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Le difensore dei diritti delle donne incarcerate da due anni – Michela Fontana

Michela Fontana

28 maggio 2020

Sono passati poco più di due anni da quando, il 15 maggio 2018, tredici attiviste saudite sono state incarcerate per le loro pacifiche lotte per il diritto alla guida dell’automobile (concesso dal re alle donne nel giugno successivo) e per la modifica della norma sul guardiano, che in Arabia Saudita ha potere assoluto sulla donna di cui è tutore.  Cinque di loro sono ancora in carcere , mentre otto sono state liberate, pur rimanendo tutte  in attesa di processo. Alcune di loro sono state torturate e sottoposte ad abusi. Lo ricorda un comunicato di Amnesty International  del 15 maggio scorso, dove l’organizzazione per i diritti umani chiede la scarcerazione delle attiviste e degli altri attivisti  che sono stati imprigionati nello stesso periodo. 

Durante la mia permanenza in Arabia Saudita, dal 2010 al 2013 ho  incontrato e intervistato tre delle attiviste incarcerate,  Eman al- Nafjan,  Aziza al- Yousef, Hatoon al-Fassi. Racconto le loro storie insieme a quelle di molte altre donne di diverse  estrazioni sociali ed esperienze di vita, nel mio libro Nonostante il velo ( VandA epubishing-Morellini ), premio Femminile Plurale di Allumiere 2018, attualmente in libreria nella versione riveduta.

Le loro testimonianze appassionate, a volte sconvolgenti,  fanno luce dall’interno su una società come quella saudita che considera le donne proprietà degli uomini e le priva di molti diritti elementari. Eman al-Nafjan è stata mia amica, preziosa  testimone  e compagna di viaggio  durante la nostra spedizione nella parte più conservatrice del paese dove anch’io dovevo girare con il viso interamente coperto. Poco dopo la mia partenza nel 2013, due delle donne che ho intervistato Roua e Omaima, sono fuggite dal paese, la prima ha trovato asilo politico in Canada la seconda in Italia,  che ha lasciato da poco per l’Irlanda.

Anche se a partire  dal 2018, l’erede al trono Muhammed Bin Salman, ha alleggerito alcuni divieti sociali, limitando tra l’altro  il potere della polizia religiosa  e ha concesso alle donne alcune libertà prima impensabili, come la possibilità di andare allo stadio con la famiglia e di viaggiare  senza il permesso del guardiano, l’Arabia Saudita rimane uno stato di polizia dove gli attivisti rischiano l’incarcerazione a vita o  la stessa vita, come il giornalista Jamal Khashoggi, barbaramente assassinato nel consolato saudita a Istanbul nel 2018. La strada per una vera emancipazione delle donne è ancora lunga e difficile.

Acquistate “Nonostante il velo. Donne dell’Arabia Saudita” di Michela Fontana qui.
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Giornata Internazionale delle Donne: -25% su tutto il catalogo VanderWomen

VandA Edizioni festeggia alla grande la Giornata Internazionale delle Donne dell’8 marzo promuovendo tutto il catalogo VanderWomen al 25% di sconto!

Istituita per ricordare le conquiste sociali, economiche e politiche, le discriminazioni e le violenze di cui le donne sono state e sono ancora oggetto in quasi tutte le parti del mondo, questa Giornata Internazionale invita a riflettere e a lottare per conquistare una giusta parità di genere.

In questo senso, la nostra collana VanderWomen vuole consolidare la conoscenza e l’informazione sull’“altrove” politico e culturale della società femminile (matriarcato, ecofemminismo, antispecismo ecc.).

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Femminismi radicali ed utopistici


(L’Adige, 20 gennaio 2019)


– In un libro di Deborah Ardilli i manifesti teorici degli anni Settanta

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di Alessandra Bocci (La Gazzetta dello Sport, 16 gennaio 2019)


– «Giusto portare la Supercoppa qui? Non bisogna essere ipocriti, con questi paesi si fanno affari in continuazione».

La testimonianza

«Il Principe lo ha capito, ha dato il via ai cambiamenti»

La giornalista e saggista: «Ora qualcosa si muove per le donne. E lo sport nelle scuole è importante: combatte obesità e diabete»

Se vuoi finire, comincia. Difficilmente l’Arabia arriverà ad avere una società aperta, perché ha una cultura e una storia profondamente diversa da quella dei paesi occidentali, però le concessioni di Mohammed bin Salman sono un inizio e hanno permesso di accelerare un processo che probabilmente era in atto in parte della società. Michela Fontana, matematica, giornalista, saggista, ha scritto fra l’altro «Nonostante il velo», che raccoglie tante voci e contraddizioni, come racconta, che ha vissuto un po’ ovunque, a Riad dal 2010 al 2012.

«È quando ci sono tornata un anno dopo si respirava già un po’ il clima delle riforme. Bisogna sempre mettere le cose in un contesto: queste sono riforme concesse dall’alto, chi si mette a protestare può finire in carcere o andarsene, come Rahaf, scappata chiedendo aiuto su Twitter e ha avuto asilo politico in Canada. Queste riforme non danno libertà di espressione, ma concedono alle saudite la libertà di fare cose che prima non potevano immaginare».

Com’era abitare in Arabia Saudita qualche anno fa?
«Anche le donne straniere dovevano coprirsi e non potevano guidare, per esempio. Una volta ti portavano la “abaya” da indossare direttamente all’aeroporto. Ora la patente è un vantaggio per le ragazze alle quali è stato concesso di lavorare. È vero che se una fa la commessa difficilmente ha i soldi per l’auto, ma non bisogna negare che ci siano stati dei passi avanti».

Dicono che Gedda sia più aperta di Riad.
«Storicamente è così. Era una città di pellegrini, c’era più mescolanza di culture. I Saud l’hanno inglobata nel loro regno negli anni Trenta, Gedda rispetto a Riad ha radici diverse. A Gedda vedevi le ragazze con le amiche nei bar, alcuni bar, già prima delle riforme. È innegabile che qualcosa si stia muovendo, anche perché questa nuova classe dirigente ha capito che una nazione non può restare legata a un modello medievale. L’Arabia Saudita è tornata indietro per vari fattori negli anni Ottanta, quando la chiusura è stata assoluta. Ma la società bene o male va avanti e ho l’impressione che questo principe ereditario un po’ capisca che deve riformare, un po’ rincorra i cambiamenti.  I sauditi, anche la famiglie molto conservatrici, sono fieri di mandare la figli a studiare all’estero, eppure restano conservatori. Lo sono anche le donne, che spesso sono le prime a non condividere i nostri modelli occidentali. Sono abituate a essere protette, tenute in casa per fare figli. Ora molte vogliono studiare e lavorare, si sposano tardi, fanno meno figli. Queste riforme le lasciano in una condizione di segregazione, ma stanno cambiando la qualità della loro vita e lo sport ha funzione importante: non solo poter andare allo stadio da sole, ma anche praticare sport liberamente. L’introduzione dello sport nelle scuole è stato importante per combattere problemi come obesità e diabete».

Come fanno quelle che studiano all’estero a calarsi nella loro realtà quando tornano a casa?
«Anche molte saudite sono conservatrici. Anche qualche anno fa era permesso loro di andare all’estero a studiare con delle borse di studio istituite dal sovrano precedente, ma con un fratello, un parente, un guardiano: non vivevano veramente all’occidentale. Ecco, quando Mohammed bin Salman avrà il coraggio di affrontare il problema del guardiano avverrà la vera rivoluzione, ma è complicato».

Ha fatto bene la Lega calcio a portare la partita a Gadda?
«Non bisogna essere ipocriti. Con questi paesi illiberali si fanno affari in continuazione, penso alla Cina o alle commesse delle imprese italiane per la metropolitana di Riad. L’Arabia è particolarmente arretrata sul piano delle libertà civili, ma è difficile isolare un paese. E nessuno ha mai veramente isolato l’Arabia Saudita».

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Intervista a Deborah Ardilli


di Benedetta Sangirardi (F Magazine, 28 dicembre 2018)


– Sessismo: che cos’è? È la domanda che ha fatto più tendenza su Google nel 2018. Qualcosa sta cambiando?

Intervista a Deborah Ardilli
Ricercatrice indipendente. Il suo ultimo libro è Manifesti femministi (Morellini Editore con VandAePublishing).

Il movimento delle donne è ripartito. Ma i nostri diritti vanno difesi

Che cos’è per lei il sessismo?
«Un termine equivoco. Se ne parla per indicare discriminazioni nate dal pregiudizio ai danni delle donne. Ma attenzione: la disuguaglianza di genere non è solo una questione di mentalità. Non basta fare piazza pulita dei pregiudizi per veder rimosse anche le discriminazioni. Chi lo crede, temo abbia un approccio idealista e poco attento alla realtà».

Ci fa un esempio?
«Nel mondo 76 donne su 100 devono prendersi cura di genitori e figli, spesso da sole e naturalmente gratis. Possiamo pensare basti ribaltare qualche pregiudizio perché queste donne abbiano accesso a un mercato del lavoro retribuito e facciano carriera quanto i colleghi maschi?».

Nel 2018 si è parlato molto di sessismo. È cambiato qualcosa?
«Non so se l’opinione pubblica si sia davvero svegliata dal torpore: difficilmente le femministe accedono ai grandi mezzi di comunicazione. Al contrario, si è moltiplicata in tv la platea degli esperti di questioni di genere che non hanno competenze».

Però il movimento delle donne, oggi, è più attivo che mai.
«È vero, da almeno due anni viviamo una sua fase di ripresa su scala globale, trainata dalle mobilitazioni in America Latina e dal MeToo. Ma ci sono anche tante regressioni. Non è un caso che siamo costrette a difendere ciò che abbiamo conquistato, come il diritto all’aborto che qualcuno periodicamente mette in discussione».


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Intervista a Michela Fontana


RSI (lunedì 10 dicembre 2018)


– Donne in Arabia Saudita.

Uno dei Paesi dove le donne sono in maggiore difficoltà è l’Arabia Saudita. La scrittrice Michela Fontana ha presentato uno spaccato della realtà quotidiana e della situazione attuale completo ed esauriente.
Grazie ai due anni passati a Riad, Michela Fontana ha potuto conoscere bene la realtà saudita, soprattutto quella femminile. Nel suo libro-inchiesta “Nonostante il velo. Donne dell’Arabia Saudita“, attraverso lo sguardo delle donne, l’autrice racconta i paradossi e le ambiguità del paese che ha ispirato alcuni dei più pericolosi movimenti fondamentalisti, fornendo una chiave di lettura per interpretare un mondo islamico che fatichiamo a comprendere, semplicemente perché non lo conosciamo.
Michela Fontana è stata la vincitrice, nel novembre 2018, della prima edizione del Premio Letterario Allumiere.
L’autrice è stata intervistata il 10 dicembre dalla Radio Svizzera Italiana nella trasmissione Alba Chiara.

Qui potete trovare l’intervista.


 

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Premessa di Resistenza Femminista a “Il mito Pretty Woman” di Julie Bindel


Resistenza Femminista, 26 novembre 2018


Ieri 25 novembre, giornata internazionale per l’eliminazione della violenza maschile sulle donne, tutte noi donne e sopravvissute abbiamo mostrato la nostra forza al mondo prendendo parola contro chi ci vuole vittime passive e mute di fronte ad un patriarcato sempre più pervasivo e violento.

Ieri 25 novembre, giornata internazionale per l’eliminazione della violenza maschile sulle donne, tutte noi donne e sopravvissute abbiamo mostrato la nostra forza al mondo prendendo parola contro chi ci vuole vittime passive e mute di fronte ad un patriarcato sempre più pervasivo e violento. Resistenza Femminista e SPACE international hanno organizzato incontri in diverse città italiane: Milano, Bologna, Roma per dire ancora una volta che la prostituzione è violenza maschile e che non accettiamo che questa violenza sia normalizzata, sanitarizzata come “lavoro” o  raccontata come esperienza ‘glamour’ di “liberazione sessuale”. Mentre il 20 novembre a Roma Rachel Moran e Fiona Broadfoot raccontavano la loro esperienza nell’industria del sesso e il loro attivismo a sostegno del modello nordico, il 25 novembre a Parigi la stessa Rachel insieme ad un’altra sopravvissuta di SPACE del Sud Africa Mickey Meji e ad Ashley Judd del Movimento Metoo univano le loro voci per dire basta alla violenza maschile sulle donne e le bambine. Lo stesso giorno in Spagna ha preso parola la sopravvissuta e attivista Amelia Tiganus durante la manifestazione contro la violenza sulle donne che ha visto una grande partecipazione di abolizioniste. La voce delle sopravvissute sta facendo il giro del mondo e nessuno potrà fermarci. Essere una sopravvissuta significa aver vinto contro la violenza maschile, ma la lotta continua tutti i giorni, per questo abbiamo deciso di pubblicare oggi la premessa alla traduzione in italiano da noi curata del libro di Julie Bindel “The pimping of prostitution” adesso disponibile in anteprima per VandA.ePublishing con il titolo “Il mito Pretty Woman. Come la lobby dell’industria del sesso ci spaccia la prostituzione”. La versione definitiva del libro uscirà a gennaio, ma sono già disponibili copie ordinabili qua: https://www.vandaepublishing.com/prodotto/il-mito-pretty-woman/. Come per il libro di Rachel ” Stupro a pagamento. La verità sulla prostituzione”  anche questa traduzione è per noi un atto politico, quello di Julie è un libro denuncia che sfata i falsi miti che circondano la prostituzione:  quello del sex work e della ‘puttana felice”, un’inchiesta dettagliata condotta in 40 paesi per un totale di 250 interviste a sopravvissute, sfruttatori, compratori di sesso, attiviste, accademici/che e personalità politiche.

Il 21 novembre a Bologna Julie Bindel ha tenuto un discorso sulla violenza maschile contro le donne durante la seduta del Consiglio Solenne del comune di Bologna in occasione della celebrazione del 25 novembre. Nei prossimi giorni pubblicheremo il testo integrale del suo intervento che ha profondamente colpito tutti i presenti. Julie a partire dalla sua esperienza trentennale con la sua associazione femminista “Justice for Women” ha raccontato le storie di due donne vittime della violenza maschile, Emma Humphreys e Sally Challen.  Il caso di Emma in particolare mette in luce l’intreccio tra abusi sessuali subiti nell’infanzia/adolescenza, violenza domestica e prostituzione. Il suo fidanzato abusante l’aveva prima comprata quando era prostituita sulla strada a soli 15 anni e poi era diventato il suo sfruttatore. La storia di Emma è emblematica, rappresenta la storia di moltissime donne e ragazze nel mondo che continuano ad essere abusate nell’industria del sesso. Per questo il discorso di Julie è fondamentale: non è possibile considerare la prostituzione qualcosa d’altro, un lavoro, anzi una soluzione alla disoccupazione e alla povertà femminile come dicono certi sostenitori del sex work.  

Il movimento internazionale delle sopravvissute alla prostituzione sta diventando sempre più forte, si espande in tutto il mondo, Julie Bindel ci presenta la sua storia a partire dagli anni ’80 con la fondazione del gruppo WHISPER [Donne che hanno subito violenza nel sistema prostituente in rivolta] fino alla nascita nel 2012 di SPACE international: le donne di tutto il mondo stanno dicendo che la prostituzione è violenza. Sul fronte opposto i gruppi per “i diritti delle sex workers” la cui storia inizia con COYOTE [Basta con la vostra vecchia morale] un gruppo di ascendenza liberista le cui componenti non si trovavano nella prostituzione, ma dicevano di rappresentare la “voce delle prostitute” quando in realtà tra i soci c’erano rappresentanti dell’industria del sesso (tra i finanziatori c’era la rivista Playboy), compratori di sesso, conservatori. Il primo gruppo che grazie a finanziamenti consistenti (anche della chiesa metodista della California) ha avviato il marketing della prostituzione come “liberazione sessuale”, diffondendo il mito della “puttana felice”.  Nel 1985 la risposta delle sopravvissute all’industria del sesso non tarda ad arrivare: Evelina Giobbe fonda WHISPER in contrapposizione al messaggio mistificatorio di chi come COYOTE voleva occultare la violenza intrinseca del sistema prostituente. SPACE international e il movimento MeToo stanno continuando con grande coraggio l’opera di svelamento e informazione sulla violenza maschile nonostante le intimidazioni e la violenza messa in atto dalla lobby pro-sex work che cerca di zittire, censurare, ostacolare in ogni modo una forza ormai inarrestabile. 

Il movimento per l’abolizione della prostituzione è sempre più vitale e si espande nel mondo. Resistenza Femminista ne è parte e la traduzione di questo libro costituisce una scelta politica precisa, sulla linea che da anni perseguiamo di dare voce alle sopravvissute e alle indagini e testimonianze che portano alla luce la realtà di violenza e sopraffazione rappresentata dall’industria del commercio sessuale. Ancora una volta, come per il libro di Rachel Moran, Stupro a pagamento, abbiamo scelto di tradurre e accompagnare il libro e l’autrice negli incontri che via via avranno luogo con lettrici e lettori in Italia. Come Julie Bindel, consideriamo la prostituzione violenza contro le donne e le bambine e dedichiamo il nostro lavoro di attiviste e sopravvissute affinché la realtà di questa violenza emerga con la stessa chiarezza con la quale le donne hanno riconosciuto e chiamato con il suo nome la violenza domestica e la violenza sessuale.

Una delle domande che questo libro pone è: perché è così difficile riconoscere la violenza della prostituzione, o meglio, la prostituzione come violenza, come archetipo di ogni violenza contro le donne? Ci siamo trovate ad affrontarla in una discussione a proposito di come tradurre una frase del libro. La frase è di una sopravvissuta e si riferisce alla fatica che le donne in generale fanno ad ammettere che è la domanda di accesso sessuale ai corpi delle donne da parte degli uomini a sostenere un mercato che, nelle parole di Judith Herman, costituisce “un’impresa mondiale che condanna milioni di donne e bambine alla morte sociale, e spesso letteralmente alla morte, per il piacere sessuale e il profitto degli uomini”. A parere della sopravvissuta Evelina Giobbe, riconoscere la violenza della prostituzione ci impone il compito doloroso di “guardare dall’altra parte del tavolo a cui facciamo colazione”, in altre parole, di guardare chi ci sta davanti tutti i giorni, gli uomini che conosciamo e amiamo: i nostri amici, figli, compagni, mariti, fratelli, padri. In un primo momento ci siamo chieste se la frase fosse un’espressione idiomatica e avevamo pensato di tradurla con “guardare in faccia la realtà”. Poi però ci siamo dette che, paradossalmente, la nostra difficoltà a tradurre letteralmente in quel caso corrispondeva alla difficoltà che Giobbe riconosce ed esprime: la difficoltà di nominare e affrontare il problema che la prostituzione pone per le relazioni tra uomini e donne.

È più facile in effetti dare retta alle ragioni di chi parla di “scelte” delle donne e offre l’immagine rassicurante di un contratto sessuale paritario. Molto più faticoso è ascoltare la voce di chi ci ricorda che quel “contratto” è in realtà il pagamento di un abuso, un pagamento che coinvolge chi lo subisce cancellando la violenza agli occhi della società e rendendo dolorosissimo per chi lo subisce affrontare il proprio trauma e l’invisibilità sociale del proprio abuso.

Tuttavia, affrontare la violenza “nascosta in piena vista” della prostituzione è esattamente ciò che dobbiamo fare se davvero vogliamo avere una qualche speranza di costruire e percorrere la strada che ci porti alla fine della violenza maschile contro le donne. Non c’è da farsi illusioni: la sfida non è semplice. Il Modello nordico che noi sosteniamo intende rendere visibile la responsabilità degli uomini nel mantenimento di un sistema di controllo e oppressione della libertà delle donne. Quel sistema, il patriarcato, si regge su una disuguaglianza che sottrae alle donne la possibilità di lavorare ed essere indipendenti, rafforzando la disuguaglianza con un abuso travestito da lavoro che non fa altro che consolidare l’ingiustizia e la discriminazione. Il controllo sessuale e riproduttivo delle donne è l’obiettivo, perché è alla base di un sistema che non si potrebbe reggere se quel controllo venisse a mancare, ma costituisce anche il punto di partenza e il puntello dell’intero sistema. La risposta di alcuni, di definire la prostituzione un lavoro come un altro, non sarebbe altro che la legalizzazione dell’oppressione e dello sfruttamento delle donne. Non a caso Lina Merlin non ha mai definito la prostituzione un lavoro. Con la legge a lei intitolata, nel 1958 Lina Merlin ha liberato e donne che venivano schedate, rinchiuse nei bordelli e bollate con infamia per l’abuso compiuto su di loro dagli uomini. Definendo come crimine ogni attività volta a favorire e sfruttare la prostituzione altrui, la legge da lei voluta ha compiuto un passo fondamentale per la libertà delle donne. Quello che resta da fare è eliminare gli squilibri sociali ed economici e le condizioni culturali che portano a considerare l’atto di pagare per l’accesso sessuale al corpo di un essere umano – il più delle volte il corpo di una donna, una ragazza, una bambina – come una transazione economica accettabile.

Ha scritto Luisa Muraro:

Secoli di complicità tra uomini, di assoggettamento delle donne, di moralismo ingiusto, di cattiva letteratura e di assuefazione, hanno portato la società a non rendersi conto che la ferita inflitta all’umanità con la pratica della prostituzione, non è più accettabile. E non lo è mai stata. Non ci sono regole che tengano. Così com’è accaduto per i ricatti sessuali sul posto di lavoro da parte di quelli che hanno più potere, verrà il momento – ed è questo – in cui la non eliminabile vergogna della prostituzione, sempre rigettata sulle donne, tornerà alla sua vera causa, che è una concezione maschile degradata del desiderio e della corporeità.

Il filo che collega ogni violenza contro le donne è ormai visibile.

Le sopravvissute e le attiviste abolizioniste lo stanno mettendo sotto gli occhi di tutti e stanno sfidando il meccanismo di difesa di una dissociazione che Judith Herman non esita a dichiarare “praticata come norma sociale”. Di fronte alla prostituzione, a suo giudizio, “la scelta di evitare di sapere opera ai margini della nostra coscienza”.6 La dissociazione è un meccanismo che salva chi subisce la violenza, ma rischia di diventare anche la condanna a vivere in esilio da sé stesse. Per troppo tempo noi donne siamo state in esilio dal nostro posto nella società e abbiamo usato la nostra forza per resistere e sopravvivere. Ma adesso come sopravvissute da ogni parte del mondo prendiamo parola, per denunciare e smascherare il vero volto dell’industria del sesso che stupra e uccide e di chi la alimenta, gli stupratori a pagamento. Quell’industria che si nasconde dietro il mito di Pretty Woman, della prostituzione come lavoro sessuale o “sex work”. Bindel ricostruisce due storie parallele: quella del movimento internazionale delle sopravvissute che da WHISPER [Donne che hanno subito violenza nel sistema prostituente in rivolta], fondato nel 1985 da Evelina Giobbe, arriva fino a SPACE International [Sopravvissute all’abuso della prostituzione che chiedono di illuminare l’opinione pubblica] – movimento di sopravvissute provenienti da nove paesi – e quella della lobby pro-prostituzione, i gruppi per i “diritti delle sex worker”. WHISPER nasceva come risposta al gruppo liberista COYOTE [Basta con la vostra vecchia morale], al cui interno c’erano donne che si spacciavano come “la voce delle prostitute” senza essere o essere state nella prostituzione e uomini che ne sostenevano l’agenda politica, ovvero che la prostituzione fosse un lavoro come un altro: erano politici, studenti, rappresentanti di associazioni, compratori di sesso. Nasceva così il marketing dell’abuso sessuale venduto come potere delle donne (il cosiddetto “empowerment”) e il mito della “puttana felice”. L’espressione “sex work” (“lavoro sessuale”)/“sex worker” (“lavoratrice sessuale”) diventerà la parola d’ordine di una lobby fatta di accademici, assistenti sociali, politici, proprietari di bordelli e di agenzie di escort (come Douglas Fox, dell’International Union of Sex Workers, che si dichiara un “sex worker” pur essendo uno sfruttatore) e compratori di sesso, una lobby ben finanziata con lo scopo di decriminalizzare l’industria del sesso a livello globale, ovvero trasformare gli sfruttatori in manager e garantire il “diritto” degli uomini di abusare impuniti i corpi delle donne. Ma, come spiega Rachel Moran, la prostituzione non è “né sesso, né lavoro”, il fatto che ci sia di mezzo del denaro non cambia la natura di quello che succede, ovvero che si tratta di stupro, uno stupro anche più traumatico e devastante non solo perché reiterato, ma perché perennemente ignorato, negato, normalizzato dalla società patriarcale.

È arrivato il momento di compiere scelte che ci consentano davvero di immaginare e dunque rendere possibile una società non patriarcale fondata sul rispetto e la libertà per le donne e gli uomini. La prostituzione è misoginia che genera misoginia, odio verso le donne: dobbiamo eliminarla. Questo libro è un’opera fondamentale per procedere nella direzione aperta da Lina Merlin ed è per questo che ci piace ricordare qui l’hashtag con il quale invitiamo tutte le donne e gli uomini a lottare con noi e portare a termine la rivoluzione femminista: #iosonoLinaMerlin.

Ringraziamo Morellini Editore e VandA.ePublishing, in particolare Angela Di Luciano, per avere creduto in noi e per il sostegno alla lotta abolizionista. L’amicizia e la relazione tra donne sono davvero la chiave del cambiamento.

Resistenza Femminista