Pubblicato il

Afro-ismo – recensione Filosofemme

Su Filosofemme è uscita una bella recensione del nostro libro “Afro-ismo. Cultura pop, femminismo e veganismo nero” di Aph e Syl Ko, firmata da Roberta Landre.

Eccone un estratto.

Aphro-ism: Essays on Pop Culture, Feminism, and Black Veganism from Two Sisters (2017), tradotto in italiano da feminoska e edito da VandA edizioni – Afro-ismo Cultura pop, femminismo e veganismo nero (2020) – è il tentativo ben riuscito di rendere in libro l’esperienza che Aph e Syl Ko hanno sperimentato scrivendo sul loro blog aperto nel 2015 sotto il nome di Aphro-ism, tra insicurezze e bisogni.

Loro stesse ci indicano le loro intenzioni: “Dedichiamo questo libro a chi s’impegna a creare una nuova architettura concettuale per il futuro. Speriamo che sia uno dei mattoni per la sua fondazione.”

Quindi un testo che si propone di sfidare le nostre categorie concettuali, la nostra visione del mondo, attraverso lo spirito critico, al fine di creare una nuova base teorica che sostenga delle pratiche inedite di vita. Ed è proprio questo iato di possibilità quello che le sorelle Ko vogliono aprire; riappropriarsi della capacità immaginativa per scardinare le dicotomie su cui l’attuale sistema sociale si regge.


Il Veganismo Nero è il mezzo con cui intendono combattere: è sia una forma di resistenza politica, che uno strumento metodologico entro il quale inquadrare le oppressioni sistemiche prodotte e sostenute dal pensiero coloniale.


La loro analisi prende le mosse dal pensiero antirazzista, che nel suo intrecciarsi con l’antispecismo – attraverso i movimenti di liberazione nera e animale – origina una riflessione circa la comune dipendenza delle nozioni di “umanità” e di “specie”. Nella prospettiva del veganismo nero questi -ismi (antirazzismo e antispecismo insieme a tutti gli altri) sono necessariamente conciliabili.”

Per leggere l’intera recensione, clicca qui.

Pubblicato il

“A proposito di Elena” – recensione e intervista a Giusi Norcia

Su Letteratitudine è uscito il pezzo di Daniela Sessa su “A proposito di Elena” con una bella recensione e un’intervista a Giusi Norcia.

Eccone uno stralcio:

“Già chiamarla Elena di Sparta o Elena di Troia apre immensi e fecondi scenari. Ma apriamone un altro: se Elena fosse un calligramma, una bella poesia disegnata da Teocrito fino ad Apollinaire. Immaginiamo le parole di Elena intorno al ventre del cavallo di Troia pieno di greci (amici o nemici?) o le parole per Elena dette da Gorgia o inflitte dall’euripidea Ecuba: cosa diventerebbero sulla pagina? Un uovo e un punto interrogativo.

Perché Elena e il suo mistero stanno in quell’origine divina così poetica e violenta assieme. Figlia di Nemesi o di Leda, Elena è quell’uovo appeso al soffitto della reggia di Sparta il cui fato coincide con il rapimento. Ogni attributo di Elena rimanda all’enigma, al bifrontismo, alla fuggevolezza, alla parvenza. Paride la porta a Troia “fittamente velata” come scrive Christa Wolf eppure tutti ne vedono la stravolgente bellezza, luminosa e seducente. Pure il rapimento ha la sua doppia semantica: Elena rapisce e viene rapita.

Soprattutto su questo ruota l’ultimo libro di Giuseppina Norcia “A proposito di Elena” che racconta, con quell’incanto verbale che è proprio della scrittrice, la storia di Elena, il suo destino di rapita attraverso i secoli. Un personaggio aereo appare l’Elena di Norcia, metamorfico nell’attraversare il tempo degli uomini con la stessa sfingea consistenza di Orlando di Virginia Woolf. Solo che qui si gioca su una sorta di eterno femminino che rimanda al corpo della Bellezza, un corpo voluttuario e cavo su cui, nella visione di Norcia, si gioca ogni guerra.  “Lei, la multiforme, la mutaforme, sa bene di essere molte cose, vittima e maestra di contemplazione, oggetto del desiderio e tessitrice visionaria chiamata a rappresentare la sua stessa storia. A rappresentare la storia del mondo”.

Norcia ricostruisce la storia della preda mitologica da una Elena zero a un’Elena 2.0 : un viaggio tra il mito e la contemporaneità intrecciando Saffo e Nabokov, Virginia Woolf e Omero, Albert Camus ed Euripide, Simone Weil e Zeusi.  Scrive Norcia in uno dei passi più interessanti del libro che per il pittore ateniese ci vollero “Cinque donne per fare un’Elena”. Lo stesso può dirsi di Giuseppina Norcia che per fare la sua Elena fa i ritratti in parole di Briseide, Aspasia, Ifigenia, Kore e… Alcibiade, il giovane e camaleontico stratega innamorato di Socrate, per cui Norcia, sulla scia di Plutarco si chiede “Che donna è Alcibiade?”.

È un tessuto “A proposito di Elena”, forse lo stesso che Elena ricamava nelle stanze infide di Troia: un libro fatto di rimandi e di incursioni sul presente che consentono a Norcia di gettare sul tavolo del mito alcune domande universali: sulla guerra, sulla marginalità delle donne, sulla violenza della guerra contro il corpo delle donne, sulla distruzione della Bellezza e sulla sua incessante ricerca. Il congedo lirico con l’immagine dell’albero di Elena, il platano del bosco fuori Sparta dove si celebravano le feste Helenie fa da controcanto a un secondo congedo, quello dell’esilio di Elena di Camus: si tradisce il bosco nell’epoca delle grandi città.

È un libro prezioso “A proposito di Elena” perché ha l’aspetto di Elena stessa: Norcia dissemina il libro di domande come a ribadire il segno ortografico che Elena incarna nel suo destino di drammatica Bellezza. Perché è esso stesso proteiforme: il racconto pare spezzare (o è il contrario?) una bozza di teatro. Ci sono un prologo e un dialogo dove Norcia si sdoppia nella voce narrante perché doppia (amore e terrore, dono e malattia) è l’idea di Elena, quattro monologhi e un epilogo affidati al personaggio Elena “Simulacri, accuse inconsistenti si contendono la vostra mente: non è bellezza ciò che crea infelicità; o se lo è, è una bellezza tradita, vilipesa, capovolta.”. La voce dell’Elena di Norcia è vellutata, evocativa, soffusa, blu. O forse è la voce di Norcia stessa, della sua scrittura limpida e con il ritmo di un esametro.”

Potete leggere l’intero articolo cliccando qui.

Pubblicato il

Afro-ismo – recensione su Ghinea

Sull’edizione di giugno di Ghinea è uscita una bella recensione di “Afro-ismo. Cultura pop, femminismo e veganismo nero” firmata da Marco Reggio.

Eccone uno stralcio.

“Il pensiero antispecista vive nel nostro paese un certo fermento negli ultimi anni. Le parole d’ordine del “primo” antispecismo di matrice anglosassone (ma anche – occorre ricordarlo – bianca, maschile, cisgenere e accademica) si accompagnano a riflessioni che muovono da prospettive più ampie e, soprattutto, che dialogano serratamente con altri ambiti di lotta e di elaborazione teorica. Le prospettive foucaultiane in relazione all’ agency animale , la teoria critica seguente alla “svolta” suggerita da Derrida in relazione alla questione animale; gli intrecci con le teorie queer, esplorati interpellando sia la teoria della performatività di Judith Butler sia il versante anti-sociale del queer ), ma anche con altre “correnti” del femminismo, come l’ecofemminismo , l’opera di Carol J. Adams (da poco tradotta ) e l’etica del care. Senza contare il gran lavoro di traduzione, che spesso è sottorappresentato (forse anche perché è prevalentemente femminile), sui blog o a livello editoriale, che si è rivelato preziosissimo per far conoscere ai lettori/trici italian*, soprattutto militanti, alcune voci e alcuni momenti salienti dei dibattiti esteri (si veda il sito del collettivo Les Bitches ). In questo scenario, un ritardo certamente significativo è quello relativo alla messa a tema dell’intreccio tra questioni razziali e questione animale. Sebbene gli elementi non manchino, e sebbene una certa diffusione del metodo intersezionale abbia preparato il terreno per aprire una discussione su tale ambito, è stata fino ad oggi pressoché clamorosa la mancanza delle voci non bianche sulle teorie e le prassi antispeciste/animaliste. Inizia a colmare questo vuoto la traduzione di Aphro-ism. Essays on Pop Culture, Feminism, and Black Veganism from Two Sisters , di Aph e Syl Ko ( Afro-ismo. Cultura pop, femminismo e veganismo nero , Vanda Edizioni, traduzione di feminoska, 2020), in uscita in questi giorni.

Le autrici, due sorelle afroamericane, hanno dato alla luce un libro per certi versi atipico, costruito a partire dall’omonimo blog, articolando una serie di riflessioni in forma non lineare, non accademica, militante nello spirito e nel linguaggio, ma al tempo stesso ben radicata nelle fondamenta delle riflessioni teoriche del campo dei Critical Animal Studies .
La prospettiva delle sorelle Ko è quella di chi si trova, in prima persona, a dover denunciare il biancocentrismo dell’animalismo mainstream, evidenziando gli aspetti escludenti di alcune parole d’ordine apparentemente neutrali dal punto di vista razziale (una su tutte: veganismo ), e il retaggio coloniale di molte pratiche di solidarietà interspecie. Al tempo stesso, però, si tratta di una postura che rivendica la piena considerazione dell’animalità nelle pratiche di decolonizzazione. Come sintetizza Breeze Harper nella prefazione all’edizione originale, “Afro-ismo mette in discussione la narrazione popolare secondo cui antispecismo, liberazione nera e antirazzismo siano incompatibili e causa di divisioni”. Tale prospettiva si radica nel rifiuto della favola del “post-razziale” e trova nel movimento Black Lives Matter un costante riferimento concreto, talvolta anche critico, per scardinare il mito del sapere oggettivo bianco in grado di elaborare una teoria a tutto tondo dello sfruttamento animale in cui sarebbe la buona coscienza dei privilegiati a traghettarci nell’eden vegano. Come emerge dalla pubblicistica che ruota intorno allo slogan go vegan , la liberazione dovrebbe materializzarsi come somma di atti di volontà individuale, generati da un’empatia indifferente agli assi della razza, del genere o della classe e, in definitiva, del tutto disincarnata.

In questo scenario, quella delle sorelle Ko è, sempre prendendo a prestito una fortunata espressione di Breeze Harper, “un’avventura di giustizia epistemica”. Non è solo la determinazione del soggetto nero escluso dal discorso animalista bianco a demolire il trasversalismo politico di chi, anche in Italia, afferma incessantemente che tutti “gli altri discorsi” non fanno altro che sottrarre energie alla liberazione animale; è anche la storia della razza e dell’animalità che, riscritta da un soggetto nero con gli strumenti decoloniali, mostra come sia semplicemente impossibile parlare di due elementi distinti. Le autrici illustrano infatti come razzializzazione e animalizzazione siano legate in modo molto più stretto di quanto lascino pensare gli stessi argomenti che da qualche anno iniziano a circolare in alcune nicchie antispeciste.”

Trovate l’intera recensione nell’edizione di giugno di Ghinea.

Pubblicato il

“Così la società ha legalizzato l’oppressione degli animali” – amoreaquattrozampe.it

Condividiamo il bell’articolo pubblicato su amoreaquattrozampe.it e firmato da Teresa Franco sul nostro titolo “Carne da Macello. La politica sessuale della carne” di Carol J. Adams.

“L’attivista Carol Adams, autrice di Carne da macello – La politica sessuale della carne, svela come la società ha legalizzato l’oppressione degli animali.
In Italia è finalmente disponibile un testo fondamentale sui diritti degli animali, che spiega come siamo condizionati dalla società a pensare agli animali come esseri di serie B. Il libro è Carne da Macello, di Carol Adams.
Pubblicato per la prima volta nel 1990, The Sexual Politics of Meat (il titolo originale del libro, che tradotto significa La politica sessuale della carne) è un testo di riferimento nei dibattiti in corso sui diritti degli animali. Nei due decenni successivi, il libro ha ispirato polemiche e un acceso dibattito.

Viviamo in una cultura che ha istituzionalizzato l’oppressione degli animali attraverso la nostra lingua” ha dichiarato Carol Adams al Corriere della Sera. Una prova? Mangiamo carne di animali morti, quindi di cadaveri. Se parliamo del nutrimento degli avvoltoi, usiamo l’espressione “mangiano cadaveri” o “carcasse” ma per riferirci al nostro usiamo l’espressione “consumo di carne”, quasi per nobilitare il gesto e per non nominare l’animale ucciso, alleggerendoci la coscienza.

La Politica sessuale della carne sostiene che ciò che, o più precisamente chi mangiamo, è determinato dalla politica patriarcale della nostra cultura e che “i messaggi visivi e verbali nella cultura popolare e nella nostra società”, tra cui gli spot pubblicitari, “associano il mangiar carne e il machismo ” .

Viviamo in un mondo in cui gli uomini hanno ancora un notevole potere sulle donne, sia in pubblico che in privato. Carol Adams sostiene che la politica di genere è indissolubilmente legata al modo in cui vediamo gli animali, in particolare gli animali che vengono consumati.”

Per leggere l’intero articolo seguire il link:
https://www.amoreaquattrozampe.it/news/carol-adams-societa-legalizzato-oppressione-animali/59491/

Pubblicato il

Filosofemme – Recensione “Carne da Macello”

È uscita il 27 marzo sul sito filosofemme.it una bella recensione di “Carne da Macello. La politica sessuale della carne” di Carol J. Adams, firmata da Roberta Landre.

Qui di seguito un estratto.

“Era il 1989 quando per la prima volta negli Stati Uniti venne pubblicato The Sexual Politics of Meat: A Feminist-Vegetarian Critical Theory, di Carol J. Adams e oggi, grazie a VandA Edizioni, possiamo avere il piacere di leggerlo nella sua più recente traduzione italiana: Carne da macello. La politica sessuale della carne (1). Un testo che ha segnato fortemente lo sviluppo dei movimenti femministi e vegetariani grazie alla sua abilità nello svelare le reciproche dipendenze di queste di forme, teoriche quanto pratiche, di resistenza e lotta politica.

L’attivismo praticato da questa autrice è senza dubbio guidato da una riflessione filosofica orientata alla questione femminista-vegetariana: nella vita di Adams (2) possiamo rinvenire i problemi centrali del secolo scorso e di quello attuale, quali la disparità di genere, la violenza che pervade le nostre società, lo specismo e le lotte politiche. Al fine di raggiungere un’inclusività tale da poter mettere in questione ogni aspetto della nostra vita – intesa come perenne relazione con altri corpi e con simboli culturali – e con lo scopo di smascherare ogni forma di violenza che la cultura antropocentrica e patriarcale ci ha consegnato in eredità, Adams si è posta in prima linea.

Come Aristotele ci ricorda nella Poetica l’uomo è per natura un essere che imita, e grazie all’imitazione conosce ciò che lo circonda.”

Per leggere la recensione completa seguire il link:
https://www.filosofemme.it/2020/03/27/carne-da-macello/

Pubblicato il

«Così la nostra cultura ha istituzionalizzato l’oppressione degli animali» – Carol J. Adams su Corriere.it

È uscito sul Corriere online un bell’articolo della giornalista Silvia Morosi su “Carne da Macello. La politica sessuale della carne” di Carol J. Adams.

Eccone un estratto:

“Arriva in Italia «Carne da macello», la traduzione del libro considerato la «Bibbia del veganesimo». Il testo esplora la relazione tra patriarcato e consumo di carne, intrecciando le intuizioni del femminismo, del vegetarianismo, della difesa degli animali.

«Viviamo in una cultura che ha istituzionalizzato l’oppressione degli animali su almeno due livelli: in strutture come macelli, mercati della carne, zoo, laboratori e circhi; e attraverso la nostra lingua. Il fatto che ci riferiamo al consumo di carne piuttosto che al consumo di cadaveri è un esempio centrale di come la nostra lingua trasmette l’approvazione della cultura dominante di questa attività». È questo uno dei punti centrali di «The Sexual Politics of Meat» di Carol J. Adams. Uscito per la prima volta negli Usa nel 1990 e da allora ristampato numerose volte, già tradotto in 10 lingue e ampliato dall’autrice in occasione del ventennale («The Pornography of Meat»), il testo arriva anche in Italia per VandA Edizioni come «La politica sessuale della carne» (dall’8 marzo, con traduzione di Matteo Andreozzi e Annalisa Zabonati). Il testo esplora la relazione tra patriarcato e consumo di carne intrecciando le intuizioni del femminismo, del vegetarianismo, della difesa degli animali e della teoria letteraria. Dalle radici storico-culturali ai messaggi visivi e verbali che nella nostra società e nella cultura popolare associano il mangiar carne e la mascolinità. «Ho avuto l’idea nel 1974 quando studiavo la teoria femminista ed ero appena diventata vegetariana (oggi è vegan, nda). Mentre camminavo verso Harvard Square a Cambridge, mi sono resa conto che il consumo di carne faceva parte di una cultura patriarcale», racconta al Corriere della Sera Adams, «rendendomi conto che il femminismo offriva un approccio teorico per comprendere quanto le proteine vegetali siano più sane, meno distruttive per l’ambiente e per gli animali». “

Per leggere il seguito:
https://www.corriere.it/animali/20_marzo_04/carol-j-adams-cosi-nostra-cultura-ha-istituzionalizzato-oppressione-animali-e6cc5658-5d36-11ea-ad92-9d72350309c8.shtml

Pubblicato il

“Carne da Macello” – intervista su Radio Radicale

Radio Radicale parla di noi nell’intervista a Matteo Andreozzi e Annalisa Zabonati, traduttori e curatori dell’edizione italiana di “Carne da macello, la politica sessuale della carne” di Carol J. Adams, realizzata da Cristiana Pugliese con Silvia Molè (membro dell’Associazione radicale Parte in Causa – Associazione Antispecista).

L’intervista è stata registrata martedì 3 marzo 2020 alle 18:45.

Nel corso dell’intervista sono stati trattati i seguenti temi: Animali, Antispecismo, Cultura, Donna, Femminismo, Libro, Societa’.

Potete ascoltare l’intervista al link: http://www.radioradicale.it/scheda/600021

Pubblicato il

I corpi consumabili dell’oppressione – L’intervista a Carol J. Adams su «Il Manifesto»

In un momento in cui il pensiero femminista sembra acquistare crescente visibilità nel panorama editoriale italiano, che rende finalmente – talvolta nuovamente – disponibili autrici come Donna Haraway, Monique Wittig, Valerie Solanas, non poteva mancare all’appello Carol Adams con Carne da macello. La politica sessuale della carne (comparso per la prima volta nel 1989 con il titolo di The Sexual Politics of Meat), per i tipi di VandA (pp. 360, euro 18, traduzione di Matteo Andreozzi e Annalisa Zabonati, postfazione di Barbara Balsamo e Silvia Molè). Testo chiave dell’ecofemminismo statunitense e dell’antispecismo militante, il libro propone una critica del carnivorismo patriarcale con l’obbiettivo non soltanto di fornire un quadro dell’oppressione della vita animale, ma soprattutto di mettere in atto nuove pratiche di cura. Allieva di Mary Daly, teologa e femminista radicale autrice di Gyn/Ecology (1978), e per numerosi anni prima di dedicarsi alla scrittura attiva nelle lotte per il diritto alla casa e contro la violenza domestica, nel libro Adams ribadisce che creare alleanze significa innanzitutto lavorare trasversalmente, senza separare umani e non umani, e scardinando le gerarchie che discriminano i viventi e legittimano la subordinazione di alcuni e il privilegio di altri. Il libro, che discute i «testi della carne» nelle diverse tradizioni, pratiche e relazioni sociali della cultura occidentale, e nelle sue espressioni verbali e visuali, insiste sull’interdipendenza fra la violenza simbolica e materiale esercitata sui corpi umani animalizzati e quella inflitta ai corpi degli animali non umani, le cui implicazioni vanno oltre la dimensione di genere: referenti assenti sono tutti quei corpi smembrati, macellati, stuprati, oggettivati che diventano, pertanto, consumabili. In occasione della pubblicazione di Carne da macello (presentato in anteprima a Roma nell’ambito di «Feminism» il 5 marzo alle ore 17 in sala 2 Caminetto con Barbara Balsamo, Silvia Molè e Flavia Fechete) abbiamo intervistato Carol Adams.

(continua a leggere scaricando il pdf)

Pubblicato il

La carne un simbolo e una celebrazione del dominio maschile? Brano da leggere

Carne da macello”, Carol J. Adams 

Edito per la prima volta nel 1990 il testo di Carol J. Adams è ancora attuale per chi voglia confrontarsi con i temi di femminismo, veganismo e antispecismo.

In “Carne da macello” l’autrice collega ed esplora le molteplici forme di oppressione che si fondano su sesso, razza e specie. Secondo Adams riconoscere che il consumo di carne è per gli animali non umani ciò che il razzismo è per la popolazione nera e il sessismo per le donne significa comprendere che queste forme di oppressione sono interconnesse e sono l’espressione di un sistema che vede sia le donne che gli animali in una posizione gerarchica inferiore rispetto all’uomo. 

Leggi l’estratto… 

“Cos’è che rende la carne un simbolo e una celebrazione del dominio maschile? Per molti aspetti, l’ineguaglianza di genere è integrata all’ineguaglianza di specie che proclama il mangiar carne, perché per la maggior parte delle culture la carne è procurata dagli uomini. La carne era una derrata con valore economico e coloro che la controllavano acquisivano potere. Se gli uomini erano cacciatori, allora il controllo di questa risorsa economica era nelle loro mani. Nelle società non tecnologiche lo status delle donne è inversamente correlato all’importanza della carne: L’equazione è semplice: più la carne è importante nelle loro vite, maggiore è la volontà di dominio degli uomini […] Quando la carne diventa un elemento importante in un sistema organizzato in modo prettamente economico, per cui viene distribuita sulla base dei ruoli, gli uomini iniziano a manovrare le leve del potere […] La posizione sociale delle donne si avvicina a quella degli uomini solo quando la società non è strutturata in ruoli per la distribuzione della carne. 

Peggy Sanday raccolse informazioni su oltre cento culture non tecnologiche e trovò una correlazione tra le economie basate sui vegetali e il potere delle donne, e le economie basate sugli animali e il potere degli uomini: «Nelle società dipendenti dagli animali, raramente le donne sono descritte come la fondamentale fonte di potere creativo». Inoltre, «quando si caccia un grande numero di animali i padri sono lontani, cioè non sono in costante o regolare contatto con i figli». Le caratteristiche dell’economia dipendono principalmente dal trattamento degli animali a fini alimentari, che comprendono: 

  • la segregazione sessuale del lavoro, in cui le donne lavorano di più ma sono meno retribuite; 
  • la responsabilità della cura dei figli a carico delle donne;
  • il culto di divinità maschili;
  •  la patrilinearità. 

Dall’altro lato, le economie basate sui vegetali sono molto più egualitarie, e ciò perché le donne erano raccoglitrici di alimenti vegetali e per tale tipo di economia queste risorse sono incalcolabili. In queste culture gli uomini, al pari delle donne, erano dipendenti dalle attività femminili, ragione per cui le donne raggiungevano un alto livello di autonomia e autosufficienza. Inoltre, dove le donne raccolgono i vegetali e la dieta è vegetariana, le donne non discriminano nel distribuire l’essenziale. Provvedendo a una gran parte delle proteine alimentari per la società, le donne guadagnano un ruolo sociale ed economico essenziale senza abusarne.”

Ti è piaciuto l’estratto? A Feminism” la fiera dell’editoria delle donne, che si svolgerà dal 5 all’8 marzo 2020 a Roma presso la Casa Internazionale delle Donne, in via della Lungara 19 si terrà un incontro per presentare questo saggio.

Giovedì 5 marzo alle 17.00 in sala 2 Barbara Balsamo, attivista femminista antispecista, redattrice della rivista “Animal Studies” e “Asinus Novus”, insieme a Silvia Molè, attivista antispecista, blogger di Fallacielogiche.it e insieme a Flavia Fechete, attivista ecofemminista-antispecista e studiosa di Carol J. Adams presenteranno: “Carne da macello”.

Pubblicato il

Evento – Carne da Macello. La politica sessuale della carne

VandA Edizioni anche quest’anno parteciperà alla Fiera dell’Editoria delle Donne Feminism che si terrà a Roma dal 5 all’8 marzo 2020.

La nostra partecipazione alla fiera inizierà con la presentazione di “Carne da Macello. La politica sessuale della carne” di Carol J. Adams, che si terrà giovedì 5 marzo alle ore 17:00 presso la Casa Internazionale delle Donne, Via della Lungara 19, in Sala 2 Caminetto.

Parleranno del libro le attiviste femministe antispeciste Barbara Balsamo, redattrice delle riviste “Asino novus” e Animal Studies”, Silvia Molé, blogger di fallacielogiche.it e Flavia Flechete, studiosa di Carol J. Adams.

Vi aspettiamo numerosi/e!

Pubblicato il

Salario domestico: il lavoro casalingo è un lavoro?

Portata all’attenzione da alcuni gruppi femministi negli anni ’70, la questione del valore economico del lavoro domestico, sempre sottovalutata e mai risolta, viene curiosamente risollevata negli ultimi mesi, negli Stati Uniti, da alcuni Democratici candidati alle presidenziali, che propongono un salario domestico per i genitori che rimangono a casa ad occuparsi dei figli.

Per saperne di più, date un’occhiata all’articolo “Stay-at-Home Parents Work Hard. Should They Be Paid?” di Claire Cain Miller, pubblicato lo scorso ottobre sul sito del New York Times.

Sulla spinosa questione del salario domestico, leggi in “Manifesti Femministi“:

Lo chiamano amore. Noi lo chiamiamo lavoro non pagato.
La chiamano frigidità. Noi la chiamiamo assenteismo.
Ogni volta che restiamo incinte contro la nostra volontà
è un incidente sul lavoro…
Omosessualità e eterosessualità sono entrambe condizioni di lavoro […]
ma l’omosessualità è il controllo degli operai

sulla produzione non la fine del lavoro.
Più sorrisi? Più soldi.
Niente sarà più efficace per distruggere le virtù di un sorriso.
Nevrosi, suicidi, desessualizzazione: malattie professionali della casalinga.

da “Salario contro il lavoro domestico” di Silvia Federici
in “Manifesti Femministi“, edito da VandA Edizioni

Si constata l’esistenza di due modi di produzione nella nostra società:
la maggior parte delle merci è prodotta in base al modo industriale;
i servizi domestici, l’allevamento dei figli e un certo numero di merci sono prodotte in base al modo familiare. Il primo modo di produzione dà luogo allo sfruttamento capitalista. Il secondo dà luogo allo sfruttamento familiare, o più esattamente patriarcale.

“Formalmente libera di lavorare fuori casa, la donna non lo è di fatto. Una parte della sua forza-lavoro resta appropriata, dato che lei deve “assumere i propri obblighi familiari”, cioè fornire gratuitamente il lavoro domestico e allevare i figli. Non solo il lavoro fuori casa non la dispensa dal lavoro domestico, ma esso non deve nuocere a quest’ultimo. La donna è dunque
soltanto libera di fornire un doppio lavoro in cambio di una certa indipendenza economica. La situazione della donna sposata che lavora mette bene in evidenza l’appropriazione statutaria della sua forza-lavoro. Infatti, la fornitura di lavoro domestico non è più giustificata dallo scambio economico a cui viene abusivamente assimilato il servaggio della donna
“a casa”: non si può più sostenere che il lavoro domestico venga effettuato in cambio del mantenimento, che il mantenimento sia l’equivalente del salario e che questo lavoro, quindi, sia pagato. Le donne che lavorano si
mantengono da sole e forniscono dunque il lavoro domestico in cambio di nulla. Inoltre, quando una coppia calcola quello che guadagna una donna che lavora “fuori”, deduce le spese di custodia dei figli, gli oneri aggiuntivi ecc. soltanto dal salario della donna invece di sottrarre queste spese dall’insieme dei redditi della coppia. Ciò dimostra che:
1) si ritiene che tali consumi dovrebbero essere gratuiti, al contrario di consumi come l’alloggio, i trasporti ecc. che non vengono a propria volta dedotti dai guadagni;
2) si ritiene anche che tali consumi dovrebbero essere prodotti esclusivamente dalla donna: una parte del suo salario è considerata come nulla, poiché serve a pagare ciò che lei avrebbe dovuto fare gratuitamente. Alla fine di questo calcolo, generalmente si scopre che la donna non guadagna “quasi niente”. In Francia, secondo il censimento del 1968, il 37,8% delle donne sposate lavora fuori casa (Rouxin 1970).”

da “Il Nemico Principale” di Christine Delphy
in “Manifesti Femministi“, edito da VandA Edizioni

Pubblicato il

Prossimamente: Carne da Macello. La politica sessuale della carne

Finalmente anche in Italia La politica sessuale della carne
della femminista antispecista Carol J. Adams
già tradotto in 10 lingue e sempre tragicamente attuale.

Un libro che ha cambiato la vita di decine di migliaia di lettori.
Atteso in Italia da anni dalla comunità antispecista.
Un cult per il movimento femminista.

Qual è il filo rosso, l’assurda interazione tra la radicata misoginia culturale della società contemporanea e la sua ossessione per la carne e la mascolinità? Carne da macello, pubblicato per la prima volta negli USA nel 1990, esplora con raro acume e sottile intelligenza la relazione tra i valori patriarcali e il consumo di carne, intrecciando femminismo, vegetarianismo, antispecismo. Lo sfruttamento degli animali è per Adams un’altra manifestazione della brutale cultura patriarcale. Il trattamento degli animali come oggetti è associato all’oggettivazione nella società patriarcale di donne, neri e altre minoranze al fine di sfruttarli sistematicamente. Un libro che ha molto fatto parlare, provocando un’incredibile copertura mediatica (New York Times, Kirkus Review, Washington Post Book World, Journal of Library, Weekly’s Publisher, Choice).
Insultato dalla stampa conservatrice.

Pubblicato il

Daniela Danna a Pescara


Pescara, 18 maggio 2019


– Daniela Danna presenta Dalla parte della natura

 

In un dialogo “a tu per tu” con l’umanità, la Natura, in una sorta di personalizzazione letteraria, “ci parla”, affrontando tematiche nevralgiche della nostra odierna civiltà: equilibrio ambientale, disuguaglianza sociale, predominio delle multinazionali, visione libera della sessualità. Con un approccio ecofemminista, questo breve ma fulminante pamphlet attacca il sistema capitalista e patriarcale caratterizzato dalla supremazia maschile, dove donne, animali e ambiente appartengono a categorie analoghe, considerate come proprietà e beni da dominare e sfruttare. E anche se noi esseri umani siamo parte della Natura, questo mondo ha tracciato un solco cosi profondo tra noi e lei, da renderla non solo estranea, ma addirittura ostile nemica. Queste semplici pagine sono un invito a conoscerla meglio, allo scopo di rispettarla. E in questo processo, cambiare noi, smettendo di modificare lei.

 

Daniela Danna è sociologa e si occupa di questioni di genere, analisi dei sistemi-mondo, rapporto società-ambiente, decrescita. Le sue ultime pubblicazioni sono Fare un figlio per altri è giusto… (Falso)! (Laterza, 2017), Maternità. Surrogata? (Asterios, 2017), La Piccola Principe (VandA ePublishing 2018), Il peso dei numeri: Teorie e dinamiche della popolazione (Asterios, 2017). Vi aspetta sul sito Web  www.danieladanna.it.


Pubblicato il

Femminismi radicali ed utopistici


(L’Adige, 20 gennaio 2019)


– In un libro di Deborah Ardilli i manifesti teorici degli anni Settanta

Pubblicato il

“Manifesti femministi” @ Firenze


Firenze, 11 gennaio 2019 ore 19


– VandA.ePublishing e Morellini Editore presentano Manifesti femministi a cura di Deborah Ardilli.

Torna in libreria Deborah Ardilli con il nuovo saggio Manifesti femministi. Il femminismo radicale attraverso i suoi scritti programmatici (1964-1977) co-edito in collaborazione con Morellini Editore. L’autrice ne parla con Barbara Bonomi Romagnoli, giornalista e scrittrice di femminismo ed ecologia, e Carla Fronteddu, insegnante di studi di genere e autrice.

Con la sua peculiare combinazione di rabbia e proiezione utopica, il manifesto politico è il genere che meglio si presta a restituire la complessità di quella straordinaria stagione che segnò la presa di coscienza delle donne, attraverso un drastico ripensamento delle relazioni tra loro e della forza che da questo deriva. Riletto attraverso i suoi manifesti, il femminismo radicale sconvolge la banalizzazione corrente di ciò che è stato per riconsegnarci la testimonianza della sua verità e un’immagine in movimento di ciò che potrebbe essere.
Una polifonia di voci che attraversa l’oceano e presenta una varietà di posizioni e che ancora oggi fanno riflettere sullo stato delle donne in tutto il mondo.


“Radicale”, a partire dal ’68 e fino alla fine degli anni Settanta, fu soprattutto il “soggetto imprevisto” del femminismo.
Con la sua peculiare combinazione di rabbia e proiezione utopica, il manifesto politico è il genere che meglio si presta a restituire la complessità di quella straordinaria stagione che segnò la presa di coscienza delle donne, attraverso un drastico ripensamento delle relazioni tra loro e della forza che da questo deriva.
Riletto attraverso i suoi manifesti, il femminismo radicale sconvolge la banalizzazione corrente di ciò che è stato per riconsegnarci la testimonianza della sua verità e un’immagine in movimento di ciò che potrebbe essere.

 

Deborah Ardilli ha conseguito un dottorato di ricerca in Filosofia Politica presso l’Università di Trieste, è traduttrice e studiosa di teoria politica e storia dei movimenti femministi. Attualmente collabora con il “Laboratorio Anni Settanta” dell’Istituto Storico di Modena. Tra le sue ultime pubblicazioni ricordiamo: Trilogia SCUM. Scritti di Valerie Solanas, edizione curata insieme a Stefania Arcara e pubblicato da VandAePublishing e Morellini Editore.

 


Vi aspettiamo alla Biblioteca Fiesolana 2b, via Fiesolana 2b, Firenze.

Pubblicato il

Natura


Viversani e belli (30 novembre 2018)


È lei a insegnarci l’ecologia.

La Natura si umanizza e dialoga con noi, “ci parla”, affrontando temi essenziali, come l’equilibrio ambientale. Con tono bonario, se la ride di questa sciocca umanità che ha squilibrato il rapporto società—natura senza rendersi conto dell’effetto boomerang che la minaccia. È questa la struttura narrativa che Daniela Danna ha scelto per il suo libro “Dalla parte della natura. L’ecologia spiegata agli esseri umani” ([VandAePublishing in co-edizione con] Morellini ed). “Non sono avido, ho solo paura del futuro” conclude, con le spalle al muro, l’uomo. La natura gli risponde: “Allora comincia a investire in azioni positive verso i tuoi simili, piuttosto che in azioni in Borsa.”

Pubblicato il

25 novembre 2018

Il 25 novembre è la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne: fu istituita il 17 dicembre 1999 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per ricordare l’omicidio, avvenuto proprio il 25 novembre del 1960, delle sorelle Mirabal, attiviste della Repubblica Domenicana.

Questa giornata è diventata l’occasione ideale per LOTTARE contro violenza sulle donne e il femminicidio.

La violenza sulle donne, sul loro corpo, ha molte forme e molti volti, troppe, troppi. Dobbiamo difenderci, ribellarci ad un’insidiosa assuefazione che ha seminato, morti, violenze, soprusi continui sotto i nostri occhi. Si può iniziare questa battaglia con l’informazione.

Leggete per informarvi perché non c’è progresso senza conoscenza.

Per il 25 novembre, giornata contro la violenza sulle donne, acquistate e leggete i nostri titoli migliori:

  • Manifesti femministi” a cura di Deborah Ardilli raccoglie testi composti in Italia, in Francia e negli Stati Uniti (alcuni di questi tradotti per la prima volta)dalle più attive rappresentanze del femminismo radicale dalla seconda metà degli anni Sessanta alla seconda metà degli anni Settanta del XX secolo.
  • Temporary mother” di Marina Terragni è un pamphlet “anarchico” e necessario di fronte alla portata della posta in gioco: i bambini e la differenza femminile, garanzia di civiltà e umanità.
  • Il mito Pretty Woman” di Julie Bindel è la prima e unica indagine mondiale sulla prostituzione, completa, audace e coraggiosa, che sfata il falso mito del sex work. Perché la prostituzione non è un lavoro, ma un abuso a pagamento.
  • Dalla parte della natura” di Daniela Danna è un fulminante pamphlet ecofemminista che attacca il sistema capitalista e patriarcale, dove donne, animali e ambiente sono considerate proprietà e beni da dominare, sfruttare, rapinare.
  • Trilogia Scum” di Valerie Solanas presenta per la prima volta nella loro integralità e con l’accompagnamento di un approfondito apparato critico, gli scritti di Valerie Solanas, figura cruciale della controcultura anni Sessanta e icona del femminismo radicale.
  • La piccola principe” di Daniela Danna è una lettera ai più giovani che vuole contestare l’attuale confusione tra “sesso” e “genere” indotta dalla filosofia postmoderna che sta dando una spinta potentissima alla normalizzazione delle nuove generazioni.

Diciamo basta alla violenza contro le donne!

Pubblicato il

Le motivazioni del Premio Letterario Femminile Plurale a Michela Fontana per Nonostante il velo


Nonostante il Velo: Donne dell’Arabia Saudita
di Michela Fontana, Vanda-epublishing, giugno 2018

Nonostante il velo di Michela Fontana è un lungo, affascinante viaggio in una società e in una cultura, quella dell’Arabia Saudita, di cui sappiamo ben poco, nonostante il paese rivesta un ruolo fondamentale e delicatissimo nello scenario geopolitico contemporaneo. Tra i tanti divieti imposti alle donne nei paesi islamici c’è anche quello di guidare. Un’azione che molte di noi compiono quotidianamente senza pensare che sia un diritto, un’azione negata ad altre donne come noi per cui la repressione di genere è talmente alta da impedirne addirittura la mobilità. Il 6 novembre 1990 a Riad viene organizzata una manifestazione per il diritto alla guida per le donne. Aisha, una delle promotrici della protesta, viene allontanata dalla capitale saudita. Nel 2011 la ribellione si riaccende grazie a una nuova generazione di attiviste che sfruttano anche i mezzi di comunicazione globale di cui disponiamo oggi grazie all’evoluzione di internet. Michela Fontana, attraverso la voce di undici donne dell’Arabia Saudita racconta la loro lotta e le loro paure, la loro storia, il loro quotidiano e la straordinarietà di una disubbidienza che è appannaggio soprattutto delle donne più abbienti di Riad che possono contare sulla copertura della famiglia, donne ritenute eversive dal governo e spesso allontanate.

Motivazione
Nominare, rinominare le cose per farle esistere: questo dovrebbe essere uno dei compiti della letteratura. Sottrarre all’oblio volti, storie, i nomi che nessuno pronuncia, per riconsegnarli infine al presente, con la forza della narrativa e dell’inventiva. Oppure con l’inchiesta, con la scrittura giornalistica. Michela Fontana, attraverso la testimonianza diretta di alcune donne saudite – l’Arabia Saudita resta un paese sconosciuto, anche perché impenetrabile, un vero e proprio inghiottitoio per le donne che devono confrontarsi con la proibizione, la vessazione, la sottoposizione a un guardiano che non si distrae mai – ci racconta da una prospettiva che ha a che fare con la quotidianità (una quotidianità che talvolta diviene intima) come proprio le donne si siano fatte portatrici di una clamorosa istanza di rinnovamento, sfidando con coraggio il proprio tempo e uscendone sì segnate, ma non sconfitte. Come richiede una scrittura di testimonianza, la lingua che sceglie l’autrice per raccontare di queste donne è schietta e sincera. A questa chiarezza di fondo contribuisce un utile glossario di servizio che spiega i tanti termini arabi che costellano il racconto-reportage. Michela Fontana ha anche uno spiccato interesse per l’onomastica araba, come spiega fin dalle prime pagine, e si preoccupa di tradurre sistematicamente il significato dei nomi delle donne che costituiscono il coro di voci di Nonostante il velo. Aisha, Nura, Hessa e le altre donne saudite, con le loro testimonianze, ci restituiscono un quadro sfaccettato e autentico della condizione della donna in uno dei Paesi islamici più repressivo, invitandoci a riflettere anche sulla condizione della donna in Italia, in una prospettiva femminile e plurale. Un grande paradosso aleggia intorno a questo libro: le donne che con i loro racconti hanno dato vita a Nonostante il velo non possono leggerlo, perché in Arabia Saudita è haram, cioè proibito. Il taglio di questa opera è veramente femminile e plurale : una donna che guarda, interroga, racconta da vicino altre donne, diverse da lei e fra loro per classe sociale, temperamento, esperienze di vita. Il calore del racconto in prima persona e la vividezza del reportage si alternano alla chiarezza del resoconto storico; seguiamo le vicende politiche di un intero paese, ma entriamo anche nelle case e negli ambienti di lavoro di chi lo abita, e soprattutto vediamo e ascoltiamo le protagoniste: donne più o meno giovani, più o meno ribelli, più o meno privilegiate. Mescolando con mano sicura memoir e giornalismo, Michela Fontana ha saputo creare un ritratto collettivo delle donne saudite pieno di dettagli e sfaccettature, lontano dai cliché e dalle generalizzazioni: in un’epoca in cui sembra sempre più difficile trovare chi guarda l’Altro da Sé con reale curiosità, il suo sguardo attento e rispettoso – ma anche lucidamente critico – e la sua scrittura precisa e mai banale sono strumenti preziosi di indagine e comprensione del mondo. Un lavoro meticoloso, empatico a tratti, condotto entrando nelle case, sedendo alle tavole, raccogliendo gli umori di professioniste, studentesse, attiviste, islamiste, scrittrici, mogli, madri – che ci aiuta a far luce su una delle tante prove a cui le donne sono costrette nella loro storia universale, e che faremmo bene a recuperare al nostro immaginario, perché il medioevo dei diritti non è mai scongiurato una volta per tutte.

Motivazione Primo Classificato 2018 – Premio Letterario Allumiere

Pubblicato il

Evento – “La piccola principe” @Libreria delle Donne, Padova


Padova, 16 novembre 2018, h 17.30


– VandA.ePublishing presenta  La piccola principe di Daniela Danna.

Venerdì 16 novembre alle 17:30 potrete incontrare Daniela Danna che presenterà il suo libro, La piccola principe. Lettera aperta alle giovanissime su pubertà e transizione, uscito per VandAePublishing a luglio 2018.

Introduce Ilaria Durigon, libraia di Librati.

 


 

Possono i minorenni voler cambiare sesso? Da dove viene questa strana richiesta, dal momento che cambiare sesso non è realmente possibile? L’attuale confusione tra “sesso” e “genere” indotta dalla filosofia postmoderna, secondo la quale il mondo è un testo e la realtà materiale non ha alcuna importanza, sta dando una spinta potentissima alla normalizzazione delle nuove generazioni.
Se sei un bambino effeminato, diventerai bambina. Se sei un maschiaccio, allora sei “veramente” un ragazzo. Big Pharma ti sorride: ti venderà ormoni per tutta la vita.

 

 

Daniela Danna, è ricercatrice confermata in Sociologia generale presso il Dipartimento di studi sociali e politici della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Milano. Insegna Politica sociale per la laurea triennale in Scienze sociali per la globalizzazione. Tra i suoi interessi di ricerca figurano analisi dei sistemi-mondo, rapporti tra i generi, studi sulla sessualità, sociologia dell’ambiente, sociologia storica. Tra le sue ultime pubblicazioni ricordiamo: Dalla parte della natura, VandAePublishing in coedizione con Morellini Editore.

 


Vi aspettiamo alla Libreria delle Donne, via San Gregorio Barbarigo 91, Padova.


Qui il link al video della presentazione.