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Prossimamente: Carne da Macello. La politica sessuale della carne

Finalmente anche in Italia La politica sessuale della carne
della femminista antispecista Carol J. Adams
già tradotto in 10 lingue e sempre tragicamente attuale.

Un libro che ha cambiato la vita di decine di migliaia di lettori.
Atteso in Italia da anni dalla comunità antispecista.
Un cult per il movimento femminista.

Qual è il filo rosso, l’assurda interazione tra la radicata misoginia culturale della società contemporanea e la sua ossessione per la carne e la mascolinità? Carne da macello, pubblicato per la prima volta negli USA nel 1990, esplora con raro acume e sottile intelligenza la relazione tra i valori patriarcali e il consumo di carne, intrecciando femminismo, vegetarianismo, antispecismo. Lo sfruttamento degli animali è per Adams un’altra manifestazione della brutale cultura patriarcale. Il trattamento degli animali come oggetti è associato all’oggettivazione nella società patriarcale di donne, neri e altre minoranze al fine di sfruttarli sistematicamente. Un libro che ha molto fatto parlare, provocando un’incredibile copertura mediatica (New York Times, Kirkus Review, Washington Post Book World, Journal of Library, Weekly’s Publisher, Choice).
Insultato dalla stampa conservatrice.

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Quanto ma soprattutto dove ci tocca la prostituzione?

È uscita sull’Osservatorio della Rivista dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, una bella recensione del nostro saggio “Né sesso né lavoro. Politiche sulla prostituzione” di Daniela Danna, Silvia Niccolai, Grazia Villa, Luciana Tavernini, firmata da Cristina Luzzi, Dottoranda in Giustizia costituzionale e diritti fondamentali nell’Università di Pisa.

Vi lasciamo il link diretto per scaricare il Pdf con l’articolo:
https://www.osservatorioaic.it/it/osservatorio/ultimi-contributi-pubblicati/cristina-luzzi/recensione-del-libro-di-daniela-danna-silvia-niccolai-grazia-villa-luciana-tavernini-ne-sesso-ne-lavoro-politiche-sulla-prostituzione-vanda-epublishing-2019 

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Matte da Scrivere, seconda edizione

Ritorna la scuola di lettura e scrittura creativa Matte da Scrivere di Chiara Aurora Giunta in collaborazione con VandA.ePublishing.

Le regole della lettura e della scrittura per scoprire il mondo segreto degli scrittori. Parleremo insieme dei percorsi della creatività, dei misteri dell’ispirazione, della nascita dei personaggi, della rilevanza delle descrizioni di ambienti, della funzione dei dialoghi e del modo più consono di articolarli, della tessitura delle trame e di altro ancora. Il corso è rivolto a coloro i quali amano leggere o desiderano cimentarsi nell’arte della scrittura creativa. Dialogheremo del mondo nascosto dietro storie avvincenti e della loro relazione con il mondo reale e le esperienze personali, di modo che la lettura diventi un’esperienza più vasta e coinvolgente. Il percorso aiuterà i lettori a vedere oltre la pagina stampata e gli aspiranti scrittori a esprimere la propria creatività. Saranno presenti ospiti (scrittori ed editor) per raccontare le loro esperienze e rispondere alle vostre domande.
Come ogni anno, alla fine del corso i lavori prodotti e ritenuti validi saranno pubblicati dalla casa editrice VandA, promotrice dei corsi. Il primo volume di MATTE DA SCRIVERE sarà pubblicato a novembre 2019.
Vi aspetto ansiosa di condividere con voi le mie esperienze di autrice.
Chiara Aurora Giunta

Corsi a Milano presso VandA, via Cenisio,16
email: mattedascrivere@vandaepublishing.com
telefono (dal lunedì al venerdì dalle 9:00 alle 13:00): 340 8019586

Corso base (€ 300,00):
Primo incontro: 3/10/2019, h. 17,15
Secondo incontro: 4/10/2019, h. 17,15
Terzo incontro: 21/11/2019, h. 17,15
Quarto incontro: 22/ 11/2019, h. 17,15
Quinto incontro: 23/01/2020, h. 17,15
Sesto incontro: 20/02/2020, h. 17,15
Settimo incontro: 20/03/2020, h. 17,15
Ottavo incontro: 7/05/2020, h. 17,15

Corso avanzato (€ 300,00):
Primo incontro: 26/11/2019, h. 17,45
Secondo incontro: 24/01/2020, h. 17,45
Terzo incontro: 12/02/2020, h. 17,45
Quarto incontro: 19/03/2020, h. 17,45
Quinto incontro: 21/04/2020, h. 17,45
Sesto incontro: 08/05/2020, h. 17,45

Corsi a Catania presso libreria Pescebanana, via Umberto 199
email: mattedascrivere@vandaepublishing.com
Telefono: 095434159

Corso base (€ 300,00):
Primo incontro: 29/09/2019, h.17,30
Secondo incontro: 01/10/2019, h.17,30
Terzo incontro: 07/11/2019, h.17,30
Quarto incontro: 08/11/2019, h.17,30
Quinto incontro: 16/01/2020, h.17,30
Sesto incontro: 17/01/2020, h.17,30
Settimo incontro: 12/03/2020, h.17,30
Ottavo incontro: 13/03/2020, h.17,30

PROGRAMMA DEI CORSI

CORSO BASE
16 ore di cui 4 online
Primo incontro (2h): Ispirazione: come riconoscere una buona idea e trasformarla in una storia.
Secondo incontro (2 h): Buoni scrittori e buoni lettori: raccontare a se stessi prima di scrivere.
Terzo incontro (2 h): La trama come radice del racconto.
Quarto incontro (2 h): La struttura della trama: dall’incipit alla conclusione della storia.
Quinto incontro (2 h): Trame secondarie, funzione e creazione.
Sesto incontro (2 h): I personaggi.
Settimo incontro (2 h): Personaggi principali e secondari.
Ottavo incontro (2 h): Conclusione e revisioni degli elaborati.

CORSO AVANZATO
12 ore di cui 8 online
Primo incontro (2 h): La voce narrante: coinvolgimento o distanza.
Secondo incontro (2 h): I luoghi e i tempi del racconto. Una guida all’ambientazione delle storie.
Terzo incontro (2 h): I dialoghi: regole e spunti.
Quarto incontro (2 h): I dialoghi: diretto o indiretto.
Quinto incontro (2 h): I dialoghi: ascoltare per imparare.
Sesto incontro (2 h): Revisione elaborati e conclusione.

CHIARA AURORA GIUNTA
Chiara Aurora Giunta, catanese d’origine, vive e lavora a Milano. I suoi primi romanzi sono del genere rosa, poi si è dedicata al racconto storico e ai saggi per ragazzi. Ha pubblicato “Partita d’amore” (Mondadori, 1996), “Il mio amore ti salverà” (Mondadori, 2000), “Imparerò ad amarti” (Mondadori, 2001), “Aélis” (Neri Pozza, 2003), “Il velo di Agata” (Neri Pozza, 2008), “Maria Recupero della Pescheria” (VandA, 2017). È inoltre autrice del saggio storico per ragazzi “Rumoroso Risorgimento” (Salani, 2005).


Per maggiori informazioni sui corsi compilare questo modulo:

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La prostituzione: né sesso né lavoro


di Doranna Lupi (Viottoli n. 1/2019)


Né sesso né lavoro è il titolo dell’incontro del 15 marzo scorso a Pinerolo, realizzato nell’ambito di IO L’OTTO SEMPRE, esito di un tavolo organizzato dall’Assessora alle Pari Opportunità Francesca Costarelli con le associazioni che sul territorio si occupano di contrastare la violenza degli uomini sulle donne: E.M.M.A. Centri Antiviolenza Svolta Donna, Anlib, il Gruppo uomini di Pinerolo, Liberi dalla Violenza – Centro di ascolto disagio maschile.

Sono state invitate per l’occasione l’avvocata Grazia Villa e la storica Luciana Tavernini che, con la sociologa Daniela Danna e la costituzionalista Silvia Niccolai, hanno scritto il libro Né sesso, né lavoro. Politiche sulla prostituzione (VandA.ePublishing, 2019). Questo libro è nato dall’incontro Sulla prostituzione al Circolo della rosa presso la Libreria delle donne di Milano del 10 marzo 2018 e dall’impegno femminista di Angela Di Luciano, una delle editrici di VandA.ePublishing.

Alcune femministe hanno ripreso a ragionare sulla prostituzione per il timore di cattive leggi, nate da idee improvvisate, anche perché in Italia ci troviamo di fronte a diversi tentativi di stravolgere o soppiantare la legge Merlin, che prende il nome della senatrice socialista che ascoltò e dialogò con oltre 2000 donne prostituite nelle case chiuse. Ne è testimonianza la selezione di lettere tra quelle a lei inviate dalle ragazze delle case chiuse e ora ripubblicate. Lina Merlin, coinvolta fin da giovane nella lotta antifascista, condannata al confino, militante della Resistenza, eletta all’Assemblea Costituente (sua la dicitura “senza distinzione di sesso” nell’art.3 della Costituzione sul principio di uguaglianza), impiegò dieci anni per far varare questa legge, che non è piaciuta sin dall’inizio persino a uomini del suo stesso partito. Lei sosteneva che fosse inopportuno chiedere agli uomini le loro impressioni sulle case di tolleranza, per ovvi motivi. Silvia Niccolai argomenta come a interpretare la legge siano stati gli uomini e non lo abbiano fatto con serenità. «La legge Merlin non ha incontrato sostegno interiore negli interpreti, ma scetticismo e malsopportazione e questo ha contato parecchio nel disfarne il senso e il valore» (p. 80). Esaminando la legge e la giurisprudenza, Niccolai ha constatato come molte interpretazioni non ne hanno rispettato il vero significato, quello cioè di configurare la prostituzione come un’attività in sé lecita, ma al tempo stesso di punire tutte le condotte di terzi che la agevolino o la sfruttino.

L’argomento trattato è di grande attualità. Il 6 di marzo 2019 una sentenza della Corte costituzionale ha dichiarato non fondati i dubbi sulla costituzionalità della legge Merlin. Otto associazioni femministe e la Presidenza del Consiglio dei Ministri si sono costituite nel procedimento dinanzi alla Consulta, opponendosi alla questione di legittimità costituzionale di alcuni articoli della legge sollevata nei mesi precedenti dagli avvocati di due imputati nel processo d’appello a Bari sulle escort portate, tra il 2008 e il 2009, dall’imprenditore Gianpaolo Tarantini nelle residenze private dell’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.

Prostituirsi è lecito, ma non lo è aiutare le persone a vendere il proprio corpo o trarre guadagni o altre utilità dalla prostituzione altrui. Resta quindi in Italia il reato di sfruttamento della prostituzione messo in discussione da chi pensa che una donna può decidere liberamente di prostituirsi e che sia una forma di autodeterminazione.

Come ben illustrato dall’accurato lavoro di Grazia Villa, nelle ultime due legislature sono state depositate 22 proposte e disegni di legge riguardanti il tema della prostituzione che, messi a confronto, rivelano un’inaspettata convergenza di opinioni sulla definizione del fenomeno prostitutivo tra esponenti di gruppi di politici diversi, per storie e genealogie spesso contrapposte, convergenza che conduce a una uniformità di giudizi e spesso di scelte (p. 127).

Le principali tra queste opinioni, condivise anche tra posizioni politiche che sembrano proporre concezioni differenti dei rapporti tra i sessi, sono: l’ineluttabilità della prostituzione, la critica alla legge Merlin per la mancata risoluzione del fenomeno o addirittura per il suo aggravamento, la collocazione dell’industria prostitutiva nelle logiche del mercato e ancor meglio del mercato globale, la distinzione tra tratta e prostituzione liberamente scelta da chi la esercita.

La prostituzione è un lavoro come un altro?

Si tratta di visioni che rispecchiano una parte delle politiche sulla prostituzione a livello internazionale, analizzate con precisione da Daniela Danna nel primo capitolo. Ciò che le accomuna è che si parla di prostituzione come lavoro e questo è molto distante dalla legge Merlin. Come sottolineato in diversi punti del libro, ci si è arrivati nel corso del tempo, anche attraverso l’uso di un linguaggio fuorviante con conseguenti slittamenti di significato. Per esempio, definendo la prostituzione sex work come fosse una qualunque professione, i prostitutori diventano clienti che effettuano transazioni economiche, i tenutari di bordelli imprenditori, gli sfruttatori datori di lavoro e le donne che mettono i loro corpi a disposizione libere professioniste. Ma la prostituzione può essere considerata un mestiere come un altro? La vagina può essere un luogo di lavoro e di produttività economica? «Il sito South Melbourne Community Health consiglia alle escort di non utilizzare anestetico locale perché la mancanza di sensibilità impedisce che le lesioni siano notate immediatamente» (p. 30).

Non si degrada così il senso di tutto il lavoro? Luciana Tavernini rende bene l’idea di come in questo modo passi sul corpo delle donne un tentativo di «separare chi lavora da ciò che deve dare per il salario», rendendo accettabile la vendita totale di sé e nascondendo i rapporti sociali sottesi. Riprende Julia O’Connell Davidson che ricorda un episodio, citato da Marx nel Capitale, in cui si racconta come mister Peel avesse portato in Australia, oltre a mezzi di sussistenza e di produzione, anche trecento uomini, donne e bambini della classe operaia, che se ne andarono appena videro come fosse possibile trovare altrove mezzi per vivere meglio, lasciandolo senza neppure un servo. Marx conclude che per trasformare le sue cose in capitale mister Peel avrebbe avuto bisogno di esportare i rapporti sociali che costringevano gli uomini e le donne che aveva portato con sé a vendersi di loro spontanea volontà (p.196).

I rapporti sociali che mettono la donna nella condizione di vendersi “spontaneamente” sono segnati dall’asimmetria tra i sessi. L’uso dei corpi femminili attraverso il denaro è un’istituzione fondante del patriarcato.

Dunque si tratta di un tema importante per la libertà e la dignità delle donne e per le relazioni tra i sessi e, essendo il nostro un tempo in cui si comincia a credere alle parole delle donne, sono stati tradotti, come atto politico, dalle amiche di Resistenza Femminista, dei testi straordinari e dirompenti. Uno è Stupro a pagamento. La verità sulla prostituzione di Rachel Moran (Round Robin, 2017) dove l’autrice narra, partendo dalla propria esperienza, l’orrore vissuto nella prostituzione analizzandone il senso (una mia recensione è nel numero 1/2018 di Viottoli); l’altro è Il mito Pretty Woman. Come la lobby dell’industria del sesso ci spaccia la prostituzione di Julie Bindel (VandA.ePublishing, 2019) che raccoglie 250 interviste fatte a sopravvissute alla prostituzione, attivisti per i diritti delle sex worker, papponi, compratori di sesso e proprietari di bordelli in 40 paesi, città e stati del mondo. Fino a oggi mancava un punto di vista italiano che scaturisse dalla nostra storia, dall’approccio alla prostituzione segnato dalla legge Merlin, dal nostro femminismo e che «declinasse in italiano l’indignazione nei confronti degli uomini che si permettono di comprare il sesso delle donne» (p. 14). Abbiamo dunque una trilogia per comprendere meglio il fenomeno prostitutivo al di là di slogan e stereotipi e avere così un quadro più completo su un tema complesso, che riguarda tutte e tutti.

Sicuramente ciò verso cui ci spingono a riflettere queste autrici è cominciare a pensare alla possibilità di abolire la prostituzione. Gli uomini la devono finire di violare i corpi di donne e bambine a loro piacimento e con il benestare degli altri uomini, secondo una concezione maschile degradata del desiderio e della sessualità: l’uso – o meglio abuso – del corpo femminile reso disponibile per denaro è una manifestazione della protervia maschilista con cui gli uomini si considerano superiori alle donne (ancora poche sono le eccezioni), e un’istituzione fondante della struttura sociale denunciata dalle donne come patriarcato (p. 16).

La battaglia delle narrazioni

Siamo ben consapevoli che la posta in gioco è molto alta: sono in ballo due narrazioni della realtà che, in questo tempo di fine patriarcato, si mostrano confliggendo. Entrambe le narrazioni fanno parte di un senso comune che le ha generate: quello più antico che sostiene, a favore degli uomini, l’ineluttabilità della prostituzione vista come un fenomeno vecchio come il mondo che sempre è esistito e sempre esisterà, un fatto naturale che risponde a un bisogno irrefrenabile della sessualità maschile e che in tempi moderni va regolamentato; quello più recente delle donne che hanno messo in discussione l’ordine simbolico patriarcale e, partendo dalla loro esperienza condivisa, dai loro rapporti di sorellanza, valutano in prima persona ciò che è giusto e ciò che è sbagliato per loro stesse e per le altre.

Grazie a un sentire femminile condiviso e a un bisogno contagioso di verità e giustizia per se stesse e per tutte le appartenenti al proprio sesso, sin dagli inizi del Novecento si è prodotto uno spostamento simbolico, attraverso la presa di parola delle donne. Luciana Tavernini riporta testimonianze di donne uscite dalla prostituzione grazie ad altre, narrazioni riprese e valorizzate dal femminismo degli anni Ottanta. Oggi possiamo sentire cosa dicono le sopravvissute, le giuriste, le femministe.

La prostituzione è uno scambio: lui ha i soldi, lei ha il corpo. La storia di sesso e potere del nostro ex premier Berlusconi ce lo ha mostrato. Ida Dominijanni lo ha spiegato bene nel suo libro Il Trucco. Sessualità e biopolitica nella fine di Berlusconi, (Ediesse, 2014). Quando le donne hanno parlato pubblicamente, come nel caso di Sofia Ventura, Veronica Lario e Patrizia D’Addario, sono caduti personaggi importanti della politica.

Quindi per quanto riguarda la prostituzione «la battaglia delle narrazioni» (Lia Cigarini in Sottosopra – Cambio di Civiltà, 2018) è in pieno svolgimento. Dove ha vinto la narrazione maschile neoliberista si regolamenta la prostituzione come ad esempio in Danimarca, Paesi Bassi e Germania. Un episodio significativo delle possibili conseguenze è stata la necessità del pronunciamento di un tribunale in Germania perché le donne disoccupate non fossero obbligate ad accettare di lavorare nei bordelli per non perdere l’assegno di disoccupazione.

Vedendo che questa modalità scricchiola e non funziona ad aprile 2019 sono state consegnate al parlamento olandese 42.000 firme per chiedere l’introduzione del modello nordico che rende illegale avere rapporti sessuali a pagamento.

Dove ha vinto la narrazione femminile (femminista) si sa, perché lo dicono le sopravvissute alla prostituzione e perché ogni donna lo sa nel profondo di se stessa, che la prostituzione per le donne è un inferno, è violenza, umiliazione, è stupro a pagamento. Allora il modello di riferimento è quello cosiddetto nordico in vigore in Svezia dal 1999 e successivamente in Norvegia, Islanda, in Irlanda e Irlanda del Nord e, dall’aprile 2016, anche in Francia. Questo modello punisce l’acquisto di sesso multando colui che pretende di acquistarlo, decriminalizza le persone prostituite, prevede la creazione di programmi di uscita su scala nazionale, politiche di protezione e sostegno per le vittime di prostituzione, sfruttamento sessuale e tratta, programmi rieducativi per i clienti (prostitutori). La Corte costituzionale francese, con una sentenza del 1° febbraio 2019, ha stabilito che la penalizzazione dell’acquisto di prestazioni sessuali, prevista dalla legge n. 444 del 13 aprile 2016 in tema di lotta contro il sistema prostituzionale, è costituzionalmente ineccepibile.

CAP (Coalition Abolition Prostitution) international ha contribuito alla mobilitazione di una vasta rete di soggetti in sostegno della legge. Sei ministri della precedente legislatura per i diritti delle donne, 30 medici rinomati, una coalizione di uomini che si opponeva all’acquisto di sesso hanno scritto lettere aperte e rilasciato dichiarazioni sulla stampa chiedendo al Consiglio Costituzionale di mantenere la criminalizzazione dell’acquisto di sesso.

In Svezia, infatti, il numero di persone prostituite è diminuito sensibilmente. Secondo la polizia svedese, il provvedimento ha esercitato un notevole effetto deterrente sulla tratta. La legge ha anche modificato l’opinione pubblica.

Nel suo testo Grazia Villa, avvocata di Como, racconta come Oike, una donna sopravvissuta alla tratta, fosse tornata allo sportello per migranti a raccontare di aver trovato casa e un «vero lavoro» perché «altro non è mai lavoro, mai, mai, mai!» Aveva con sé dolcetti per ringraziare e una sciarpa rossa per Grazia, l’avvocata che l’aveva seguita nel suo percorso legale. «In quel semplice gesto di gratitudine, però, c’era il riscatto e l’autodeterminazione di una donna, la forza della nostra alleanza: un sogno avverato, una rivoluzione possibile» (p. 175).

Affrontare questo tema doloroso e scomodo ci dà l’opportunità di mettere in discussione e di riflettere sui rapporti tra uomini e donne e sui mutamenti necessari per un cambio di civiltà.

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Sognando un’Europa unita

“Quella di un’Europa economicamente e politicamente unita è un’idea forte ed edificante. L’Unione europea, tuttavia, ha deluso le aspettative di molti. L’Euro è la valuta più protetta del pianeta, e questa difesa ossessiva della moneta unica l’ha resa un fine, non più un mezzo. Gli europei di oggi sono orfani della grande politica. Riuscirà il nuovo Parlamento a rimettere l’Unione nel solco tracciato dai suoi padri fondatori, leader visionari come Adenauer, de Gaulle e De Gasperi che, proprio per avere a cuore gli obiettivi della pace, dello sviluppo e del benessere condiviso, non hanno ridotto la politica e la sua naturale complessità a un problema economico/finanziario?”

Questo è l’approccio alla realtà attuale che l’economista Pierangelo Dacrema, professore ordinario di Economia degli intermediari finanziari all’Università della Calabria, assume nel suo libro Sognando l’Europa: grande statista cercasi.

Gli stessi pilastri dell’Europa di Maastricht hanno ridotto la politica e la sua naturale complessità a un problema economico/finanziario.
Ora, un’Unione europea orfana della grande politica non può che ripartire dal rilancio degli ideali iniziali.

Dacrema si rivolge sia ai sovranisti irriducibili (“Sperate davvero, con il voto, di ottenere un mandato a distruggere il progetto europeo?”) che agli europeisti convinti (“Vi accontentate dell’Europa di oggi?”). La conversazione finale tra l’autore e Renato Mannheimer sottolinea singolarità e importanza delle Europee 2019 sia per l’Unione che per il destino del governo italiano.

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Evento – Supernove

Sabato 13 luglio, alle ore 21:00, Manuela Dago, Francesca Genti e Francesca Gironi presenteranno “Supernove. Poesie per gli anni 2000” alla Casa Internazionale delle Donne, in Via della Lungara 19, Roma, nell’ambito dell’evento “Women’s Poetry Meetings”.

Cinque artiste unite in un collettivo per una poesia attiva che integri la dimensione estetica e etica,  che sia punto di partenza per risanare inventare parole, cose, creature, mondi.

Poesie su cartoline come messaggio, rimedio, ponte, manciata di sassi.

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Evento – “Nonostante il velo”


Milano, 10 luglio 2019, ore 18


VandA.ePublishing è lieta di invitarvi all’incontro al Museo Martinitt – Palazzo Stelline con Michela Fontana

Mercoledì 10 luglio alle ore 18 Michela Fontana presenterà il libro Nonostante il velo. Donne dell’Arabia Saudita al Museo Martinitt, in Corso Magenta 57, nell’ambito della rassegna “E…state al Museo”.

In Arabia Saudita, il paese più opaco del mondo arabo, le donne sono confinate nel ruolo disegnato dalla Sharia, dipendono a vita da un guardiano, non possono guidare l’automobile e sono segregate nel mondo femminile. Ma dietro questa cortina di ferro, sono proprio le donne a esprimere le più forti istanze di rinnovamento. È quanto Michela Fontana ha scoperto vivendo e lavorando due anni e mezzo a Riad, durante i quali ha esplorato dall’interno la società saudita, incontrando attiviste, donne d’affari, studentesse, giovani professioniste, islamiste radicali, scrittrici, semplici mogli e madri.

Giornalista e saggista milanese, Michela Fontana ha vissuto quindici anni tra Stati Uniti, Canada, Svizzera, Cina e Arabia Saudita. Il suo libro “Matteo Ricci. Un gesuita alla corte dei Ming” (Mondadori, 2005), tradotto in francese e in inglese, ha vinto il “Grand Prix de la biographie politique” nel 2010.


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Liberazioni


di Clotilde Barbarulli (Il Manifesto Le monde diplomatique, giugno 2019)


MANIFESTI FEMMINISTI 
Il femminismo radicale attraverso i suoi scritti
programmatici (1964-1977)
Deborah Ardilli (a cura di)
VandAePublishing/Morellini (2018) 15.90 euro

Il libro raccoglie, con una interessante introduzione, una selezione di testi del femminismo radicale dalla seconda meta degli anni Sessanta alla seconda metà degli anni Settanta in Italia, Francia e Stati Uniti, per offrire supporti testuali alle più giovani così da ricostruire una trama significativa di pensieri nel percorso politico delle donne. Il manifesto, fra rabbia politica e proiezione utopica, si presta a restituire l’articolazione di quella stagione, attraversata da diverse correnti e segnata dalla presa di coscienza delle donne, il soggetto imprevisto, che prende forza dalle relazioni fra donne. L’implicazione logica della rivolta delle donne è che la loro condizione può essere modificata, che il rapporto sociale che le definisce come la natura, il sesso, la differenza, l’alterità complementare all’uomo, può essere sovvertito. Se l’orizzonte è comune, la varietà delle posizioni rappresentate mette in luce che il femmininismo radicale è una modalità storicamente e geograficamente situata «di pensarsi, di agire e di pensare il propria agire». Il significato di radicale slitta dall’ambito della controcultura e della nuova sinistra al movimento di liberazione delle donne che rifiutano di considerare la propria oppressione come una ricaduta secondaria delle contraddizioni di classe, e che riconoscono l’impossibilità sociale dell’uguaglianza all’interno di un sistema etero-patriarcale. Così se una giovane americana era considerata radicale quando apparteneva alla frastagliata area dell’attivismo studentesco per i diritti civili e contro la guerra in Vietnam, successivamente la radicalità si riferisce al movimento delle donne perché prende le distanze dalle organizzaioni femminili di impronta emancipazionista, staccandosi dalla militanza mista. Ardilli ritiene giustamente importante far conoscere il passato – restituendo «un minimo di respiro storico» ai ragionamenti oltre la «densa coltre di sentito dire» – e mettere così in luce la complessità del rovesciamento di prospettiva di quegli anni.


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Sicuri che è di sinistra?


di Marina Terragni (Il Resto del Carlino, 13 maggio 2019)


Il 50 per cento di disoccupazione femminile è un bel problema: è in questa chiave che Cgil si attiva per consentire alle donne italiane di affittare l’utero a coppie etero e gay?

Il 19 giugno a Roma presso la Cgil nazionale saranno presentate ben due proposte di regolamentazione della cosiddetta gestazione per altri, in collaborazione con le associazioni Luca Coscioni, Famiglie Arcobaleno e altre.

La Corte Costituzionale ha sancito che l’utero in affitto «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane». La Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha stoppato le trascrizioni alle anagrafi dei “genitori” non biologici dei bambini nati da utero in affitto. Per la Referente dell’ONU sulla vendita e lo sfruttamento sessuale dei minori, la Gpa “è nient’altro che vendita di bambini, qualunque siano gli artifici giuridici impiegati».

Del resto tutta la sinistra europea si schiera in modo inequivoco contro l’utero in affitto: dalla Svezia a Pedro Sanchez, che ha intrapreso misure durissime contro la pratica.

La Cgil – Ufficio Nuovi Diritti sembra invece affascinata dalle infinite possibilità offerte dall’autosfruttamento femminile, compreso il cosiddetto “libero” sex work (libero un accidente, ha chiarito la Corte Costituzionale): pochi mesi fa, ospite d’onore la “puta-feminista” argentina Georgina Orellano, in platea un’entusiasta Monica Cirinnà, si è discusso di un sindacato delle prostitute.

“L’interno del corpo femminile non è un posto di lavoro” dice la femminista inglese Julie Bindel. A quanto pare Cgil la vede diversamente.

Nel suo documento politico il Pride di Milano tuona: “Esigiamo… libero accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita”, uteri compresi. E Cgil prontamente risponde, anche se forse vi sarebbero altre priorità a cui dedicarsi.

La probabilità che passi una legge pro-utero in affitto è pari a zero: il divieto vige quasi in tutto il mondo salvo 18 nazioni su 206.

L’iniziativa Cgil offre piuttosto un ulteriore spunto di riflessione sulla deriva dirittistica, radicaloide e distopica della sinistra italiana. Deriva che peraltro, a giudicare dai numeri delle urne, non sta dando grandiosi risultati.


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Novità – Sognando l’Europa

EUROPEE. L’ECONOMISTA PIERANGELO DACREMA: CON LA SUA LATITANZA SUI TEMI SOCIALI L’EUROPA  HA ALIMENTATO ESSA STESSA POPULISMI E SOVRANISMI

Il professore di Economia degli intermediari finanziari all’Università della Calabria, autore di  Sognando l’Europa – Grande statista cercasi«I sovranismi non vinceranno, ma l’Europa ha tradito il suo mandato. Deve correre ai ripari e mettere al centro la giustizia sociale».

«Con le sue latitanze sulle grandi e drammatiche questioni sociali l’Europa ha alimentato essa stessa una forma di antieuropeismo e quindi i populismi e i sovranismi che attraversano come un vento freddo il Vecchio Continente». 
Lo dice il professore di Economia degli intermediari finanziari all’Università della Calabria, Pierangelo Dacrema, autore di Sognando l’Europa – Grande statista cercasi(Edizioni All Around), libro che contiene anche un’intervista di Dacrema al sondaggista e studioso, Renato Mannheimer.

Per l’autore le prossime Europee rappresentano un snodo fondamentale per il futuro della Ue, ma il professore si dice convinto che «i populisti e i sovranisti non avranno il successo che sperano. Non basta baciare il rosario o alimentare campagne securitarie e anti immigrati per vincere. Ma, a maggior ragione – avverte Dacrema –  è ora che l’Unione europea, da troppo tempo orfana di grandi ideali, rilanci con forza il progetto europeo proprio per riconquistare i tanti antieuropeisti, che, in gran parte, non sono che europeisti delusi».
Per rinvigorire il progetto europeo, sostiene l’autore di Sognando l’Europa, «non si può che ripartire dall’equità, dal benessere diffuso dei suoi cittadini, dalla pace sociale, da politiche reali per combattere il dramma della disoccupazione».
Mentre L’Ue questi anni «ha contenuto il tasso di degrado della moneta, ovvero l’inflazione, entro il 2 per cento – la Bce ha di fatto come unico mandato la salvaguardia dell’euro –,  non si è preoccupata di contenere il tasso di degrado della società, cioè la disoccupazione, che colpisce pesantemente l’Italia  ma non risparmia, in ogni caso, la gran parte delle nazioni europee. Basti pensare che la cosiddetta locomotiva tedesca ha un tasso di disoccupazione che sta intorno al 7 per cento».
Insomma, l’economia ha prevalso sulla politica. E ora l’Europa «deve correre ai ripari: se vuole disarmare i populismi in agguato deve dare forza a una Europa diversa. Perché una cosa è certa, anche gli europeisti convinti non si accontentano certo dell’Europa di oggi».

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Libertà di prostituirsi?


di Mira Furlani, 16 maggio 2019


Sabato 11 maggio 2019 alle ore 18.00 mi sono sintonizzata sulla pagina facebook di Dialogo-Libreria delle donne di Milano, e ho ascoltato in streaming l’incontro intitolato Prostituzione: né sesso, né lavoro. L’incontro si basava sul testo Né sesso né lavoro. Politiche sulla prostituzione di Daniela Danna, Silvia Niccolai, Luciana Tavernini, Grazia Villa, pubblicato da VandA.epublishing.

L’incontro, che si svolgeva nella sede della Libreria delle donne, era condotto dalla giornalista Mariangela Mianiti che ha animato la discussione con due delle autrici: la curatrice e sociologa Daniela Danna e la costituzionalista Silvia Niccolai.

Sia gli interventi delle due autrici che il dibattito che ne è seguito sono stati estremamente interessanti. Mi ricordo che a un certo punto Luisa Muraro ha affrontato la questione della libertà di prostituirsi e nel rispondere all’intervento di una giovane donna presente all’incontro, Luisa ha detto che sì, la giovane interlocutrice era libera di prostituirsi, ma in privato. Non ricordo bene tutto il resto. Ho cercato di riascoltare lo streaming in differita, ma fra i video pubblicati su you tube nella pagina della Libreria, purtroppo ancora non è comparso.

Di questi tempi mi sono trovata spesso in difficoltà nel discutere con donne, giovani e meno giovani, del desiderio e della libertà di poter usare il proprio corpo a piacimento nella prostituzione. Una discussione del genere è stata difficile perfino con una mia parente che difendeva la libertà delle donne di prostituirsi secondo il proprio desiderio. Una posizione difficile da contrastare perché frutto dell’ideologia neoliberista della nostra epoca e che resta incomprensibile per quelle che, come me, hanno letto il libro di Rachel Moran (Stupro a pagamento. La verità sulla prostituzione, Ed. Round Robin). Così, non soddisfatta della risposta ascoltata nello streaming, ho deciso di scrivere a Luisa Muraro una mail facendole la seguente domanda:«Cara Luisa, mi puoi dire, in breve, in che senso una si può prostituire in privato? Mi pare che Rachel Moran abbia scritto che farlo in privato o pubblicamente è sempre stupro a pagamento».

Ecco la pronta risposta di Luisa Muraro:

«Cominciamo con l’impostazione del problema, che è sempre la cosa trascurata, essendo secondo me la prima se non la più importante mossa da fare per ragionare bene. Ci troviamo sulla scena politica di oggi, nessuna di noi si trova nella posizione di Rachel Moran, alla quale riconosciamo per altro una grande autorità in questo tema. Noi siamo in Italia, ci interessa (a me e altre) impedire la manomissione della legge Merlin (una eventualità che incombe) e ci sono giovani donne (incoraggiate da uomini politicamente impegnati, di sinistra) che reclamano pubblicamente la libertà di prostituirsi. Questione n. 1: che cosa reclamano queste giovani donne (esclusi ovviamente quelli/e che le citano strumentalmente), che cosa reclamano da me e dal femminismo critico verso la pratica sociale della prostituzione?

Cerco di capirlo e rispondo alla giovane donna con cui mi sto idealmente confrontando (è successo anche realmente): se tu vuoi mettere il tuo corpo a disposizione di qualcuno desideroso di fare sesso e disposto a pagarti, guarda che la legge non te lo impedisce. Non solo: se è questo che desideri, io ti dico di farlo. Sono una femminista che ha sempre difeso il desiderio femminile. La legge, d’altra parte, non te lo proibisce. Per parte mia aggiungo una sola cosa: ti chiedo di farlo con riservatezza, penso a te (fare sesso è qualcosa che non si esibisce, che sia gratis o a pagamento, come la masturbazione o altre attività erotiche) e penso a un altro aspetto della faccenda: se tu pretendi che la prostituzione sia riconosciuta dalla legge come un tuo diritto, cioè come un’attività commerciale al pari di tante altre, tu apri le porte al commercio dei corpi femminili, non solo, le apri anche al dovere che la legge ha di tutelare tutte le attività lecite. Apri cioè le porte ai bordelli, ai quartieri a luci rosse, alla pubblicità e a tutto quello che fa sentire a posto un uomo che mette le mani sul corpo di una donna qualsiasi, sentendosi autorizzato dal fatto che la paga. E faciliti così enormemente la tratta di donne costrette a prostituirsi. Tu puoi dire in buona fede: non è questo che voglio, ma è questo che capita. Perciò ti dico: realizza quello che desideri senza chiedere autorizzazioni (dalla legge o dall’autorità femminile) che non sono necessarie. A questo cambiamento di natura simbolica che, dietro alla finzione neoliberista della libertà, ci riporterebbe alla civiltà patriarcale, io mi oppongo. E ti chiedo di realizzare il tuo desiderio o il tuo bisogno con tutta la riservatezza possibile: lo chiede la pratica della sessualità non pornografica, lo chiede la politica delle donne. Ciao, Luisa.»

Ho avuto l’autorizzazione da Luisa Muraro di pubblicare questa sua risposta che io ho trovato chiara e realista e penso sia necessario e urgente farla conoscere. Bisogna che, in qualche modo, venga pubblicata e divulgata, fatta leggere a donne e uomini, giovani e meno giovani, a madri e a nubili e anche a uomini di buona volontà (ne esistono, per fortuna). È cosa urgente. Grazie a Luisa.

(www.libreriadelledonne.it,15 maggio 2019)


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Prostituzione: esiste la libera scelta?


di Giovanna Pezzuoli (27esima ora, 12 maggio 2019)


– «Nè sesso nè lavoro»

«Io non lo farei mai, ma se qualcuna vuole farlo perché proibirglielo?», «È una libera scelta, non bisogna essere giudicanti», «Si deve legalizzare, se stanno al chiuso sono più protette». Ebbene sì, stiamo parlando di quello che viene definito «il mestiere più antico del mondo» e dei luoghi comuni, slogan, semplificazioni, fraintendimenti, che accompagnano le politiche sulla prostituzione, messi in luce da un libro per molti aspetti chiarificatore, Né sesso né lavoro (VandA.ePublishing, 2019), firmato da quattro autrici, la sociologa Daniela Danna, la costituzionalista Silvia Niccolai, la storica Luciana Tavernini e l’avvocata Grazia Villa. Se ne è parlato l’altra sera in un vivace e affollatissimo dibattito alla Libreria delle donne di via Calvi 29, dove si notava la presenza anche di molte giovani. Tutte (e tutti, visto che non mancava qualche uomo) coinvolte nella riflessione su un fenomeno complesso, di recente ritornato all’attenzione delle cronache, sia per le sentenze delle Corti Costituzionali italiane e francesi che hanno respinto, nel primo caso (il 6 marzo) il ricorso contro l’incostituzionalità della legge Merlin, nell’altro (il 2 febbraio) il ricorso contro la «penalizzazione» dei clienti, prevista dal modello nordico o neo abolizionista, adottato anche in Francia, Irlanda, Irlanda del Nord, Canada, Islanda e Norvegia, e dal 2020 in Israele.

Altro evento recente, la consegna, il 10 aprile, al Parlamento olandese di una petizione, con 42 mila firme, contro l’attuale regolamentazione (case chiuse) e a favore dell’introduzione del modello svedese (che prevede appunto non punibilità della prostituta, la punibilità del cliente e percorsi di sostegno per chi esce dall’attività).

Il modello svedese toglie la donna che si prostituisce da una posizione di inferiorità, ha sottolineato Silvia Niccolai, come già faceva la legge Merlin (promulgata in Italia il 20 febbraio del 1958), che denunciava il concetto di fondo della prostituzione, ovvero che il denaro compri il consenso per l’accesso a un corpo, denaro che assolve e risolve in questa «Idra alla quale non si è mai tagliata la testa», il ruolo del cliente o «prostitutore». Ma Lina Merlin, una socialista, umanitaria, con una forte sensibilità per le ingiustizie del mercato, si interrogava sui compiti dello Stato. La domanda era: la prostituzione è una fonte di profitto che lo Stato intende incoraggiare?

Cominciamo dunque a non lucrare sulla vendita dei corpi, invece la narrazione diffusa è che si tratti di una legge moralista. Di fatto i giudici hanno spesso tradito la legge Merlin, prosegue l’autrice, rifacendosi al codice Rocco che lasciava le donne libere di prostituirsi ma puniva comportamenti come violenza, sfruttamento, «condotte disfunzionali» che danneggiavano le case chiuse. Lina Merlin invece chiude i bordelli, vietando lo sfruttamento economico della prostituzione, ma non qualifica come punibile l’attività della prostituta che ha diritto alla piena cittadinanza. Le interessa cancellare lo stigma. Del resto, aggiunge Luciana Tavernini, Lina Merlin prima di formulare la legge ha letto le testimonianze, spesso drammatiche e desolanti, di oltre duemila donne delle case chiuse, tra cui molte lettere (una selezione pubblicata nel 1955 è ora scaricabile dal sito della Fondazione Anna Kuliscioff). Che senso avrebbe dunque punire chi subisce violenza?

L’accusa di moralismo alla legge deriva dal fatto che impedirebbe alla donna che si prostituisce di trasformare la propria attività in un’impresa. Il focus della legge non è il comportamento della donna ma l’attività economica che si svolge attorno a lei. È interessante, nota Daniela Danna, il fatto che il discorso a favore delle sex workers, ovvero dell’idea che le prostitute siano lavoratrici del sesso tout court, non sia diffuso soltanto fra governanti di destra ma anche tra le giovani generazioni con visioni progressiste e radicali. Secondo la sociologa, è proprio l’obiettivo delle politiche neo liberali ridurre tutto a mercato, invadendo la sfera personale/sessuale, mentre la vita lavorativa subisce la progressiva erosione di ogni tutela. Con l’illusione di una libera scelta e di un allargamento dei diritti delle donne, tutti i rapporti umani finiscono per essere regolati dai mercati, come nella gravidanza per altri e nella compravendita di neonati.

La prostituzione non è il mercato del sesso, ma il «mercato dell’abuso», dice ancora Daniela Danna, l’asimmetria messa in luce dalla legge Merlin è il nocciolo della questione. Chi compie l’abuso? Ogni uomo che paga, è un consenso comprato. In questo senso è un passo in avanti il modello svedese che multa i clienti, un segnale che ci sono limiti a ciò che si può fare al corpo di un’altra.

Quanto alla libera scelta come parola d’ordine, è appassionato l’intervento di Marisa Guarneri, del Cadmi di Milano, che dalla sua esperienza con le donne maltrattate ha tratto la convinzione che in situazioni di forte violenza la libera scelta non esiste. Così nel dibattito sulla prostituzione parole come libertà e libertà di scelta sarebbero solo mine vaganti. La tematica della libera scelta fa parte del linguaggio utilizzato dai movimenti radicali che inconsapevolmente usano termini neo liberisti. La libertà non è scegliere fra due alternative concesse ma capire come realizzarsi sviluppando al meglio le proprie potenzialità.

Parlare di sex workers sembrerebbe un modo per ridare dignità alle «puttane», sottolinea Daniela Danna, ma non è così. In Australia dove la prostituzione nei bordelli è legale, tra i consigli dati alle prostitute c’è quello di non usare anestetici locali altrimenti «non vi potete rendere conto di quanto il cliente vi sta facendo male». Nella richiesta di essere riconosciuta come sex worker Luisa Muraro coglie il desiderio di avere un minimo di dignità. Ed è proprio quello che ha tentato di fare Lina Merlin, non punendo la prostituta ma impedendo che si costruisse un’industria, privata o di Stato, sul suo sfruttamento.

Daniela Danna, Silvia Niccolai, Luciana Tavernini e Grazia Villa«Nè sesso nè lavoro. Politiche sulla prostituzione»VandA.e Publishing 15.99 euro
Daniela Danna, Silvia Niccolai, Luciana Tavernini e Grazia Villa «Nè sesso nè lavoro. Politiche sulla prostituzione» VandA.e Publishing 15.99 euro

Ci accusano di essere «proibizioniste», dice ancora Danna, ma il proibizionismo vieta l’uso di sostanze, mentre qui si tratta dell’uso delle persone. È un’arma retorica contro l’abolizionismo, termine che non a caso evoca le lotte dei movimenti abolizionisti che volevano eliminare la schiavitù.

Ma che senso ha impegnarsi nella difesa di una legge, peraltro in Italia molto maltrattata ed elusa, si chiede infine Silvia Niccolai. Non si tratta tanto di dire com’è bella questa legge, quanto di raccoglierne l’eredità, riconoscendo la validità del principio che non si può regolamentare la sfera privata. Per quanto abbia letto con dolore il libro di Rachel Moran Stupro a pagamento. La verità sulla prostituzione, Silvia capisce ma non condivide la scelta di punire il cliente, che in fondo non fa altro che «comprare una finzione». Piuttosto serve una riflessione, uno sguardo di donna sulla prostituzione, come cerca di fare Luciana Tavernini, ripercorrendo i rapporti fra femministe e prostitute dall’inizio del Novecento (quando Ersilia Majno fondò a Milano l’Asilo Mariuccia per adolescenti «traviate») ad oggi, interrogandosi sul senso del lavoro ed esplorando nuove possibili alleanze tra lavoratrici e lavoratori e prostitute «perché combattere contro la prostituzione non significa combattere contro queste ultime, ma, come con lo schiavismo, lottare per la dignità del lavoro dipendente e di chi lo fa».

A completare il libro, l’avvocata Grazia Villa mette a confronto i 22 progetti di riforma della legge Merlin depositati in Parlamento nelle ultime due legislature e nell’attuale, cogliendo gli elementi comuni a posizioni politiche che sembrano proporre concezioni differenti dei rapporti fra i sessi.

Restano tuttavia aperte molte questioni, a partire dal dilemma che veniva formulato da Bia Sarasini nella riproposta, nel 2012, del libro Sesso al lavoro di Roberta Tatafiore: perché aumenta la domanda di rapporti sessuali a pagamento in un’epoca in cui le donne non sono più inaccessibili fortezze da espugnare? Ovvero, che cosa cerca oggi chi vuole comprare sesso? E ancora: è giusto definire prostituta chiunque venda l’integrità del proprio corpo per denaro? È possibile tracciare un confine netto fra donne per bene e malefemmine? Problemi che coinvolgono soprattutto le nuove generazioni, frastornate dalla continua offerta dei corpi femminili in uno spazio pubblico e simbolico interamente permeato dal sesso commerciale.

E qui si coglie meglio il senso di quella domanda Why not? formulata da giovani che vendevano i loro corpi a pagamento, alimentando un immaginario, certamente distorto ma diffuso, per esempio in film come Giovane e bella di François Ozon, con la storia della doppia vita della diciassettenne Lèa che partendo da una sessualità vissuta con disagio, sceglie di prostituirsi non per necessità, né per denaro ma quasi per curiosità o forse per gioco.


 

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Ecco perché il «sex work» non esiste: 8 falsi miti sulla prostituzione


di Antonella Mariani (Avvenire, 8 maggio 2019)


Non è una scelta, non è libertà né autodeterminazione. E la Legge Merlin è ancora viva e vegeta. In un saggio quattro studiose spiegano perché la prostituzione si deve abolire. Come la schiavitù.

La prostituzione può essere considerata un lavoro? No, per nulla. Il sex work (come ora si usa dire per nascondere la realtà dei fatti, cioè la sopraffazione e l’abuso nascosti in un rapporto sessuale a pagamento) non è affatto un lavoro. E non è nemmeno sesso. Con passione e competenza quattro esperte in diversi campi analizzano il mercato del sesso in Italia, un Paese in cui una ottima legge (la Merlin del 1958), animata da una forte tensione etica, è ancora ben lungi dall’essere applicata fino in fondo: la lotta alla tratta non è una priorità e sulla prostituzione vige il laissez-faire, mentre si moltiplicano proposte di legge che mirano, sessant’anni dopo, alla riapertura delle case chiuse.

In “Sew work, né sesso né lavoro” (VandA, pagg. 208, euro 15,90) la sociologa Daniela Danna offre uno sguardo sulle politiche sulla prostituzione in vari Paesi del mondo. La giurista Silvia Niccolai ripercorre la vita travagliata della Legge Merlin, che oggi si vorrebbe ingiustamente smantellare, l’avvocata Grazia Villa commenta le tante proposte di legge avanzate in Italia e infine la pedagogista Luciana Tavernini ragiona sul rapporto tra gli uomini e la prostituzione, e tra quest’ultima e il femminismo, anche alla luce del movimento antimolestie #Metoo.

Nel complesso, un libro prezioso, che offre un contributo di documentazione e di riflessione per chi è convinto, come lo sono le autrici, che la linea giusta sia quella di abolire la prostituzione, così come in passato si è arrivati a cancellare la schiavitù. La presentazione del libro si terrà sabato 11 maggio alle 18 alla Libreria delle Donne di Milano, presenti Danna e Niccolai.

Servendoci dei contenuti di questo libro, largamente citati, abbiamo provato a sfatare alcuni tra i falsi miti più diffusi sulla prostituzione.

1) La prostituzione può essere una scelta, espressione della libertà sessuale e dell’autodeterminazione femminile. FALSO

Molte ex prostitute (le cosiddette sopravvissute, la più famosa delle quali è Rachel Moran che ha raccontato la sua esperienza in Stupro a pagamento) chiariscono come la prostituzione non è mai una libera scelta, nemmeno quando si tratta delle cosiddette escort. Nessuna donna può essere felice di essere umiliata e trattata come una merce. Chi si prostituisce di fatto rinuncia alla sua autodeterminazione sessuale, quindi alla sua libertà. Chi difende la (presunta) libertà della donna di prostituirsi in realtà difende la possibilità del cliente di approfittare del suo corpo. Quanto alla libertà di impresa economica, essa non ha diritto di essere riconosciuta come tale se genera profitti ingiusti, come pensava la senatrice Lina Merlin richiamandosi all’articolo 41 comma 2 della Costituzione (L’iniziativa economica privata (…) non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana). La prostituzione, anche se “libera”, rientra nel caso di un’economia immorale che alimenta i suoi profitti con lo sfruttamento puro e semplice del corpo delle donne. La prostituzione, in conclusione, è la negazione della libertà: è la dimostrazione che tutto – perfino la sfera sessuale – è misurabile con denaro, in un’ottica biecamente consumistica e capitalistica.

2) Si deve legalizzare la prostituzione: se le donne stanno al chiuso sono più protette. FALSO

Chi sostiene questo sta dalla parte degli sfruttatori e dei trafficanti di esseri umani che riforniscono i bordelli della merce-sesso. L’esperienza dimostra che oggi, in Germania come negli Stati Uniti, nei bordelli legali si trovano normalmente donne vittime di tratta, in gran parte straniere, soggette a violenze sessuali e in generale fisiche in misura ancora maggiore di coloro che esercitano “all’aperto”, dato che i clienti, poiché hanno pagato e si trovano in una situazione priva di rischi, si sentono legittimati a fare ciò che vogliono.

3) Con la legalizzazione almeno le prostitute pagherebbero le tasse e il Pil sarebbe più alto. CINICO

È quantomeno cinico considerare lo sfruttamento del corpo delle donne come una economia “sommersa” da far emergere, per partecipare anch’essa alla crescita del Pil. “Ce lo chiede l’Europa”, è la giustificazione che porterebbe, in nome del dio-Pil, ad abbatterebbe ogni confine alla mercificazione femminile.

4) Il lavoro sessuale (sex work) è un lavoro come gli altri. FALSO

Niente affatto, e lo dimostrano le testimonianze di chi è uscito dal “mercato”, che parlano di umiliazioni e soprusi continui. Ma è l’idea stessa di scambiare rapporti sessuali con denaro ad essere contraria alla dignità della donna e alla parità di genere. Nonostante la prostituzione sia regolamentata in diversi Paesi, la sessualità non è un bene commerciabile. Il termine “servizio sessuale” nasconde l’abuso; legalizzare il lavoro sessuale significa trasformare il corpo della donna in luogo di lavoro e legalizzare l’abuso sessuale. La differenza soggettiva con uno stupro è solo perché si è pattuito di non fare resistenza. Il “lavoratore del sesso” rinuncia alla propria sfera intima e mette sul mercato non solo la propria forza lavoro ma principalmente l’intimità sessuale, cosa che è strettamente tutelata in qualsiasi altro impiego. In ogni lavoro ogni sopraffazione, ogni abuso sono severamente perseguiti dalla legge, qui invece ne sono parte essenziale. Quindi, sex work non è lavoro. E non è nemmeno sesso.

5) Poter esercitare il sex work è un diritto umano. FALSO

Questo è il falso mito diffuso in particolare da alcune agenzie per i diritti umani (tra cui Human Right Watch, l’Oms, Unaids e Amnesty International), secondo il quale i sex workers sono un gruppo oppresso. In realtà il diritto che il modello del sex work difende è quello di chi compra, che vuole essere libero di offrire denaro per ottenere una prestazione sessuale. Chi la vende, invece, è solitamente in uno stato di bisogno. E le persone più deboli della società dovrebbero poter far valere ben altri diritti umani: al cibo, alla casa, alla sanità, al lavoro.

6) La prostituzione è una cosa, la tratta è un’altra. INGENUO

Chi sostiene questo finge di non sapere che per un cliente non c’è nessuna differenza tra “merce libera” e “merce trafficata”. Anzi, la maggior parte dei clienti cerca ragazze molto giovani, poco più che bambine. Come può credere che siano libere? In alcuni ambienti utraliberisti la finzione è così avanzata che si cancella la parola tratta per parlare di migrazione per il sex work. Al contrario la posizione abolizionista, condivisa da una parte importante e qualificata del mondo femminista, “considera la tratta non il caso particolare di ciò che di malvagio accade nella prostituzione, ma che l’acquisto dell’accondiscendenza al proprio sfogo sessuale diretto sul corpo altrui – quasi sempre femminile – è violento e inumano di per sé” (Daniela Danna).

7) Non ci sono solo donne nel mercato del sesso. IRRILEVANTE

No, ma sono la maggioranza. La narrazione di persone transessuali e ragazzi gay che rivendicano di scegliere la prostituzione non può oscurare le voci, sempre più numerose, di ex prostitute (le sopravvissute) che denunciano il falso mito della libertà di prostituirsi.

8) La Legge Merlin ha fatto il suo tempo. Bisogna prendere atto che è superata. FALSO

La Legge Merlin stabiliva un principio tuttora valido: il corpo di una donna non può essere oggetto di regolamentazione pubblica, perché questo offende l’eguaglianza e la libertà di ciascuna e mette a repentaglio le coordinate di una convivenza civile. Non considera affatto l’attività della prostituta lecita o libera, ma vuole tutelare la donna che si prostituisce come una cittadina, e rivolgere il suo giudizio d’immoralità non alle prostitute ma al mercato che le sfrutta. La Legge Merlin non è superata, bensì attualissima: persegue la libertà dalla prostituzione, cioè dal non essere considerati una merce in vendita.


 

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Siracusa. Dizionario sentimentale di una città


(Luoghi d’autore, 17 aprile 2019)


Certo un omaggio alla città, ma soprattutto un grande dono ai suoi visitatori, che in qualche ora, i più fortunati in qualche giorno, desiderano cogliere l’anima del luogo. Nel volume Siracusa. Dizionario sentimentale di una città, di Giuseppina Norcia, troviamo espresse in parole emozioni, sensazioni, suggestioni che proviamo andando per le vie di Ortigia;  i vicoli e le stradine che si incrociano, stupiscono il viaggiatore, riportando alla sua memoria luoghi già visti e vissuti: i palazzi e i cortili ricordano il Casco Antiguo di Palma de Mallorca, i muri scrostati e le case abbandonate l’esotica Stone Town di Zanzibar. In questo viaggio nel tempo, sovrapponendo luoghi e cercando i tanti segni del passato, ti accorgi poi anche  che Ortigia rivendica semplicemente e fortemente la sua identità.

Scrive Maria Grazia Ciani nella nota sentimentale, fra le pagine introduttive al volume: « non guida, quanto piuttosto “lettura” di una città, descrizione e memoria storica, rivelazione dell’antico come moderna epifania. Un andirivieni tra il passato che ammicca da ogni angolo e il presente che convive con il ricordo del passato […]»

Racconta Guseppina Norcia nel suo prologo: «Ho dovuto guardarla da lontano per vederla intera […] Poi l’ho abitata ancora. E ho lasciato che mi abitasse. Ne ho cercato l’anima che si rivela senza dissimularsi in maschera, che non lascia la sua luce scivolare via nei sotterranei imprendibili».

Un volume davvero prezioso il Dizionario di Giuseppina Norcia che ho trovato in una storica libreria di Siracusa, nella Casa del libro di Rosario Mascali.  Nota come Libreria Mascali, nel passato fu importante luogo di incontro e di passaggio di vari scrittori fra cui Salvatore Quasimodo, Elio Vittorini, Vitaliano Brancati, Leonardo Sciascia, per citare solo alcuni fra i prestigiosi visitatori.


 

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Presentazione “Né sesso né lavoro”

 Né sesso né lavoro vuole fornire, un contributo indispensabile al dibattito su prostituzione/sex work in Italia. Un testo importante per chi vuole capire qualcosa in più sulla prostituzione e sfilare la testa dalla sabbia dei luoghi comuni, andare oltre slogan sempre più diffusi che, volendo sdoganare la questione, negano gravi problemi sociali e mentono spudoratamente. Il sex work non è un lavoro come un altro, il concetto stesso di sex work stravolge il senso sia del sesso sia del lavoro. Forti di competenze specifiche, le quattro autrici mostrano i differenti aspetti del fenomeno in un’analisi calata nella peculiare realtà dell’abolizionismo tradito nel nostro paese, dove la lotta alla tratta non è una priorità e dove sulla prostituzione vige il laissez faire. Dall’esame dei modelli di politiche internazionali all’analisi della Legge Merlin (male interpretata) e delle numerose proposte parlamentari di modifica della legge, all’appassionata riflessione sulla portata della prostituzione negli attuali rapporti umani.

Le autrici
Daniela Danna è sociologa all’Università del Salento e si occupa di questioni di genere, analisi dei sistemi-mondo, rapporto società-ambiente, decrescita.

Silvia Niccolai è ordinaria di diritto costituzionale all’Università di Cagliari.

Luciana Tavernini ha partecipato dagli anni Ottanta all’Associazione Melusine, alla Pedagogia della differenza e poi alla Comunità di pratica e riflessione pedagogica e ricerca storica, ora Comunità di storia vivente. Ha insegnato nelle scuole medie, nei corsi 150 ore e italiano a donne straniere.

Grazia Villa è dal 1985 avvocata per i diritti delle persone (donne, lavoro, minori, famiglia, vita indipendente, immigrazione, cittadinanza, libertà). Con le donne ha promosso molte cause pilota in materia di riconoscimento di diritti nei luoghi di lavoro, costituzione di parte civile nei processi di stupro e violenza sessuale, denunce relative a molestie e stalking, tra queste la prima condanna per reato di schiavitù nel 2000.


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Daniela Danna a Pescara


Pescara, 18 maggio 2019


– Daniela Danna presenta Dalla parte della natura

 

In un dialogo “a tu per tu” con l’umanità, la Natura, in una sorta di personalizzazione letteraria, “ci parla”, affrontando tematiche nevralgiche della nostra odierna civiltà: equilibrio ambientale, disuguaglianza sociale, predominio delle multinazionali, visione libera della sessualità. Con un approccio ecofemminista, questo breve ma fulminante pamphlet attacca il sistema capitalista e patriarcale caratterizzato dalla supremazia maschile, dove donne, animali e ambiente appartengono a categorie analoghe, considerate come proprietà e beni da dominare e sfruttare. E anche se noi esseri umani siamo parte della Natura, questo mondo ha tracciato un solco cosi profondo tra noi e lei, da renderla non solo estranea, ma addirittura ostile nemica. Queste semplici pagine sono un invito a conoscerla meglio, allo scopo di rispettarla. E in questo processo, cambiare noi, smettendo di modificare lei.

 

Daniela Danna è sociologa e si occupa di questioni di genere, analisi dei sistemi-mondo, rapporto società-ambiente, decrescita. Le sue ultime pubblicazioni sono Fare un figlio per altri è giusto… (Falso)! (Laterza, 2017), Maternità. Surrogata? (Asterios, 2017), La Piccola Principe (VandA ePublishing 2018), Il peso dei numeri: Teorie e dinamiche della popolazione (Asterios, 2017). Vi aspetta sul sito Web  www.danieladanna.it.


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Il mito di Pretty Woman: l’inganno liberista della prostituta felice


di Antonella Mariani (Avvenire, 16 aprile 2019)


– «È sempre sfruttamento e abuso, anche quando è legale. Un’abile mistificazione alle spalle delle donne più fragili». Parla la giornalista Julie Bindel, autrice di una inchiesta internazionale

Ha visitato i bordelli legali in Australia, Germania, Nevada, Olanda; ha intervistato in tutto il mondo decine di sopravvissute alla prostituzione, proprietari di case di appuntamenti e di agenzie di escort, uomini di governo e compratori di sesso, attivisti per la legalizzazione del «lavoro sessuale» e femministe che al contrario lottano per la sua abolizione. La giornalista britannica Julie Bindel ha compiuto la più vasta ricerca mondiale mai effettuata sulla prostituzione, indagando sui meccanismi che regolano il business e sulle condizione delle donne che vi sono coinvolte. I risultati dell’indagine che le è costata due anni di lavoro e decine di viaggi in tutti i continenti sono condensati in Il mito Pretty Woman (VandA-Morellini, pagine 318, euro 17,90). Un titolo curioso, che già rivela le conclusioni dell’autrice: la lobby dell’industria del sesso anno dopo anno ha «spacciato» l’immagine falsa della «prostituta felice» – a cui peraltro ha dato una grande mano il celebre film interpretato dal Julia Roberts e Richard Gere –, celando la pura e semplice verità per ragioni di bottega: la prostituzione è sempre abuso e sopraffazione, mai libera scelta, e chi afferma – parte del femminismo compreso – che il «sex work» è un lavoro come gli altri e come tale va garantito, commette una crudele mistificazione alle spalle delle donne più fragili e marginali.

Julie Bindel, perché oggi si parla tanto di ‘sex workers’ come se si trattasse di normalissimi lavoratori e lavoratrici?

Grazie all’appoggio di enti come Human Rights Watch, Organizzazione mondiale della salute, Unaids e Amnesty International, il movimento per i diritti dei ‘sex workers’ può presentarsi al mondo come fondato sulla liberazione di un gruppo oppresso. Uno degli argomenti più ridicoli usati da questi cosiddetti gruppi per i diritti umani, è che grazie alla depenalizzazione della prostituzione diminuirà la violenza della polizia e degli sfruttatori contro le donne prostituite. Un altro argomento è che i nuovi casi di Hiv si ridurranno in modo significativo perché i protettori avranno l’obbligo di far usare i preservativi. Ma come ho visto visitando i bordelli legali in Nevada, Germania, Olanda e Australia, è impossibile applicare una ‘regola del preservativo’. In Nevada, ad esempio, alle donne è richiesto di sottoporsi ogni settimana a esami del sangue per assicurare ai protettori che sono sane, dato che molti uomini vogliono acquistare sesso senza protezione. La verità è che il neoliberismo ha innalzato il libero mercato del sesso al di sopra dei diritti umani, in particolare di quelli femminili. Un approccio corretto dovrebbe invece tutelare i diritti delle donne e degli uomini vittime del commercio sessuale. Questo è ciò che accade in Paesi come la Svezia, la Francia e la Repubblica d’Irlanda, che hanno adottato il modello abolizionista, in cui vengono criminalizzati coloro che creano la domanda, cioè i clienti.

Perché l’approccio abolizionista ha molto meno seguito rispetto a quello che reclama la libertà di prostituirsi?

Perché esiste la convinzione che ci saranno sempre uomini che pagano per il sesso e donne che lo vendono. La prostituzione, insomma, appare ‘necessaria’ e in qualche modo un ‘diritto’ del consumatore. I liberali sostengono inoltre che la depenalizzazione di tutte le modalità della prostituzione, compresi i bordelli, renda più sicure le donne e più facile sradicare gli abusi e lo sfruttamento. In quest’ottica i ‘sex workers’ possono essere protetti dai sindacati e da provvedimenti di sicurezza e sanità. Negli ultimi anni, questi argomenti purtroppo si sono fatti strada. Nel 2000 l’Olanda ha formalizzato ciò che era già culturalmente accettato, revocando il divieto ai bordelli e liberalizzando il commercio sessuale. Tre anni dopo, il governo neozelandese ha approvato, con un solo voto, la legge che ha completamente depenalizzato la prostituzione di strada e le case chiuse.

Cosa sostengono invece gli abolizionisti, categoria alla quale lei appartiene?

Gli abolizionisti respingono la descrizione provocatoria di ‘sex work’ e riconoscono che la prostituzione è violenza in un mondo neoliberale in cui la carne umana è diventata una merce, e sfruttamento unilaterale che affonda le radici nel potere maschile. Ritengono che la strada giusta sia aiutare le donne a uscire dal commercio sessuale e criminalizzare la domanda.

Anche il femminismo è diviso sulla posizione da tenere. Perché?

Il problema è che il termine ‘lavoratore del sesso’, coniato negli anni ’80 e oggi sempre più utilizzato dalla polizia, dagli operatori sanitari e dai media, comprende chiunque: pornografi, spogliarellisti e magnaccia, così come coloro che vendono sesso. Negli ultimi dieci anni o più, la discussione sulla prostituzione è stata dominata dai criminali e dagli sfruttatori che gestiscono il commercio sessuale, mascherati da benevoli imprenditori e protettori. Le femministe liberali di tutto il mondo sono state ingannate da una lobby industriale potente e ben finanziata, che impone la sua narrazione, occulta la violenza subita dalle donne e riduce la prostituzione a un lavoro come un altro allo scopo di decriminalizzare l’industria del sesso.

Come si possono contrastare, dunque, le lobby del sesso a pagamento e ridare voce alle vittime?

Fortunatamente un numero crescente di Paesi sta considerando il modello abolizionista. Le organizzazioni femministe guidate da sopravvissute al commercio sessuale, come Space International, affermano la verità dei fatti, al contrario degli sfruttatori e dei propagandisti: la prostituzione è violazione dei diritti umani. L’ascesa del movimento abolizionista farà sì che siano ascoltati e creduti coloro che hanno fatto parte del commercio sessuale e ne sono usciti, piuttosto che coloro che traggono profitto o comunque beneficiano della vendita di carne femminile.

Nel suo libro l’universo maschile rimane sottotraccia. Non pensa che a un certo punto diventerà indispensabile cercare l’alleanza con gli uomini per combattere la prostituzione?

Sì, gli uomini devono esprimersi contro il commercio sessuale e riconoscere che è una causa e una conseguenza dell’oppressione delle donne.


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La storia di Aisha e di molte altre donne arabe raccontata da Michela Fontana


di Luciana Grillo (TM, aprile 2019)


[Nonostante il velo. Donne dell’Arabia Saudita è un] libro serio e documentato – anche ai nostri [occhi], si è aperto un mondo ricco e arcaico, dove la divisione tra uomini e donne e rigorosa. Ha avuto (e cercato) la possibilità di parlare con tante donne, per esempio con Aisha che nel 1990 aveva guidato l’automobile nelle strade di Riad, insieme ad altre li quarantasette donne…arrestate e imprigionate per una notte, interrogate e rilasciate dopo che i mariti (o i parenti prossimi di sesso maschile) sono stati convocati per riaccompagnarle a casa. Aisha è un’interlocutrice importante per Fontana, le descrive il comportamento dei giudici che rifiutano quasi sempre di ammettere all’udienza una donna che non indossi il velo totale o le impongono di parlare sottovoce, perchè la voce femminile e considerata un pericoloso strumento di seduzione. Michela Fontana ha parlato con trasporto di questa esperienza, ha affascinato il foltissimo pubblico presente, che si e accontentato di stare in piedi o di sedersi sui gradini, pur di non perdere una parola…


 

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Davvero si può essere prostitute per scelta?


di Laura Badaracchi (Donna Moderna, 10 aprile 2019) – foto di Lindsay Irene


– «La prostituzione è sempre abuso a pagamento, mai un lavoro. È un modo per dare un’apparenza rispettabile al commercio sessuale: nei paesi in cui il fenomeno è regolamentato i “papponi” sono diventati manager e le donne “sexworker”».

INCHIESTA – DAVVERO SI PUÒ ESSERE PROSTITUTE PER SCELTA?

Negli ultimi 6 mesi gli annunci delle sex worker sono aumentati del 24%. Un trend, in crescita già da anni, che ha spostato l’offerta di sesso dalla strada al web. Ma capire se dietro a questo business ci siano escort “libere” o sfruttate è difficile. Come denunciano le associazioni e un’attivista che ha indagato sul mercato delle Pretty Woman

IL PROGETTO FOTOGRAFICO

Le immagini di questo servizio fanno parte del progetto della fotografa canadese Lindsay Irene, intitolato “The sex workers”. «Volevo cambiare la percezione con cui le persone vedano le prostitute» dice Lindsay. «Ho viaggiato un anno per il Canada e ho fotografato diverse lavoratrici del sesso nella loro quotidianità. Molte di loro vivono nello stigma sociale, hanno perso figli e famiglie. Le mostro per quello che sono: persone come noi».

Secondo un’indagine EscortAdvisor.com (uno dei portali di recensioni di escort più frequentati), negli ultimi 6 mesi gli annunci di incontri sessuali pubblicati sul web sono aumentati del 24%. La ricerca rileva anche che in 10 anni il numero di donne che praticano il sesso a pagamento sulle strade è drasticamente calato: nel 2009 la percentuale di prostitute che esercitava all’aperto era l’8o% del totale, si è passati al 40% nel 2019. Le sex worker sembrano dunque aver scoperto il web e luoghi di lavoro più casalinghi (il Codacons ne segnala circa 18.000). Per Mike Marra, fondatore del sito EscortAdvisor.com che richiede alle iscritte i documenti per verificarne l’identità, «lavorare attraverso la Rete offre minori spazi per la criminalità e maggiore sicurezza». Un’affermazione, però, che non convince. Soprattutto chi da anni si occupa di proteggere le schiave del sesso.

«È difficile capire se dietro l’annuncio di una escort ci sia uno sfruttatore». Tiziana Bianchini è responsabile dell’Area “immigrazione e tratta degli esseri umani” presso la cooperativa Lotta contro l’emarginazione, che dal 2017 collabora a una mappatura nazionale della prostituzione di strada insieme al Cnca (Coordinamento nazionale comunità di accoglienza), alla Piattaforma nazionale Antitratta e al Numero verde antitratta 800290290. Oltre 60 unità di strada in tutta Italia, nello stesso giorno, monitorano sul campo le presenze di persone che si prostituiscono. «Secondo l’ultima indagine del novembre 2018, in seguito al calo degli sbarchi di migranti le nigeriane sono diminuite al 31% e aumentano le donne dell’Est, in particolare romene e albanesi» spiega Bianchini. «Quindi non possiamo parlare di calo complessivo, ma di una riduzione motivata dalle scelte politiche». E riguardo alla prostituzione in casa, che sarebbe più “sicura” e tutelata rispetto a quella in strada, Bianchini è categorica: «Per le donne si riducono ancora di più ai minimi termini le possibilità di contatti sociali esterni e quindi di chiedere aiuto. Abbiamo provato a valutare gli annunci di sesso online, scoprendo in alcuni casi che a diversi numeri di telefono corrisponde sempre la stessa persona. Difficilissimo capire se dietro la escort ci sia uno sfruttatore».

«È un’illusione tentare di regolamentare al chiuso il fenomeno per ridurre quello della strada». Lo scenario descritto dai dati e da Tiziana Bianchini fa da sfondo al dibattito che si è riaperto nel nostro Paese sulle case chiuse, dopo che il mese scorso la Corte costituzionale ha riaffermato la legittimità della legge firmata nel 1958 da Lina Merlin. Questione sollevata dalla Corte d’appello di Bari, secondo la quale la prostituzione sarebbe “un’espressione della libertà sessuale tutelata dalla Costituzione”, e quindi punire intermediatori e clienti equivarrebbe a compromettere l’esercizio di questo diritto, oltre a privare della libertà di iniziativa economica la prostituta. «La senatrice Merlin aveva escluso di considerare la vendita di prestazioni sessuali come un lavoro, e aveva rubricato come crimine ogni attività volta a favorire e sfruttare questo commercio» fa nota-re l’avvocato Grazia Villa, fra le autrici del volume Né sesso né lavoro. Politiche sulla prostituzione (VandA.ePublishing). «Nelle ultime 2 legislature sono stati presentati 22 progetti di legge in materia: in alcuni si chiede la depenalizzazione, in altri vengono ipotizzate norme e sanzioni per i clienti. Ma è un’illusione tentare di regolamentare al chiuso il fenomeno per ridurlo sulle strade: lo dicono i fatti in Germania e Olanda, dove la normativa ha scatenato un boom esponenziale della domanda ma meno di un quarto delle donne che si vendono legalmente è iscritta al sindacato e gode di tutele».

«Non c’è “glamour” per le ragazze che offrono sesso, solo danno». A demolire l’idea della liberalizzazione delle sex workers contribuisce anche l’inchiesta condotta in 40 Paesi dalla giornalista Julie Bindel, autrice del libro Il mito Pretty Woman. Come la lobby dell’industria del sesso ci spaccia la prostituzione (Morellini editore). Secondo Bindel, una donna non può mai dirsi libera di svendere il proprio corpo: «Si tratta sempre di abuso a pagamento, mai di lavoro. Considero la prostituzione un modo per dare un’apparenza rispettabile al commercio sessuale: nei Paesi in cui il fenomeno è regolamentato i “papponi” sono diventati manager e le donne “sexworker”. I bordelli legali presenti in Germania, Olanda e Australia arricchiscono lobby potenti e moltiplicano i compratori di sesso». Invece in Paesi come Svezia, Norvegia, Canada, Corea del Sud, Irlanda e Francia «la legge criminalizza la domanda di sesso commerciale ma non chi vende sesso, per frenare la richiesta. Nel 2014 il Parlamento europeo e il Consiglio d’Europa hanno approvato le raccomandazioni per implementare questo modello come il modo migliore per affrontare la prostituzione». Secondo Bindel la lotta per l’abolizione di questo mercato è parte di un movimento più ampio contro la violenza di genere: «Non c’è “glamour” per le donne che offrono sesso, solo danno. Tutte le prostituite sopravvissute che ho incontrato sono state vittimizzate da trafficanti, sfruttatori, compratori. Nessuno dovrebbe essere pagato per dare accesso al proprio corpo».

I NUMERI

3,6 miliardi Il giro d’affari annuo della prostituzione in Italia.

90.000 Le prostitute donne, uomini o transessuali, in crescita del 28% nel periodo 2007-2014.

3 milioni I clienti delle sex worker in Italia.

Fonte: Codacons


 

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La materia sapiente del relativo plurale – Bologna

Autocoscienza 4.0

A Bologna finalmente la possibilità di creare un gruppo di autocoscienza

Armonie via E. Levante 138, Bologna

Sabato 13 aprile h 16

Presentazione del libro La materia sapiente del relativo plurale di e con Daniela Pellegrini

“La vita è Felicità da reciproci plurimi contatti.” Con queste parole Daniela Pellegrini conclude il suo ultimo libro, ma per arrivare a questa sintesi del rapporto con la vita che coinvolge tutte noi sono state necessarie 120 pagine di riflessione appassionata e puntuale, che si nutre di una vita intera passata nel movimento delle donne, dentro, a lato, da un punto di osservazione o di coinvolgimento intenso, di confronto o di scontro con le altre donne. Un percorso di filosofia femminista che si chiude riaprendosi come una spirale, rilanciando e offrendo a tutte la possibilità di espandersi e arricchire il disegno. Protagonista è sempre la materia, la realtà e la corporeità, interrogata da un pensiero di donna autentico e onesto, di profonda consapevolezza e limpida visione.

Domenica 14 aprile h 10-16
Autocoscienza 4.0: esperienziale in presenza

Da sempre sostenitrice della necessità dell’autocoscienza come strumento per uscire dalla gabbia patriarcale interiorizzata, Daniela Pellegrini continua a proporla come uno dei pochi metodi di liberazione autentica delle donne, in grado di avvicinarle a quella liberazione di cui non si parla più tanto, se non con le parole dell’incensamento di un’epoca di femminismo diffuso. Ma rimane il fatto che quella liberazione si è interrotta precocemente e che l’autocoscienza che tanto aveva contribuito a dare il via al movimento delle donne negli anni ’60, è stata abbandonata. La proposta è quella di riattivarla e di esplorarne le potenzialità in un epoca di grande confusione e smarrimento, e indagare, dopo quarant’anni di femminismo, quanto sia ancora problematico e irrisolto il rapporto con il maschile anche e soprattutto per le donne che si considerano emancipate, ma che scoprono di non aver mutato di molto i paradigmi relazionali che le imprigionano nel patriarcato. Lungi dall’essere morto, il sistema di dominio maschile ha elaborato trappole ancor più raffinate per avvalersi del nostro sostegno. Insieme a Daniela Pellegrini cercheremo ancora una volta di ritrovare quel parlarsi in presenza tra donne che potrebbe ancora offrire percorsi di consapevolezza e di liberazione.

Daniela Pellegrini Fondatrice a Milano nel 1965 del primo gruppo italiano di donne: Dacapo (Donne contro autoritarismo patriarcale o anche Donne a Capo) in seguito modificato in Demau (Demistificazione Autoritarismo Patriarcale). Nata a Belluno nel 1937, vive a Milano dove, insieme a Nadia Riva è stata animatrice del Circolo Culturale e Politico delle Donne, Cicip & Ciciap, da loro fondato nel 1981. Con Nadia Riva ha voluto, gestito e finanziato la rivista Fluttuaria, segni di autonomia nell’esperienza delle donne, di cui sono stati pubblicati diciassette numeri tra il 1987 e il 1994 e su cui appaiono molti suoi scritti. I suoi libri sono: Una donna di troppo. Storia di una vita politica ‘singolare’, Franco Angeli Editore, Liberiamoci della bestia, ovvero di una cultura del cazzo, edito in proprio, e La materia sapiente del relativo plurale, Vandaepublishing. Ripropone ora e agisce personalmente, anche in un gruppo che si incontra alla Casa delle Donne di Milano, la pratica dell’Autocoscienza e perora il Separatismo come azione fondante e creativa della Politica delle Donne e della sua vera autonomia dal patriarcato.

È richiesta iscrizione e un contributo libero per la sala e l’organizzazione.
Per informazioni e conferma presenza: Luisa 3408386192 – matriarcato@gmail.com