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Recensione di “Carne da macello” – Leggere Donna

Su Leggere Donna è uscita una bella recensione di “Carne da macello. La politica sessuale della carne” di Carol J. Adams.

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Intervista a Katia M. – Satisfiction

Su Satisfiction.eu è uscita una bella intervista a Katia M., autrice di “Fai la brava. Se il mostro delle favole è mio padre“, a cura di Silvia Castellani.

Ve ne riportiamo l’introduzione.

Fai la brava. Se il mostro delle favole è mio padre (VandA edizioni)di Katia M. racconta una storia vera di violenze perpetrate da un padre sulla figlia per quattordici lunghi anni, ma soprattutto racconta del riscatto di una donna che è riuscita con incredibile coraggio a rompere il muro di silenzio che ha circondato la sua infanzia negata. Gli abusi sessuali sono iniziati quando Katia aveva quattro anni e proseguiti in un crescendo di perversione fino a quando, raggiunta l’adolescenza, è venuto a galla in seguito alla denuncia della stessa vittima, tutto lo squallore di una vicenda assurda accaduta in un piccolo paese ligure come assurde soltanto possono essere tutte le storie che riguardano la violenza sui minori. Moltissime delle quali rimangono purtroppo sommerse. Si tratta di storie scioccanti che troppo spesso non trovano voce. Questa di Katia dopo essere finita al centro di una vicenda giudiziaria complessa che ha portato alla condanna del padre-bruto, è una di quelle che fortunatamente grazie all’eroismo della persona offesa si è potuta conoscere e costituisce oggi un esempio di come se ne possa uscire, portando un messaggio di speranza alle vittime che per paura o vergogna non hanno trovato ancora la forza di raccontare.

Katia, che ha deciso di pubblicare il suo libro tacendo il proprio cognome per tutelare la figlia, non risparmia nessun particolare della vicenda che l’ha vista protagonista ma ce ne parla con una dignità rara e vitale che trasforma il male in bene con parole necessarie: Usare il male che mi è stato fatto per diventare una persona migliore anziché consumarmi nell’odio o nell’autodistruzione è stata la mia regola, la mia filosofia. Se dal male nasce altro male non si arriva da nessuna parte; ma se dal male nasce anche solo una briciola di bene questo sarà duro come l’acciaio, perché temprato dalle difficoltà e dalla sofferenza, e bisogna usarlo per generare altro bene.

Storie come quelle di Katia si verificano sempre e ovunque, e sarebbe bello pensare ci possa essere anche sempre qualcuno che si accorga che “c’è qualcosa che non va”, qualcuno in grado di vedere un po’ più in là e possa così denunciare, rompendo il circolo vizioso che vede le vittime isolate da tutto e tutti. Servirebbe forse una coscienza collettiva più sviluppata, una responsabilità ancora maggiore e solida e la voglia di urlare, non solo da parte della vittima. Ciò che fa più paura di queste storie, come si apprende dal libro edito da VandA edizioni, è il silenzio che le circonda, come una cortina di nebbia attraverso cui è difficilissimo vedere. Vicki Satlow, agente letterario ed editore, con la sua casa editrice ha avuto a sua volta il coraggio di dare voce a questo memoir perché è necessario che queste storie trovino posto nel mondo editoriale potendo essere lette da chi può trovare in esse un motivo in più di forza per reagire. Chi è vittima di violenza deve combattere molti mostri prima di arrivare ad ottenere giustizia sconfiggendo il proprio carnefice: la confusione, la vergogna e il senso di colpa che porta a mentire a se stessi, ma soprattutto la solitudine. Come se non bastasse deve fare i conti – se trova il coraggio di denunciare e venire allo scoperto – con la reazione di certa “gente” che per ignoranza non è in grado di capire che la vittima è soltanto tale e la vergogna deve appartenere esclusivamente agli aguzzini. 

Il paese si divise a metà, chi diceva che non dovevo parlare, che avevo svergognato la mia famiglia inutilmente, che visto che ormai aveva smesso potevo stare zitta; chi invece mi difendeva e diceva che avevo fatto bene a reagire e a denunciarlo. Chi vive in paesi piuttosto piccoli può immaginare quanto si parlò della vicenda. Io non volevo nemmeno uscire di casa, mi stavo chiudendo a riccio, nel mio dolore e col fastidio che chiunque incontrassi ormai sapeva di me.

Non si può mai tacere la violenza se si vuole ricominciare, come ha fatto Katia, a vivere per davvero e il coraggio di denunciare con tutto quello che di molto arduo può conseguire – quel coraggio che sempre troppe poche vittime riescono a trovare – è una lezione importante che tutti abbiamo il dovere di imparare.”

Per leggere l’intera intervista clicca qui.

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A proposito di Elena – Le origini della femminilità distorta

Su La Ventisettesima Ora è uscito un nuovo articolo di Caterina Capparello su “A proposito di Elena” di Giusi Norcia.

Eccone un estratto:

Ogni due secondi, da qualche parte nel mondo, una donna è costretta a sposarsi. E molto spesso dopo un rapimento. Secondo le stime del World Health Organization, sono circa 22 milioni le ragazze che hanno contratto un matrimonio in giovane età. Giovani donne rapite per essere costrette a sposarsi, obbligate a lasciare dietro di sé la propria famiglia, i propri sogni e il proprio futuro. Considerate oggetti privi di qualunque volontà e diritto, queste donne si ritrovano sole, faccia a faccia con uomini che non vogliono affatto la loro felicità: impediscono di avere un’istruzione completa e le costringono a subire violenze. Un fenomeno, quello dei matrimoni forzati, molto diffuso in Rwanda, Etiopia, Nigeria, Kenya, Kirghizistan, India e Cina. Mette letteralmente i brividi l’Ala Kachuu del Kirghizistan (letteralmente “prendi e scappa” nella lingua locale), dove le ragazze vengono rapite allo scopo di diventare spose dei propri rapitori.
Una pratica che, nonostante sia illegale solo dal 2013 (punibile con una pena fino a 10 anni di prigione), ancora continua indisturbata. Secondo le Nazioni Unite, infatti, sarebbero quasi 12.000 le kirghise che ogni anno vengono rapite e costrette a sposarsi. E sono poche le donne che si rifiutano, pena lo stupro o la morte anche per suicidio, circa l’84%, finisce quindi per accettare il proprio destino.

Rapimento e matrimonio hanno un’origine molto lontana, ingiustificabile, ma proveniente da un antico passato. Rapire una donna e farla sua per colpire la società nel profondo, soprattutto in guerra. Ma nell’antichità anche la bellezza di una donna era un’arma a doppio taglio. Rapire la donna più bella significava togliere il bello di una città, togliere ad un uomo il suo trofeo, privarlo della dignità. Chi non conosce la storia di Elena, sposa di Menelao e causa della famosa guerra di Troia. Una ragazza che, per la sua bellezza o per il semplice fatto di essere una donna, aveva già subito due rapimenti. Teseo il primo, Paride il secondo. In entrambi i casi fu riportata a casa, ma a quale prezzo?”

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Giusi Norcia con “A proposito di Elena” rianima il dramma antico

Su Avvenire, il giornalista Giuseppe Matarazzo ha inserito un bel riferimento a “A proposito di Elena“, il nuovo libro di Giuseppina Norcia, in un articolo dedicato interamente alle “voci sole” del dramma antico.

L’articolo di Giuseppe Matarazzo su Avvenire

Eccone uno stralcio:

“Come la scrittrice e grecista, Giuseppina Norcia, insegnante di Drammaturgia antica nella stessa Accademia dell’Inda. «Mythos significa racconto – esordisce Norcia –. Per esistere un mito ha bisogno di essere narrato, oggi come allora, altrimenti si spegne, si fossilizza. La sua capacità di essere mappa dell’anima tesse e insieme rinnova il legame tra le nostre origini e la contemporaneità; ci appartiene non in quanto attuale ma perché universale, in un respiro più ampio che unisce le tre dimensioni del Tempo,
passato presente e futuro. Chi racconta un mito “entra nella storia”, fa vibrare il suono delle proprie domande, pone le urgenze del suo tempo». Elena è il mito che lo scorso anno ha incantato il pubblico di Siracusa, interpretata da Laura Marinoni per la regia di Davide Livermore. Ci siamo lasciati lì. Dove Elena aleggia ancora. E proprio alla regina di Sparta Giuseppina Norcia ha dedicato il suo ultimo libro, “A proposito di Elena
(VandA edizioni, pagine 120, euro 14,00) dove mescola meravigliosamente
i generi, unendo il saggio, la narrazione, il teatro. Dal mito di ieri alla “Elena 2.0” di oggi. «Alcuni miti o personaggi possono rimanere quasi sopiti, per poi risvegliarsi, attivarsi quando risuonano con un dato tempo. Credo che in questo momento un personaggio come Elena sia interprete di temi urgenti, dall’uso dei corpi delle donne alle cause (o ai pretesti…) dei conflitti, dal rapporto tra verità e mistificazione al potere tremendo o salvifico che la bellezza ha sul cuore umano. Quale bellezza, dunque, salverà il mondo?». Questione senza tempo. Di drammi che aspettano di tornare in scena.”

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“A proposito di Elena” – intervista a Giusi Norcia su letture.org

Su letture.org è uscita una bella intervista a Giusi Norcia per la pubblicazione del suo nuovo libro “A proposito di Elena“.

Eccone uno stralcio:

Dott.ssa Giuseppina Norcia, Lei è autrice del libro A proposito di Elena edito da VandA: cosa sappiamo di Elena di Sparta?
Il Mito greco è per me, da sempre, fonte di ispirazione e materia viva, da narrare e plasmare, per la sua capacità di essere mappa dell’anima e nel contempo – come diceva Kerényi – un tessuto senza orli, che non ha mai fine. I grandi personaggi del mito – pensiamo a Odisseo e Penelope, Agamennone ed Ettore, Achille, Elena… – popolano la nostra immaginazione attraverso i racconti dell’infanzia, le letture scolastiche, la cinematografia, oltre che, naturalmente, le letture personali o gli studi specialistici. Il loro essere patrimonio comune e condiviso nasconde tuttavia un’insidia, alimenta l’illusione di conoscerli, schiacciandoli così nel cliché che li semplifica: l’astuzia e la fedele attesa, il potere e la lealtà, la forza, la bellezza… Credo che accostarsi a loro per narrarne ancora la storia richieda uno sguardo rinnovato, la capacità di ascoltarli come se fosse la prima volta: allora, se poniamo altre domande, il Mito risponderà diversamente rigenerandosi con noi. Cosa sappiamo di Elena? – è stata proprio la prima domanda che mi sono posta, a proposito della regina di Sparta. Sul suo conto si dicono molte cose, storie che si intrecciano e a tratti si contraddicono. Sappiamo che è figlia di Tindaro e Leda, sovrani di Sparta, ma che in realtà è di stirpe divina, generata da Zeus che si unisce in forma di cigno alla bellissima madre. Secondo un’altra versione della storia, Elena sarebbe figlia di Nemesi, divinità legata all’equilibrio del mondo e alla giustizia redistributrice. Così, lungo il sentiero del mito, necessità e bellezza si congiungono. Lei è la sposa di Menelao e l’amata di Paride con cui fugge a Troia, eppure altrove narrarono di una nuvola d’aria, di un eidolon mandato nella rocca di Ilio a seminare morte e inganni, mentre la vera Elena sarebbe stata condotta in Egitto. Due uomini, due città, due Elene complicano la storia specchiandosi gli uni nelle altre. Così, il pensiero dominante in principio era che di Elena non si sapesse niente. Il grande paradosso di Elena, la bella per antonomasia, è che il suo aspetto non sia mai descritto: «Non sappiamo se i suoi capelli siano lisci come la seta o indomabili e crespi, del colore del grano o scuri come la notte. Ditemi, ha qualcosa che la rende unica, qualche amabile imperfezione? Un neo sul labbro, una lieve fessura tra i denti? Come cammina Elena? Ama muovere le mani al ritmo delle sue parole? Nessuno lo sa. Di Elena non si sa niente» “

Per leggere l’intera intervista clicca qui.

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Prostituzione: un lavoro come un altro?

Su Volerelaluna è uscito un articolo di Valentina Pazé a proposito della problematica legata alla denuncia di abbandono dei e delle sex worker durante l’emergenza sanitaria e il lockdown del Paese, che presenta bene la posizione di Luciana Tavernini, Silvia Niccolai, Daniela Danna e Grazia Villa, autrici di Né sesso né lavoro.

Eccone un estratto:

“Tra i settori economici che sono stati certamente penalizzati dal lockdown c’è anche il mercato del sesso. Lo ricorda, su il manifesto del 12 maggio, Shendi Veli (https://ilmanifesto.it/lemergenza-umanitaria-del-lavoro-sessuale/) , denunciando l’abbandono in cui sono stati lasciati i e le sex worker (di cui parlerò d’ora in poi al femminile, data la netta prevalenza delle donne nel settore) durante la pandemia. E riproponendo le classiche rivendicazioni dei movimenti per la “decriminalizzazione”: dal riconoscimento della prostituzione come attività lavorativa in piena regola alla legalizzazione delle attività collaterali, come il favoreggiamento, che nel nostro paese è un reato che viene talvolta contestato anche a chi affitta la casa a una prostituta o abita con lei (secondo un’interpretazione peraltro scorretta della legge Merlin, criticata da Silvia Niccolai in AA.VV., Né sesso né lavoro. Politiche sulla prostituzione, Milano 2019, pp70-117).

Intervenendo su 27esima ora del 22 maggio (https://27esimaora.corriere.it/20_maggio_22/prostituzione-lavoro-o-sfruttamento-b8170e3c-9bd6-11ea-aab2-c1d41bfb67c5.shtml), Luciana Tavernini mostra l’altra faccia della medaglia: «Chiamare la prostituzione lavoro è un modo per convincere che tutto, perfino l’accesso all’interno del nostro corpo, può e deve essere venduto e al massimo possiamo lottare per alzare il prezzo. È un vecchio trucco cancellare lo sfruttamento col nome di lavoro». E dunque, anziché chiedere di legalizzare le attività di coloro che guadagnano dalla prostituzione altrui, bisognerebbe attuare quella parte della legge Merlin che prevede formazione e inserimento lavorativo per le donne che desiderano cambiare vita. Uscendo da un “giro” in cui la stragrande maggioranza di loro è finita per bisogno, e talvolta per vera e propria costrizione (le straniere vittime della tratta), non certo per scelta.

Il contrasto tra queste due posizioni sembra irriducibile e riguarda la stessa scelta delle parole: prostituzione o sex work? “Stupro a pagamento” (come è intitolato il bel volume autobiografico di Rachel Moran) o «un lavoro come un altro», di cui si tratterebbe di garantire l’esercizio in condizioni di legalità e sicurezza? Il tema è di quelli che dividono, anche a sinistra, anche all’interno del femminismo e delle associazioni per la difesa dei diritti umani. E probabilmente non potrebbe essere altrimenti, data la molteplicità delle questioni in gioco: dalla visione del corpo, della sessualità, delle relazioni tra i sessi alle nostre idee sulla libertà, i diritti, il rapporto tra Stato e mercato.”

Per leggere tutto l’articolo clicca qui.

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Lettera alla redazione. Contro il sex work non contro le sex workers – il manifesto

Il dibattito . Riceviamo e pubblichiamo un ulteriore contributo sulla questione del sex work. La discussione è emersa in seguito a un reportage pubblicato su il manifesto “L’emergenza umanitaria del lavoro sessuale”

Cara Redazione,

invece di dare l’adeguato spazio alle esperienze, relazioni, riflessioni del movimento neo abolizionista purtroppo in alcuni articoli da voi pubblicati se ne travisano le posizioni.

Soprattutto io e altre donne ma anche degli uomini che fanno parte del movimento neo abolizionista siamo contro la prostituzione, non contro chi viene prostituita. Abbiamo relazioni e sosteniamo il movimento delle sopravvissute alla prostituzione, come ad esempio Rachel Moran e SPACE INTERNATIONAL.

Conosciamo direttamente donne di origine straniera che sono state portate in Italia con la tratta e sappiamo i problemi per liberarsene e la gioia quando vi riescono. Conosciamo le donne che si rivolgono ai centri antiviolenza e anche di questo parlano.

Riteniamo la legge Merlin un grande passo di civiltà e la difendiamo contro le cattive interpretazioni, come argomenta la costituzionalista Silvia Niccolai in Né sesso né lavoro, Politiche sulla prostituzione (VandA, 2019). Lottiamo contro le sue revisioni che, fingendosi libertarie, rendono libero lo sfruttamento della prostituzione altrui, come risulta dall’attento esame dell’avvocata Grazia Villa nello stesso libro

Siamo contro il sex work.

Per sesso io ho sempre inteso poter scegliere il partner con cui stare e come farlo per avere un piacere reciproco, altrimenti è stupro a pagamento, titolo del libro di Rachel Moran (Round Robin, 2017). Mi sembrava che fosse una posizione condivisa nella sinistra e con i movimenti omosessuali e trans.

Non si rende dignitoso lo sfruttamento chiamandolo lavoro. È un vecchio trucco. Anche gli schiavisti dicevano che sarebbe bastato chiamare gli schiavi assistenti di piantagione per far cessare le lotte abolizioniste. Ma allora il movimento operaio inglese e le femministe non ci sono cascati. Ho lottato e lotto per un’idea di lavoro dove si pongano dei limiti al mercato, ad esempio che l’interno del mio corpo non sia vendibile. E che nessuna sia costretta a farlo per potersi mantenere. Uso il femminile perché non mi piace nascondere che la stragrande maggioranza è donna.

I modi e il senso del mio essere donna è una ricerca libera e quotidiana, rafforzata da donne e uomini che scelgo e stimo. Non mi hanno mai aiutato i vari apprezzamenti di un maschio qualsiasi su pezzi del mio corpo e neppure i fischi, come fossi un cane, oggi sempre più in disuso.

Mi documento su quello che succede nei paesi dove la regolamentazione come in Germania e la decriminalizzazione come in Nuova Zelanda hanno permesso guadagni all’industria prostitutiva, rendendo più povere le prostituite Vedi ad esempio, Julie Bindel, Il mito pretty woman (Vanda, 2019).

Luciana Tavernini della Libreria delle Donne di Milano

Edizione del Manifesto del 26.05.2020

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Radio inBlu – Intervista ad Agnese Bizzarri

Questa settimana su radio inBlu si lascia spazio ai bambini, in una bella intervista Agnese Bizzarri presenta la favola sul Coronavirus “Il tempo dei colori” che ha ispirato il contest ricondiviso anche dall’ONU.

Per ascoltare l’intervista completa cliccate qui.

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Valerie Solanas – intervista alla regista Mary Harron

Su Volture.com è stata pubblicata un’intervista a Mary Harron, la regista canadese di American Psycho, L’altra Grace e Ho sparato a Andy Warhol, film del 1996 basato sulla vera storia di Valerie Solanas, femminista radicale e autrice dei nostri “Manifesto SCUM“, “Trilogia SCUM” e “Up your ass“.

Valerie Solanas sta vivendo un momento di grande riconoscimento. Negli ultimi vent’anni, Solanas è stata il soggetto di numerosi libri accademici e di critica e ha ispirato ben tre opere teatrali e un romanzo. Nel 2017 è stata persino ritratta in un episodio della serie televisiva statunitense American Horror Story.

Qui di seguito un estratto dell’intervista originale:

And then I Shot Andy Warhol was a hit at Sundance

In 1996, Variety’s Todd McCarthy wrote, “Filmmakers have been dancing around the idea of dealing with Andy Warhol and his world ever since his death. Now that it’s been done, the result, as well as the angle taken on the material, is as unexpected as it is riveting.”.
The offer to do the script for American Psycho came in right after I got back from Sundance. That’s what happens if you have a first film that does well at Sundance.

Valerie Solanas is having a big moment now

Over the last two decades, Solanas has been the subject of a number of academic and critical books and the inspiration for three plays and a novel. In 2017, she was portrayed in an episode of American Horror Story: Cult by Lena Dunham..
At the time, feminism was not cool. At all. Now everyone wants to say they’re a feminist. But at the time — I never denied it. I always said I was, because I felt like, without feminism, I would never be doing this.

Where do you think your feminism comes from?

It was pretty instinctive. My mother was very old school in a lot of ways. She believed men were superior to women with two exceptions — my sister and myself. She was very ambitious for me and wanted me to be an artist. She would’ve been horrified if I hadn’t. She was very upset that my sister married and had kids early. At the same time, we’d disagree. She thought feminism was silly. She ran a radio program, and on her show, they used to excerpt books, and she refused to do Simone de Beauvoir. Still, I always thought I was going to have a career. That’s how I thought about my future — my career, my work, my ambition.

But I always felt like people were saying “Are you a feminist?” back in the day because they wanted to pigeonhole you as an ideological filmmaker, which I’m not, I don’t believe.”

Per leggere l’intervista completa clicca qui.

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“Così la società ha legalizzato l’oppressione degli animali” – amoreaquattrozampe.it

Condividiamo il bell’articolo pubblicato su amoreaquattrozampe.it e firmato da Teresa Franco sul nostro titolo “Carne da Macello. La politica sessuale della carne” di Carol J. Adams.

“L’attivista Carol Adams, autrice di Carne da macello – La politica sessuale della carne, svela come la società ha legalizzato l’oppressione degli animali.
In Italia è finalmente disponibile un testo fondamentale sui diritti degli animali, che spiega come siamo condizionati dalla società a pensare agli animali come esseri di serie B. Il libro è Carne da Macello, di Carol Adams.
Pubblicato per la prima volta nel 1990, The Sexual Politics of Meat (il titolo originale del libro, che tradotto significa La politica sessuale della carne) è un testo di riferimento nei dibattiti in corso sui diritti degli animali. Nei due decenni successivi, il libro ha ispirato polemiche e un acceso dibattito.

Viviamo in una cultura che ha istituzionalizzato l’oppressione degli animali attraverso la nostra lingua” ha dichiarato Carol Adams al Corriere della Sera. Una prova? Mangiamo carne di animali morti, quindi di cadaveri. Se parliamo del nutrimento degli avvoltoi, usiamo l’espressione “mangiano cadaveri” o “carcasse” ma per riferirci al nostro usiamo l’espressione “consumo di carne”, quasi per nobilitare il gesto e per non nominare l’animale ucciso, alleggerendoci la coscienza.

La Politica sessuale della carne sostiene che ciò che, o più precisamente chi mangiamo, è determinato dalla politica patriarcale della nostra cultura e che “i messaggi visivi e verbali nella cultura popolare e nella nostra società”, tra cui gli spot pubblicitari, “associano il mangiar carne e il machismo ” .

Viviamo in un mondo in cui gli uomini hanno ancora un notevole potere sulle donne, sia in pubblico che in privato. Carol Adams sostiene che la politica di genere è indissolubilmente legata al modo in cui vediamo gli animali, in particolare gli animali che vengono consumati.”

Per leggere l’intero articolo seguire il link:
https://www.amoreaquattrozampe.it/news/carol-adams-societa-legalizzato-oppressione-animali/59491/

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Filosofemme – Recensione “Carne da Macello”

È uscita il 27 marzo sul sito filosofemme.it una bella recensione di “Carne da Macello. La politica sessuale della carne” di Carol J. Adams, firmata da Roberta Landre.

Qui di seguito un estratto.

“Era il 1989 quando per la prima volta negli Stati Uniti venne pubblicato The Sexual Politics of Meat: A Feminist-Vegetarian Critical Theory, di Carol J. Adams e oggi, grazie a VandA Edizioni, possiamo avere il piacere di leggerlo nella sua più recente traduzione italiana: Carne da macello. La politica sessuale della carne (1). Un testo che ha segnato fortemente lo sviluppo dei movimenti femministi e vegetariani grazie alla sua abilità nello svelare le reciproche dipendenze di queste di forme, teoriche quanto pratiche, di resistenza e lotta politica.

L’attivismo praticato da questa autrice è senza dubbio guidato da una riflessione filosofica orientata alla questione femminista-vegetariana: nella vita di Adams (2) possiamo rinvenire i problemi centrali del secolo scorso e di quello attuale, quali la disparità di genere, la violenza che pervade le nostre società, lo specismo e le lotte politiche. Al fine di raggiungere un’inclusività tale da poter mettere in questione ogni aspetto della nostra vita – intesa come perenne relazione con altri corpi e con simboli culturali – e con lo scopo di smascherare ogni forma di violenza che la cultura antropocentrica e patriarcale ci ha consegnato in eredità, Adams si è posta in prima linea.

Come Aristotele ci ricorda nella Poetica l’uomo è per natura un essere che imita, e grazie all’imitazione conosce ciò che lo circonda.”

Per leggere la recensione completa seguire il link:
https://www.filosofemme.it/2020/03/27/carne-da-macello/

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«Così la nostra cultura ha istituzionalizzato l’oppressione degli animali» – Carol J. Adams su Corriere.it

È uscito sul Corriere online un bell’articolo della giornalista Silvia Morosi su “Carne da Macello. La politica sessuale della carne” di Carol J. Adams.

Eccone un estratto:

“Arriva in Italia «Carne da macello», la traduzione del libro considerato la «Bibbia del veganesimo». Il testo esplora la relazione tra patriarcato e consumo di carne, intrecciando le intuizioni del femminismo, del vegetarianismo, della difesa degli animali.

«Viviamo in una cultura che ha istituzionalizzato l’oppressione degli animali su almeno due livelli: in strutture come macelli, mercati della carne, zoo, laboratori e circhi; e attraverso la nostra lingua. Il fatto che ci riferiamo al consumo di carne piuttosto che al consumo di cadaveri è un esempio centrale di come la nostra lingua trasmette l’approvazione della cultura dominante di questa attività». È questo uno dei punti centrali di «The Sexual Politics of Meat» di Carol J. Adams. Uscito per la prima volta negli Usa nel 1990 e da allora ristampato numerose volte, già tradotto in 10 lingue e ampliato dall’autrice in occasione del ventennale («The Pornography of Meat»), il testo arriva anche in Italia per VandA Edizioni come «La politica sessuale della carne» (dall’8 marzo, con traduzione di Matteo Andreozzi e Annalisa Zabonati). Il testo esplora la relazione tra patriarcato e consumo di carne intrecciando le intuizioni del femminismo, del vegetarianismo, della difesa degli animali e della teoria letteraria. Dalle radici storico-culturali ai messaggi visivi e verbali che nella nostra società e nella cultura popolare associano il mangiar carne e la mascolinità. «Ho avuto l’idea nel 1974 quando studiavo la teoria femminista ed ero appena diventata vegetariana (oggi è vegan, nda). Mentre camminavo verso Harvard Square a Cambridge, mi sono resa conto che il consumo di carne faceva parte di una cultura patriarcale», racconta al Corriere della Sera Adams, «rendendomi conto che il femminismo offriva un approccio teorico per comprendere quanto le proteine vegetali siano più sane, meno distruttive per l’ambiente e per gli animali». “

Per leggere il seguito:
https://www.corriere.it/animali/20_marzo_04/carol-j-adams-cosi-nostra-cultura-ha-istituzionalizzato-oppressione-animali-e6cc5658-5d36-11ea-ad92-9d72350309c8.shtml

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“Carne da Macello” – intervista su Radio Radicale

Radio Radicale parla di noi nell’intervista a Matteo Andreozzi e Annalisa Zabonati, traduttori e curatori dell’edizione italiana di “Carne da macello, la politica sessuale della carne” di Carol J. Adams, realizzata da Cristiana Pugliese con Silvia Molè (membro dell’Associazione radicale Parte in Causa – Associazione Antispecista).

L’intervista è stata registrata martedì 3 marzo 2020 alle 18:45.

Nel corso dell’intervista sono stati trattati i seguenti temi: Animali, Antispecismo, Cultura, Donna, Femminismo, Libro, Societa’.

Potete ascoltare l’intervista al link: http://www.radioradicale.it/scheda/600021

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I corpi consumabili dell’oppressione – L’intervista a Carol J. Adams su «Il Manifesto»

In un momento in cui il pensiero femminista sembra acquistare crescente visibilità nel panorama editoriale italiano, che rende finalmente – talvolta nuovamente – disponibili autrici come Donna Haraway, Monique Wittig, Valerie Solanas, non poteva mancare all’appello Carol Adams con Carne da macello. La politica sessuale della carne (comparso per la prima volta nel 1989 con il titolo di The Sexual Politics of Meat), per i tipi di VandA (pp. 360, euro 18, traduzione di Matteo Andreozzi e Annalisa Zabonati, postfazione di Barbara Balsamo e Silvia Molè). Testo chiave dell’ecofemminismo statunitense e dell’antispecismo militante, il libro propone una critica del carnivorismo patriarcale con l’obbiettivo non soltanto di fornire un quadro dell’oppressione della vita animale, ma soprattutto di mettere in atto nuove pratiche di cura. Allieva di Mary Daly, teologa e femminista radicale autrice di Gyn/Ecology (1978), e per numerosi anni prima di dedicarsi alla scrittura attiva nelle lotte per il diritto alla casa e contro la violenza domestica, nel libro Adams ribadisce che creare alleanze significa innanzitutto lavorare trasversalmente, senza separare umani e non umani, e scardinando le gerarchie che discriminano i viventi e legittimano la subordinazione di alcuni e il privilegio di altri. Il libro, che discute i «testi della carne» nelle diverse tradizioni, pratiche e relazioni sociali della cultura occidentale, e nelle sue espressioni verbali e visuali, insiste sull’interdipendenza fra la violenza simbolica e materiale esercitata sui corpi umani animalizzati e quella inflitta ai corpi degli animali non umani, le cui implicazioni vanno oltre la dimensione di genere: referenti assenti sono tutti quei corpi smembrati, macellati, stuprati, oggettivati che diventano, pertanto, consumabili. In occasione della pubblicazione di Carne da macello (presentato in anteprima a Roma nell’ambito di «Feminism» il 5 marzo alle ore 17 in sala 2 Caminetto con Barbara Balsamo, Silvia Molè e Flavia Fechete) abbiamo intervistato Carol Adams.

(continua a leggere scaricando il pdf)

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Il teatro sposa la politica delle donne – Recensione di “Donne che attraversano la scena teatrale”

Nell’ultimo numero della rivista Leggere Donna è uscita una bella recensione del nostro libro “Donne che attraversano la scena teatrale” di Donatella Massara, firmata da Serena Fuart.

Donne che attraversano la scena teatrale” è un sette pièce di Donatella Massara, andate in scena in questi anni con la compagnia teatrale Donne di parola. Un teatro dove prende corpo ora la storia delle donne ora la parola, la politica e l’ironia femminista. Le biografie e l’opera di artiste e scrittrici hanno ispirato la sua drammaturgia, maturata con la passione per la differenza sessuale. L’autrice diventa così una cantora che raccoglie vite ed esperienze del nostro tempo.

Di seguito alcuni estratti della recensione.

“Il libro unisce la passione artistica dell’autrice alla sua pluriennale esperienza politica nel movimento femminista della differenza sessuale. Ne esce un testo che scardina i tradizionali punti di vista della storia e dell’arte per farne una rilettura originale in chiave femminista. In questo libro l’arte teatrale sposa la politica delle donne nel senso che, attraverso l’arte scenica, l’autrice fa anche politica femminista: il libro è, principalmente ma non solo, un viaggio di donne, donne in relazione tra loro, che attraverso i testi teatrali, scritti da Donatella Massara e fedelmente riportati, ci portano dentro la vita e la storia di grandi protagoniste.”

“Un altro aspetto politico del libro è certamente quindi il cambio di prospettiva con cui si legge la realtà: nella cultura mainstream le donne che si sono distinte per aver disatteso i classici ruoli di mogli e madri vengono spesso etichettate come pazze, malate o, nella migliore delle ipotesi si descrive il loro successo in quanto mogli o parenti di qualche uomo illustre. Donatella dà alle protagoniste il ruolo di soggetti attivi, con una loro storia e una loro prospettiva esistenziale.”

“Si tratta insomma di un libro che presenta più piani, più livelli: storico, politico, emotivo. Inoltre la scrittura di Donatella, raffinata ed elegante, ci conduce per mano dentro vite, storie, vissuti, emozioni, arte e cultura. Ci fa gustare delicatamente ogni dettaglio culturale e riferimento politico della differenza sessuale. Un libro che mentre si legge, trasforma, perché, si sa, quando c’è una pluralità di punti di vista avviene il cambiamento dentro e fuori di noi.”

Per la recensione completa vi invitiamo a seguire il seguente link e a scaricare la rivista in formato pdf: https://www.leggeredonna.it/2019/11/03/leggere-donna-n-185/

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Quanto ma soprattutto dove ci tocca la prostituzione?

È uscita sull’Osservatorio della Rivista dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, una bella recensione del nostro saggio “Né sesso né lavoro. Politiche sulla prostituzione” di Daniela Danna, Silvia Niccolai, Grazia Villa, Luciana Tavernini, firmata da Cristina Luzzi, Dottoranda in Giustizia costituzionale e diritti fondamentali nell’Università di Pisa.

Vi lasciamo il link diretto per scaricare il Pdf con l’articolo:
https://www.osservatorioaic.it/it/osservatorio/ultimi-contributi-pubblicati/cristina-luzzi/recensione-del-libro-di-daniela-danna-silvia-niccolai-grazia-villa-luciana-tavernini-ne-sesso-ne-lavoro-politiche-sulla-prostituzione-vanda-epublishing-2019 

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La prostituzione: né sesso né lavoro


di Doranna Lupi (Viottoli n. 1/2019)


Né sesso né lavoro è il titolo dell’incontro del 15 marzo scorso a Pinerolo, realizzato nell’ambito di IO L’OTTO SEMPRE, esito di un tavolo organizzato dall’Assessora alle Pari Opportunità Francesca Costarelli con le associazioni che sul territorio si occupano di contrastare la violenza degli uomini sulle donne: E.M.M.A. Centri Antiviolenza Svolta Donna, Anlib, il Gruppo uomini di Pinerolo, Liberi dalla Violenza – Centro di ascolto disagio maschile.

Sono state invitate per l’occasione l’avvocata Grazia Villa e la storica Luciana Tavernini che, con la sociologa Daniela Danna e la costituzionalista Silvia Niccolai, hanno scritto il libro Né sesso, né lavoro. Politiche sulla prostituzione (VandA.ePublishing, 2019). Questo libro è nato dall’incontro Sulla prostituzione al Circolo della rosa presso la Libreria delle donne di Milano del 10 marzo 2018 e dall’impegno femminista di Angela Di Luciano, una delle editrici di VandA.ePublishing.

Alcune femministe hanno ripreso a ragionare sulla prostituzione per il timore di cattive leggi, nate da idee improvvisate, anche perché in Italia ci troviamo di fronte a diversi tentativi di stravolgere o soppiantare la legge Merlin, che prende il nome della senatrice socialista che ascoltò e dialogò con oltre 2000 donne prostituite nelle case chiuse. Ne è testimonianza la selezione di lettere tra quelle a lei inviate dalle ragazze delle case chiuse e ora ripubblicate. Lina Merlin, coinvolta fin da giovane nella lotta antifascista, condannata al confino, militante della Resistenza, eletta all’Assemblea Costituente (sua la dicitura “senza distinzione di sesso” nell’art.3 della Costituzione sul principio di uguaglianza), impiegò dieci anni per far varare questa legge, che non è piaciuta sin dall’inizio persino a uomini del suo stesso partito. Lei sosteneva che fosse inopportuno chiedere agli uomini le loro impressioni sulle case di tolleranza, per ovvi motivi. Silvia Niccolai argomenta come a interpretare la legge siano stati gli uomini e non lo abbiano fatto con serenità. «La legge Merlin non ha incontrato sostegno interiore negli interpreti, ma scetticismo e malsopportazione e questo ha contato parecchio nel disfarne il senso e il valore» (p. 80). Esaminando la legge e la giurisprudenza, Niccolai ha constatato come molte interpretazioni non ne hanno rispettato il vero significato, quello cioè di configurare la prostituzione come un’attività in sé lecita, ma al tempo stesso di punire tutte le condotte di terzi che la agevolino o la sfruttino.

L’argomento trattato è di grande attualità. Il 6 di marzo 2019 una sentenza della Corte costituzionale ha dichiarato non fondati i dubbi sulla costituzionalità della legge Merlin. Otto associazioni femministe e la Presidenza del Consiglio dei Ministri si sono costituite nel procedimento dinanzi alla Consulta, opponendosi alla questione di legittimità costituzionale di alcuni articoli della legge sollevata nei mesi precedenti dagli avvocati di due imputati nel processo d’appello a Bari sulle escort portate, tra il 2008 e il 2009, dall’imprenditore Gianpaolo Tarantini nelle residenze private dell’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.

Prostituirsi è lecito, ma non lo è aiutare le persone a vendere il proprio corpo o trarre guadagni o altre utilità dalla prostituzione altrui. Resta quindi in Italia il reato di sfruttamento della prostituzione messo in discussione da chi pensa che una donna può decidere liberamente di prostituirsi e che sia una forma di autodeterminazione.

Come ben illustrato dall’accurato lavoro di Grazia Villa, nelle ultime due legislature sono state depositate 22 proposte e disegni di legge riguardanti il tema della prostituzione che, messi a confronto, rivelano un’inaspettata convergenza di opinioni sulla definizione del fenomeno prostitutivo tra esponenti di gruppi di politici diversi, per storie e genealogie spesso contrapposte, convergenza che conduce a una uniformità di giudizi e spesso di scelte (p. 127).

Le principali tra queste opinioni, condivise anche tra posizioni politiche che sembrano proporre concezioni differenti dei rapporti tra i sessi, sono: l’ineluttabilità della prostituzione, la critica alla legge Merlin per la mancata risoluzione del fenomeno o addirittura per il suo aggravamento, la collocazione dell’industria prostitutiva nelle logiche del mercato e ancor meglio del mercato globale, la distinzione tra tratta e prostituzione liberamente scelta da chi la esercita.

La prostituzione è un lavoro come un altro?

Si tratta di visioni che rispecchiano una parte delle politiche sulla prostituzione a livello internazionale, analizzate con precisione da Daniela Danna nel primo capitolo. Ciò che le accomuna è che si parla di prostituzione come lavoro e questo è molto distante dalla legge Merlin. Come sottolineato in diversi punti del libro, ci si è arrivati nel corso del tempo, anche attraverso l’uso di un linguaggio fuorviante con conseguenti slittamenti di significato. Per esempio, definendo la prostituzione sex work come fosse una qualunque professione, i prostitutori diventano clienti che effettuano transazioni economiche, i tenutari di bordelli imprenditori, gli sfruttatori datori di lavoro e le donne che mettono i loro corpi a disposizione libere professioniste. Ma la prostituzione può essere considerata un mestiere come un altro? La vagina può essere un luogo di lavoro e di produttività economica? «Il sito South Melbourne Community Health consiglia alle escort di non utilizzare anestetico locale perché la mancanza di sensibilità impedisce che le lesioni siano notate immediatamente» (p. 30).

Non si degrada così il senso di tutto il lavoro? Luciana Tavernini rende bene l’idea di come in questo modo passi sul corpo delle donne un tentativo di «separare chi lavora da ciò che deve dare per il salario», rendendo accettabile la vendita totale di sé e nascondendo i rapporti sociali sottesi. Riprende Julia O’Connell Davidson che ricorda un episodio, citato da Marx nel Capitale, in cui si racconta come mister Peel avesse portato in Australia, oltre a mezzi di sussistenza e di produzione, anche trecento uomini, donne e bambini della classe operaia, che se ne andarono appena videro come fosse possibile trovare altrove mezzi per vivere meglio, lasciandolo senza neppure un servo. Marx conclude che per trasformare le sue cose in capitale mister Peel avrebbe avuto bisogno di esportare i rapporti sociali che costringevano gli uomini e le donne che aveva portato con sé a vendersi di loro spontanea volontà (p.196).

I rapporti sociali che mettono la donna nella condizione di vendersi “spontaneamente” sono segnati dall’asimmetria tra i sessi. L’uso dei corpi femminili attraverso il denaro è un’istituzione fondante del patriarcato.

Dunque si tratta di un tema importante per la libertà e la dignità delle donne e per le relazioni tra i sessi e, essendo il nostro un tempo in cui si comincia a credere alle parole delle donne, sono stati tradotti, come atto politico, dalle amiche di Resistenza Femminista, dei testi straordinari e dirompenti. Uno è Stupro a pagamento. La verità sulla prostituzione di Rachel Moran (Round Robin, 2017) dove l’autrice narra, partendo dalla propria esperienza, l’orrore vissuto nella prostituzione analizzandone il senso (una mia recensione è nel numero 1/2018 di Viottoli); l’altro è Il mito Pretty Woman. Come la lobby dell’industria del sesso ci spaccia la prostituzione di Julie Bindel (VandA.ePublishing, 2019) che raccoglie 250 interviste fatte a sopravvissute alla prostituzione, attivisti per i diritti delle sex worker, papponi, compratori di sesso e proprietari di bordelli in 40 paesi, città e stati del mondo. Fino a oggi mancava un punto di vista italiano che scaturisse dalla nostra storia, dall’approccio alla prostituzione segnato dalla legge Merlin, dal nostro femminismo e che «declinasse in italiano l’indignazione nei confronti degli uomini che si permettono di comprare il sesso delle donne» (p. 14). Abbiamo dunque una trilogia per comprendere meglio il fenomeno prostitutivo al di là di slogan e stereotipi e avere così un quadro più completo su un tema complesso, che riguarda tutte e tutti.

Sicuramente ciò verso cui ci spingono a riflettere queste autrici è cominciare a pensare alla possibilità di abolire la prostituzione. Gli uomini la devono finire di violare i corpi di donne e bambine a loro piacimento e con il benestare degli altri uomini, secondo una concezione maschile degradata del desiderio e della sessualità: l’uso – o meglio abuso – del corpo femminile reso disponibile per denaro è una manifestazione della protervia maschilista con cui gli uomini si considerano superiori alle donne (ancora poche sono le eccezioni), e un’istituzione fondante della struttura sociale denunciata dalle donne come patriarcato (p. 16).

La battaglia delle narrazioni

Siamo ben consapevoli che la posta in gioco è molto alta: sono in ballo due narrazioni della realtà che, in questo tempo di fine patriarcato, si mostrano confliggendo. Entrambe le narrazioni fanno parte di un senso comune che le ha generate: quello più antico che sostiene, a favore degli uomini, l’ineluttabilità della prostituzione vista come un fenomeno vecchio come il mondo che sempre è esistito e sempre esisterà, un fatto naturale che risponde a un bisogno irrefrenabile della sessualità maschile e che in tempi moderni va regolamentato; quello più recente delle donne che hanno messo in discussione l’ordine simbolico patriarcale e, partendo dalla loro esperienza condivisa, dai loro rapporti di sorellanza, valutano in prima persona ciò che è giusto e ciò che è sbagliato per loro stesse e per le altre.

Grazie a un sentire femminile condiviso e a un bisogno contagioso di verità e giustizia per se stesse e per tutte le appartenenti al proprio sesso, sin dagli inizi del Novecento si è prodotto uno spostamento simbolico, attraverso la presa di parola delle donne. Luciana Tavernini riporta testimonianze di donne uscite dalla prostituzione grazie ad altre, narrazioni riprese e valorizzate dal femminismo degli anni Ottanta. Oggi possiamo sentire cosa dicono le sopravvissute, le giuriste, le femministe.

La prostituzione è uno scambio: lui ha i soldi, lei ha il corpo. La storia di sesso e potere del nostro ex premier Berlusconi ce lo ha mostrato. Ida Dominijanni lo ha spiegato bene nel suo libro Il Trucco. Sessualità e biopolitica nella fine di Berlusconi, (Ediesse, 2014). Quando le donne hanno parlato pubblicamente, come nel caso di Sofia Ventura, Veronica Lario e Patrizia D’Addario, sono caduti personaggi importanti della politica.

Quindi per quanto riguarda la prostituzione «la battaglia delle narrazioni» (Lia Cigarini in Sottosopra – Cambio di Civiltà, 2018) è in pieno svolgimento. Dove ha vinto la narrazione maschile neoliberista si regolamenta la prostituzione come ad esempio in Danimarca, Paesi Bassi e Germania. Un episodio significativo delle possibili conseguenze è stata la necessità del pronunciamento di un tribunale in Germania perché le donne disoccupate non fossero obbligate ad accettare di lavorare nei bordelli per non perdere l’assegno di disoccupazione.

Vedendo che questa modalità scricchiola e non funziona ad aprile 2019 sono state consegnate al parlamento olandese 42.000 firme per chiedere l’introduzione del modello nordico che rende illegale avere rapporti sessuali a pagamento.

Dove ha vinto la narrazione femminile (femminista) si sa, perché lo dicono le sopravvissute alla prostituzione e perché ogni donna lo sa nel profondo di se stessa, che la prostituzione per le donne è un inferno, è violenza, umiliazione, è stupro a pagamento. Allora il modello di riferimento è quello cosiddetto nordico in vigore in Svezia dal 1999 e successivamente in Norvegia, Islanda, in Irlanda e Irlanda del Nord e, dall’aprile 2016, anche in Francia. Questo modello punisce l’acquisto di sesso multando colui che pretende di acquistarlo, decriminalizza le persone prostituite, prevede la creazione di programmi di uscita su scala nazionale, politiche di protezione e sostegno per le vittime di prostituzione, sfruttamento sessuale e tratta, programmi rieducativi per i clienti (prostitutori). La Corte costituzionale francese, con una sentenza del 1° febbraio 2019, ha stabilito che la penalizzazione dell’acquisto di prestazioni sessuali, prevista dalla legge n. 444 del 13 aprile 2016 in tema di lotta contro il sistema prostituzionale, è costituzionalmente ineccepibile.

CAP (Coalition Abolition Prostitution) international ha contribuito alla mobilitazione di una vasta rete di soggetti in sostegno della legge. Sei ministri della precedente legislatura per i diritti delle donne, 30 medici rinomati, una coalizione di uomini che si opponeva all’acquisto di sesso hanno scritto lettere aperte e rilasciato dichiarazioni sulla stampa chiedendo al Consiglio Costituzionale di mantenere la criminalizzazione dell’acquisto di sesso.

In Svezia, infatti, il numero di persone prostituite è diminuito sensibilmente. Secondo la polizia svedese, il provvedimento ha esercitato un notevole effetto deterrente sulla tratta. La legge ha anche modificato l’opinione pubblica.

Nel suo testo Grazia Villa, avvocata di Como, racconta come Oike, una donna sopravvissuta alla tratta, fosse tornata allo sportello per migranti a raccontare di aver trovato casa e un «vero lavoro» perché «altro non è mai lavoro, mai, mai, mai!» Aveva con sé dolcetti per ringraziare e una sciarpa rossa per Grazia, l’avvocata che l’aveva seguita nel suo percorso legale. «In quel semplice gesto di gratitudine, però, c’era il riscatto e l’autodeterminazione di una donna, la forza della nostra alleanza: un sogno avverato, una rivoluzione possibile» (p. 175).

Affrontare questo tema doloroso e scomodo ci dà l’opportunità di mettere in discussione e di riflettere sui rapporti tra uomini e donne e sui mutamenti necessari per un cambio di civiltà.

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Liberazioni


di Clotilde Barbarulli (Il Manifesto Le monde diplomatique, giugno 2019)


MANIFESTI FEMMINISTI 
Il femminismo radicale attraverso i suoi scritti
programmatici (1964-1977)
Deborah Ardilli (a cura di)
VandAePublishing/Morellini (2018) 15.90 euro

Il libro raccoglie, con una interessante introduzione, una selezione di testi del femminismo radicale dalla seconda meta degli anni Sessanta alla seconda metà degli anni Settanta in Italia, Francia e Stati Uniti, per offrire supporti testuali alle più giovani così da ricostruire una trama significativa di pensieri nel percorso politico delle donne. Il manifesto, fra rabbia politica e proiezione utopica, si presta a restituire l’articolazione di quella stagione, attraversata da diverse correnti e segnata dalla presa di coscienza delle donne, il soggetto imprevisto, che prende forza dalle relazioni fra donne. L’implicazione logica della rivolta delle donne è che la loro condizione può essere modificata, che il rapporto sociale che le definisce come la natura, il sesso, la differenza, l’alterità complementare all’uomo, può essere sovvertito. Se l’orizzonte è comune, la varietà delle posizioni rappresentate mette in luce che il femmininismo radicale è una modalità storicamente e geograficamente situata «di pensarsi, di agire e di pensare il propria agire». Il significato di radicale slitta dall’ambito della controcultura e della nuova sinistra al movimento di liberazione delle donne che rifiutano di considerare la propria oppressione come una ricaduta secondaria delle contraddizioni di classe, e che riconoscono l’impossibilità sociale dell’uguaglianza all’interno di un sistema etero-patriarcale. Così se una giovane americana era considerata radicale quando apparteneva alla frastagliata area dell’attivismo studentesco per i diritti civili e contro la guerra in Vietnam, successivamente la radicalità si riferisce al movimento delle donne perché prende le distanze dalle organizzaioni femminili di impronta emancipazionista, staccandosi dalla militanza mista. Ardilli ritiene giustamente importante far conoscere il passato – restituendo «un minimo di respiro storico» ai ragionamenti oltre la «densa coltre di sentito dire» – e mettere così in luce la complessità del rovesciamento di prospettiva di quegli anni.


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Ecco perché il «sex work» non esiste: 8 falsi miti sulla prostituzione


di Antonella Mariani (Avvenire, 8 maggio 2019)


Non è una scelta, non è libertà né autodeterminazione. E la Legge Merlin è ancora viva e vegeta. In un saggio quattro studiose spiegano perché la prostituzione si deve abolire. Come la schiavitù.

La prostituzione può essere considerata un lavoro? No, per nulla. Il sex work (come ora si usa dire per nascondere la realtà dei fatti, cioè la sopraffazione e l’abuso nascosti in un rapporto sessuale a pagamento) non è affatto un lavoro. E non è nemmeno sesso. Con passione e competenza quattro esperte in diversi campi analizzano il mercato del sesso in Italia, un Paese in cui una ottima legge (la Merlin del 1958), animata da una forte tensione etica, è ancora ben lungi dall’essere applicata fino in fondo: la lotta alla tratta non è una priorità e sulla prostituzione vige il laissez-faire, mentre si moltiplicano proposte di legge che mirano, sessant’anni dopo, alla riapertura delle case chiuse.

In “Sew work, né sesso né lavoro” (VandA, pagg. 208, euro 15,90) la sociologa Daniela Danna offre uno sguardo sulle politiche sulla prostituzione in vari Paesi del mondo. La giurista Silvia Niccolai ripercorre la vita travagliata della Legge Merlin, che oggi si vorrebbe ingiustamente smantellare, l’avvocata Grazia Villa commenta le tante proposte di legge avanzate in Italia e infine la pedagogista Luciana Tavernini ragiona sul rapporto tra gli uomini e la prostituzione, e tra quest’ultima e il femminismo, anche alla luce del movimento antimolestie #Metoo.

Nel complesso, un libro prezioso, che offre un contributo di documentazione e di riflessione per chi è convinto, come lo sono le autrici, che la linea giusta sia quella di abolire la prostituzione, così come in passato si è arrivati a cancellare la schiavitù. La presentazione del libro si terrà sabato 11 maggio alle 18 alla Libreria delle Donne di Milano, presenti Danna e Niccolai.

Servendoci dei contenuti di questo libro, largamente citati, abbiamo provato a sfatare alcuni tra i falsi miti più diffusi sulla prostituzione.

1) La prostituzione può essere una scelta, espressione della libertà sessuale e dell’autodeterminazione femminile. FALSO

Molte ex prostitute (le cosiddette sopravvissute, la più famosa delle quali è Rachel Moran che ha raccontato la sua esperienza in Stupro a pagamento) chiariscono come la prostituzione non è mai una libera scelta, nemmeno quando si tratta delle cosiddette escort. Nessuna donna può essere felice di essere umiliata e trattata come una merce. Chi si prostituisce di fatto rinuncia alla sua autodeterminazione sessuale, quindi alla sua libertà. Chi difende la (presunta) libertà della donna di prostituirsi in realtà difende la possibilità del cliente di approfittare del suo corpo. Quanto alla libertà di impresa economica, essa non ha diritto di essere riconosciuta come tale se genera profitti ingiusti, come pensava la senatrice Lina Merlin richiamandosi all’articolo 41 comma 2 della Costituzione (L’iniziativa economica privata (…) non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana). La prostituzione, anche se “libera”, rientra nel caso di un’economia immorale che alimenta i suoi profitti con lo sfruttamento puro e semplice del corpo delle donne. La prostituzione, in conclusione, è la negazione della libertà: è la dimostrazione che tutto – perfino la sfera sessuale – è misurabile con denaro, in un’ottica biecamente consumistica e capitalistica.

2) Si deve legalizzare la prostituzione: se le donne stanno al chiuso sono più protette. FALSO

Chi sostiene questo sta dalla parte degli sfruttatori e dei trafficanti di esseri umani che riforniscono i bordelli della merce-sesso. L’esperienza dimostra che oggi, in Germania come negli Stati Uniti, nei bordelli legali si trovano normalmente donne vittime di tratta, in gran parte straniere, soggette a violenze sessuali e in generale fisiche in misura ancora maggiore di coloro che esercitano “all’aperto”, dato che i clienti, poiché hanno pagato e si trovano in una situazione priva di rischi, si sentono legittimati a fare ciò che vogliono.

3) Con la legalizzazione almeno le prostitute pagherebbero le tasse e il Pil sarebbe più alto. CINICO

È quantomeno cinico considerare lo sfruttamento del corpo delle donne come una economia “sommersa” da far emergere, per partecipare anch’essa alla crescita del Pil. “Ce lo chiede l’Europa”, è la giustificazione che porterebbe, in nome del dio-Pil, ad abbatterebbe ogni confine alla mercificazione femminile.

4) Il lavoro sessuale (sex work) è un lavoro come gli altri. FALSO

Niente affatto, e lo dimostrano le testimonianze di chi è uscito dal “mercato”, che parlano di umiliazioni e soprusi continui. Ma è l’idea stessa di scambiare rapporti sessuali con denaro ad essere contraria alla dignità della donna e alla parità di genere. Nonostante la prostituzione sia regolamentata in diversi Paesi, la sessualità non è un bene commerciabile. Il termine “servizio sessuale” nasconde l’abuso; legalizzare il lavoro sessuale significa trasformare il corpo della donna in luogo di lavoro e legalizzare l’abuso sessuale. La differenza soggettiva con uno stupro è solo perché si è pattuito di non fare resistenza. Il “lavoratore del sesso” rinuncia alla propria sfera intima e mette sul mercato non solo la propria forza lavoro ma principalmente l’intimità sessuale, cosa che è strettamente tutelata in qualsiasi altro impiego. In ogni lavoro ogni sopraffazione, ogni abuso sono severamente perseguiti dalla legge, qui invece ne sono parte essenziale. Quindi, sex work non è lavoro. E non è nemmeno sesso.

5) Poter esercitare il sex work è un diritto umano. FALSO

Questo è il falso mito diffuso in particolare da alcune agenzie per i diritti umani (tra cui Human Right Watch, l’Oms, Unaids e Amnesty International), secondo il quale i sex workers sono un gruppo oppresso. In realtà il diritto che il modello del sex work difende è quello di chi compra, che vuole essere libero di offrire denaro per ottenere una prestazione sessuale. Chi la vende, invece, è solitamente in uno stato di bisogno. E le persone più deboli della società dovrebbero poter far valere ben altri diritti umani: al cibo, alla casa, alla sanità, al lavoro.

6) La prostituzione è una cosa, la tratta è un’altra. INGENUO

Chi sostiene questo finge di non sapere che per un cliente non c’è nessuna differenza tra “merce libera” e “merce trafficata”. Anzi, la maggior parte dei clienti cerca ragazze molto giovani, poco più che bambine. Come può credere che siano libere? In alcuni ambienti utraliberisti la finzione è così avanzata che si cancella la parola tratta per parlare di migrazione per il sex work. Al contrario la posizione abolizionista, condivisa da una parte importante e qualificata del mondo femminista, “considera la tratta non il caso particolare di ciò che di malvagio accade nella prostituzione, ma che l’acquisto dell’accondiscendenza al proprio sfogo sessuale diretto sul corpo altrui – quasi sempre femminile – è violento e inumano di per sé” (Daniela Danna).

7) Non ci sono solo donne nel mercato del sesso. IRRILEVANTE

No, ma sono la maggioranza. La narrazione di persone transessuali e ragazzi gay che rivendicano di scegliere la prostituzione non può oscurare le voci, sempre più numerose, di ex prostitute (le sopravvissute) che denunciano il falso mito della libertà di prostituirsi.

8) La Legge Merlin ha fatto il suo tempo. Bisogna prendere atto che è superata. FALSO

La Legge Merlin stabiliva un principio tuttora valido: il corpo di una donna non può essere oggetto di regolamentazione pubblica, perché questo offende l’eguaglianza e la libertà di ciascuna e mette a repentaglio le coordinate di una convivenza civile. Non considera affatto l’attività della prostituta lecita o libera, ma vuole tutelare la donna che si prostituisce come una cittadina, e rivolgere il suo giudizio d’immoralità non alle prostitute ma al mercato che le sfrutta. La Legge Merlin non è superata, bensì attualissima: persegue la libertà dalla prostituzione, cioè dal non essere considerati una merce in vendita.


 

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Siracusa. Dizionario sentimentale di una città


(Luoghi d’autore, 17 aprile 2019)


Certo un omaggio alla città, ma soprattutto un grande dono ai suoi visitatori, che in qualche ora, i più fortunati in qualche giorno, desiderano cogliere l’anima del luogo. Nel volume Siracusa. Dizionario sentimentale di una città, di Giuseppina Norcia, troviamo espresse in parole emozioni, sensazioni, suggestioni che proviamo andando per le vie di Ortigia;  i vicoli e le stradine che si incrociano, stupiscono il viaggiatore, riportando alla sua memoria luoghi già visti e vissuti: i palazzi e i cortili ricordano il Casco Antiguo di Palma de Mallorca, i muri scrostati e le case abbandonate l’esotica Stone Town di Zanzibar. In questo viaggio nel tempo, sovrapponendo luoghi e cercando i tanti segni del passato, ti accorgi poi anche  che Ortigia rivendica semplicemente e fortemente la sua identità.

Scrive Maria Grazia Ciani nella nota sentimentale, fra le pagine introduttive al volume: « non guida, quanto piuttosto “lettura” di una città, descrizione e memoria storica, rivelazione dell’antico come moderna epifania. Un andirivieni tra il passato che ammicca da ogni angolo e il presente che convive con il ricordo del passato […]»

Racconta Guseppina Norcia nel suo prologo: «Ho dovuto guardarla da lontano per vederla intera […] Poi l’ho abitata ancora. E ho lasciato che mi abitasse. Ne ho cercato l’anima che si rivela senza dissimularsi in maschera, che non lascia la sua luce scivolare via nei sotterranei imprendibili».

Un volume davvero prezioso il Dizionario di Giuseppina Norcia che ho trovato in una storica libreria di Siracusa, nella Casa del libro di Rosario Mascali.  Nota come Libreria Mascali, nel passato fu importante luogo di incontro e di passaggio di vari scrittori fra cui Salvatore Quasimodo, Elio Vittorini, Vitaliano Brancati, Leonardo Sciascia, per citare solo alcuni fra i prestigiosi visitatori.