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Genevieve Vaughan

Genevieve Vaughan si occupa di semiotica, critica del capitalismo, marxismo, logiche del mercato e dello scambio, teoria femminista, comunicazione. Dal 1987 al 2005 ha dato forma al suo pensiero di economia del dono istituendo la “Fondazione per una Società  Compassionevole”, gruppo multiculturale composto da circa 25 donne che portava avanti progetti femministi finalizzati al cambiamento sociale. Tra le sue pubblicazioni: “For-Giving: A Feminist Criticism of Exchange” (1997), edito in Italia da Meltemi nel 2003 con il titolo “Per-donare”; due antologie di saggi scritti da donne sull’economia del dono: “The Gift/Il dono” (2004), numero monografico della rivista Athanor, e “Women and The Gift Economy” (2007). Ha scritto inoltre i libri per bambini “Mother Nature’s Children” (2001) e “Free/Not Free” (2007), con illustrazioni di Liliana Wilson.

Homo Donans. Economia del dono unilaterale materno ci sfida a riconoscere la cruciale importanza di creare un modello alternativo a quello patriarcale e a farne il fulcro di una pacifica rivoluzione planetaria verso un mondo più giusto. VandA ha pubblicato anche “Le radici materne dell’economia del dono” (2017).

 

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Daniela Pellegrini

Daniela Pellegrini, femminista radicale e ideatrice del primo gruppo politico italiano di donne (Dacapo, 1964, divenuto poi Demau), perora da sempre il “separatismo” come azione fondante e creativa della politica delle donne nonché come vera autonomia dal patriarcato. Nel 1981 fonda a Milano, insieme a Nadia Riva, Cicip & Ciciap, primo circolo culturale e politico femminista, l’unico a mantenersi strettamente separatista nel tempo. Sempre con Nadia Riva crea la rivista “Fluttuaria. Segni di autonomia nell’esperienza delle donne”, attiva dal 1987 al 1994, su cui appaiono molti suoi scritti. Ha pubblicato “Una donna di troppo. Storia di una vita politica singolare” (2012) e il pamphlet “Liberiamoci della bestia. Ovvero di una cultura del cazzo” (2016).

Per VandA ha scritto “La materia sapiente del relativo plurale” (2017).

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Valerie Solanas

Valerie Solanas (Ventnor, New Jersey, 1936 – San Francisco 1988) fu scrittrice e commediografa. Più volte vittima di abusi sessuali fin dall’infanzia da parte del padre, visse dall’età  di 15 anni per le strade di New York sostenendosi con l’elemosina e la prostituzione. Nonostante ciò riuscì a terminare brillantemente gli studi liceali e quelli universitari in psicologia. Nel 1965 scrisse il dramma teatrale “Up Your Ass” (“In culo a te“) e nel 1967 “Manifesto SCUM“, dapprima autoprodotto e venduto da lei stessa a 25 cent alle donne e un dollaro agli uomini, in seguito pubblicato – con qualche manipolazione anche nel titolo – da Olympia Press, editore di Lolita, di Burroughs e parte della beat generation. Nel 1968 sparò a Warhol, che si era rifiutato di produrre “Up Your Ass”, e fu condannata a tre anni di detenzione. Passò il resto dei suoi giorni fra la strada e vari ospedali psichiatrici (con la diagnosi di schizofrenia paranoide), morì a San Francisco all’età di 52 anni, abbandonata a se stessa.

Trilogia SCUM raccoglie i suoi scritti (VandA 2017).

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Sofie Della Vanth

Sofie della Vanth, stilista, scrittrice, cantautrice, operatrice craniosacrale e referente sulla spiritualità femminile, nasce nel 1964 a Monaco di Baviera. Sceglie di vivere nella Maremma grossetana dal 2001, fortemente attratta dalla cultura etrusca. Qui gestisce per nove anni un laboratorio sartoriale che utilizza solo tessuti naturali e per cinque anni un’azienda agricola. Dal 2011 vive in Umbria, dove esercita come operatrice craniosacrale e continua a tenere seminari sulla spiritualità  femminile.

Con VandA ha pubblicato “Il conflitto fra le donne” (2020).

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DDL Zan: qualcosa da leggere

Ecco una serie di nostri titoli in relazione al DDL Zan:

Buona lettura!

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François Koltès, Il suo impegno per le donne in Africa

“In Africa, almeno nell’Africa che conosco, ci sono due cose essenziali per la vita, per la dignità, per l’uguaglianza e per il buon funzionamento della società: la salute e la scuola. 

Quello che sappiamo è che la mortalità è enorme. Quello che solo a volte sappiamo è che poche persone riescono a raggiungere l’istruzione superiore e che molti non raggiungono nemmeno la scuola secondaria.

I bambini e le donne sono i più colpiti da malattie come la malaria o l’oncocercosi, perché sono i più esposti e i meno protetti. Il più delle volte sono le donne che vanno a prendere l’acqua dove si trova: nelle paludi, nei fiumi e, se sono fortunate, nei pozzi o nelle trivellazioni. Se non possono arrivarci, sono i bambini che portano i venti chili d’acqua sulla testa lungo sentieri che a volte superano i dieci chilometri. Ed è proprio nelle zone umide che molte delle numerose malattie endemiche colpiscono i bambini e le donne. I bambini spesso non hanno il tempo di frequentare la scuola perché devono andare a prendere l’acqua.

Con Action Directe Sahel, un’associazione finanziata esclusivamente da donazioni, costruisco pozzi per aiutare le donne dei villaggi, in modo che loro e i loro bambini possano avere accesso all’acqua, a un’acqua potabile e a una distanza ragionevole dalle loro case.

L’impatto degli oltre 700 pozzi che ho costruito in 40 anni in Togo, Benin, Ghana, Niger e Camerun, anche se non ha cambiato la situazione generale del continente, almeno ha migliorato le condizioni di salute di donne e bambini e ha incrementato la frequenza scolastica nei villaggi.”

(François Koltès)

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#branidaleggere, Autostima di Gloria Steinem

Ecco un estratto dall’ultimo libro di Gloria Steinem Autostima in uscita il 4 Ottobre.

In questo brano l’autrice racconta di un aneddoto avvenuto al Plaza Hotel, che le ha provocato domande sulla propria autostima.

Per preordinare il libro clicca qui!

Era sul finire degli anni Sessanta, un’epoca che per me era
ancora pre-femminista. Non mettevo in discussione il fatto
che giornalisti meno esperti di me ottenessero le inchieste politiche
che mi interessavano tanto. Al contrario, ero contenta
di scrivere profili di celebrità in visita – qualcosa di diverso dai
servizi su argomenti relativi alla moda e alla famiglia che di
solito venivano assegnati alle reporter – e non faceva eccezione
un’intervista che avrebbe dovuto avere luogo davanti a una
tazza di tè nel giardino delle palme del Plaza Hotel.
Poiché l’attore che dovevo intervistare tardava parecchio,
restai ad aspettare fino a quando il vicedirettore dell’hotel, che
per tutto il tempo mi era rimasto alle calcagna con aria di disapprovazione,
si avvicinò. Alle «signore non accompagnate»,
annunciò ad alta voce, «era assolutamente vietato» l’ingresso
nella sala d’aspetto. Gli dissi che ero una giornalista e che stavo
aspettando un ospite che non poteva essere contattato in
altro modo – una spiegazione che parve penosa anche a me. Il
vicedirettore mi accompagnò con fermezza alla porta, sotto gli
sguardi incuriositi dei presenti.

Mi sentivo umiliata. Sembravo forse una prostituta? Il mio
impermeabile era troppo malconcio – o non lo era abbastanza?
Ero in ansia. Come avrei fatto a ritracciare l’attore e a fare
l’intervista? Decisi di aspettare fuori dalla porta girevole nella
speranza di intravederlo attraverso i vetri, ma dopo un’ora lui
non si era ancora fatto vivo.

Più tardi venni a sapere che si era presentato all’appuntamento
e, non avendomi vista, se ne era andato via. Il suo
agente chiamò il mio caporedattore lamentandosi perché avevo
«dato buca» al suo cliente. L’attore perse la sua pubblicità,
il giornale il suo articolo e io un assegno che mi serviva per
pagare l’affitto. Mi rimproveravo anche per non essere riuscita
a escogitare qualcosa per «avere il pezzo» e temevo di essere
retrocessa per sempre nel ghetto degli articoli «rosa» a cui cercavo
di sfuggire.

Il caso volle che, circa un mese più tardi, ricevessi l’incarico
di intervistare un’altra celebrità che stava sempre al Plaza. Per
evitare un fiasco simile al precedente, mi ero accordata per incontrare
l’intervistato direttamente nella sua suite, ma mentre
attraversavo l’atrio mi accorsi della mia nemesi appostata di
guardia. Non so come, mi ritrovai a indugiare come se avessi i
piedi inchiodati a terra – e ovviamente il vicedirettore mi si
avvicinò pronunciando lo stesso discorsetto ufficiale della volta
precedente. Ma questa volta restai io stessa sbalordita nel sentirmi
replicare in modo molto diverso. Gli dissi che mi trovavo
in un luogo pubblico, dove avevo tutto il diritto di stare, e
gli chiesi come mai non avesse allontanato i tanti «uomini non
accompagnati» nell’atrio, che avrebbero potuto essere altrettanti
prostituti. Sottolineai pure che, essendo ben nota la sollecitudine
con cui lo staff dell’hotel procurava ragazze ai clienti
prendendosi una percentuale sul loro compenso, forse era soltanto
preoccupato di perdere la sua provvigione.

Rimase sbigottito – e mi permise di restare. Chiamai la
persona che dovevo intervistare, proponendogli di prendere
un tè giù al bar. L’intervista si rivelò particolarmente interessante
e ricordo di averla scritta con più agio del solito e di
averla consegnata con uno strano senso di benessere.
Qual era la lezione da trarre da quei due piccoli incidenti?
Chiaramente, né il vicedirettore né io eravamo cambiati. Io
indossavo lo stesso impermeabile e lavoravo come freelance
per la stessa testata. Solo una cosa era cambiata: la mia autostima.
Era lievitata quasi contro la mia volontà, per contagio.
Nell’arco di tempo compreso tra quelle due interviste, una
donna medico aveva prenotato un tavolo per sé e per un gruppo
di amiche all’Oak Room del Plaza, un ristorante che a ora
di pranzo veniva riservato agli uomini con il pretesto che il vociare
delle donne avrebbe potuto disturbare le riunioni d’affari
maschili. Quando questa donna, come aveva supposto, venne
bloccata all’ingresso dell’Oak Room perché era il «dottore» del
genere sbagliato, il suo gruppo di commensali, formato da note
femministe, si trasformò in un batter d’occhio in un picchetto
militante davanti al locale e tenne una conferenza
stampa convocata in anticipo, in previsione di quanto sarebbe
accaduto.

Ora, anch’io ero stata invitata a unirmi a quella protesta –
e avevo rifiutato. A New York, come nella maggior parte delle
città, esistevano molti ristoranti e bar che vietavano l’ingresso
alle donne, o si rifiutavano di servire le «signore non accompagnate
» (cioè qualsiasi donna o gruppo di donne privo della
presenza magica di un uomo). Certamente la cosa mi indignava,
ma denunciarla all’Oak Room, un ristorante troppo costoso
per la maggior parte delle persone, uomini o donne, mi
sembrava un errore. L’unico rimedio poteva essere un’ordinanza
comunale che bandisse qualsiasi forma di discriminazione
nei locali pubblici, e per ottenerla sarebbe stata necessaria
una mobilitazione democratica. Inoltre, le femministe venivano
già rappresentate in maniera distorta dai media come
bianche, borghesi e frivole, una caricatura che già allora sapevo
essere ingiusta: le prime femministe di cui avevo sentito parlare
negli anni Sessanta erano donne di estrazione operaia che
avevano infranto la barriera del sesso alla catena di montaggio,
e le prime che avevo incontrato di persona erano donne nere
inserite nei programmi di assistenza sociale che paragonavano
quel sistema a un marito ciclopico che, in cambio di un sussi28
dio appena sufficiente per sopravvivere, pretendeva fedeltà sessuale
(la famosa regola del «nessun uomo in casa»). Temevo
che se gruppi come quelli non avessero ottenuto visibilità
pubblica – e l’avessero ottenuta invece le donne benestanti che
pranzavano al Plaza – l’immagine del nuovo movimento sarebbe
stata ancora più distorta.

Come si è poi dimostrato, avevo ragione sulla tattica e sul
tipo di immagine che i media proponevano del femminismo:
«bianca-di-classe-media» divenne una sorta di etichetta incorporata
nella macchina da scrivere di molti giornalisti (per
quanto i sondaggi mostrassero che le donne nere erano due
volte più inclini delle bianche a sostenere i cambiamenti proposti
dalle femministe).1 Mi sbagliavo completamente, invece,
sulla risposta delle donne – compresa la mia. Per esempio:
all’epoca di quella manifestazione al Plaza, avevo già fatto picchetti
per i diritti civili, contro il coinvolgimento degli Stati
Uniti in Vietnam, e in solidarietà ai lavoratori agricoli immigrati,
manifestazioni molto lontane dall’essere tatticamente
ineccepibili. Dunque, perché ora pretendevo la perfezione dalle
donne? Quando i ristoranti e i bar erano stati vietati ai neri
o agli ebrei mi sentivo a mio agio a protestare, indipendentemente
dal fatto che si trattasse di locali lussuosi o meno. Allora
perché non riuscivo a prendere altrettanto sul serio la metà
di genere umano a cui io stessa appartenevo (e che, dopo tutto,
includeva la metà di tutti i neri e la metà di tutti gli ebrei)?
La verità è che avevo interiorizzato la ridicola valutazione
sociale di tutto ciò che è femminile – inclusa me stessa. Questa
non era logica, ma bassa autostima. Una donna nera avrebbe
dovuto manifestare per il diritto di mangiare in qualsiasi tavola
calda del Sud, dove veniva discriminata su base razziale, e
lasciar perdere quando, a causa del sesso, si rifiutavano di servirla
in un lussuoso ristorante di New York? Ovviamente no.
Il principio – e, ciò che più importa, il risultato per una donna
reale – era lo stesso. Ma io ero stata educata all’idea che i giudizi
basati soltanto sul sesso fossero meno importanti di quelli
basati soltanto sulla razza, sulla classe o su qualsiasi altra cosa.
Di fatto, considerando tutti i gruppi al mondo a eccezione
delle donne bianche, davo più valore a chiunque che a me
stessa.

Ciò nonostante, tutti i pretesti che mi venivano in mente
non avevano impedito al mio inconscio di lasciarsi catturare
dallo spirito contagioso delle donne che avevano organizzato il
picchetto all’Oak Room. Quando incontrai nuovamente il vicedirettore
dell’hotel ero in grado di percepire il mondo come
se le donne contassero. Guardandolo attraverso i loro occhi,
avevo cominciato a vederlo con i miei.

Ci avrei messo ancora degli anni prima di rendermi conto
della portata del cambiamento del mio punto di vista. Molto
più tardi ne riconobbi l’importanza in Revolution, il saggio del
giornalista polacco Ryszard Kapuscinski, che descrive il momento
in cui un uomo ai margini di una folla restituisce uno
sguardo di sfida a un poliziotto – e il poliziotto avverte un improvviso
rifiuto del suo sguardo intimidatorio – come l’istante
impercettibile in cui nasce la ribellione. «Tutti i libri sulle rivoluzioni
iniziano con un capitolo che descrive la decadenza di
un’autorità vacillante o la miseria e le sofferenze del popolo»,
scrive Kapuscinski. «Dovrebbero iniziare invece con un capitolo
psicologico che mostri in che modo un uomo vessato e terrorizzato
improvvisamente superi il terrore e metta fine alla
propria paura». Questo straordinario processo – che talvolta
avviene in un istante, come uno shock – necessita di essere il30
lustrato. Un uomo si sbarazza della paura e si sente libero. Se
così non fosse, non ci sarebbe alcuna rivoluzione».

Anche nel mio caso, quel momento nell’atrio dell’hotel
Plaza segnò l’incipiente consapevolezza che in ciascuno di noi
esiste un sé più sano, che aspetta soltanto un incoraggiamento.
L’esperienza di una forza insospettata è talmente comune che
disponiamo di frasi ordinarie per descriverla: «ero stupita di
me stessa», «malgrado me stessa». Ne Il rosso e il nero Stendhal
ha chiamato questo sé interiore «un piccolo amico». Ne Il colore
viola di Alice Walker, Celie scrive lettere a un amico forte
chiamato Dio, ma si rivolge anche alla forza che alberga dentro
di lei. I bambini inventano amici immaginari, e gli atleti, i
musicisti e i pittori lottano affinché questo sé autentico e
spontaneo si sprigioni nel loro lavoro. Meditazione, preghiera,
creatività: sono tutti mezzi comunemente adoperati per liberare
la voce interiore. Quando il sé viene riconosciuto, valutato,
scoperto, stimato, la sensazione è quella di uno «scatto», come
se letteralmente ci collegassimo a una fonte di energia interiore
che è soltanto nostra, eppure ci connette a qualsiasi altra cosa.
Per dirla in altri termini: iniziai a comprendere che l’autostima
non è tutto; è soltanto qualcosa senza di cui non esiste
nient’altro. ❞

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Presentazione di “Voi siete in gabbia, noi siamo il mondo” presso UDI Ferrara

Mercoledì 22 settembre alle ore 17.30, presso l’UDI (Unione Donne in Italia) di Ferrara, sarà presentato il libro Voi siete in gabbia, noi siamo il mondo di Monica Lanfranco.

«Il retaggio della globalizzazione – cominciammo a capire vent’anni fa, proprio grazie alle elaborazioni femministe a Punto G – era anche quello della paura, che chiude le menti e i cuori di fronte a chi arriva da altri luoghi, colpevole a prescindere, una paura che acceca e generalizza le reazioni secondo la tremenda categoria del nemico. Non una globalizzazione dei saperi, ma una globalizzazione dove le disparità, in primo luogo quella tra i sessi, trionfano e imperano.»
Monica Lanfranco, Voi siete in gabbia, noi siamo il mondo

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Presentazione di “Voi siete in gabbia, noi siamo il mondo” presso il Circolo Unione Arnatese Cooperativa Sociale (CUAC)


Sabato 18 settembre alle ore 21.00, presso il Circolo Unione Arnatese Cooperativa Sociale (CUAC) di Gallarate, sarà presentato il libro Voi siete in gabbia, noi siamo il mondo di Monica Lanfranco.

«Quei due giorni di giugno 2001, il 15 e 16, di enorme fatica e pura felicità fecero vivere a noi che vi prendemmo parte e alla città, ancora aperta, l’illusione che l’intelligenza collettiva di donne tanto diverse per storia, età, retaggio e allo stesso tempo così in sintonia sul desiderio di trasformare il mondo potesse avere la meglio sull’ottusità della violenza.»
– Monica Lanfranco, Voi siete in gabbia, noi siamo il mondo

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Presentazione di “Voi siete in gabbia, noi siamo il mondo” alla Fiera L’isola Che C’è di Como

Sabato 18 settembre alle ore 17.00, presso la fiera L’isola che c’è di Como, sarà presentato il libro Voi siete in gabbia, noi siamo il mondo di Monica Lanfranco.

Non mancate!!

https://www.fieralisolachece.org/
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Presentazione di “Se la felicità…” a Feminism4

Copertina Se la felicità...

Lunedì 20 settembre alle ore 18.00, in occasione della Fiera dell’Editoria delle Donne Feminism, verrà presentato il volume Se la felicità… Per una critica al capitalismo a partire dall’essere donna, di Alessandra Bocchetti, Rossana Rossanda e Christa Wolf. L’evento si terrà presso la Casa Internazionale delle Donne, Via Della Lungara 19, Roma.
Interverranno Alessandra Bocchetti, Paola Tavella e Livia Turco.

Per partecipare è gradita la prenotazione cliccando QUI.

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Presentazione di “Voi siete in gabbia, noi siamo il mondo” alla Casa dei Circoli Culture e Popoli di Ceriale

Giovedì 16 settembre alle ore 18.00,presso la Casa dei Circoli Culture e Popoli di Ceriale, sarà presentato il libro Voi siete in gabbia, noi siamo il mondo di Monica Lanfranco.

«Quei due giorni di giugno 2001, il 15 e 16, di enorme fatica e pura felicità fecero vivere a noi che vi prendemmo parte e alla città, ancora aperta, l’illusione che l’intelligenza collettiva di donne tanto diverse per storia, età, retaggio e allo stesso tempo così in sintonia sul desiderio di trasformare il mondo potesse avere la meglio sull’ottusità della violenza.»
– Monica Lanfranco, Voi siete in gabbia, noi siamo il mondo

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“Voi siete in gabbia, noi siamo il mondo” su Liguria Today

Un drammatico luglio: il G8 2001 e il femminismo vent’anni dopo.

Su Liguria Today, un interessante articolo di Daniela Cassini sul femminismo al G8 di Genova, raccontato 20 anni dopo da Monica Lanfranco nel libro Voi siete in gabbia, noi siamo il mondo.

«Nei giorni bollenti dei Grandi del mondo riuniti a Genova nel 2001, c’erano anche le donne. Anzi, precedettero nel giugno di quell’anno, pacificamente e creativamente con la sola forza delle idee e della voglia di cambiamento, la zona rossa, gli scontri di piazza, le violenze, i pestaggi, la “mattanza” del luglio seguente.»

Ecco l’articolo:

https://liguria.today/2021/07/21/un-drammatico-luglio-il-g8-2001-e-il-femminismo-ventanni-dopo/

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“Voi siete in gabbia, noi siamo il mondo” su LetterateMagazine.it

Nuovo interessante articolo di LetterateMagazine.it in cui si parla di Voi siete in gabbia, noi siamo il mondo di Monica Lanfranco.

“Voi siete in gabbia, noi siamo il mondo”, gridavano molte di quelle donne anche il mese dopo, quando ormai la città si era svuotata dei suoi abitanti, invitati ad andarsene perché le autorità temevano attacchi terroristici e si minacciava l’arrivo di orde di giovani violenti da mezzo mondo, mentre anche i media gonfiavano il clima di paura a dismisura. E “Voi siete in gabbia, noi siamo il mondo”, si intitola il libro con il quale Lanfranco racconta il G8, ma anche quell’incontro di donne che lo precedette, replicato dieci anni dopo sempre a Genova, per mettere ancora al centro la critica femminista alla globalizzazione.

Ecco l’intero articolo:

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“Voi siete in gabbia, noi siamo il mondo” su Il Fatto Quotidiano

Lunedì 19 luglio, su Il Fatto Quotidiano, Monica Lanfranco ci ha parlato del suo libro Voi siete in gabbia, noi siamo il mondo, in cui racconta la propria esperienza al G8 di Genova, in occasione del ventennale.

Ecco l’articolo completo:

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/07/19/g8-genova-avere-tre-volte-ventanni/6263402/

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“Voi siete in gabbia, noi siamo il mondo” di Monica Lanfranco su MicroMega+

Altro articolo che parla di noi sul nuovo numero di MicroMega+, interamente dedicato al ventennale del G8 di Genova (19-22 luglio 2001).
Monica Lanfranco ci parla del suo Voi siete in gabbia, noi siamo il mondo e della sua esperienza al G8.

« Il movimento femminista interessato alla critica della globalizzazione neoliberista decise allora di organizzare, un mese prima delle iniziative di luglio, il 15 e 16 giugno, due giorni che chiamammo PuntoG-Genova Genere Globalizzazione, replicati poi, sempre a giugno, 10 anni dopo: due straordinarie occasioni per mostrare l’intelligenza collettiva femminista di quante, studiose, attiviste e intellettuali stavano capendo che il neoliberismo avrebbe cambiato (in peggio) l’esistenza umana e quella delle donne in particolare.»

Ecco l’articolo:

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“Voi siete in gabbia, noi siamo il mondo” di Monica Lanfranco su MicroMega+

Nel nuovo numero di MicroMega+, interamente dedicato al ventennale del G8 di Genova (19-22 luglio 2001), si parla anche di Voi siete in gabbia, noi siamo il mondo di Monica Lanfranco: il femminismo al G8, narrazione degli eventi da parte delle donne che c’erano.

«La violenza poliziesca e la ferita inferta alla democrazia hanno seppellito a lungo anche i contenuti dello sguardo femminista di allora, fortemente profetici sui pericoli della globalizzazione neoliberista. Riflessioni e lotte – scrive Monica Lanfranco nell’articolo “Il G8 di Genova (soprattutto quello femminista) raccontato a chi non c’era” – ancora attuali e più che mai necessarie.»

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Carla Lonzi – Sputiamo su Hegel

“L’oppressione della donna non inizia nei tempi, ma si nasconde nel buio delle origini. L’oppressione della donna non si risolve nell’uccisione dell’uomo. Non si risolve nell’uguaglianza, ma prosegue nell’uguaglianza. Non si risolve nella rivoluzione, ma prosegue nella rivoluzione. Il piano delle alternative è una roccaforte della preminenza maschile: in esso non c’è posto per la donna. L’uguaglianza disponibile oggi non è filosofica, ma politica: ci piace, dopo millenni, inserirci a questo titolo nel mondo progettato da altri? Ci pare gratificante partecipare alla grande sconfitta dell’uomo? Per uguaglianza della donna si intende il suo diritto a partecipare alla gestione del potere nella società mediante il riconoscimento che essa possiede capacità uguali a quelle dell’uomo. Ma il chiarimento che l’esperienza femminile più genuina di questi anni ha portato sta in un processo di svalutazione globale del mondo maschile. Ci siamo accorte che, sul piano della gestione del potere, non occorrono delle capacità, ma una particolare forma di alienazione molto efficace. Il porsi della donna non implica una partecipazione al potere maschile, ma una messa in questione del concetto di potere. E’ per sventare questo possibile attentato della donna che oggi ci viene riconosciuto l’inserimento a titolo di uguaglianza. L’uguaglianza è un principio giuridico: il denominatore comune presente in ogni essere umano a cui va reso giustizia. La differenza è un principio esistenziale che riguarda i modi dell’essere umano, la peculiarità delle sue esperienze, delle sue finalità, delle sue aperture, del suo senso dell’esistenza in una situazione data e nella situazione che vuole darsi. Quella tra donna e uomo è la differenza di base dell’umanità. L’uomo nero è uguale all’uomo bianco, la donna nera è uguale alla donna bianca. La differenza della donna sono millenni di assenza dalla storia. Approfittiamo della differenza: una volta riuscito l’inserimento della donna chi può dire quanti millenni occorrerebbero per scuotere questo nuovo giogo? Non possiamo cedere ad altri la funzione di sommuovere l’ordinamento della struttura patriarcale. L’uguaglianza è quanto si offre ai colonizzati sul piano delle leggi e dei diritti. E quanto si impone loro sul piano della cultura. E’ il principio in base al quale l’egemone continua a condizionare il non-egemone. Il mondo dell’uguaglianza è il mondo della sopraffazione legalizzata, dell’unidimensionale; il mondo della differenza è il mondo dove il terrorismo getta le armi e la sopraffazione cede al rispetto della varietà e della molteplicità della vita. L’uguaglianza tra i sessi è la veste in cui si maschera oggi l’inferiorità della donna. Questa è la posizione del differente che vuole operare un mutamento globale della civiltà che l’ha recluso. Abbiamo scoperto non solo i dati della nostra oppressione, ma l’alienazione che è scaturita nel mondo dall’averci tenute prigioniere. La donna non ha più un appiglio, uno solo, per aderire agli obiettivi dell’uomo. In questo nuovo stadio di consapevolezza la donna rifiuta, come un dilemma imposto dal potere maschile, sia il piano dell’uguaglianza che quello della differenza, e afferma che nessun essere umano e nessun gruppo deve definirsi o essere definito sulla base di un altro essere umano e di un altro gruppo.”

(Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel)

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Evento BookCity 2020 – Presentazione “Carne da Macello” di Carol J. Adams

13 Novembre 2020, h. 16:30

Venerdì 13 Novembre alle 16:30 sarà presentato, in occasione di Bookcity, il nuovo libro di VandA edizioni Carne da macello. La politica sessuale della carne di Carol J. Adams, pubblicato a Marzo 2020.

L’incontro online verrà presentato dal professor Andrea Borghini (Università degli Studi di Milano). Dopo un breve saluto di Angela di Luciano, una delle editrici di VandA, interverranno l’autrice del libro Carol J. Adams e l’autrice e professoressa Vera Tripodi (Università di Torino e Politecnico di Torino).

Potete seguire lo streaming dell’evento:

  • sul SITO UNIMI (è necessario pre-registrarsi inserendo nome e indirizzo email)
  • sul SITO DI BOOKCITY (è necessario pre-registrarsi inserendo nome e indirizzo email)

In caso doveste perdervelo, potete recuperare collegandovi al nostro CANALE YOUTUBE, dove troverete la registrazione della presentazione!

Di seguito la sinossi del libro:

“Qual è il filo rosso, l’assurda interazione tra la radicata misoginia culturale della società contemporanea e la sua ossessione per la carne
e la mascolinità? Questo libro, pubblicato per la prima volta negli USA nel 1990, esplora con raro acume e sottile intelligenza la relazione tra i valori patriarcali e il consumo di carne, intrecciando femminismo, veganismo e antispecismo. Lo sfruttamento degli animali è per Adams una manifestazione della brutale cultura patriarcale. Il trattamento degli animali come oggetti è parallelo e associato all’oggettivazione nella società patriarcale di donne, neri e altre minoranze sfruttate. Dietro ogni pasto di carne c’è un’assenza: la morte dell’animale, il cui posto è occupato dalla carne. Il concetto del “referente assente”, intorno a cui Adams costruisce la sua memorabile tesi, ha la funzione di mascherare la violenza insita nel mangiare carne per proteggere la coscienza del carnivoro e i suoi desideri separando l’idea del singolo animale dal suo essere fisico. Nella logica della società patriarcale, anche le donne funzionano come referenti assenti. Perché il processo di oggettivazione, frammentazione e consumo che consente l’oppressione degli animali, privandoli del linguaggio e della rappresentazione culturale, coincide con quello agito sulle donne. L’uso persistente di immagini di violenza sessuale e di frammentazione e smembramento della natura e del corpo femminile (come in un macello) normalizza il consumo sessuale e autorizza l’abuso. L’oggetto consumato viene vissuto senza una storia, senza una biografia, senza individualità. Quindi lecitamente consumato e abusato.”

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Carne da Macello – intervista alla traduttrice su La mano sinistra

Su La Mano Sinistra è uscita l’intervista a Annalisa Zabonati, traduttrice di “Carne da Macello. La politica sessuale della carne” di Carol J. Adams.

La potete ascoltare al seguente link:

https://www.spreaker.com/user/la_mano_sinistra/1×3-ladonnamangiata