonomia personale», si legge nel documento di Amnesty. Intervento che Bindel chiaramente non condivide: «Se l’ong rimane fedele ai suoi principi dovrebbe concentrarsi su coloro i cui diritti umani sono violati, nel caso della prostituzione le donne, invece di quelli, come gli acquirenti del sesso e i protettori, che credono che sia loro diritto umano non rispettare quelli degli altri».


 

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“Manifesti femministi” a Milano

Vi aspettiamo alle 18 alla Libreria Antigone!

Interviene la curatrice

Con

Daniela Pellegrini e Carlotta Cossutta

Il volume raccoglie testi composti in Italia, in Francia e negli Stati Uniti (alcuni di questi tradotti per la prima volta) dalle più attive rappresentanze del femminismo radicale dalla seconda metà degli anni Sessanta alla seconda metà degli anni Settanta del XX secolo. “Radicale”, a partire dal ‘68 e fino alla fine degli anni Settanta, fu soprattutto il “soggetto imprevisto” del femminismo. Il manifesto politico è il genere che meglio si presta a restituire la complessità di quella straordinaria stagione che segnò la presa di coscienza delle donne, attraverso un drastico ripensamento delle relazioni tra loro e della forza che da questo deriva. Riletto attraverso i suoi manifesti, il femminismo radicale sconvolge la banalizzazione corrente di ciò che è stato per riconsegnarci la testimonianza della sua verità e un’immagine in movimento di ciò che potrebbe essere.

 

Deborah Ardilli ha conseguito un dottorato di ricerca in Filosofia Politica presso l’Università di Trieste, è traduttrice e studiosa di teoria politica e storia dei movimenti femministi. Attualmente collabora con il “Laboratorio Anni Settanta” dell’Istituto Storico di Modena. Tra le sue ultime pubblicazioni ricordiamo: Trilogia SCUM. Scritti di Valerie Solanas, edizione curata insieme a Stefania Arcara e pubblicato da VandAePublishing e Morellini Editore.

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Distruggi La Mia Vagina!


dal blog di Marina Terragni (19 marzo 2019)


La foto è pubblicata sul profilo social delle Wagga Feminist.

La ragazza è un’under 20 anni italiana –si vede dal cartello stradale sullo sfondo, può essere Roma o Milano-, sta partecipando alla manifestazione per l’ambiente, quella ispirata da Greta per capirci.

Lo slogan sul cartello dice: “Distruggi la mia vagina, non il mio pianeta”.

Il linguaggio è quello della pornografia corrente, perfettamente introiettato, pervade tutto e può venire buono anche per la lotta ambientalista.

Il sesso come allegra distruzioneIl corpo non è più tempio di nulla, è in assoluta discontinuità con la natura: quella va salvata, la vagina no. Ecco il tipo di sesso che ti rende libera.

Sesso violento=femminismo=libertà. Pochi gradi di separazione con il sex work che è work, un lavoro come un altro, un’opzione, una possibilità.

Qualche commento delle Wagga Feminist:

So sad. The terminology she is using is so anti-women. Sex being synonymous with destruction“. (Che tristezza. Usa termini così anti-donne. Il sesso che diventa sinonimo di distruzione)

Basically this sign says “rape me, not my planet” which is horrific”. (Di fatto questa scritta significa: stupra me, non il mio pianeta, cosa orribile)

Utterly tragic and reprehensible that we have allowed the brainwashing of girls to this degree“. (Assolutamente tragico e riprovevole aver permesso il lavaggio del cervello delle ragazze fino a questo punto)

“Destroy patriarchy, not the world nor human body parts” (E’ il patriarcato che va distrutto, non il mondo o parti del corpo umano).

Concentrate on what they are teaching in schools to our young girls!!” (Pensate a quello che insegnano a scuola alle ragazzine!!)

La mattina di 8 marzo a Milano un’arcinota trans sex-worker, attivista della Lega e fervida testimonial della proposta salviniana di riaprire i bordelli, si è confrontata a lungo con studenti delle medie nel corso del presidio indetto da Non Una di meno. Ecco per esempio che cosa stiamo insegnando alle ragazzine.

Il medium è il messaggio: più che le posizioni sulla prostituzione e sulla legge Merlin -Nudm la vuole smontare, depenalizzando il favoreggiamento– conta il fatto che il tema sex-work si sia saldamente piazzato al centro del femminismo.

C’è da pensarci attentamente: perché prostituzione e immaginario pornografico pretendono di stare al cuore del discorso femminista? Come mai quello che può essere nato come gioco trasgressivo, facciamo-che-io-ero (una prostituta) spinge per consolidarsi come paradigma di libertà femminile, e di qui a dare corpo a iniziative politiche a tutto vantaggio del colossale business del mercato prostituente? (i suoi lobbisti stanno ovunque, allungano le mani su molte Ong, associazioni filantropiche, perfino su Amnesty International: leggete il libro-inchiesta di Julie Bindel “Il mito Pretty Woman”, appena pubblicato da VandA).

Qualcuna è in grado di spiegarcelo?

Mi domando anche se non ci fosse nessuna buona maestra, accanto a quella ragazzina. Nessuna che le abbia chiesto: “Perché porti quel cartello? Perché chiedi che la tua vagina venga distrutta? Non sai che il male che viene fatto al mondo e quello che viene fatto al tuo corpo sono la stessa cosa?”.

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Ragazze di Catania ieri e oggi

– VandA.ePublishing è lieta di presentare Maria Recupero della pescheria di Chiara Aurora Giunta

 

Maria è un’indomita siciliana di trentatré anni, abbandonata dal marito senza un soldo, con sei bambini a carico e un’incombente minaccia di sfratto, che non si fa mettere i piedi in testa da nessuno e con le unghie e con i denti, una buona dose di sfacciataggine e un po’ di fortuna riesce a costruire un futuro per lei e per i suoi figli, alla faccia delle malelingue e di tutte le difficoltà di una terra maledetta. Fra drammi familiari, amori improbabili, mille avversità e l’introvabile eredità di uno zio d’America, la vita di Maria e dei suoi figli si snocciola giorno dopo giorno, pagina dopo pagina fra gioie, dolori, pianti e risate e un vocio di sottofondo, quello del popolo, della povera gente di una Catania degli anni ’60 disastrata ma appassionata, dove la vita vince sempre su tutto, fino a un provvidenziale                                               quanto casuale lieto fine.

 

Chiara Aurora Giunta, catanese d’origine, vive e lavora a Milano. I suoi primi romanzi sono del genere rosa, poi si è dedicata al racconto storico e ai saggi per ragazzi. Ha pubblicato “Partita d’amore” (Mondadori, 1996), “Il mio amore ti salverà” (Mondadori, 2000), “Imparerò ad amarti” (Mondadori, 2001), “Aélis” (Neri Pozza, 2003), “Il velo di Agata” (Neri Pozza, 2008). È inoltre autrice del saggio storico per ragazzi, “Rumoroso Risorgimento” (Salani, 2005).

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Intervista a Deborah Ardilli


(Radio Vanloon, 9 marzo 2019)


Femminismo, i suoi manifesti

La donna non va definita in rapporto all’uomo. Su questa coscienza si fondano tanto la nostra lotta quanto la nostra libertà (Manifesto di Rivolta femminile, 1970)

Nella settimana dell’8 marzo Radio Vanloon ha ripercorso i manifesti del femminismo radicale degli anni Settanta con Deborah Ardilli, traduttrice e studiosa dei movimenti. Con lei hanno visto alcune delle particolarità degli scritti del femminismo italiano e i suoi collegamenti con quello statunitense e francese.

Qui l’intervista.


 

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Julie Bindel: “La prostituzione cancro sociale”


di Francesco Rigatelli (La Stampa, 8 marzo)


– Amnesty International?

Il mondo del cinema? Amnesty International? I medici contro l’Aids? Favoriscono tutti lo sfruttamento della donna. Lo sostiene Julie Bindel, attivista inglese, collaboratrice del Guardian e fondatrice di Justice for woman, nel suo libro Il mito Pretty woman. Come la lobby dell’industria del sesso ci spaccia la prostituzione edito da Vanda con Morellini. Camicione bianco e fare da mastino, l’autrice, 56 anni, non teme la definizione di femminista radicale. Per lei semplicemente la prostituzione andrebbe proibita come il fumo. E chiunque la depenalizzi o semplicemente la accetti ne è complice.

Dopo due anni di ricerca e 250 interviste nel settore, Bindel sfata il mito della prostituta felice: «Non si tratta mai di una scelta della donna. È sempre un abuso pagato dal cliente. Infatti, parlare di lavoratrici del sesso è sbagliato, perché non è un lavoro e non è sesso. E anche definire i compratori di sesso come dei clienti è l’inizio di un abuso».

L’autrice, forte di viaggi in luoghi problematici per i diritti delle donne come l’India, la Cambogia, Dubai e la Turchia, ma anche negli Stati Uniti, in Germania, in Svizzera e nei Paesi Bassi, entra nel sistema: «Spesso il contratto è tra l’uomo e il pappone e anche quando l’accordo è diretto chi paga lo fa per il corpo della donna. Lui paga, ma lei non vuole veramente». Più che un libro sulle donne, il suo è uno studio sulla responsabilità degli uomini: «Invece di fare tante domande sul perché e il percome una finisca per prostituirsi, la vera questione è perché ci sia chi paghi per avere un rapporto non consensuale. Molti uomini sostengono di avere più diritto al sesso delle donne». Per Bindel dunque la prostituzione è essenzialmente «una questione di potere, perché molti uomini non desiderano nessuna interazione umana».

E anche la cosiddetta «girlfriend experience» del film Pretty Woman del 1990 di Garry Marshall con Richard Gere e Julia Roberts finisce per far passare «una schiavitù normalizzata». Così come Amnesty International, che è per la depenalizzazione del settore e non distingue lo sfruttamento in base al sesso «eppure è risaputo che la maggior parte dei compratori sono maschi e delle sfruttate sono femmine». Stesso discorso per «la lobby gay dei medici contro l’Aids, che include nella libertà sessuale pure la prostituzione». Altro rischio è la rete delle webcam, dove avviene secondo l’autrice «la connessione tra pornografia e prostituzione per i compratori di sesso virtuale».


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Il mito della “puttana felice”: come la lobby del sesso ci vende i bordelli


(Il Fatto quotidiano, 7 marzo 2019)


– In tour in Italia. L’inchiesta della giornalista sul funzionamento del mercato del sesso

La prima occasione in cui ho incontrato i miti persuasivi del mercato del sesso è stata il film Pretty Woman del 1990, diretto da Garry Marshall. È una commedia romantica e la storia va così: Julia Roberts, che interpreta una donna prostituita sulla strada, incontra Richard Gere, che fa la parte di un ricco uomo d’affari e la porta nel suo albergo di gran lusso. Scopriamo che il compratore vuole una “prestazione fidanzatina” (girlfriend experience) da parte della donna, e assistiamo a diverse scene in cui si beve champagne e si mangiano fragole. Richard Gere ostenta Julia Roberts come un trofeo con i suoi contatti d’affari altrettanto upper-class e le rispettive mogli della buona società, cui risulta evidente che lei non è una di loro, tuttavia alla fine i due si innamorano e vivono felici e contenti. La relazione tra il compratore di sesso e la donna prostituita viene presentata come quella tra un cavaliere dalla splendente armatura che salva la fanciulla povera ma bella secondo i canoni tradizionali, la quale è finita sulla strada per circostanze difficili e senza colpa alcuna. Salvandola, Gere pulisce Roberts del suo status di “puttana”. Allo stesso tempo, salva sé stesso dall’identificazione con i ruoli del puttaniere predatore o del patetico incapace di una vera relazione. Nel 1991 ero a Mosca per parlare a un gruppo di studentesse tra i 16 e i 18 anni. Domandai alle ragazze che lavoro avrebbero voluto fare e più del 50 per cento rispose che avrebbe voluto essere una prostituta. Scioccata, chiesi come mai. La risposta più comune, a parte il fatto che in questo modo sarebbero potute emigrare dalla Russia in Occidente, fu che cosi avrebbero potuto incontrare un uomo come Richard Gere e avere una bella vita. (…)

Nasceva così il mito della “puttana felice”. L’espressione “sex work” (“lavoro sessuale”)/”sex worker” (“lavoratrice sessuale”) diventerà la parola d’ordine di una lobby composta da accademici, assistenti sociali, politici, proprietari di bordelli e di agenzie di escort, nonché compratori di sesso, una lobby ben finanziata con lo scopo di decriminalizzare l’industria del sesso a livello globale, ossia trasformare gli sfruttatori in manager e garantire il “diritto” degli uomini di abusare impuniti dei corpi delle donne. Ma, come spiega Rachel Moran, la prostituzione non è “né sesso, né lavoro”, il fatto che ci sia di mezzo del denaro non cambia la natura di quello che succede. (…) In anni recenti il mercato del sesso è stato sottoposto a un rinnovamento d’immagine perdere l’impressione che non sia pericoloso, che addirittura non si tratti di prostituzione. Chi è a favore del commercio sessuale utilizza una terminologia che maschera la realtà di ciò che in-vece è; una persona, quasi sempre un uomo, che fa sesso con un’altra persona, quasi sempre una donna, senza desiderio reciproco. (…) Ho sempre sentito le sopravvissute, o donne ancora in prostituzione ma che vorrebbero uscirne, parlare di cosa è davvero il sesso che si fa. A differenza della lobby pro-prostituzione, i cui membri parlano di “sesso sicuro”, le donne che ho intervistato raccontano i dettagli. Parlano dell’odore tremendo dei compratori, del dolore di una vagina disidratata e ulcerata che viene penetrata da una molteplicità di uomini. L’orrore di avere lo sperma o altri fluidi corporali vicino alla faccia. La barba che sfrega sulla guancia fino a farla sanguinare, il collo dolorante a forza di girare la testa di colpo per allontanarla dalla lingua che cerca di baciarle. O di non riuscire a mangiare, a bere o a baciare i figli per via di quello che hanno dovuto fare con la bocca. Di come il braccio e il gomito fanno male per avere disperatamente cercato di farlo venire per non essere penetrata un’altra volta. (…) La sopravvissuta alla prostituzione Fiona Broadfoot racconta che “i compratori ti fanno sentire una merda quando hanno una bella camera d’albergo e possono comprarti. Tu sei la puttana schifosa e loro quelli con i soldi e il potere. Almeno in strada veniamo guardati tutti e due come schifezze, in un modo o nell’altro, da parte dei resi-denti e della polizia”.

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Prostitute al bando, l’Europa è divisa


di Maddalena Oculi (Il resto del Carlino, 5 marzo 2019)


– Il modello nordico che punisce i clienti e le vetrine del quartiere a luci rosse di Amsterdam

PROIBIRE o regolamentare? Da Stoccolma a Roma, sono diversi e spesso opposti i sistemi dei Paesi europei in tema di trattamento legale della prostituzione. Il cosiddetto “modello nordico” depenalizza l’adescamento e punisce invece i clienti. Dopo la Svezia, dove è entrato in vigore nel 1999, è stato adottato da Islanda, Norvegia e da poco tempo an-che in Francia. Il modello, di cui negli ultimi anni si discute molto tra le femministe e gli attivisti per i diritti umani, si fonda sul ragionamento che alla base della compravendita del corpo ci sia sempre una relazione diseguale tra uomo e donna. È PROMOSSO da un movimento globale di ex prostitute e sopravvissute alla tratta, che fa capo all’associazione Space International. Donne secondo cui la prostituzione non può essere considerato un lavoro scelto liberamente, come spiega la giornalista del Guardian, Julie Bindel, nel libro-inchiesta che sta presentando in questi giorni in Italia Il mito Pretty Woman. Come la lobby dell’industria del sesso ci spaccia la prostituzione. Al modello abolizionista svedese si contrappone quello regolamentarista, adottato in Paesi come Olanda, Germania, Austria, Svizzera, Grecia, Ungheria c Lettonia. Qui la prostituzione è regolamentata con modalità differenti, ad esempio con la statalizzazione dei bordelli e i quartieri a luci rosse.

IN OLANDA le case chiuse sono legali e le lavoratrici del sesso pagano regolar-mente le tasse. Ad Amsterdam, De Wallen è uno dei quartieri a luci rosse più famosi d’Europa e una delle maggiori attrazioni turistiche della città. Anche in Germania la prostituzione è legale e regolamentata: le ragazze possono esercitare nei bordelli (quasi sempre sono libere professioniste), in strada o casa loro. In Italia, da quando 61 anni fa è entrata in vigore la legge Merlin, i bordelli sono stati aboliti. La prostituzione non è illegale, ma lo sono il favoreggiamento, lo sfruttamento e l’organizzazione in luoghi chiusi. II commercio del sesso è al centro in ogni Paese europeo di accesi dibattiti. In Francia, quando nel 2016 è stata approvata una legge con cui veniva adottato il modello nordico, i lavoratori del sesso sono scesi in piazza a Parigi. In Italia non tutte le femministe la pensa-no allo stesso modo. Stalla riapertura del-le case chiuse la posizione dell’Udi, tra le più storiche delle associazioni femministe è netta: «La prostituzione di Stato è una schifezza inenarrabile, da sessant’anni non c’è legislatura in Italia che non abbia tentato di affossare la legge Merlin», spiega Vittoria Tola, della segreteria nazionale. MA sul tema delle sex workers, il discorso è più complesso e include il concetto di gestione libera del proprio corpo: «C’è una parte di associazioni più giovani— continua Tola— che sostiene il concetto di autodeterminazione, per cui la prostituzione può essere un lavoro come un altro, e quindi sostenendone la regolamentazione si evitano gli abusi». Sul modello svedese, poi, all’interno della stessa Udi ci sono visioni diverse: «C’è una parte di movimento — spiega —che sarebbe molto d’accordo di modificare la Merlin con la punizione del cliente, ma c’è una parte molto più consistente che pensa che toccarla sia un errore clamoroso. Non perché non ci piacerebbe che i clienti uscissero fuori da questa dimensione tutelata, ma temiamo non ci voglia molto ad alimentare la prostituzione clandestina, nei modi e nelle forme in cui viene gestita la tratta».

DIBATTITO APERTO Non tutte le associazioni femminili sono contrarie alla prostituzione