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Intervista – Manuela Siciliani

Manuela Siciliani è stata ospite venerdì 11 maggio al Salone Internazionale del Libro di Torino all’evento organizzato da SEU Scrittori Emergenti Uniti, Sogni d’inchiostro – Staffetta di talenti letterari.
Qui l’intervista di Gabriele Farina.

 


 

La serie di Rebecca Town è composta da 5 imperdibili volumi:
Rebecca Town a Parigi
Rebecca Town a Londra
Rebecca Town a Roma
Rebecca Town a Praga
Rebecca Town a New York

 

 

Becky è una splendida newyorkese, modaiola, acuta, passionale, dal passato tormentato e scrittrice di guide turistiche. Ogni romanzo è ambientato ogni volta in una città diversa, una città descritta come si confà a una guida: le tappe da non perdere, i locali più trendy ma anche quelli più defilati e che però meritano “una menzione”, i luoghi dello shopping, le strade, i cibi… Ogni luogo diventa così l’incantevole cornice ai misteri che Becky, detective per caso, si trova a risolvere. Una città, un delitto. Ma c’è anche la personale vicenda della nostra esuberante guida, che nel corso di ogni romanzo troverà l’amore, scoprirà la verità sulla misteriosa morte dei genitori e… Chissà?


 

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Una via di fuga dal nostro debito


Il Giornale (30 aprile 2018)


– L’Italia ha nel debito pubblico, ormai pari al 132 % del Pil, la sua maggior vulnerabilità. 

L’Italia ha nel debito pubblico, ormai pari al 132 % del Pil, la sua maggior vulnerabilità. Tagli alle spese e al welfare, politiche di austerità e gli aiuti della Bce non sono riusciti, negli ultimi anni, a impedirne la lievitazione. Un vicolo cieco, se non si ridà sovranità al Paese collocandolo al di fuori dei confini dell’eurozona? Pierangelo Dacrema, professore di Economia degli intermediari finanziari all’Università della Calabria, non è di questo avviso. E nel suo «La buona moneta. Come azzerare il debito pubblico e vivere felici», dà una ricetta per rendere sostenibile questo peso da oltre 2.200 miliari di euro.

La trama
Dal greenback di Lincoln durante la guerra di secessione ai Mefo di Scahft agli albori del nazismo, fino ai Certificati di credito fiscale di stampo keynesiano, nella storia contemporanea non sono certo mancate soluzioni eterodosse e fantasiose per provare a finanziare la crescita e disinnescare la mina del debito. Gli esempi citati si basano sulla circolazione di una valuta parallela rispetto a quella ufficiale, ed è questa la base della proposta di Dacrema. Con una premessa: l’Italia deve restare in Europa. Può farlo, secondo l’autore, anche se dovesse decidere di rimborsare Btp, Cct e Bot con una moneta a corso forzoso, cioè valida solo in Italia, con un rapporto 1 a 1 sull’euro, da impiegare fino a quando l’indebitamento non sia stato riportato entro il parametro del 60% (o anche fino al suo azzeramento). Uniche avventure: divieto per le banche di usare questa moneta per erogare prestiti o per operazioni finanziarie. L’operazione, ammette l’autore, non è esente da rischi. Il primo è che l’Europa dica no. L’altro è la massiccia vendita di debito italiano da parte degli stranieri.

Chi non può perderselo
Chi non crede che sia ancora una via d’uscita dal debito.

A chi non piacerà
A chi non ci crede più.


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“La materia sapiente del relativo plurale”, il libro di Daniela Pellegrini alla Casa Donne


Il Paese delle Donne online, 15 aprile 2018


– Giovedì 19 aprile 2018 alle 18.30 nello Spazio da vivere della Casa delle Donne di Milano la Bibliomediateca presenterà il libro di Daniela Pellegrini “La materia sapiente del relativo plurale: ovvero il luogo terzo della parzialità”. Dialogherà con l’autrice Ilaria Baldini.

Giovedì 19 aprile 2018 alle 18,30 nello Spazio da vivere della Casa delle Donne di Milano la Bibliomediateca presenterà il libro di Daniela PellegriniLa materia sapiente del relativo plurale: ovvero il luogo terzo della parzialità”. Dialogherà con l’autrice Ilaria Baldini.

Questo incontro è il secondo nell’ambito della rassegna voluta e progettata dalla Bibliomediateca dal titolo Le pratiche politiche del movimento delle donne: corpi, voci, scritture. Le voci delle protagoniste che sul filo dei loro libri di recente pubblicazione ricostruiscono pratiche, pensieri e vissuti della storia del femminismo italiano.

Daniela Pellegrini,madre del femminismo radicale italiano e ideatrice del primo gruppo politico italiano di donne (Dacapo, 1964, divenuto poi Demau), perora da sempre il “separatismo” come azione fondante e creativa della politica delle donne nonché come vera autonomia dal patriarcato. Nel 1981 fonda a Milano, insieme a Nadia Riva, “Cicip & Ciciap“, primo circolo culturale e politico femminista, l’unico a mantenersi strettamente separatista nel tempo. Sempre con Nadia Riva crea la rivista “Fluttuaria, segni di autonomia nell’esperienza delle donne” (1987-1994). Da alcuni anni ha (ri)dato vita, presso la Casa delle Donne di Milano, alla pratica separatista dell’Autocoscienza.

“Riconsegnando alla materia, che per Pellegrini è la donnità che accomuna tutti, il suo ruolo di guida razionale della vita tutta ci conduce senza tentennamenti al luogo terzo, indiscutibilmente altro dal due patriarcale, come indiscutibilmente Altro sono le donne, soprattutto quando insieme riprendono quel percorso di autenticità iniziato negli anni ’70 con l’autocoscienza. Perché – dice Pellegrini -,è ancora oggi lo strumento più potente che abbiamo, insieme al separatismo. Allora la materia si incastra, si separa e si dispiega come un frattale, che è sia essenza che funzionamento: è la matrice che si rivela in tutta la sua potenza liberandosi dalle pietre sedimentate in secoli di dominio maschile. Il potere e il denaro che tanto la fanno da padrone perdono la loro forza e permettono la nascita di una specie sapiens di pratiche e pensiero.”

Guardati dall’impegolarti in circonvoluzioni mentali e frasi sopraffine e vuote: sono il segno di un simbolico assassino, negatorio di esistenze vere, con cui il potere ti tira dentro e insieme per renderti idiota, stupidamente succube. Non cercare di capire quello che non è da capire ma è da eliminare. (La materia sapiente)

Arduo il compito che Daniela Pellegrini si è data in questo suo ultimo libro: unire una critica lucida e impietosa ai maschi della specie umana e al loro scellerato operare cercando nello stesso tempo di uscire dal dualismo che hanno voluto imporre in tutti i contesti per creare un potere di sopraffazione che li compensasse della ferita primordiale di non poter metter al mondo, ma solo essere messi al mondo. Nonostante sia il suo corpo di donna a permetterle di vedere il maschile qual è nelle sue messe in atto, è la consapevolezza profonda dell’appartenenza forte alla materia tutta che ne guida il pensiero in questo tentativo di teorizzare un luogo terzo, quello dove sono le parzialità di ciascuno e di ogni cosa che insieme permettono la vita. Perché se la realtà stessa testimonia di questa evidenza, ben altro è il discorso che gli uomini ci hanno costruito intorno. Discorso da cui le donne non sono ancora riuscite a uscire. Daniela Pellegrini apre le contraddizioni che hanno abitato e ancora abitano il pensiero delle donne nella ricerca di una sintesi che mostri strade future da percorrere, senza piegarsi a semplificazioni o fraintendimenti che ne mettano in pericolo la forza e l’efficacia. Ma il libro non contiene solo la proposta di un discorso femminile sul mondo: analizza le attuali minacce al femminismo, smaschera un pensiero moderno che non ha in sé niente di nuovo e per l’ennesima volta ci interroga sul da farsi dopo avere visto il patriarcato in tutta la sua in-sapienza.


 

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La vera storia di Valerie Solanas


di Barbara Bonomi Romagnoli (La 27esima Ora, 5 aprile 2018)


– Per il grande pubblico Valerie Solanas – scrittrice e femminista statunitense morta in condizioni di indigenza– è anzitutto la psicopatica che ha sparato a Andy Warhol nel 1968, e, solo incidentalmente, l’autrice di Manifesto SCUM e degli altri testi, finora inediti in Italia.

Per il grande pubblico Valerie Solanas – scrittrice e femminista statunitense morta in condizioni di indigenza – è anzitutto la psicopatica che ha sparato a Andy Warhol nel 1968, e, solo incidentalmente, l’autrice di Manifesto SCUM e degli altri testi, finora inediti in Italia. Finalmente son stati pubblicati grazie al lavoro congiunto di due editori, VandA/Morellini, e alla cura di Stefania Arcara, docente di Letteratura Inglese e Gender Studies all’Università di Catania, e Deborah Ardilli, traduttrice e collaboratrice con il “Laboratorio Anni Settanta” dell’Istituto Storico di Modena, entrambe studiose femministe. «In una situazione di normalizzazione diffusa della violenza etero-patriarcale, di cui è parte integrante la cancellazione dell’attività intellettuale delle donne, la memoria del ‘grande pubblico’ opera in maniera selettiva e per questo mette in primo piano il gesto aggressivo di Solanas nei riguardi di un uomo, per di più ammantato di prestigio sociale e culturale. In tali condizioni, è fin troppo facile inquadrare Solanas come la quintessenza del nonpensiero, del collasso della ragione, e cercare nei suoi scritti nient’altro che una conferma», spiega Stefania Arcara. Non è semplice, quindi, leggere la sua opera senza pregiudizi, perché «la violenza esercitata da una donna risulta sempre intollerabile e il giudizio negativo ricade sulla sua scrittura, mentre lo stesso criterio non viene applicato, per esempio, alle opere di Norman Mailer, che accoltellò la moglie, o di William Burroughs e del filosofo Louis Althusser, entrambi uxoricidi, perfettamente integrati nel canone» racconta Arcara. «Sebbene sia stata una protagonista della controcultura statunitense degli anni Sessanta, Solanas scrittrice è stata a lungo oggetto di una damnatio memoriae, compresa la rimozione dalla storia del femminismo: negli Stati Uniti ci sono voluti trentacinque anni, da quando fu composta, perché la sua commedia Up Your Ass fosse messa in scena per la prima volta, molti anni dopo la sua morte. C’è voluto mezzo secolo perché questo testo fosse tradotto in Italia (da Nicoleugenia Prezzavento) e pubblicato nel nostro volume insieme alla nuova traduzione del Manifesto SCUM e al racconto autobiografico del 1966, Prontuario per fanciulle, che narra la giornata di una giovane lesbica proletaria che vive di accattonaggio e prostituzione per le
strade del Greenwich Village».

Solanas vendeva per strada il suo Manifesto, 25 cent per le donne e un dollaro per gli uomini, e la parola Scum è stata a lungo considerata come un acronimo di Society for Cutting Up Men (Società per l’eliminazione dell’uomo), ma la sigla in realtà non compare nel manifesto e l’autrice non era concorde con questa interpretazione perché, prosegue Arcara, «nei suoi testi la ‘teoria’, che ha un andamento contraddittorio, consiste in un’analisi – condotta con gli strumenti retorici dell’umorismo, del sarcasmo, del gergo di strada, dell’insulto – del rapporto sociale tra i sessi e della subordinazione delle donne nel sistema eteropatriarcale, arrivando ad una provocatoria soluzione politica: auspica l’abolizione del sistema binario e gerarchico dei generi, attraverso l’eliminazione di uno dei due, quello dominante che secondo lei è da considerarsi realmente “inferiore” proprio in quanto sente il bisogno di dominare».

Tradurre è anche un po’ un tradire, quale è stata la vostra esperienza rispetto a una scrittura come quella di Solanas? Si è perso qualcosa nella versione italiana?
«Pensiamo alla nostra traduzione come a un modo per rendere finalmente giustizia alla scrittrice Solanas. La nostra è la prima traduzione italiana basata sul rarissimo testo integrale approvato dall’autrice, la quale per tutta la vita fu ossessionata dall’integrità artistica e dal controllo, che non ebbe mai, della propria opera. Fino a oggi le traduzioni italiane di SCUM Manifesto si erano basate sul testo pubblicato dall’Olympia Press senza il consenso dell’autrice subito dopo l’attentato a Warhol – un testo mutilato di alcune parti e alterato dall’editore Maurice Girodias. Edizione che, tra le altre cose, riporta il titolo come acronimo, “S.C.U.M.”, che rimanderebbe a “Society for Cutting Up Men” (un’operazione di marketing editoriale giudicata ‘tasteless’, ‘di cattivo gusto’, da Solanas e finora sempre riproposta nelle traduzioni italiane, con il sottotitolo “società per l’eliminazione del maschio”): invece, nell’Edizione corretta da Valerie Solanas che l’autrice riesce finalmente a pubblicare in proprio nel 1977, il titolo è SCUM, cioè “feccia”, in riferimento alla posizione subordinata delle donne in un mondo egemonizzato dagli uomini ma anche un’operazione di sovvertimento dell’insulto, poiché sarà proprio la scum a guidare la rivoluzione contro quel sistema di potere che l’ha prodotta. Nella sua scrittura Solanas mescola registri stilistici diversi e lessici eterogenei, dal linguaggio scurrile allo stile visionario, dall’umorismo situazionista all’invettiva e all’aforismo, e a volte ricorre al gergo della controcultura del suo tempo. Per noi è stata un’esperienza molto bella restituire a Valerie Solanas la sua voce di scrittrice, così come ha fatto l’altra traduttrice, Nicoleugenia Prezzavento, che è anche regista teatrale, con la commedia Up Your Ass (In culo a te) che presto verrà da lei messa in scena. In accordo con la casa editrice VandA, abbiamo perciò scelto una copertina che ritrae l’autrice con la penna in mano, per restituire finalmente legittimità a Solanas scrittrice».

Ardilli, nella vostra introduzione al volume scrivete “il nome di Valerie Solanas, ancora oggi, segna il limite di rispettabilità e ragionevolezza che il femminismo deve osservare per essere tollerato, e pertanto la lettura delle sue opere è tuttora un atto eversivo”. Qual è oggi il limite di rispettabilità e ragionevolezza che i femminismi devono rispettare per essere tollerati?
«Per qualsiasi gruppo subalterno i limiti da osservare per non incorrere in sanzioni sono quelli dettati, di volta in volta, dalla pressione ideologica e materiale esercitata dalla controparte dominante. Non possiamo stabilire in anticipo, una volta per tutte, quale sarà l’efficacia di quella pressione, in quale misura sarà interiorizzata, aggirata o sfidata. Tuttavia, considerando che i sessi sono gruppi sociali non naturali e avendo chiara la posizione delle donne nella scala gerarchica del genere, mi pare ci sia ancora una straordinaria riluttanza a riconoscere l’esistenza stessa di una controparte e, di conseguenza, a legittimare un’attitudine conflittuale nei confronti degli uomini. Alla “folle” Solanas non si perdona facilmente il fatto di avere individuato, nominato e aggredito frontalmente quella riluttanza. E le si perdona ancora meno il ricorso a repertori d’azione violenti».

Arcara, l’umorismo di Solanas secondo voi è ancora vincente? I femminismi di oggi sono capaci di far ridere?
«Quante volte, di fronte a una battuta “scherzosa” pesantemente sessista che – in quanto donne – non ci fa ridere, siamo state accusate di mancanza di senso dell’umorismo, magari con un paternalistico: “E fattela una risata…”? Per rispondere, parto da una mia osservazione basata sull’esperienza delle
presentazioni di Trilogia SCUM che abbiamo tenuto in giro per l’Italia, in contesti molto diversi. Al momento della lettura, da parte nostra o di attrici, di qualche brano di Solanas, puntualmente nel pubblico di fronte a me ho notato uomini che restavano serissimi, uomini sorridenti, imbarazzati più che divertiti, pochi (quasi certamente non eterosessuali) che ridevano di gusto, e donne che immancabilmente scoppiavano a ridere. Anche l’umorismo è un “terreno di potere” e la sua efficacia dipende da quale posizione occupa chi fa una battuta scherzosa, a spese di quale gruppo sociale, e di fronte a quale pubblico. Solanas fa un’operazione inedita, e molto potente perché esclude qualsiasi atteggiamento vittimistico, nel momento in cui usa l’umorismo per denunciare i rapporti sociali di potere basati sul sesso. Questa operazione la compie da scrittrice isolata, senza avere alle spalle una tradizione di satira femminista che oggi invece esiste e, soprattutto fuori dall’Italia, ha acquistato una certa visibilità. Oggi esiste un pubblico di donne che finalmente può ridere di battute femministe, perché
cinquant’anni di lotta ci hanno finalmente legittimate a farlo».

Ardilli, qual é il ruolo della marginalità nella vita di Solanas rispetto alla sua scrittura?
«Marginalità e scrittura sono dimensioni inscindibili in Solanas. La sua biografia, firmata da Breanne Fahs, è apparsa soltanto nel 2014 e chiarisce aspetti importanti di questo nesso. Quella di Solanas è stata una vita segnata da abusi precoci in famiglia, due gravidanze in età adolescenziale, da violenza economica, da reiterati rifiuti ogniqualvolta ha tentato di proporsi come scrittrice; ma è anche una vita caratterizzata da una coscienza lucida dell’oppressione vissuta e da uno slancio molto forte, da un desiderio lancinante di vita buona che brucia ogni mediazione».


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VandAePublishing presenta: “12 case, tanti pianeti” di Agnese Bizarri


di Laura Brusa (Lo Sbuffo, 4 aprile 2018)


– Il libro racconta sotto forma di favole e poesie il tema dell’affidamento, spiegato in maniera semplice, ma molto ricca: sono esplorati tutti gli aspetti di questa esperienza, da quelli positivi a quelli più difficoltosi e impegnativi da affrontare. 

Il libro racconta sotto forma di favole e poesie il tema dell’affidamento, spiegato in maniera semplice, ma molto ricca: sono esplorati tutti gli aspetti di questa esperienza, da quelli positivi a quelli più difficoltosi e impegnativi da affrontare. Lo scopo è quello di mettere in luce ogni sfaccettatura e invitare alla riflessione, al chiarimento e al dialogo. La forma della favola è particolarmente indicata per un pubblico di bambinima il libro può essere molto stimolante anche all’occhio di un adulto, capace di cogliere sotto il rivestimento giocoso del testo tematiche profonde. L’affidamento produce un miglioramento in una situazione di vita difficoltosa, per cui si crea una sorta di alleanza tra la famiglia di origine e quella ospitante, che, unendo le loro forze, creano un contesto positivo e di arricchimento reciproco. Tramite lo scambio di idee, pensiero, culture, l’individuo crea un bagaglio di nuove conoscenze ed esperienze che lo completano, come viene spiegato nella favola “Formi e Ca: Formi-ca, due famiglie molto unite”, dove si gioca sull’unione dei due cognomi delle famiglie, che compongono la parola “formica”.

In “Elvira, finalmente!” è narrata la gioia di poter stringere nuove amicizie tra bambini e di poter condividere tempo, giochi, spazi, e persino le premure un po’ seccanti della “nuova famiglia”. Si insiste molto sul concetto di fiduciaun “fidarsi” che diventa “affidarsi”, evidenziato nelle storie della tartaruga e del camaleonte, dell’apprendista gnomo, e messo in rima nella poesia “Di te mi fido”. Il tema del rispetto delle proprie emozioni, punto nevralgico per la buona riuscita di un’esperienza di affidamento, è sviluppato con precisione e compiutezza in diverse favole: si propone un elenco delle emozioni possibili che si possono sperimentare in una simile situazione, tra cui l’incertezza, la preoccupazione, il dubbio, con lo scopo di insegnare ai bambini l’importanza di rispettare il modo in cui si sentono e di esprimerlo con le figure di riferimento. “Capitani paurosi” mette in evidenza come la paura sia un’emozione del tutto comprensibile e quasi inevitabile in questa situazione, ma che può essere affrontata e dissipata con l’aiuto fornito dai servizi di assistenza. Proprio alla struttura dei servizi sociali è dedicata la favola dei delfini, dove si introducono le figure dell’assistente sociale e dello psicologo, suggerendole al bambino come figure positive su cui possono contare in ogni momento. La favola “12 case, tanti pianeti” presenta in maniera giocosa la vita alternata tra diverse case, permettendo di focalizzarsi sugli aspetti positivi della situazione.

L’autrice dei testiAgnese Bizzarri, vincitrice del premio TOYP (The Outstanding Young Persons) per giovani talentuosi, si occupa di numerosi progetti per l’educazione e la cultura, e trasferisce tutte le proprie conoscenze pedagogiche con sapienza sulla carta, a partire dalla scelta della forma della favola: l’affidamento viene in questo modo presentato in maniera giocosa e leggera, con lo scopo di diminuire l’impatto di un così grande cambiamento. Tramite la conoscenza dei suoi aspetti, può essere vissuto in maniera emotivamente consapevole e serena. La scrittura vivace e accattivante stimola l’attenzione dei bambini e, nella sua semplicità, riesce a richiamare l’attenzione degli adulti che riescono a scorgere, al di sotto del velo della favola, la ricchezza dei contenuti soggiacenti. Il libro aiuta a porsi interrogativi ed esorta a esprimerli, a creare un dialogo tra le figure coinvolte nel progetto con l’assistenza sociale, per viverlo al meglio.

Le favole sono correlate dai disegni di Margherita Braga, illustratrice, pittrice e creatrice di oggetti, che con la scelta di ricalcare lo stile dei bambini nelle illustrazioni, permette a questi stessi di identificarsi e constatare che la stessa esperienza che si accingono a vivere non sia unica nella sua eccezionalità, ma condivisa da numerosi coetanei. Non sentirsi soli è essenziale, in modo che un bambino possa porsi la domanda: “se ce la fanno tanti altri bambini, perché non io?”.


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A lezione di dialogo


di Benedetta Verrini (Io donna, 24 marzo 2018)


– C’è la signora Attesa che viaggia da sempre, con adulti e bambini. C’è l’Airone Cinerino che, non certo per vantarsi, ma di migrazioni se ne intende.

C’è la signora Attesa che viaggia da sempre, con adulti e bambini. C’è l’Airone Cinerino che, non certo per vantarsi, ma di migrazioni se ne intende. C’è la Pace, che è andata dallo psicoanalista perché nessuno le dava più fiducia, e allora si è sentita sola e triste. Sono i personaggi dei racconti di Io abito, sono abitato di Agnese Bizzarri (ed. VandA.ePublishing […]), un piccolo libro per raccontare ai bambini che il “diverso” è solo “diversamente familiare”, come scrive nella prefazione l’ambasciatore Roberto Toscano, autore di saggi sulla pace e presidente della fondazione Intercultura.

Secondo gli Open Data del Miur (ministero dell’Istruzione e ricerca) oggi il 10,8% dei bambini della scuola primaria non ha la cittadinanza italiana, con percentuali più elevate nelle regioni settentrionali (nel Nord Ovest la media è del 39,4%). La probabilità di avere un compagno di banco che arriva da lontano è alta. Ma come evitare che le differenze si trasformino in tensioni? Lettura e gioco favoriscono il dialogo.

«I bambini iniziano dai sei anni a elaborare le metafore e a sviluppare la capacità di “mettersi nei panni” degli altri» spiega Cecilia Pirrone, psicologa e psicoterapeuta della famiglia. Un’attitudine da “sfruttare”, per educare alla convivenza con “l’altro”.


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Valerie Solanas. Triologia SCUM., Stefania Arcara, Deborah Ardilli (a cura di), Tutti gli scritti, Morellini, Milano 2018


di Sara Pierallini, (IAPhItalia, 13 marzo 2018)


– Non c’è ragione umana che deponga a favore del denaro o del fatto che qualcuno lavori, al massimo, più di due o tre ore a settimana. Tutti i lavori non creativi (praticamente tutti quelli che vengono svolti oggi) avrebbero potuto essere automatizzati molto tempo fa, e in una società senza denaro ognuna potrebbe avere il meglio di tutto ciò che desidera. (p. 67).

 

Non c’è ragione umana che deponga a favore del denaro o del fatto che qualcuno lavori, al massimo, più di due o tre ore a settimana. Tutti i lavori non creativi (praticamente tutti quelli che vengono svolti oggi) avrebbero potuto essere automatizzati molto tempo fa, e in una società senza denaro ognuna potrebbe avere il meglio di tutto ciò che desidera. (p. 67).

Inizio con questa citazione perché Valerie Solanas, odiata, malfamata, psichiatrizzata, isterizzata, animalizzata, derubata, mendicante, prostituta, Femminista, Lesbica, era una sognatrice, una visionaria che lottava nella vita e per la vita senza mai voler essere vittima. Nessuna/o l’ha resa mai tale, perché temibile nemica della normalizzazione dei corpi e dell’etero-patriarcato e perché instancabile attivista senza collettivo.

Il libro è una raccolta dei testi di questa autrice con l’essenziale contributo delle due traduttrici le quali, in modo appassionato e appassionante, ti sommergono nel mondo Sporco (SCUM) di Solanas. Sapere chi è questa donna è importante perché aiuta a comprendere meglio le fatiche delle sue ribellioni e a mettere in luce ciò che di lei è sempre stato celato. Vissuta sempre ai margini per tutta una vita e morta in modo che solo la feccia, come direbbe lei, potrebbe morire, divenne famosa per aver sparato a Andy Warhol. Derubata dei suoi scritti, censurata, venne riscoperta più tardi dal mondo, grazie anche all’aiuto di collettivi femministi e libertari, che hanno custodito e divulgato su canali alternativi le sue opere.

Partendo da Manifesto SCUM (ovvero manifesto feccia) l’autrice invoca un’unione delle donne e di tutti quegli uomini che non corrispondono al maschio, inteso come costruzione socio-economico-culturale del genere dominante e vede in loro una possibile alleanza, purché diretta verso quegli “esemplari” che, quindi, performano generi altri (p. 97) auspicando all’eliminazione dei propri privilegi. Questi biomaschi potranno far parte dell’Ausiliare maschile SCUM. L’unione dei generi non maschili sarà determinante per creare una società equa, in cui verrà rovesciato il governo, eliminato il sistema monetario, istituita l’automazione completa e distrutto il sesso maschile (p. 63). Quest’ultimo punto Solanas lo vede come inevitabile, anticipando teorie come quella dell’ectogenesi, grazie alla quale la riproduzione biologica diventerà inutile, in quanto faticosa. A questo punto il sesso maschile sarà superato, poiché la mascolinità crea individui che si impegnano in “attività tradizionalmente venerate come le guerre classiche e i tumulti razziali” ed essendo attività distruttive e orribili, sostenute insieme dal denaro e dalla morale, porteranno all’autodistruzione della specie. L’autrice vede la salvezza solo nel genere femminile e nell’eliminazione inevitabile del sistema binario eteronormato raggiunto grazie alla sovversione dei e dai margini della società, dalla feccia (SCUM).

Il secondo testo che troviamo In culo a te, è un testo teatrale che non fu mai portato in scena fino agli anni 2000 a San Francisco, dove fu diretto da George Coates, il quale ebbe molte difficoltà nel trovare un produttore, nonostante ricevesse abitualmente finanziamenti per i suoi spettacoli.  Anche da morta, Valerie Solanas porta con sé il pericolo della parola di quell’arte che sovverte la norma e fa paura perché spezza con il pensiero dominante. Solanas mette in scena molte situazioni scomode, all’epoca ripugnanti per la morale borghese. Individua e critica quelle donne che si asservono al maschio naturalizzandosi come brave mogli e madri, felici di riprodurre la forza lavoro, quindi l’uomo. Nel testo teatrale, Ginger è il personaggio che corrisponde a questa figura, donna colta, apparentemente libera che dice di non essere come le altre donne, di essere speciale e in questo traspare un po’ di misoginia. Solanas rende questa donna comica e passiva, incapace di osservare il mondo intorno a lei e la affianca a una femminista di nome Bongi, volgare, prostituta e lesbica che vive per strada e che, al contrario, sembra riuscire non solo a ottenere ciò che vuole, ma anche ad avere una reale visione di ciò che la circonda e in questo trovare una sorta di libertà.

Russel: Maledetta mostruosità asessuata! Tu non hai nemmeno idea di cosa sia una femmina!

Bongi: Al contrario. Sono talmente femmina da essere sovversiva (p. 147).

Infine, l’ultimo testo con cui si conclude la trilogia è Come conquistare la classe agiata. Prontuario per fanciulle. Ancora una volta la protagonista è una donna che viene dai margini, una che sceglie di fare questa vita, una che vuole lottare per cambiare le sorti del mondo e che nel farlo, lo fa anche con ironia.  Solanas descrive la strada, dove ha sempre vissuto, descrive coloro che la frequentano, che la abitano e coloro, che invece, sono solo di passaggio. Descrive, in qualche modo, la sua vita.

Le sue opere la riguardano al punto che scoprendo di lei, leggendo la sua biografia, si ha l’impressione di vederla nelle vesti di Ginger o della mendicante che sovverte i luoghi di lavoro:

[…] il mio contributo alla causa socialista mantenendomi fuori dal mercato occupazionale. Ma prima, un po’ di esproprio proletario al 5 & 10, giacché è di strada. Entro domandandomi come posso contribuire, in quanto donna, alla crescita del mio paese: col taccheggio (p. 174).

Valerie Solanas ha passato la sua vita osando e sfidando. Psichiatrizzata e rinchiusa molte volte, sia in ospedali che in prigione, non si è mai arresa. Ha sparato a Warhol? Non è importante perché lei non è quello sparo che rivendica insieme ad altri movimenti. Lei è la femminista lesbica che ha deciso di vivere liberamente in un mondo dove non le è stato permesso mai di esprimersi sessualmente, artisticamente e politicamente. Lei si è espressa comunque.

Nel 1977 riuscì a riconquistare il suo scritto Manifesto SCUM da coloro che lo avevano manipolato e cambiato, pubblicandone una versione corretta grazie alla rivista femminista Majority Report.

Solanas muore il 25 aprile del 1988 nella stanza 420 del Bristol Hotel, dove venne ritrovato il suo corpo ricoperto di vermi. Con sé la sua macchina da scrivere che sempre si è trascinata dietro anche in situazioni di miseria.

Qui sotto troverete alcuni link che rimandano a tributi, scritture e opere ispirate a Valerie Solanas. Per una bibliografia esaustiva dell’autrice consiglio di consultare il libro.

1970 – To Valerie Solanas and Marilyn Monroe, In Recognition of Their Desperation

Traccia musicale di Pauline Oliveros

1971 – Hymn to Valerie Solanas, traccia dell’album Pieces of Me. Traccia musicale di Linda Hoyle

1976 – Scum. Traccia musicale di Area (con Demetrio Stratos)

S.C.U.M., cortometraggio della regista Carole Roussopoulos

1994 – Of Walking Abortion, Traccia musicale di Manic Street Preachers,

2003 – Il collettivo spagnolo La Eskalera Karakola apre il saggio Prologue. Positions, Situations, Short-circuits, con un adattamento dell’incipit di SCUM Manifesto che sostituisce la parola «queer» a «donne». (pdf)

2006 – Tract for Valerie Solanas. Traccia musicale di Matmos.

2012-2014 – Chiara Fumai reads Valerie Solanas, video.

The show which is also falsely called Breaks, performance, Chiara Fumai.


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Dacrema: la buona moneta locale che può aiutare il rilancio dell’economia


di Anna Anselmi (La Libertà, 5 marzo 2018)


– L’economista piacentino ha presentato il suo ultimo libro con Renato Mannheimer.

Come risollevare le sorti economiche di un’altra Italia chiamata a far fronte a un debito pubblico di proporzioni ormai abnormi e a rispettare i vincoli sottoscritti con l’adesione al patto del Fiscal compact, «sorta di manifesto della plastica dell’austerità»? Per aiutare il Paese a uscire dall’impasse, l’economista piacentino Pierangelo Dacrema, docente all’Università della Calabria, suggerisce alcune riflessioni e una conseguente proposta nelle pagine del libro “La buona moneta“, pubblicato da All Around, anche in ebook in coedizione da VandA.ePublishing. Il volume è stato presentato alla libreria internazionale Romagnosi, in via Romagnosi, dallo stesso autore e dal sociologo e sondaggista RenatoMannheimer, in un incontro introdotto dal giornalista Robert Gionelli. Scritto con un taglio rivolto anche ai non addetti ai lavori, “La buona moneta” sintetizza temi chiave con lo sguardo rivolto sia all’attualità, accennando all’orgomento dello criptovalute, come il bitcoin, nonchè passando al vaglio recenti misure avanzate dai vari schieramenti politici, per esempio a proposito dell’emissione di titoli di Stato di piccolissimo taglio o del reddito di inclusione per aiutare i meno abbienti, ma soprattutto non dimentica la lezione della storia, guardando alle risposte fornite a situazioni di gravi crisi negli Stati Uniti del New Deal rooseveltiano e nella Germania degli anni ’30 del secolo scorso, quando in un triennio, dal 1933 al 1936, «un Paese sull’orlo del baratro riuscì a conquistare un ragguardevole livello di benessere in virtù di una politica monetaria espansiva nel quadro di una politica economica orientata allo sviluppo», nonostante gli eccezionali risultati raggiunti siano poi stati utilizzati per una corsa al riarmo sfociata nella tragedia della seconda guerra mondiale (e il geniale ministro dell’economia Hjalmar Schacht, ebreo, in dissenso con Hitler dal 1938, sia stato tra gli imputati al processo di Norimberga). La soluzione esposta da Dacrema, che si pone in un’ottica comunque europeista («l’euro e l’Europa sono un valore. Credo nelle unificazioni, non nelle frammentazioni. Le esclusioni, le separazioni e le barriere hanno sempre creato problemi»), va nella direzione della «conversione dei titoli di debito pubblico in moneta corrente a corso forzoso in Italia», in circolazione parallela con quella sovranazionale, per ottenere – spiega Dacrema – da un parte il rilancio dell’economia a partire da un incremento della domanda globale, dall’altro un drastico abbattimento del debito. L’economista ipotizza i possibili scenari determinati dalla’rrivo della nuova moneta locale e immagina una serie di obiezioni, difendendo comunque la sua «proposta forte», scaturita da una «doverosa presa d’atto» di circostanze che non si possono sottovalutare.


 

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Venezia, città dell’amore


di Valentina Cesarino (Lo sbuffo, 28 febbraio 2018)


– Venezia, con i suoi scorci suggestivi, i canali che si annodano gli uni agli altri, tra gli importanti palazzi – che sembrano ergersi spontaneamente dal mare – e le sue gondole, sembrerebbe il luogo più adatto per una romantica storia d’amore.

 

Venezia, con i suoi scorci suggestivi, i canali che si annodano gli uni agli altri, tra gli importanti palazzi – che sembrano ergersi spontaneamente dal mare – e le sue gondole, sembrerebbe il luogo più adatto per una romantica storia d’amore.

È effettivamente qui che Alessandro Marzo Magno decide di ambientare la vicende che popolano il suo libro, “Venezia degli amanti”; storie che non ha inventato, bensì trascritto, ricamandole sulle pagine con uno stile proprio.

Tutte le avventure amorose – di questo si tratta – che l’autore ha voluto farci conoscere, sono state in parte romanzate, ma, più che altro, riportate e rielaborate in modo documentaristico, sotto forma di cronaca. Abbondano date precise, citazioni da autori che dell’argomento hanno trattato, lettere.

In più di trecento pagine Alessandro Marzo Magno riporta, senza tralasciare il dettaglio, le storie d’amore di cui sono cadute vittime notissime coppie di tutti i tempi: da Bianca Cappello, sposa di Francesco I De Medici, allo spregiudicato Giacomo Casanova (forse non è nota a tutti la timidezza che lo caratterizzava negli anni giovanili); da Lord Byron, noto poeta inglese, che sembra aver conquistato il cuore di più di duecento – chi l’avrebbe mai detto? – veneziane, di svariata età, nonché estrazione sociale, a Ugo Foscolo, Gabriele d’Annunzio e la sua bella Eleonora Duse. Sono protagonisti perfino Hemingway, che sembra essere riuscito a conquistare il cuore di una ragazza di soli diciannove anni, dunque, molto più giovane di lui, già maturo, e Julia Roberts.

Alessandro Marzo Magno, dunque, non risparmia pettegolezzi proprio su nessuno.

L’esattezza e l’attenzione che l’autore rincorre e cattura nello scrivere queste righe è, forse, ciò che colpisce maggiormente il lettore. Chi tiene in mano il libro ha l’impressione di leggere più un saggio che un romanzo, saggio in cui Marzo Magno si sofferma anche sul particolare più scabroso, in un modo, però, mai apertamente volgare.

Alcune storie sono ormai entrate nel sostrato mitico e leggendario che noi tutti possediamo, altre, invece, vengono riportate alla luce, riscoperte, da questo autore-indagatore.

Per coloro che amano il romanticismo, la storia, il fascino dell’antica e sempre mozzafiato Venezia, e, si può ammettere, il pettegolezzo, “Venezia degli amanti” (edito per VandA ePublishing, Milano 2015) è, probabilmente, il libro perfetto, che può portare a conoscere un autore poco noto, che riguardo a Venezia non si è limitato a scrivere un’opera sola.

Alessandro Marzo Magno conduce il lettore a braccetto tra sontuosi e vecchi palazzi, incontri notturni, attese e sospiri diurni, scorci di un luogo incantato che ha rappresentato il bocciolo di un grande amore non solo nel passato, ma anche in tempi più recenti, fino ai giorni nostri.
Il fascino di Venezia non risparmia proprio nessuno: nemmeno un poeta inglese o uno scrittore e un’attrice arrivati da oltreoceano.

Alessandro Marzo Magno, scrittore, giornalista e storico italiano, riversa in quest’opera due delle sue più grandi passioni, la letteratura e la storia, ed è ciò che con più forza trasmette al lettore.


 

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Il debito pubblico? Buttiamo il cuore oltre l’ostacolo


di Davidia Zucchelli (Munera, febbraio 2018)


– Ieri sera ho partecipato alla presentazione del nuovo libro di Pierangelo DacremaLa buona moneta. Come azzerare il debito pubblico e vivere felici (o solo un po’ meglio)”, Ed. Allaround, 2018, al Fopponino, a cui hanno preso parte Renato Mannheimer (sociologo), Giuliano Castagneto (Giornalista di MF Milano Finanza) ed Alfredo Costa (Sindacalista).

È stato un incontro molto interessante e vivace, come deve essere quando si affrontano problemi rilevanti, e gli spunti di riflessione non solo e non tanto dal punto di vista economico, ma soprattutto sociale sono stati davvero molti. Non è stato un incontro per gli “addetti ai lavori”, ma per i cittadini.

Conosco Pierangelo da molti anni e non mi ha stupito la sua vivacità intellettuale; so che il suo libro è frutto di una profonda riflessione e della consapevolezza della necessità di trovare tempestivamente una soluzione ad un problema che pesa come un macigno sul nostro paese, sebbene pochi ne parlino. Soprattutto in campagna elettorale, quando dovrebbe essere invece uno dei temi principali di discussione. Evidentemente la gravità del problema non è percepita. Non ancora.

L’autore propone una soluzione drastica, ovvero la creazione di una moneta parallela all’euro, assegnata ai sottoscrittori dei titoli di Stato italiani alla loro scadenza e spendibile, forzosamente, solo nel nostro paese. Da un punto di vista prettamente tecnico, le obiezioni sono – come l’autore ha ben presente – molteplici. Occorre pensare all’effetto “fuga degli investitori esteri “ dall’Italia, che si vedrebbero consegnare una moneta per così dire parziale, alle possibili conseguenze di una eventuale ma probabile imitazione da parte di altri paesi (più o meno sgangherati dell’Italia), all’inflazione che potrebbe derivarne, agli effetti negativi sull’euro per il “quasi” abbandono da parte di uno dei principali paesi europei, solo per citarne alcuni. Non saprei ovviamente quantificare tali effetti e dare una risposta immediata a questi interrogativi. Occorre riflettere, alcuni aspetti non mi sono chiari. E mi riprometto di farlo. Peraltro, come per ogni innovazione, gli effetti non sono mai perfettamente prevedibili.

Ma quello che vorrei ora richiamare sono gli elementi che costituiscono il punto di partenza della riflessione di Pierangelo e che meritano di essere ripresi. Innanzitutto il debito pubblico italiano, della cui gravità come dicevo ormai pochi sembrano avere consapevolezza, soprattutto se – come ha sottolineato Pierangelo – a Mario Draghi succederà Jens Weidmann alla guida della Banca Centrale Europea nel 2019. Perché è nota la diffidenza di Weidmann, attualmente presidente della Bundesbank, nei confronti del nostro paese, tale da fargli dire in sostanza che “l’Italia deve salvarsi da sola”, e che quindi non avrà nessuna intenzione di acquistare titoli italiani in quantità massiccia come ha fatto Draghi negli ultimi tempi con effetti positivi sia per l’Italia sia per l’Europa intera.

La diminuzione del debito, propone Pierangelo, potrebbe essere raggiunta usando una moneta parallela all’euro, che egli non chiama lira ovviamente per evitare l’equivoco di pensare alla completa sostituzione dell’euro, ma VALEX al cambio di 1 a 1 contro l’euro, al quale si affiancherebbe, poiché – ed è questo il fulcro della riflessione di Dacrema – la nostra attenzione deve essere rivolta non alla moneta, ma ai cittadini. La moneta/denaro è diventato negli ultimi decenni il centro di ogni obiettivo economico/politico, il fine da raggiungere, a scapito di tutto il resto. Il valore della moneta è divenuto più prezioso del bene dei cittadini. Si legge a pagina 40, “La stabilità del valore della moneta – l’oggetto sociale prezioso al punto da essere quasi divinizzato – non è stato presupposto di alcunché di socialmente interessante, almeno per quella cospicua parte dell’Europa che è stata penalizzata in termini di reddito, occupazione, benessere … quanto è accaduto nel sistema dell’Eurozona racconta che la salute della moneta è stata considerata più importante di quella della cittadinanza. Racconta e spiega in modo inequivocabile che il denaro è diventato più importante degli uomini”.

I politici dicono che “non si possono sostenere gli investimenti con la spesa pubblica”, perché mancano le risorse finanziarie, mentre invece bisognerebbe invertire il ragionamento: “si deve sostenere la spesa, sfruttare le immense risorse di cui disponiamo, poiché essa poi genererà le risorse finanziarie”. Un po’ come è successo con il New Deal, che è al centro del pensiero di Keynes, più volte ricordato da Pierangelo.

Occorre cioè cercare di valorizzare tutte le risorse, soprattutto umane, di cui disponiamo, di cui il nostro paese dispone. Una disoccupazione inaccettabile, pari al 12% complessivamente, ma con punte assurde prossime al 50% fra i giovani nel sud, è la prova dell’esistenza di tante risorse sprecate.

La moneta deve cioè tornare ad essere uno strumento, non il fine. Così come Keynes suggeriva alle massaie inglesi di spendere i risparmi e di investirli in consumi (gli investimenti sono consumi protratti nel tempo!) così ora è necessario che le risorse – che ci sono, la liquidità non è ora un problema – vengano utilizzate, vengano messe in circolazione, non accumulate. Ma cosa è divenuta la moneta? Lo stesso bitcoin sembra stare a dimostrare il suo non essere moneta (cioè con corso legale che consente un qualunque scambio di beni/servizi) per essere piuttosto strumento di speculazione. Perché tanto interesse per il bitcoin? Per ottenere un vantaggio di prezzo/valore, non uno strumento di scambio (che è, di fatto, limitato solo a certi beni che rientrano nel circuito). Ed è proprio questa una caratteristica che potrebbe anche sostenere la fattibilità della imposizione di limitazioni alla nuova moneta VALEX (di carattere geografico, limitandola all’Italia, o anche merceologico, prevedendo il suo utilizzo in determinati mercati/beni). Se si ammette per il bitcoin, può essere – almeno – immaginata per una moneta parallela?!

La storia della finanza ci insegna che le grandi innovazioni in materia finanziaria e monetaria sono avvenute, ovunque, in Europa e in America sulla spinta della necessità di trovare soluzione a problemi gravi/urgenti (guerre, pestilenze, gravissime crisi….). La ripresa economica, pur significativa, attualmente in corso nel nostro paese, ci distrae ed oscura quello che deve rimanere un obiettivo centrale: appunto la riduzione del debito pubblico. Alcuni potrebbero obiettare che il Belgio è riuscito a ridurre il debito drasticamente nel giro di qualche anno, ma è anche vero che il Belgio ha una dimensione ben più piccola dell’Italia.

Gli esempi di successo nella storia non mancano. Dacrema ricorda Schacht, il presidente della Bundesbank e Ministro dell’Economia di Hitler, che è riuscito in soli 4 anni ad annullare la disoccupazione dal 25%, e a fare della Germania un paese forte (fin troppo, perché poi arrivò alla guerra, ma – ad ulteriore dimostrazione della sua statura professionale ed umana – egli si dimise quando la storia prese la via che tutti conosciamo).

Oppure il caso di Helmut Kohl, il Cancelliere della riunificazione tedesca, che contro il parere di tutti gli economisti decise la conversione del marco uno a uno con i tedeschi dell’est, che si videro in poche ore moltiplicare lo stipendio. Fu un atto di grande coraggio, contro ogni regola economica, ma che risollevò lo spirito di un paese, o meglio di una nazione, che riunificò la sua gente, prima ancora dei confini. E il suo successo è sotto gli occhi di tutti, ancora oggi. Lo stesso Kohl che ha poi attribuito alla Cancelliera Merkel l’errore di porre la Germania davanti all’Europa, quando invece l’Europa avrebbe dovuto guidare/indirizzare la Germania.

Certo la moneta parallela potrebbe finire per scacciare la moneta buona, secondo la nota legge di Gresham, ma se il fine è il benessere dei cittadini, la graduale riduzione delle disparità/disuguaglianze e la riduzione della concentrazione del reddito, essa merita una riflessione. È questo un altro importante obiettivo a cui tendere che Pierangelo sottolinea, ricordando una battuta di Checco Zalone: “Uno su 1000 ce la fa, e gli altri 999?”.

E’ stato proposto da più parti e in varie occasioni di sostenere il consumo di prodotti italiani, a chilometro zero, certamente per sostenere l’ambiente limitando l’inquinamento – anche questo uno degli obiettivi principali a cui tendere – ma evidentemente anche per sostenere la produzione interna. Analogamente, si può credere in una moneta nazionale, specificamente dedicata alle negoziazioni nazionali, senza escludere gli scambi internazionali (le nostre esportazioni superano le importazioni, non lo dimentichiamo), attuati con la moneta accettata all’estero, ma limitandoli al necessario.

Come vedete gli spunti sono molti. Non so, come dicevo, dare una valutazione esauriente alla provocazione di Dacrema, che merita di essere oggetto di un più approfondito esame, ma ho apprezzato molto il coraggio, la voglia di cercare una soluzione per il bene di tutti. Questo è uno di quei momenti in cui occorre buttare il cuore oltre l’ostacolo, superare il pensiero ragionieristico del “sì, si può fare se ho il denaro oppure no, non si può fare se non ce l’ho”, senza considerare piuttosto le altre enormi risorse e in particolare quelle umane di cui disponiamo.

Ma non vi viene in mente il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci (che secondo le più moderne interpretazioni è stato un brillante esempio di condivisione e redistribuzione)?


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Abbattere il debito pubblico? «Missione impossibile con le attuali politiche monetarie e le ipocrisie pre-elettorali»


di Renato Passerini (Il Piacenza, 18 febbraio 2018)


– La creazione di una inedita moneta parallela proposta dal professor Pierangelo Dacrema. Presente anche Renato Mannheimer: alle Elezioni Politiche il 30% dell’elettorato sceglie negli ultimi 15 giorni.

Al tavolo della saletta della Libreria Internazionale Romagnosi, dalle pareti foderate di libri di ogni genere, vi sono due figure talentuose quali il prof. Pierangelo Dacrema, economista piacentino (è nato a Castelsangiovanni) – saggista e intellettuale, professore ordinario all’Università della Calabria, è autore di numerosi articoli, saggi e libri alcuni dei quali presentati nei mesi scorsi a Palazzo Galli, Banca di Piacenza – e il sociologo prof. Renato Mannheimer, tra i più noti sondaggisti italiani, certamente quello che più “buca il video”. La loro presenza è motivata dalla presentazione del saggio “La buona moneta”, sottotitolo: Come azzerare il debito pubblico e vivere felici (o solo un po’ meglio), pubblicato da VandA.ePublishing, in libreria da pochi giorni, di cui è autore Dacrema. Niente previsioni elettorali, ma a domanda Mannheimer conferma la supremazia del centro destra e tra i partiti quella dei cinque stelle; l’affluenza dovrebbe avvicinarsi al 70%, la situazione è molto fluida, anche perché, nel complesso, abbiamo poco meno del 40% di persone indecise, che non dichiarano il proprio voto. Inoltre, grosso modo il 30% dell’elettorato sceglie negli ultimi 15 giorni. E anche i mercati sono alla finestra in attesa di capire come si disporranno le forze in campo “fuori campo”.

Pierangelo Dacrema, Robert Gionelli e Renato Mannheimer alla Libreria Internazionale Romagnosi

Con loro è Robert Gionelli  in veste di moderatore tra le enunciazioni di Dacrema, i dubbi  e le domande ben calibrate  di Mannheimer e del pubblico. Trascorrono così quasi due ore con i presenti sempre più interessati al tema portante del libro: la creazione di una moneta parallela all’euro finalizzata all’abbattimento (fino all’azzeramento) dello stock del debito pubblico italiano e il contestuale rilancio dell’economia nazionale. Una proposta forte su un tema di grande interesse, che dovrebbe trovare un posto nel dibattito politico, se questo non fosse monopolizzato dall’ “io ti darò di più” dai protagonisti della campagna elettorale.

I PRESUPPOSTI – Le dimensioni, sempre crescenti, del debito pubblico italiano sono un problema annoso.  L’Italia si è impegnata, per il prossimo ventennio, a ridurre di una cinquantina di miliardi l’anno il proprio debito pubblico: per molti aspetti una missione impossibile. Sono sempre meno numerosi i sostenitori di una politica dell’austerità; però è anche difficile coniugare una politica di rilancio dell’economia (di non austerità), con il rispetto dei parametri europei (massimo 3% del rapporto deficit/PIL, massimo 60% del rapporto debito pubblico /PIL). Grillo e Salvini, notoriamente poco europeisti, non puntano più a un abbandono dell’Euro, obiettivo giudicato troppo complicato. Sia Lega che M5S hanno aderito all’idea della creazione di una moneta parallela, circolante solo in Italia, per favorire il rilancio economico del nostro Paese senza comprometterne la permanenza nell’Eurozona. Tale moneta, denominata CCF (Certificati di Credito Fiscale), verrebbe emessa dallo Stato e distribuita gratuitamente a imprese e lavoratori, in quantità e modalità predeterminate. L’idea, benché di per sé interessante – afferma Dacrema – presenta difetti vistosi e si prospetta d’altra parte, nella migliore delle ipotesi, come una soluzione destinata a produrre effetti piuttosto limitati che  Dacrema spiega nelle pagine del libro lanciando una sua  più incisiva proposta:

Il VALEX, (Valuta derivante dall’EX debito pubblico), nuova moneta “locale”, in circolazione a fianco dell’Euro, creata attraverso il graduale rimborso dei titoli del debito pubblico (BOT; CCT; BTP) effettuato non in Euro bensì nella nuova valuta.  La nuova moneta avrebbe le  caratteristiche di corso forzoso in Italia (ogni cittadino italiano sarebbe tenuto ad accettarla in pagamento di qualunque bene o prestazione);  parità con l’Euro (un VALEX uguale a un Euro); circolazione solo bancaria, anche attraverso carte di credito, senza emissione di banconote o moneta metallica. Altre caratteristiche  divieto di investire la nuova valuta in altri strumenti finanziari a eccezione dell’Euro;  divieto al sistema bancario di remunerare i depositi ed erogare prestiti denominati nella nuova valuta. Il caso della creazione di una moneta parallela accanto a quella ufficiale, non costituisce una soluzione inedita, mentre nuova è l’ipotesi dell’utilizzo della nuova valuta per il pagamento di un debito sovrano.

Con l’emissione dei VALEX – è la tesi sviluppata nelle pagine del libro  – si  darebbe impulso a consumi e investimenti, attestandosi così come strumento efficace per un’azione di risanamento dell’economia nazionale in tempi brevi. La proposta rappresenterebbe, anche in relazione al beneficio collettivo, una soluzione negoziabile, e alla fine accettabile, in sede europea anche perché non creerebbe i presupposti per pressioni inflazionistiche sull’Euro, né  verrebbe interpretata e vissuta come una manifestazione d’insolvenza dello Stato. Costituirebbe una soluzione “flessibile” (si tratterebbe di scegliere se “accontentarsi” di scendere al 60% del rapporto debito pubblico/PIL, o di continuare nel rimborso, senza escludere di spingersi fino all’azzeramento del debito). Il nostro Paese si libererebbe di una zavorra il cui peso gli tarpa le ali,e si uscirebbe dall’ipocrisia di fingere di credere che, senza il ricorso a strumenti eccezionali, l’Italia possa rispettare i suoi impegni con l’Europa: il rispetto del Fiscal Compact non sarebbe più una mera utopia.


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Il femminismo folle della ragazza che sparò ad Andy Warhol


di Melania Mazzucco (La Repubblica, 8 febbraio 2018)


– Trent’anni fa moriva Valerie Solanas, l’attivista che nel 1968 tentò di uccidere il re della Pop Art. I suoi scritti, ora tradotti in Italia, immaginano un mondo alternativo che può fare a meno del sesso debole: quello maschile.

Il 25 aprile 1988 nella stanza 420 del Bristol Hotel viene ritrovato il cadavere di una delle tante randagie del Tenderloin, il quartiere più sordido di San Francisco. Brulica di vermi ed è in decomposizione, ma si tratta di Valerie Solanas. Era stata una scrittrice, un’attivista politica, una propagandista sociale e una protagonista della controcultura americana degli anni ’60, ma da tempo nessuno aveva notizie di lei.

Era stata risucchiata nel gorgo di un’esistenza maledetta, marginale e “abietta” – l’unica del resto congeniale a una donna che, pur dotata di un’intelligenza superiore e di una laurea, aveva vissuto sempre senza tetto né legge, aveva rifiutato sesso (“rifugio dei mentecatti”), figli, amore e famiglia, e la possibilità di affermarsi come autrice (non scrisse mai il romanzo che le aveva chiesto Maurice Girodias di Olympia Press, l’editore di Nabokov e Borroughs), nonché teorizzato (e praticato) il sabotaggio del sistema e lo s-lavoro. Feccia – in inglese scum – era la sua parola feticcio e l’unica condizione umana cui riconoscesse dignità. E come feccia – “Stravagante, sporca, stracciona” – era morta.

Rigettata nella “fogna”, dannata all’oblio al punto che Lou Reed protesto contro la sopravvivenza del suo ricordo nella canzone I believe. Eppure Valerie Solanas era stata qualcuno. Doveva la celebrità ai tre colpi di rivoltella tirati, il3 giugno del 1968, contro un bersaglio clamoroso: il re della Pop Art, e di New York. Ho sparato ad Andy Warhol, si intitolava il film di Mary Harron (1995), nel quale l’ottima Lily Taylor offriva all’attentatrice il proprio volto impertinente e la voce alle sue teorie (i dialoghi sono quasi tutte frasi di Solanas). Warhol sopravvisse ai proiettili, e Solanas al carcere, alla condanna e all’internamento in manicomio. Ma nessuno dei due fu più lo stesso.

3 giugno 1968: Valerie Solanas spara ad Andy Warhol, ferendolo. Qui Valerie Solanas in arresto.

 

La prima pagina del Daily News del 4 giugno 1968 con la notizia del tentato omicidio.

Se la singolare figura di Solanas rimaneva un riferimento nel sommerso mondo antagonista, col tempo si è risvegliato anche l’interesse della cultura ufficiale – e le sono stati dedicati studi universitari, biografie, romanzi, spettacoli. Ma la radicalità del suo pensiero (e del suo comportamento), l’estremismo e l’estetica terrorista hanno favorito una minimizzazione patologizzante (anche se lei aveva sempre rivendicato: «sono una rivoluzionaria, non una pazza»).

Solanas, bianca proletaria che derideva i sovversivi borghesi igli di papà, accattona non eterosessuale, “superfemminista” che praticava la prostituzione, era fuori da ogni regola, logica, gruppo. Non si conformava al discorso rispettabile della conquista dei diritti e della parità dei generi: la liberazione delle donne non sarebbe venuta dalla mediazione, ma dalla rivolta e dalla violenza. Insomma: un’imperdonabile. Saluto perciò con piacerela pubblicazione di Trilogia SCUM. Tutti gli scritti (Morellini editore / VandA epublishing). Le curatrici, Stefania Arcarae Deborah Ardilli, non solo offrono la traduzione integrale delle (pochissime) opere di Solanas, il Manifesto SCUM, la commedia In culo a te, e ilracconto Come conquistare la classe agiata. Prontuario per fanciulle (inediti in Italia), ma la corredano con due saggi (Chi ha paura di Valerie Solanas e Effetto SCUM Valerie Solanas e il femminismo radicale) fondamentali per inquadrare la vicenda della scrittrice e il suo (problematico) rapporto col pensiero femminista.

Il racconto, del 1966, è un bozzetto satirico, una brillante anticipazione delle opere successive. La commedia, Solanas la offrì a Andy Warhol nel 1967, sperando che la Factory la producesse. Ma il turpiloquio, le teorie eversive della protagonista (la sboccata mendicante Bongi, maschera dell’autrice), l’oscenità di alcune sequenze (una ragazza organizza una cena in cui servirà in tavola un escremento), e l’infanticidio finale la rendevano non rappresentabile nemmeno nel clima libertario del teatro off-Broadway. Warhol tuttavia utilizzò alcune battute di Solanas e la inserì come comparsa nel suo I, a man. Del 1967 è pure lo SCUM Manifesto, che Solanas diffuse smerciandone in strada copie auto-stampate.«Per bene che ci vada, la vita in questa società è di una noia sconfinata» – è il fulminante inizio. «E poiché non esiste aspetto di questa società che abbia la minima rilevanza per le donne, alle femmine dotate di spirito civico, responsabili e avventurose, non resta che rovesciare il governo, eliminare il sistema monetario, istituire l’automazione completa e distruggere il sesso maschile». È violento come tutti i manifestidelle avanguardie, paradossale come i saggi pseudoscientifici sull’inferiorità mentale della donna di cui è insieme una confutazione e una parodia. Ma è soprattutto un ritratto corrosivo ed esilarante degli uomini. «Il maschio è completamente egocentrico, intrappolato in se stesso, incapace di empatizzare con gli altri o di identificarsi con loro, incapace di amor, amicizia, affetto, tenerezza (…) Le sue reazioni sono interamente viscerali, non cerebrali; la sua intelligenza è un mero strumento al servizio dei suoi istinti e dei suoi bisogni (…) non è in grado di interessarsi a nulla, fuorché alle proprie sensazioni fisiche». L’io del maschio in effetti consiste nel suo uccello. La tesi di fondo è che il maschio sia una femmina incompleta, che rivendica come proprie le caratteristiche femminili (forza, indipendenza emotiva, energia, dinamismo, coraggio, vitalità, etc.) per mascherare la propria angoscia, debolezza, invidia: poicé con la tecnologia non è iù necessario nemmeno per la riproduzione, oltre che nocivo è diventato superfluo, e deve essere eliminato (oppure sottomesso).

Non è la rabbia femminista ma l’”umorismo apocalittico” la cifra di Solanas, e il pregio della sua scrittura. Il Manifesto fu pubblicato da Girodias mentre lei era in carcere. Ma gli spari contro Andy Warhol ne imponevano una lettura letterale, sinistra. Mentre la forza di queste pagine è, ancora oggi, la loro allegra, scatenata utopia. Le femmine che Solanas sognava, «dominatrici, determinate, sicre di sé, cattive, violente, egoiste, indipendenti, orgogliose, avventurose, sciolte, insolenti», adatte a governare il mondo, però, faticano ancora a liberare se stesse.


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Donne in Arabia Saudita: io sono ottimista


di Michela Fontana (La 27esima Ora, 7 febbraio 2018)


Cosa cambia davvero per le donne in Arabia Saudita finalmente libere di guidare? Le recenti decisioni del giovane erede al trono Mohammed bin Salman (MBS) che agisce con l’avallo del padre re Salman consentiranno l’emancipazione femminile che molti auspicano? Si può essere ottimisti? O si tratta soltanto di una delle innovazioni «cosmetiche» per compiacere le opinioni pubbliche dei paesi occidentali, primo fra tutti gli stati uniti di Trump che con l’Arabia Saudita ha rinsaldato gli storici legami?

Quando solo pochi anni fa le amiche che frequentavo a Riad organizzavano campagne per il diritto alla guida, nessuna di loro avrebbe potuto prevedere quando il divieto sarebbe caduto. O quando i cinema sarebbero stati riaperti, avrebbero potuto assistere ad una partita di calcio o entrare in un ufficio senza un accompagnatore maschile. Il cambiamento è stato sempre lento in Arabia Saudita, soprattutto agli occhi di un occidentale. La società che io ho conosciuto dal 2010 al 2013, ai tempi del precedente re Abdullah, appariva per la maggior parte conservatrice, anche se si percepivano segnali di fermento e si coglieva l’anelito della parte femminile, la più vivace e pronta al cambiamento. Ma le donne saudite hanno sempre avuto chiaro che quanto ottengono è una concessione dall’alto e mai la conquista di un diritto, in un paese dominato da una monarca assoluto. E — tranne pochi casi, come quello di Manal Al Sharif, l’animatrice della campagna per la guida del 2011, che ora vive fuori dal Paese — non hanno mai spinto le loro rivendicazioni fino a rischiare davvero l’incarcerazione prolungata. Nulla di paragonabile alle lotte delle suffragette inglesi di cento anni fa, pronte a morire. Anche se non si possono paragonare culture e paesi profondamente lontani come Inghilterra e Arabia Saudita.

Re Abdullah era visto dalla donne come un padre benevolo che aveva concesso loro il diritto di sedere nello Shura council, la possibilità di votare ed essere elette alle elezioni municipali, di accedere alle borse di studio per l’estero, purché accompagnate da un parente maschio e aveva consentito loro di lavorare come commesse nei negozi di profumeria e biancheria intima. Aveva anche aperto la più grande università femminile del mondo che ospita 60 mila studentesse. E dove gli uomini — anche docenti — non sono ammessi. Le concessioni di casa Saud alle donne di ieri e di oggi sono un dato positivo innegabile, e tutte le mie amiche saudite ne sono felici, ma il regno Saudita resta ancora un paese paternalista dove la sottomissione della donna è parte integrante del patto tra casa Saud e religiosi wahhabiti, basato sull’adesione ad un islam puro e privo di concessioni sociali. Un rigoroso «nazionalismo religioso» , come lo chiama Madawi al Rasheed la studiosa saudita che vive e insegna a Londra nel suo libro («A most masculine state gender politics and Religion in Saudi Arabia», Uno stato molto maschile: genere politica e religione in arabia saudita) . La stessa studiosa che ha chiamato «femminismo di stato» la vetrina di donne saudite che hanno successo nella professione spesso esibita sulla scena internazionale dalla casa reale.

La rivoluzione dinastica del giugno dello scorso anno ha certamente cambiato la fisionomia del Paese. Dare il potere ad un 32enne rappresenta un salto generazionale rivoluzionario dopo che sul trono del regno saudita si erano soltanto succeduti figli Ibn Saud, (fondatore del regno nel 1932), fratelli sempre più anziani, che hanno guidato un paese dove il 70 per cento degli abitanti ha meno di trent’anni. E dove erano in attesa di arrivare al potere tutti i cugini più anziani di MBS. Mohammed BS oltre che giovane, e’ deciso, spregiudicato, pronto alla guerra, al ridimensionamento della polizia religiosa, e alla resa dei conti all’interno della famiglia reale, come dimostra la sua recente campagna contro la corruzione.

Nel documento Vision 2030 ha tracciato insieme al padre il profilo di una paese più moderno, che non dipende interamente dai proventi del petrolio, che vuole ridurre l’impiego dei lavoratori stranieri. Un regno che avrà bisogno di donne che lavorano. Che guidano, fanno la spesa e portano i figli a scuola. E che saranno anche in grado — almeno teoricamente— di uscire di casa e fuggire da un padre o un marito violento, alla guida di un automobile. Sarà capace il futuro re di cambiare la cultura paternalista profonda , fino ad abolire totalmente la segregazione di genere e la figura del guardiano ( padre, marito, fratello, figlio maschio) che ha ancora sulle donne potere assoluto e le rende eterne minorenni.? E impedisce loro di viaggiare senza la sua autorizzazione , di ottenere la custodia dei figli dopo il divorzio, di sposarsi con uno straniero? Oppure tutto sembra cambiare per le donne perché non cambi davvero nulla? Avendo frequentato a lungo le donne saudite sono ottimista. Nonostante il velo, ce la faranno.

Michela Fontana è l’autrice di «Nonostante il velo» (VandA ePublishing-Morellini Editore) in libreria da maggio 2018.


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Il debito pubblico? Ecco come azzerarlo


di Lorenzo Maria Alvaro (Vita, 6 febbraio 2018)


– La politica italiana parla esclusivamente di argomenti mediaticamente di impatto dimenticando i problemi strutturali che il Paese non riesce a superare: disoccupazione, povertà e immobilismo economico. Tutti problemi che derivano dal gigantesco debito pubblico italiano. Un problema irrisolvibile? Forse no. Ma bisogna stampare moneta.

La campagna elettorale ha acuito il problema. Ma che la politica raramente si occupi dei problemi strutturali del Paese per inseguire argomenti su cui è più facile lucrare consenso politico è un dato di fatto. Per cui continuiamo a dedicare ampio spazio ai migranti e al tema dell’accoglienza, inseguendo ogni fatto di cronaca, più o meno rilevante, dimenticando indicatori elementari e fondamentali per misurare la saulte di un Paese come la disoccupazione, l’economia o la povertà. Tutte voci che rispondo ad un macro problema più grande: il debito pubblico. Su questo non esistono ricette, proposte o progetti. Non se ne parla e basta. C’è invece esclusivamente su queste crede si giochino le sorti dell’Italia e in qualche misure dell’Europa e così ha deciso di dedicare loro un intero libro. Pieangelo Dacrema, economista e scrittore, ha appena pubblicato “La buona moneta – Come azzerare il debito e vivere felici (o solo un po’ meglio)” edito da VandA.ePublishing.

Lei collega il debito a fattori come la disoccupazione, la povertà o la crescita. Perché?
Sono fortemente collegate. Le dimensioni enormi del nostro debito pubblico impediscono, sono l’ostacolo fondamentale, al varo di politiche economiche di sviluppo. Le condizioni del nostro debito pubblico impediscono una politica monetaria espansiva e di una politica economica di sviluppo. Sullo sfondo ci sono la salvaguardia dell’Euro e della nostra partecipazione all’Europa, che per me, lo premetto sono capitali. Abbiamo bisogno di un’Italia sana e forte all’interno di un’Europa sana e forte.

Allora aveva ragione Mario Monti, la strada del rigore era quella più giusta…
Non è così semplice. In Italia accade, come in altri paesi d’Europa, che solo uno shock monetario possa rilanciare significativo la nostra economia. L’esistenza dell’Euro in questo momento impedisce che questo avvenga.

Quindi ha ragione Salvini?
No, calma (sorride ndr). L’Italia sta già violando in modo molto pesante le due regole fondamentali dell’Euro. In primo luogo il non superamento del 60% del rapporto tra debito e Pil. In questo senso in Europa con il nostro 130%, inferiore sono a quello greco, siamo visti come un caso patologico e malato. Siamo considerati un Paese a rischio perché i nostri titoli sul debito pubblico, dai Bot ai Cct, sono visti come viziosi. Ecco il motivo per cui è sempre sotto controllo il famigerato spread. L’altra regola fondamentale è il rispetto del 3% del deficit sul pil. Il deficit corrente misura quello che su base annua segnala le differenze tra incassi e spese dello stato mentre si parla di debito pubblico nel senso dell’intero ammontare del debito accumulato negli anni. Naturalmente i deficit annuali contribuiscono ad aumentare il debito storico. Questa regola siamo in grado di rispettarla. Ma immaginare che il nostro debito possa un giorno rientrare sotto il tetto del 60% è una vera e propria utopia. Un’utopia disegnata dal fiscal compact. Noi lo abbiamo sottoscritto e accolto nella nostra Costituzione. Ma significherebbe per l’Italia abbattere di una cinquantina di miliardi l’anno il debito. Impossibile.

Siamo in campagna elettorale e si sa che le logiche che la muovono non sempre rispondono ai reali interessi dell’elettorato. Stupisce che il tema economica sia pressoché inesistente dal dibattito…
Diciamo che la campagna elettorale ha toccato i temi dell’Europa e del debito pubblico. Ma senza approfondirli. Occuparsi di questo significa occuparsi dei più gravi problemi che affliggono il sistema economico italiano, in primis quello della disoccupazione, in particolare giovanile. È strano che la campagna elettorale trascuri un tema così forte e dirimente. Nel senso che potrebbe spostare molte preferenze.

E qui si torna a Mario Monti. Neanche con il rigore sarebbe possibile?
Certo, significherebbe affidarsi a politiche monetarie di fortissima austerità, alla Monti appunto, designate a ridurre ulteriormente consumi e investimenti aggravando il problema di disoccupazione e di crescita scarsa che potrebbe addirittura sfociare nella recessione. Ma c’è un problema, un dato ormai acclarato: ovunque siano state applicate non solo si sono rivelate dolorose ma anche inutili. Il debito, nonostante la cura Monti, ha continuato a crescere in modo significativo, allontanandoci, a conti fatti, dall’obbiettivo.

Sta dicendo, in soldoni, che siamo spacciati?
No, a mio avviso un’alternativa c’è. Dobbiamo guardare il passato e imparare qualche lezione. Nella storia ci sono state politiche economiche aggressive e forti che in breve tempo hanno dato grandi risultati. Penso ad Hjalmar Schacht, il banchiere di Hitler (presidente della Banca Centrale Tedesca e Ministro dell’economia) che tra il 1933 e il 1936 ha abbattuto la disoccupazione dal 25% a zero, senza inflazione e promuovendo una doppia circolazione di moneta. Questo è il caso più significativo anche se purtroppo evidentemente poco spendibile. Un altro esempio, anche se meno dirimente ma più presentabile, è il new deal di Roosevelt con cui gli Usa sono usciti dalle secche della stagnazione grazie ad una politica economica espansiva.

Queste esperienze sono alla base del suo ultimo libro. Di cosa si tratta?
L’idea è quella della necessita di uno shock monetario. Si tratterebbe di rimborsare i titoli del debito pubblico in scadenza con una nuova moneta, nulla a che fare con la lira sia chiaro. Una moneta che avrebbe bisogno di una nuova denominazione. Moneta a corso forzoso solo in Italia. Il primo obbiettivo è quello di abbattere in modo significativo il debito in breve tempo. Si raggiungerebbe, secondo le mie stime, la quota fatidica quota del 60% in sei anni.

Perché a questo punto non azzerarlo direttamente?
Domanda lecita la cui risposta può essere solo politica. È la politica che dovrebbe stabilire se fosse il caso di continuare il regime per i 50 anni necessari, fino al 2067. Ma se anche ci si limitasse a rimborsarli fino alla soglia critica del rispetto della regole europea i risultati sarebbero molto significativi.

Ma come funzionerebbe questa doppia moneta concretamente?
Il signor Rossi ha dei Btp in scadenza 2019. È un risparmiatore importante, ha un milione di euro di Btp. A scadenza lui riceverebbe non più euro ma nuova moneta italiana. Ricevendo nuova moneta italiana in cambio dei suoi titoli lo Stato non sarebbe costretto ad emettere nuovi Btp per ripagare quelli in scadenza. Questo perché lo Stato oggi per rimborsare il milione al sig. Rossi deve emettere un milioni di nuovi titoli da vendere sul mercato. È questo il motivo per cui il debito tende ad aumentare e non può diminuire. Con una nuova moneta lo Stato si limiterebbe tramite la Banca Centrale nazionale a stampare moneta senza dover emettere nuovi titoli.

E quale sarebbe l’impatto?
Significherebbe che saremmo in Europa rispettando le famose due regole fondamentali. Non saremmo più un economia malata, almeno secondo quelle regole. Significherebbe poi mettere in circolazione moneta che alimenterebbe l’economia reale e quindi andrebbe ad abbattere disoccupazione e povertà.

Possibile che non ci siano criticità?
Si alcune ci sono. Principalmente sarà molto difficile far accettare all’Europa delle deroga rispetto alla centralità e unicità dell’Euro come moneta in Europa. La Bce e la Germania sarebbero profondamente contrarie. Ma su questo si può negoziare. L’Italia potrebbe facilmente dimostrare la bontà della scelta sopratutto in favore dell’Europa.

Continua a sottolineare la centralità e l’importanza dell’Europa. Quindi il suo è un progetto che non solletica sogni di uscita dall’unione?
Il discorso è abbastanza delicato. Se si andasse a creare i presupposti di un negoziato così importante, anche feroce, sulla possibilità di stampare moneta italiana ovviamente non potrebbe trattarsi di un bluff. Se un negoziato del genere fallisse noi dovremmo andarcene. E molti partiti e fazioni politiche sarebbero felici. Io no perché l’obbiettivo primario sarebbe rimanere in Europa con regole diverse.

Perché?
L’Europa è un grande progetto di cui l’Euro è solo la bandiera, non piccola me ne rendo conto. È però solo un primo passo di un’unione politica che continua a mancare perché è un’unione sorda alle esigenze locale. Anche qui ci sono grandi esempi del passato. L’Impero Romano, il più grande impero di sempre, era molto rispettoso delle singolarità e delle peculiarità dei popoli governati. Un altro esempio, per quanto molto diverso, che considero significativo è l’inglese, che è diventata lingua dominante a livello globale. Ma le lingue locale esistono e guai se venissero soppresse. Ci sarebbe la rivoluzione, giustamente. Nel caso delle monete è ancora più facile, perché raramente le si identificano a una cultura o una tradizione. Che fatica si farebbe a continuare a considerare l’Euro moneta principe con accanto monete locali che avrebbero il pregio di funzionare da motore dello sviluppo locale? Sarebbe anche un modo di contrastare il fenomeno della divinizzazione e della moneta. Tornerebbe ad essere uno strumento per il bene comune e non più un obbiettivo da raggiungere e salvaguardare. Le colpe che l’Euro oggi si prende sono dovute sostanzialmente a questa logica malata.


 

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Valerie Solanas, la seriale odiatrice di uomini prima dell’avvento di #metoo


di Pietrangelo Buttafuoco (Il Fatto Quotidiano, 5 febbraio 2018)


– Pubblicati gli scritti della femminista e provocatrice che passò alla storia per aver tentato di uccidere Andy Warhol.

La ragazza con la pistola è Valerie Solanas. È quella che di sé dice “sono una rivoluzionaria, non una pazza”. La scena contemporanea è tutta di #MeToo, ovvero la campagna di mobilitazione contro gli abusi sulle donne, ma la ragazza che aspetta, punta e spara resta lei: Valerie Solanas che il 3 giugno 1968, e dunque nell’apoteosi del 1968, scarica tre colpi di pistola sul petto di Andy Warhol portandolo sulla soglia della morte. Un fatto, questo, di un’era fa.

Il femminismo bussa oggi alle estreme conseguenze –fare del fatto naturale un fatto culturale – e l’epica della dialettica borghese si consuma nella guerra delle femmine contro i maschi: Woody Allen, probabilmente, in conseguenze delle accuse di molestie che gli arrivano non potrà più presentarsi in pubblico e nel solco di Harvey Weinstein – il produttore predatore – già tutto il monolite ideologico derivato da Hollywood va a franare, un po’ come quando ebbe a svanire l’Impero Sovietico.

Una dittatura che non ci sarà mai più, quella dell’immaginario fabbricato –e qui si capovolge l’esito, tutto di meravigliose pedagogie –nel vapoforno del melodramma liberal, con le faccine di Weinstein e Allen perfette a ricalcare, recuperando Warhol, i medaglioni da parata di memoria bolscevica. Erano quelli con i faccioni di Marx, Lenin e Stalin sulla Piazza Rossa.

La ragazza con cui la coscienza contemporanea non ha mai fatto i conti è comunque Valerie Solanas (Ventnor 1936-San Francisco 1988). Presente nel presepe di Greenwich Village e della stessa Factory di Warhol, Solanas – lesbica, teorica dell’automazione radicale – è innanzitutto l’autrice di Scum.

È il “famigerato manifesto superfemminista”, scrive Stefania Arcara nel saggio introduttivo di Trilogia, tutti gli scritti di Valerie Solanas (Morellini editore), l’opera di una mascolina odiatrice di uomini che “ha subìto un ostracismo permanente attraverso la patologizzazione del discorso psichiatrico e della retorica liberale che ne hanno delegittimato il ruolo di scrittrice e polemista”.

Manifesto Scum non è l’acronimo di Society for cutting up men, ossia Società per la cancellazione dell’uomo (“straordinariamente di cattivo gusto”, dirà la stessa Solanas di questa esegesi della sigla) ma è comunque il marchio custodito nelle genuine che fa da innesco a un capitombolo tutto interno alle dinamiche “della parte giusta”. La guerra delle femmine contro i maschi (ricchi) è la contraddizione in seno alle rivendicazioni dell’autocompiacimento liberale e borghese dove l’uomo –tra le grinfie di Solanas – è il Conformismo. Ecco la prosa: “Il maschio che si avventura più lontano è la drag queen; ha un’identità, è una femmina, ma non ha un’individualità; si conforma in maniera coatta allo stereotipo femminile creato dal maschio, riducendosi a nient’altro che a un fascio di manierismi stilizzati”. Ed ecco la poesia: pum, pum!


 

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Deborah Ardilli: “Valerie Solanas. Trilogia Scum”


di Livio Partiti (Il posto delle parole, 27 gennaio 2018)


– Per la prima volta in un unico libro tutti gli scritti di Valerie Solanas, femminista e provocatrice che passò alla storia per aver tentato di uccidere Andy Wharol.

Assurta alle cronache mondiali come la pazza che sparò ad Andy Warhol – tanto che nel 1996 ne venne tratto un film (I Shot Andy Wharol) -, Valerie Solanas fu invece una figura cruciale della controcultura degli anni Sessanta. Frequentatrice del Greenwich Village e della Factory, lesbica dichiarata, icona del femminismo radicale, è l’autrice del celebre Manifesto SCUM. Oggi ritorna alla ribalta, oggetto di rinnovato interesse da parte dei nuovi femminismi radicali e dei queer studies.
La sua opera, riscoperta nel mondo anglosassone da più di un decennio, resta invece ancora poco nota al pubblico italiano. Trilogia SCUM colma questa lacuna, presentando per la prima volta nel mondo tutti gli scritti di Solanas – Manifesto SCUM in una nuova traduzione e due inediti a livello mondiale In culo a te, Prontuario per fanciulle – in un unico volume arricchito da due introduzioni critiche.
Composta prima del risveglio della seconda ondata femminista degli anni Settanta, a cui ha fornito un impulso decisivo, l’opera di Solanas rivela tutta la sua straordinaria attualità. Con la sua verve polemica e provocatoria, cinica e incendiaria, anticipa temi politici e sociali dibattuti ancora oggi, tra i quali l’uso della tecnologia riproduttiva, l’esclusione delle donne dalla cultura, dall’arte, dalla scienza e dalle risorse economiche, il lavoro domestico non retribuito delle donne, il sessismo psichiatrico e la critica radicale all’eterosessualità obbligatoria.

Valerie Solanas (Ventnor, New Jersey 1936 – San Francisco 1988), scrittrice e commediografa.
Piú volte vittima di abusi sessuali, fin dall’infanzia, visse dall’età di 15 anni per le strade di New York sostenendosi con l’elemosina e la prostituzione. Nel 1965 scrisse il dramma teatrale Up your Ass (In culo a te).
Nel 1967 scrisse “SCUM Manifesto”, dapprima autoprodotto e venduto da lei stessa per la strada a 25 cent alle donne e 50 agli uomini, e poi pubblicato da Olimpya Press. Nel 1968 sparò a Warhol, che si era rifiutato di produrre Up your Ass e fu condannata a tre anni di detenzione. Passò il resto dei suoi giorni fra la strada e vari ospedali psichiatrici, morì a San Francisco all’età di 52 anni.

Deborah Ardilli ha conseguito un dottorato di ricerca in Filosofia Politica presso l’Università di Trieste, è traduttrice e studiosa di teoria politica e storia dei movimenti femministi. Attualmente collabora con il “Laboratorio Anni Settanta” dell’Istituto Storico di Modena.

Stefania Arcara insegna Letteratura inglese e Gender Studies all’Università di Catania ed è presidente del Centro Interdisciplinare Studi di Genere GENUS. Si occupa di traduzione letteraria, letteratura di viaggio, scrittura femminile, gay & lesbian studies, queer studies, pornografia e discorsi sulla sessualità nell’età vittoriana.


 

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Le universitarie tifano per l’eliminazione totale del maschio


di Alessandro Rico (La verità, 12 gennaio 2018)


– Ripubblicata in Italia l’opera omnia di Valerie Solaris, l’attivista radicale che sparò a Andy Warhol e che teorizzò la supremazia delle donne. Su Facebook le sue fan danno vita a una pagina celebrativa.

È una pagina Facebook con circa 500 fan, quella che celebra la pubblicazione in lingua italiana della «trilogia Scum» della controversa scrittrice americana Valerie Solanas, femminista radicale e teorica dell’eliminazione del maschio, che nel 1968 attentò alla vita di Andy Warhol.

Nel 2018, sessant’anni dopo il tentato omicidio di uno dei più grandi artisti del Novecento, arriveranno in libreria i tre titoli più celebri della fondatrice del movimento femminista «feccia» («scum», in inglese): Manifesto Scum, In culo a te e Come conquistare la classe agiata. Prontuario per fanciulle. Il volume, edito da Marellini, è curato da Stefania Arcara, titolare della cattedra di «studi di genere» all’Università di Catania e deborah Ardilli, dell’Istituto storico di Modena.

Nulla da dire, ovviamente, sulla legittimità dell’opera editoriale. A differenza delle femministe stesse, spesso animate da un certo fanatismo censorio, noi riteniamo che tutte le idee, per quanto assurde, possano essere presentate al pubblico. Ma come è lecite esprimerle, è lecito criticarle. Non soltanto perchè l’autrice incensata dal drappello di femministe da social network ne professava alcune oltremodo discutibili, ma anche perchè, dalle curatrici della trilogia, non sembra provenire alcuna esplicita dissociazione dagli esiti violenti cui quelle teorie minacciano di condurre.

La Solanas, nata nel New Jersey nel 1936 e morta a San Francisco nel 1988, da bambina fu vittima di abusi sessuali da parte del padre, esperienza drammatica che deve aver contribuito a quell’odio viscerale nei confronti dei maschi che caratterizzerà tutta la sua parossistica invettiva letteraria. negli anni in cui i figli dei fiori andavano proclamando l’amore libero, infatti, la Solanas, emarginata persino dal movimento hippie, diede alla luce quelle opere, come il Manifesto Scum, in cui definiva il maschio un essere inferiore.

C’è chi addirittura ritiene che la parola Scum, in realtà, fosse l’acronimo di Society for cutting up men, «Società per l’eliminazione degli uomini», che in effetti la Solanas evocava esplicitamente nell’incipit del libro: «Alle donne responsabili, civilmente impegnate e in cerca di emozioni sconvolgenti, non resta che rovesciare il governo, eliminare il sistema monetario, istituire l’automazione globale e distruggere il sesso maschile». Altri interpreti considerano il Manifesto un’opera prettamente satirica, che ribalta provocatoriamente tutti i presunti dogmi della società patriarcale, additando l’uomo come una «femmina mancata» (allusione alla tesi del filosofo greco Aristotele), o trasformando la freudiana «invidia del pene» in «invidia della vagina». Ma se, da un lato, la stessa Solanas confermò che il suo intento era «dannatamente serio», è la sua condotta a dimostrare le finalità tutt’altro che pacifiche.

La Solanas chiese invano a Andy Worhol di realizzare un film basato sulla sua opera Up in Your Ass (In culo a te). L’artista perse la copia che lei gli aveva prestato e, pare, non retribuì il piccolo ruolo della scrittrice nel film da lui diretto, I, A Man. Per vendicarsi, il 3 giugno 1968 la Solanas gli sparò tre colpi di pistola. Giudicata schizofrenica paranoide, scontò tre anni in prigione; Warhol, invece, salvato  per miracolo con un delicato intervento chirurgico, soffrì le gravi conseguenze fisiche e psicologiche di quell’attentato. Il suo amico e collaboratore Billy Name commentò:  «Fu tanto scosso da quell’evento che non gli si poteva mettere la mano sulla spalla senza che saltasse».

Dell’eventuale legame tra le tesi estremiste della Solanas e il tentato omicidio, o del fatto che proprio quelle teorie potessero in parte essere il frutto di una mente malata, non sembra però esserci traccia nè nell’analisi delle curatrici italiane nè nella recensione apparsa il mese scorso su Il Manifesto. In un’intervista comparsa sul blog del collettivo femminista Effimera, anzi, Deborah Ardilli spiega: «È bene chiarire subito che l’obiettivo non era quello di far sparire sotto il tappeto le possibilità violente di Solanas a vantaggio di un’immagine “ripulita” e rassicurante. Ci premeva invece inquadrare quelle possibilità violente all’interno di un orizzonte più largo, sottrarle alle astrazioni del verdetto morale e della schedatura psichiatrica e collegarle a un’intenzione significante indissociabile dal processo intentato da Solanas alla società etero-patriarcale». Insomma, una potenziale omicida diventa quasi un genio incompreso; guai a emettere un «verdetto morale» o una «schedatura psichiatrica». Sarà per questo che, secondo Il Manifesto, è «davvero una bella notizia quella della pubblicazione degli scritti di Valentina Solanas», la cui «fama», si legge genericamente nella recensione, «si intreccia in modi contraddittori con ciò che l’ha resa celebre», ovvero il tentativo di assassinare Warhol.

Lungi davvero dal proposito di ridurre tutto a moralismi o psicologismi, ci resta però un quesito: cosa sarebbe successo se, sessant’anni dopo un tentato «femminicidio», un editore avesse ripubblicato un saggio che esorta alla distruzione del genere femminile? E quante boldrinate sull’hate speech in rete ci saremmo sorbiti, se una pagina Facebook avesse sponsorizzato quell’opera?


 

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Scopri l’autore: Federico Nanut

Federico Nanut ha quarant’anni, una laurea in lingue e letterature straniere, e tanti lavori nel curriculum (copywriter, responsabile di una scuola d’inglese…). Nel 2008 ha pubblicato con  Excelsior 1881 il suo primo romanzo “In Africa saremmo già morti”.

Ecco come il nostro Autore ha risposto al celebre questionario di Proust, qui riadattato per VandA.

Il tratto principale del tuo carattere?
La focosità.

La qualità che preferisci in un uomo?
La bellezza.

E in una donna?
L’ironia.

Il tuo migliore amico?
Il Moment.

La tua occupazione preferita?
Fare politica.

Il tuo sogno di felicità?
Avere un Rolex.

Quel che vorresti essere?
Astronauta.

Il Paese dove vorresti vivere?
Cina.

Quello che detesti più di tutto?
I balletti in televisione.

Il primo libro che hai letto?
Yo, brothers and sisters: siamo o non siamo un bel movimento? (Jovanotti)

Il libro che vorresti vedere pubblicato?
Un inedito di Rimbaud.

Il libro che ha cambiato la tua vita?
Tutti quelli di Coelho.

Cartaceo o digitale?
Entrambi.

Il tuo motto?
Uccidere e spalare la neve sono fatica sprecata: ci pensa il tempo

 

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Una seriale odiatrice di uomini


di Giovanna Zapperi (Il Manifesto, 12 dicembre 2017)


«Trilogia SCUM. Scritti di Valerie Solanas»: un libro a cura di Stefania Arcara e Deborah Ardilli (Vanda e-publishing / Morellini editore) che raccoglie in un’edizione integrale i testi della femminista radicale che sparò a Andy Warhol.

Valerie Solanas è una figura centrale quanto controversa nelle storie del femminismo. Autrice nel 1967 del celebre Manifesto SCUM – il manifesto della «Società per l’eliminazione del maschio», di cui era fondatrice e unica affiliata – Solanas, pur considerandosi una rivoluzionaria, non si è mai identificata con il movimento delle donne, né con nessun movimento di liberazione, incarnando così un’esteriorità che non ha mai smesso di interpellare la critica femminista. La sua fama si intreccia inoltre in modi contraddittori con ciò che l’ha resa celebre, ovvero il tentativo di assassinare Andy Warhol nel giugno del 1968.

LA FORTUNA DEL MANIFESTO è infatti legata a questo evento e alla dubbia operazione editoriale che di fatto espropriò l’autrice della sua opera, divenuta poi in pochi anni un testo fondamentale per il nascente movimento femminista.

È davvero una bella notizia quella della pubblicazione degli scritti di Valerie Solanas, finalmente presentati integralmente in una nuova traduzione accompagnata da un approfondito apparato critico a cura di Stefania Arcara e Deborah Ardilli (Vanda e-publishing / Morellini editore). Accanto al Manifesto SCUM sono infatti tradotti per la prima volta l’atto unico In culo a te del 1965, l’esilarante Come conquistare la classe agiata. Prontuario per fanciulle, scritto nel 1966, e infine L’Ospedale psichiatrico di Belleview è gli Stati Uniti del Caazzoo (1970), poesia scritta da Solanas mentre si trovava rinchiusa nella struttura, nello stato di New York tra il 1969 e il 1970. Probabilmente, spiegano le curatrici, altri testi sono andati perduti dopo la morte dell’autrice nel 1988, la cui vicenda è stata caratterizzata dalla marginalità e dall’isolamento che permeano tanto la sua biografia quanto il rapporto con i movimenti rivoluzionari a lei contemporanei.

Stefania Arcara afferma nell’introduzione che «Valerie Solanas ha rappresentato l’epitome della lesbica mascolina, odiatrice di uomini, quindi pazza, una figura scomoda e imbarazzante per il femminismo liberale e, al tempo stesso, bersaglio perfetto per qualsiasi discorso antifemmista».

SE IL FEMMINISMO LESBICO e radicale degli anni settanta ha permesso di leggere politicamente la dissidenza di Solanas, la questione del rapporto tra l’autrice del Manifesto SCUM e il femminismo americano e internazionale è piuttosto complessa, come spiega Deborah Ardilli nel suo saggio che ricostruisce le vicende alterne della ricezione dello scritto, indicando anche l’attualità di una lettura «politica» di Solanas. È infatti innegabile che i suoi scritti continuino a trovare risonanza in un presente ancora segnato dalla violenza maschile e in cui sessualità, riproduzione e lavoro sono più che mai al centro dell’agenda femminista.

Nel Manifesto SCUM, tali questioni sono affrontate in chiave distopica attraverso una scrittura che si appropria della radicalità di stampo avanguardista, combinandola con la fantascienza e il tono da trattato teorico-politico, che però diventa qui definitivo e senza concessioni, anche se non privo di umorismo.

L’INCIPIT DEL MANIFESTO rimane emblematico di quello che è stato definito come un «femminismo terrorista», ossia l’ambizione di portare la lotta per la liberazione femminile al suo limite più terrificante e conflittuale, quello dell’eliminazione pura e semplice dei maschi: «Per bene

che ci vada, la vita in questa società è una noia sconfinata. E perché non esiste aspetto di questa società che abbia la minima rilevanza per le donne, alle femmine dotate di spirito civico, responsabili e avventurose non resta che rovesciare il governo, eliminare il sistema monetario, istituire l’automazione completa e distruggere il sesso maschile».

LEGGERE O RILEGGERE i testi di Solanas in questa fase di ripresa del movimento femminista è un’esperienza particolarmente stimolante e senz’altro la pubblicazione di questo volume partecipa del rinnovato interesse per la radicalità del femminismo degli anni settanta, proprio nel suo porsi come movimento rivoluzionario capace di resistere all’integrazione culturale, puntando su una riconfigurazione globale dei rapporti sociali.

Carla Lonzi, che si era in qualche modo riconosciuta nel carattere «non recuperabile» (né come arte, né come cultura, né tanto meno come avanguardia) del Manifesto SCUM, scrive che Valerie Solanas «si è presa l’incomodo di odiare gli uomini, è da questo stress che le deriva la lucidità su di loro». L’arte e la cultura sono non a caso tra i bersagli del testo di Solanas, che ravvisa proprio nella figura del grande artista l’incapacità maschile di entrare in relazione e nell’arte la grande truffa ai danni delle donne nel fabbricare un mondo totalmente artificiale e privo di senso. «Un ‘artista maschio’ – scrive Solanas è una contraddizione in termini», proprio perché intrappolato nelle menzogne che gli impediscono di creare qualcosa di autentico.

IL TESTO DI SOLANAS è costruito su un ribaltamento di significati, in cui le caratteristiche tradizionalmente assegnate alle donne, come passività e debolezza, vengono ora addossate agli uomini. In questo contrappunto, in cui gli uomini occupano adesso la posizione disumanizzante che il patriarcato è solito attribuire alle donne, l’antagonista per eccellenza non è tanto il maschio, quanto quelle che Solanas chiama «le figlie di papà», le donne «per bene» che si fanno complici della propria oppressione.

Se questo rappresenta uno dei nessi che collegano tra di loro i diversi scritti dell’autrice, è forse anche il punto che più facilmente rischia di non essere compreso se letto attraverso le lenti di un femminismo liberale. Ciò che è in questione infatti è la necessità di combattere l’oppressione ancora più che l’oppressore, in particolare quando questa è stata interiorizzata al punto da suscitare adesione entusiastica e incondizionata, facendo dell’oppressione l’unica forma di vita ammissibile per le donne. Il femminismo di Solanas insomma punta dritto alla violenza delle strutture patriarcali. Il suo carattere eccedente, distopico e irrimediabile rappresenta, in questo senso, esattamente il suo punto di forza.


© 2018 IL NUOVO MANIFESTO SOCIETÀ COOP. EDITRICE

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La materia sapiente del relativo plurale: una teoria vecchia di vent’anni


di Luisa Vicinelli (lematriarcali.org, 28 novembre 2017)


– In un’epoca in cui tutto ciò che ci circonda diventa obsoleto in men che non si dica, il testo di Daniela Pellegrini  sancisce la superiorità della riflessione puntuale e profonda sulla modernità. Un pensiero di donna ancorato in un corpo che osserva e ragiona, e non si lascia sedurre dall’onanismo delle filosofie maschili e anche da quello di alcune filosofie che si dicono femministe.

Il legame indissolubile che inchioda la teoria alla pratica non fa sconti nemmeno a quel simbolico così caro al femminismo italiano. La voce della materia donna non subisce fascinazioni, ma affascina chi ritiene che quella dell’autenticità sia la strada da seguire se vogliamo “liberarci della bestia” e “uscire da una cultura del cazzo”, come l’autrice ci esortava a fare nel suo libro precedente. Ma se qui la denuncia del disastro patriarcale la faceva da padrona, ne La materia sapiente è l’analisi che prende il sopravvento e ci consegna uno dei trattati femministi più significativi degli ultimi anni. Il discorso su una possibile alternativa al Due imposto dal patriarcato si dipana in un’esposizione dal ritmo serrato che spazia dalla preistoria all’oggi, prendendo in esame  i fattori sociali, psichici, storici che hanno determinato la supremazia di un ordine maschile a discapito non solo delle donne, ma della specie tutta. I meccanismi che mantengono indissolubilmente legati  i due sessi  nella disastrosa corsa verso la catastrofe assumono una sorta di tangibilità e acquistano dimensione di realtà, sembra quasi di poterli spazzar via con una mano. Le ragioni profonde della situazione che in primis le donne e a seguire tutti gli esseri viventi subiscono da quando si è affermato il patriarcato ti entrano nella carne: come per incanto spariscono gli interrogativi e le incertezze che ci hanno ammorbato dopo lo sfilacciamento del  movimento delle donne (che Pellegrini esorta a tornare a chiamare in questo modo perché di più ampio respiro e plurale perfino dei “tanti” femminismi esistenti ). Riconsegnando alla materia, che per Pellegrini  è la donnità che accomuna tutti, il suo ruolo di guida razionale della vita tutta ci conduce senza tentennamenti al luogo terzo, indiscutibilmente altro dal due patriarcale, come indiscutibilmente Altro sono le donne, soprattutto quando insieme riprendono quel percorso di autenticità iniziato negli anni ’70 con l’autocoscienza. Perché, dice Pellegrini, è ancora oggi lo strumento più potente che abbiamo, insieme al separatismo. Allora la materia si incastra, si separa e si dispiega come un frattale, che è sia essenza che funzionamento: è la matrice che si rivela in tutta la sua potenza liberandosi dalle pietre sedimentate in secoli di dominio maschile. Il potere e il denaro che tanto la fanno da padrone perdono la loro forza e permettono la nascita di una specie sapiens di pratiche e pensiero.

Questa  teoria vecchia di vent’anni  cui la sola cosa che è mancata è stato l’ascolto, nonostante le tante prese di parola dell’autrice sui pericoli che il movimento delle donne e il suo pensiero ha corso dalla sua nascita a oggi, prorompe in tutta la sua forza, consegnandoci in un sol colpo le pratiche, le discussioni, le riflessioni che l’hanno determinata, perché il pensiero stesso è materia fuori dal bluff patriarcale che lo annebbia e lo complica. Diversi paragrafi sono dedicati allo svelamento di come funziona il bluff, perché è necessario agli uomini e quali sono i trabocchetti in cui cadiamo e perché. Il libro, fondamentale per la proposta/teoria che espone, ci regala anche una lettura del presente, delle “nuove” correnti di pensiero, mostrando come siano in realtà l’ennesima vecchia mossa patriarcale a favore della sua stessa sopravvivenza. È la consapevolezza di sé che fa da guida nei meandri delle proposte più bizzarre dal sapore innovativo, consapevolezza del limite e responsabilità verso la vita. La fascinazione del maschile è sempre in agguato sulla strada della nostra centratura, ma se in Liberiamoci della bestia  questa veniva addotta come causa della non totale consapevolezza femminile, nella Materia sapiente l’autrice ci accompagna passo passo a vedere come si dispiega in ciascuna e tutte noi, perché è difficile individuarla legata com’è al nostro essere materia accudente. Capitoli interessantissimi sono anche quelli che prendono in esame la riproduzione della specie, sollecitando tutte a non lasciare che un episodio circoscritto nella nostra vita diventi il veicolo per imporre la dualità a ogni espressione del nostro esistere. L’apertura al maschio è un atto dovuto, ma non necessario, per una materia/donnità che vede e si assume la responsabilità della vita su questo pianeta: testimonia della lucidità di vedere quello saprà fare per discostarsi dal sistema necrofilo che ha messo in atto. E dopo 4000 anni passati a guardare, con questo libro ci viene offerta di nuovo la possibilità di vedere e un invito a farlo insieme. Non perdiamola.