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Le disobbedienti. Una biografia di Vita Sackville-West celebra la scrittrice Aphra Behn. Che fu una spia internazionale

Riportiamo di seguito l’articolo di Francesca Vitelli su Aphra Behn, l’incomparabile Astrea, comparso originariamente qui.

Riuscire a far sì che non vi sia distinzione nel mondo del lavoro tra uomini e donne è una battaglia, iniziata secoli fa, ancora in corso. Alcune donne, con coraggio e tenacia, hanno aperto la strada sfidando le regole sociali che ne impedivano l’accesso alla sfera pubblica e a un qualsiasi impegno remunerato.
Aphra Behn (1640-1689) fu una di loro.  La sua storia, raccontata nel 1927 dalla scrittrice Vita Sackville-West, è da poco stata pubblicata da VandA edizioni con la curatela di Stefania Arcara.
A voler consegnare ai posteri la storia di una artista dimenticata nelle pieghe del tempo sono – come spesso accade – altre donne. Arcara introduce la lettura del testo di Sackville-West illustrando l’importanza delle scelte compiute dalla protagonista:  «Quando nel 1927, Vita Sackville-West celebra Aphra Behn come la prima scrittrice inglese professionista inaugura una storia letteraria femminista che, attraverso Virginia Woolf, arriva fino a noi. Aphra Behn. L’incomparabile Astrea è una biografia dai toni leggeri che illumina di luce nuova la maggiore scrittrice del Seicento inglese e la sua vita straordinaria, ma è anche un primo tentativo di analisi del rapporto tra donne, scrittura e professione letteraria, nonché fonte di ispirazione per il celebre saggio “Una stanza tutta per sé” che Virgina Woolf pubblicherà nel 1929».
Chi era Aphra Behn? Una donna fuori dal comune che visse esperienze precluse alle sue contemporanee: compì un viaggio in un lontano luogo esotico, il Suriname, fu una spia internazionale, visse la drammatica esperienza del carcere a causa dei debiti insoluti e scrisse apprezzate commedie per il teatro, contribuì alla definizione del canone letterario del romanzo moderno, compose poesie, tradusse testi e si occupò di propaganda politica.
Con lo pseudonimo di Astrea, scelto per il ruolo di agente segreto, si affermò sulla scena letteraria inglese del periodo della Restaurazione conquistando la fama. Suscitò curiosità e pettegolezzi attirando gli strali maschili per la scelta dei temi trattati e per il linguaggio usato: scriveva di sesso senza reticenze, era avvenente, intelligente, brillante e voleva divertirsi.
Per il suo essere e comportarsi come una libertina fu più nota come persona che come autrice, osava agire come gli uomini poiché non si negava né il piacere né il gusto di raccontarlo. Non solo scriveva non per passatempo ma per procurarsi da vivere, cosa già di per sé esecrabile ma, di più, scelse la drammaturgia, un’arte che si praticava in un luogo licenzioso e peccaminoso, un luogo dove le attrici erano assimilate alle prostitute: il teatro.
Dopo il claustrofobico periodo del puritanesimo con la Restaurazione si affermava la voglia di assaporare la sensualità della vita e i ruoli femminili sulle scene non erano più interpretati da ragazzi imberbi ma da donne.
Astrea costruiva i testi in modo diverso dagli altri autori, con lei il punto di vista diventa quello femminile, una donna padroneggia i canoni della commedia al pari dei colleghi e ha l’ardire di innovarli. Con il prologo e l’epilogo, formule in voga, si rivolgeva direttamente al pubblico per commentare il lavoro che presentava, le interessava la possibilità di indagare e affermare una prospettiva femminile per il libertinaggio: una donna, soprattutto non sposata, poteva scegliere di vivere come una libertina?
 «Sono certa che nessuna commedia sia mai stata scritta con quell’intento (riformare la moralità ndr)[…]; di certo le commedie si scrivono per esercitare le passioni umane, non per comprenderle».
Scrivere con un intento pedagogico, moralistico o di indirizzo non era cosa che suscitasse il suo interesse, la possibilità di esprimersi essendo sé stessa senza limitazioni per il solo fatto di essere una donna era l’intento che perseguiva. Consapevole del doppiopesismo nell’attribuzione dei codici di comportamento tra i due sessi affrontò il tema smascherando la trappola nella sua commedia più nota “The Rover” (1677) ambientata a Napoli durante il carnevale.
La festa carnevalesca è il contesto adatto per mostrare lo scambio dei ruoli in cui le dame si comportano da prostitute e viceversa poiché il destino delle donne è segnato dalla dipendenza economica che le incatena ad un uomo. Nei testi portati in scena la realtà predomina, per le donne non c’è possibilità di scelta al di fuori del matrimonio.
Sackville-West analizza lo stile letterario facendo emergere le contaminazioni francesi e spagnoli di moda per i romanzi di cappa e spada che fiaccavano la sua bravura inserendo manierismi che smorzavano le brillanti sferzate delle battute.
 «L’importanza del fatto che una donna borghese come Aphra Behn si sia guadagnata da vivere con il proprio ingegno – osserva Woolf sulla scia di Sackville-West – è maggiore di qualunque cosa ella abbia scritto». Allargando la visione, Woolf aggiunge che con Aphra Behn comincia per le donne la “libertà della mente”, attribuendole non semplicemente la capacità di guadagnare denaro, ma il merito di avere dimostrato la possibilità per le donne di una libertà di pensiero e di parola, una volta conquistata la propria autonomia.
Woolf, dunque, distingue accuratamente il successo professionale di Behn dalla qualità estetica della sua scrittura, ritenuta irrilevante, proprio come prima di lei aveva fatto Sackville-West. Le donne che ci presentano Aphra Behn concordano su questo aspetto e Virginia Woolf in “Una stanza tutta per sé” aggiunge:  «Tutte le donne insieme dovrebbero cospargere di fiori la tomba di Aphra Behn». Il testo pubblicato da VandA edizioni è interessante sotto diversi aspetti e chiavi di lettura: l’analisi letteraria, la ricostruzione storica, la visione femminista. Donne che, attraverso un passaggio di testimone nei secoli, scrivono di letteratura, sociologia, politica, spionaggio e altro perché non esistono lavori da uomini e lavori da donne. Esistono il talento, il coraggio e la tenacia.

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Il demone amante di Robin Morgan di Margherita Giacobino

Riportiamo di seguito l’intervista a Robin Morgan a cura di Margerita Giacobino, comparso originariamente su Erbacce. Illustrazione di Anna Ciammitti

È stato recentemente ripubblicato Il demone amante. Sessualità della violenza, di Robin Morgan (a cura di Maria Nadotti, Vanda Edizioni) apparso per la prima volta nel 1989, e poi con una nuova prefazione nel 2001 dopo l’attacco alle Torri Gemelle. In questo testo allo stesso tempo vasto e personalissimo Morgan smaschera la cultura della violenza insita nel pensiero patriarcale a tutti i livelli, dalla religione alla filosofia all’estetica all’immaginario sessuale, e denuncia la mistica del terrorismo anche alla luce del proprio vissuto di ex appartenente a gruppi armati di estrema sinistra e poi di femminista disarmata, riportando anche la sua esperienza con donne dei campi profughi in Medio Oriente.
In questa occasione Margherita Giacobino ha intervistato Robin Morgan sul tema della “normalità” della violenza e del terrore oggi. 
(NdR)

Nel tuo libro inizi mettendo in evidenza il nesso tra terrorismo e mascolinità.
Il terrorista… è l’idolo sessuale per eccellenza di una tradizione culturale maschilista che si estende dai tempi pre-biblici a oggi: è la logica estensione dell’eroe/martire patriarcale. È l’amante del demone e la società ne è (segretamente o apertamente) affascinata.
Cosa è cambiato da quando l’hai scritto?

Troppo poco, temo! Questo tipo di cambiamento profondo richiede molto tempo. Nella maggior parte degli ambiti – lo Stato costituito (di destra o di sinistra) così come le forze insurrezionali (di destra o di sinistra), la religione, la filosofia, l’estetica, nella sfera personale come in quella politica – siamo ancora impregnati di violenza maschile, dell’euforia del terrore, della democratizzazione e della normalizzazione della sofferenza. Guardate l’Ucraina.  È vero che le donne hanno fatto breccia nel potere, e ne hanno perfino in parte cambiato il concetto. Ma le forze schierate contro di noi sono passate al contrattacco (attualmente, si tratta della destra violenta). Vedo la rivolta delle donne in Iran come nettamente diversa, nelle tattiche, nella leadership e nel tono – meno spavalderia, più sostanza – con gli uomini che finora si sono uniti ma non hanno cercato di prendere il sopravvento, il che di per sé è un enorme progresso. In questa rivolta, oltre a rabbia e dolore, risuona anche una nota di vera gioia. Ricordo in particolare un video di una giovane donna che balla e volteggia per strada, facendo roteare la sciarpa sopra la testa e scuotendo i lunghi capelli al sole – e ridendo. Credo che questa possa essere la prima rivoluzione delle donne in epoca contemporanea.

C’è ancora la tendenza a isolare il femminicidio come un crimine radicato nella psiche dell’individuo e/o in un contesto degradato, mentre tu sottolinei la stretta relazione che esiste tra la violenza dell’individuo e la violenza dello Stato, e ci dici che il femminicidio e la violenza domestica sono atti di terrorismo patriarcale.
In che modo il recente femminismo, e in particolare MeToo, ha contribuito alla consapevolezza di questa relazione?

Ha contribuito notevolmente ad aiutare le persone a cogliere il continuum, a capire le connessioni. Per esempio, in quasi tutti i casi di uccisioni di massa tramite sparatorie – non solo negli Stati Uniti, dove il tasso di armi è deplorevolmente alto e dove accadono quasi ogni giorno, ma in tutto il mondo – chi ha sparato ha iniziato accanendosi contro le donne. Non è un’esagerazione. È un dato statistico facilmente reperibile con una ricerca minima, ed è presente nel 99% dei casi, il che ci invita a pensare a cosa significhi veramente. Aumentare la consapevolezza è sempre salutare.

Per controllare la popolazione, bisogna controllare il corpo delle donne. Da lì si passa al controllo della sessualità di tutti: omofobia, mutilazioni genitali femminili, matrimoni combinati, matrimoni infantili, purdah, ecc.
Il tuo libro è per molti versi profetico, vista l’attuale virulenza in varie parti del mondo occidentale degli attacchi anti-aborto, omofobici, ecc.

Sì, purtroppo è profetico. L’ascesa delle destre etremiste in molti Paesi, compresi gli Stati Uniti con Trump, è stata parte di un contraccolpo violento e tossico contro le donne, contro le loro anche minime conquiste, per non parlare degli uomini di colore, degli omosessuali, dei profughi, degli ebrei, delle persone diversamente abili e così via. Sospettavamo che ciò potesse accadere. Ma non ci fermeremo, anche se certi giorni sembra che quello che chiudi fuori dalla porta entri dalla finestra. Sì, era previsto, eppure sembra ancora irreale come un incubo.

In opposizione al pensiero patriarcale, assolutista e binario, tu invochi le virtù (femminili) dell’ambivalenza: pazienza, compassione, consapevolezza, complessità. 
L’ambivalenza come superamento della violenza istintuale – le donne, che sono più ambivalenti, sanno che non si vince con la forza, mai, quindi cercano di risolvere i problemi in altri modi – non si tratta né di ingenuità né di utopia, ma di senso pratico. 
Abbiamo fin troppo sotto gli occhi le donne della destra populista e le sostenitrici di Trump. Dove vedi invece operare l’ambivalenza salvifica delle donne?

In Iran, per fare un esempio, è l’intelligenza, non l’essenzialismo, che sta emergendo… in modo imperfetto ma chiaro. Il 12 luglio 2022 è stata proclamata la “giornata nazionale dell’hijab e della castità”, istituita dal presidente iraniano Ebrahim Raisi che ha introdotto una serie di regole ancora più draconiane per far rispettare i codici di abbigliamento delle donne.È sempre una questione di controllo, e inizia sempre con il controllo delle donne. È stato annunciato che i funzionari governativi inizieranno a utilizzare tecnologie di riconoscimento facciale sui mezzi di trasporto pubblico per identificare chi trasgredisce. Inoltre, il ministro di gabinetto del “quartier generale iraniano per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio” ha annunciato che le impiegate del governo saranno licenziate se le loro foto sui social media non risulteranno conformi alle nuove regole. Dal 2015 il governo iraniano ha introdotto gradualmente le carte d’identità biometriche. Un’ampia fetta della popolazione è ora presente in questa banca dati.
Poco dopo il ritorno dall’esilio dell’Ayatollah Khomeini nel 1979, le prime a scendere in piazza furono le donne che protestavano contro l’obbligo dell’hijab. E non dimentichiamo che molte figure cosiddette liberali, che in seguito furono disilluse dal “governo rivoluzionario”, si rifiutarono di criticare l’hijab obbligatorio, osservando sprezzantemente: “Non parliamo di un pezzo di stoffa sulla testa delle donne. Non è questo il problema”. Dissero che il problema era lo scià e l’economia e fecero appello all’unità. Ma come ci ricorda la studiosa Fatemeh Shams, una volta fermate le proteste, le donne hanno dovuto indossare l’hijab. Nessuno dei partiti politici che hanno preso il potere, compresi i riformisti della metà degli anni ’90, ha posto come priorità la lotta o l’abolizione dell’hijab obbligatorio.
Inoltre, il nuovo presidente Raisi ha inasprito il codice di abbigliamento e altre restrizioni: tre donne sono state arrestate per aver ballato in pubblico e condannate a un anno di prigione e 91 frustate, 33 saloni di parrucchieri sono stati chiusi e 1700 persone sono state convocate presso i centri di polizia per questioni legate all’hijab. Raisi, molto più integralista del suo predecessore Rouhani, ha intensificato il programma di islamizzazione della nazione e il movimento delle donne rappresentava una minaccia alla sicurezza nazionale, in quanto rappresentava una violazione delle norme sociali. La “legge sulla popolazione” introdotta nel novembre 2021 limita l’accesso all’aborto e alla contraccezione allo scopo di aumentare la natalità in calo in Iran – parte di un processo politico che mira a riportare le donne a casa. Le confessioni forzate, nel frattempo, sono in aumento.
Shams, che insegna letteratura persiana all’Università della Pennsylvania, osserva che “si può farsi un’ idea di un episodio o movimento rivoluzionario dai suoi slogan. Qui lo slogan principale è Donne, vita, libertà, mentre il movimento rivoluzionario del 1979 proclamava soprattutto Pane, lavoro, libertà, lo slogan centrale del Partito Comunista del Lavoro, ispirato al movimento rivoluzionario in Russia”. (È interessante notare che, a differenza del 1979, questa rivolta è trasversale a diverse classi, un fatto notevole in una società classista come l’Iran. La stessa Mahsa Zhina Amini proveniva da famiglia modesta e da una città curda di confine). Shams prosegue affermando che il fulcro di questo movimento è la rivendicazione della libertà del corpo delle donne, e lo slogan deriva dal movimento di liberazione curda ed è il frutto di decenni di impegno delle donne curde in una delle regioni economicamente più svantaggiate dell’Iran. Come sottolinea Shams,questa rivoluzione è senza leader: le persone nelle strade non aspettano che qualcuno prenda il comando. Sono loro i leader. È un punto di forza che questo movimento non si sia coalizzato dietro un leader o un partito politico, il che ha reso molto difficile per le forze di sicurezza reprimerlo. E ci hanno provato! Hanno effettuato arresti di massa di giornalisti e di potenziali leader. I numeri crescono di giorno in giorno, ma al 5 dicembre sappiamo che almeno 244 persone sono state uccise e 125.000 sono state arrestate, tra cui 29 giornalisti, 20 attivisti e 19 insegnanti, secondo i rapporti del governo.
Tutto questo, oltre alla cronica e grave oppressione della popolazione curda e alla repressione dei giovani, ha finito per sfociare in un’esplosione. Oggi vediamo stazioni di polizia, autopompe e fermate degli autobus in fiamme; gruppi di studenti che occupano più di 110 facoltà e centri educativi, uno sciopero nazionale nelle università; i campus delle università di Teheran, di Tabriz e di Sharif invasi da centinaia di poliziotti anti-sommossa che arrestano o tengono in ostaggio i manifestanti. Ma si tratta soprattutto di violenza contro la proprietà. I video continuano ad arrivare, ma anche i proiettili. Le ragazze adolescenti sono in prima linea: Nika Shakarami e Sarina Esmailzadeh, entrambe sedicenni, sono morte dopo aver partecipato alle proteste.
Nassrin Sotoudeh, l’avvocata per i diritti umani che ha rappresentato molte donne processate o condannate per non aver osservato l’hijab obbligatorio, ha dichiarato di recente: “Questo movimento senza leader è guidato da donne che compiono un unico atto rivoluzionario: non portano armi. La sola cosa che fanno è togliersi qualcosa dalla testa e camminare per le strade dell’Iran. L’immagine di questa rivoluzione è il corpo di queste donne senza veli che camminano per strada senza fare del male a nessuno. E questo non ha precedenti”.

Negli anni Sessanta tu hai fatto parte di gruppi di sinistra coinvolti anche in azioni violente, e in seguito sei stata tra i fondatori di W.I.T.C.H. (Women International Terrorist Conspiracy from Hell), che ha inscenato proteste contro Wall Street, contro Nixon, ecc. In che modo il “terrorismo” delle streghe femministe è profondamente diverso da quello dei gruppi politici maschili?

Be’, per prima cosa, avevamo – e abbiamo ancora – il senso dell’umorismo! Lo humor purtroppo spesso scarseggia a sinistra – e di sicuro non lo si trova a destra! Quindi il nostro tono scanzonato e il nostro teatrino di guerriglia ci hanno aiutato in questo senso, e sono serviti anche a coprire aspetti di altre nostre azioni – come spruzzare colla industriale nelle serrature della Borsa di Wall Street nel bel mezzo della notte, per poi “lanciare un incantesimo” per non far aprire le porte. Che ovviamente non si aprirono. Credo che questo – la nostra cattiveria trionfante, la nostra sfida – sia il motivo per cui W.I.T.C.H persiste come fenomeno popolare ancora oggi; a distanza di 50 anni, le giovani donne vogliono ancora farne parte.  Sembrano sapere che, se la retorica marxista ti annoia fino al coma, il W.I.T.C.H. ti darà respiro! Non è stata Emma Goldman a dire: “Se non posso farla ballando, non è la mia rivoluzione”?

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Liz Prince

Liz Prince è nata a Boston nel 1981 ed è cresciuta a Santa Fe, nel New Mexico. Frequenta la scuola del Museum of Fine Arts a Boston, dove si è diplomata. Autrice e illustratrice di magazine underground, vive poco fuori Boston con i suoi gatti, Wolfman e Dracula. Ama il caffè, il pop punk, Gossip Girl e i documentari naturalistici.

Il suo primo libro, Will You Still Love Me If I Wet the Bed?, candidato a diversi premi, ha ricevuto l’Ignatz come Miglior Esordio nel 2005 ed è stato tradotto in francese e spagnolo. Liz Prince ha disegnato fumetti per diverse antologie e minialbum (autopubblicati e per riviste indipendenti), e ha lavorato come freelance per vari fumetti della Cartoon Network, quali Adventure Time, Regular Show e Clarence. Ha inoltre pubblicato Delayed Replays (2008) e Alone Forever (2014). Tomboy: A Graphic Memoir (2014) ha ottenuto un grande successo di critica ed è stato subito tradotto in francese, adesso anche in italiano. Attualmente Liz collabora con la rivista punk Razorcake e disegna le copertine degli album per diverse band.

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Le donne e i veri tabù sulle pari opportunità. Lettera a Roccella

Al direttore – Gentile ministra Roccella, affrontiamo prima i due argomenti che di questi tempi sembrano al centro del mondo. Primo: come vede la chiamo ministra. Che di una donna voglia usare per sé il maschile è solo segno di quella miseria che si attacca tristemente alla pelle delle donne quando sentono di non avere storia. Un gesto ai miei occhi drammatico e triste. Secondo: sono proprio d’accordo con lei, l’aborto è il lato oscuro della maternità. Ma non è il solo. La maternità può essere oscura in sé quando non è desiderata. Può essere un abisso. Disgraziato chi viene al mondo senza il desiderio della madre.

Per questo considero l’aborto una necessità prima che un diritto. L’autorizzazione ogni donna l’ha presa dalla storia delle donne a fronte di ogni interno promesso o prigione minacciata e questo sarà sempre così. Ho letto che ha accettato il suo incarico volentieri perché il ministero delle pari Opportunita e stato un ministero voluto dal movimento femminista. Mi permetto di correggerla. Non è stato così.

Noi femministe non abbiamo mai chiesto un ministero delle Pari Opportunità. Dal primo momento in cui fu costituito lo abbiamo considerato un luogo pericoloso e ambiguo. Si dava alle donne l’idea che finalmente avessero una “stanza tutta per sé” e di questo avrebbero dovuto essere contente e soddisfatte. In realtà si voleva creare un mondo a parte delle donne, metterle in un angolo. Non era un’apertura, era un recinto. Le pari opportunità sono state la risposta delle istituzioni alla grande creatività del femminismo, il modo di arginare la sua grande potenza. Io lo chiamo femminismo di Stato.

Le donne non sono una categoria, una minoranza, sono fondanti della società, che infatti senza donne non esisterebbe, a loro, in quanto cittadine libere e contribuenti, spettano tutti i ministeri, quello del lavoro, quello della sanità, quello dell’economia, quello dell’istruzione…insomma tutti. Così scrivevo nel 1996 alla ministra Finocchiaro, parlando di questo imbroglio. Da allora a oggi questo Ministero, che non ha fatto cose da ricordare, è stato sempre senza portafoglio e questo la dice lunga. La Ministra sempre si deve arrabattare a elemosinare fondi di qua e di là. Così i progetti diventavano progettini, convegni convegnucci e le ambizioni si fanno piccole piccole. Per lei ministra Roccella mi sembra anche che il carico si sia appesantito perché alle pari opportunità sono state aggiunte natalità e famiglia, due carichi pesanti.

Quindi la mia raccomandazione vale anche per lei: non si arrenda all’imbroglio del “mondo a parte”, per di più povero in canna, le donne non lo meritano. Anche perché adesso le donne sono cambiate e non si chiedono più se sono capaci di fare quello che fanno gli uomini ma cominciano a pensare di saperlo fare meglio.
Siamo oltre le pari opportunità. Si avvicina il 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza alle donne. Si celebra dappertutto, soprattutto nelle scuole. Lei vedrà giovani ragazze truccate con occhi neri, bocche cucite da filo di ferro, teste spaccate, sangue e anche manifesti per la città, con immagini orrende.
Difficile camminare quel giorno con una bambina per mano, ma anche con un bambino, che possono chiederti cosa significa e tu non vuol rispondere, perché il messaggio che è sotteso a tutto questo è “Potrebbe succedere anche a te”. Perversamente sta diventando una festa, io lo chiamo il nostro Halloween. È la grande giornata del soggetto per eccellenza del femminismo di Stato: la vittima. Quel giorno tutte le donne diventano vittime, di chi non si dice.

Possibile non ci si accorga dell’ambiguità di tutto questo? La violenza alle donne è una tragica realtà a cui si deve porre rimedio ma non è un tema politico. Eppure tutti i partiti non sanno fare che questo, il perché è chiarissimo a chi lo sa vedere: la donna vittima, in realtà, rassicura tutti che nulla sta cambiando veramente e che l’ordine patriarcale della società non corre ancora alcun pericolo. La politica celebra proprio questo, anche se non lo sa. Io potrei suggerirle di istituire un minuto di silenzio da osservare nelle scuole, negli uffici pubblici, contro la violenza degli uomini sulle donne. Ma avrebbe difficoltà a fare passare questa proposta. Passerebbe invece la versione alleggerita, un minuto contro la violenza alle donne. Violenza anonima. Sono molto contenta che lei si dichiari femminista perché allora si accorgerà della falsa politica e lavorerà non sulla debolezza delle donne, non sulla loro vulnerabilità – siamo tutti vulnerabili – ma sulla loro forza che è immensa. Poche femministe sono entrate nei palazzi e debbo dire che non hanno fatto granché, presto prese in una logica estranea, costumi e usi che toglievano loro la parola piuttosto che darla. Spero non sarà così per lei. Comunque sarà difficile. Sa perché?

Perché le donne non hanno bisogno di pari opportunità ma di opportunità in più. Bisogna saper fare delle ingiustizie per loro, uscire dall’idea di risarcire le donne ed entrare nell’idea di investire su di loro per una vita dignitosa per tutti. Ma le difficolta sono due, molto grandi. La prima è che gli uomini sono vecchi e non sono pronti alla libertà delle donne e sono attaccati al potere, magari non per cattiveria, ma per abitudine. Qualsiasi obbrobrio della storia, e ce ne sono stati tanti tutti prodotti dalle loro decisioni, non li ha mai disautorizzati al potere. La seconda è riuscire a far guardare alle donne l’umanità, come un contadino guarda un campo al grano, come a una loro opera. Se le donne non trovano in se stesse il senso grande di essere al mondo, poco potrà cambiare. Questo significa riuscire a superare fatti i secoli di negazione, di emarginazione, umiliazione, ignoranza che hanno fatto credere alle donne di essere meno, di essere umanità minore e che le ha fatto pensare, come unica via per fuggire da un destino pesante, di volere essere uguale agli uomini, perdendo il senso prezioso della loro differenza e la loro storia e la loro forza. Ministra Roccella si metta all’ascolto delle giovani donne che per vivere fanno tre o quattro lavori contemporaneamente, che Dio sembrerebbe averle abbandonate, che la Patria con loro è più che avara e che la Famiglia per loro è un sogno impossibile. E sia così brava da riuscire a capire quello che le donne stanno dicendo senza parole. Tra i suoi mandati c’è la natalità. Le donne fanno meno figli, è un fatto.

Questo mette in pericolo la società tutta, la sua sopravvivenza. Se da femminista guarda a questo, saprà capire che non fare figli è il giudizio più severo che le donne danno a questa società, alla sua organizzazione, alle scelte delle sue priorità. Fare figli per le donne non è più un destino, è una scelta e la sentenza è amara per tutti. Questa è la guerra delle donne, che non è come quella degli uomini che fa morti. La guerra delle donne non fa più vivi. Quindi c’è da mettere mano a tutto, lavoro, sanità, scuola, casa, imprese, organizzazione della vita… Sarà così coraggiosa da mettere bocca dove non è prevista la sua voce? Da presentarsi dove non è aspettata? Perché questo deve fare, uscire dall’angoletto che le hanno riservato e trasformare il suo ministero in un laboratorio operoso al lavoro per una diversa visione della società senza servi né serve, lavoro che sicuramente gli altri ministeri non si sognano di fare, né ne sarebbero capaci.

Le auguro buon lavoro.

Alessandra Bocchetti, scrittrice

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Monique Wittig

Monique Wittig poetessa, saggista, teorica femminista e docente universitaria. È stata una delle fondatrici del “Mouvement de Libération des Femmes” (FML), ha collaborato con la rivista «Questions Féministes».

Nel 1976 si trasferisce in America dove ha insegnato all’Università lingua francese e women studies.

VandA ha pubblicato il suo saggio “Il corpo lesbico“.

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Pina Mandolfo

Pina Mandolfo è scrittrice, giornalista, regista, sceneggiatrice e operatrice culturale. Ha pubblicato diversi romanzi, fra i quali, Desiderio (Baldini&Castaldi, 1996), tradotto in Germania e Svizzera. Regista cinematografica, è autrice di numerosi film, documentari e sceneggiature, fra le quali, “Viola di mare”, vincitore del NICE Festival di New York e Mosca (2009).

Con VandA Edizioni ha pubblicato Lo scandalo della felicità. La storia della principessa Valdina di Palermo.

 

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Danielle Sassoon

Ammessa alla Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano, ne viene ben presto espulsa per cattiva condotta. Abbandona le scene e fa il suo ingresso in società, interpretando diversi ruoli professionali: intervistatrice telefonica, cameriera, organizzatrice di eventi, fattorina, guardarobiera, pittrice. Poi comincia a scrivere. A Beirut non ci sono più cani è il suo primo libro.

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“Basta Lacrime” su D di Repubblica

Un femminismo senza piagnistei. Militanza, battaglie, sapienza e nessun vittimismo: gli scritti di Alessandra Bocchetti. A cura di Nadia Fusini.

Sì, BASTA lacrime! Ha ragione Alessandra Bocchetti, intellettuale femminista, a intitolare cosi il suo libro, che è, come suona il sottotitolo, la Storia politica di una femminista, e raccoglie interventi e saggi e prose di vario genere, alcune anche intime, lettere, appunti, diari, di un arco di tempo che va dal 1995 al 2020, quindi dal suo e nostro passato prossimo al presente.
Il libro esce per una casa editrice libera e benemerita, Vanda Edizioni, che nel suo catalogo sfoggia tra le scrittrici italiane Lonzi, Mafai, Rossanda, tra le straniere Robin Morgan, Lou Salome.. Se si concentra sulle donne, è perché il mondo ha sempre più bisogno della sapienza femminile, ci spiegano Vicki Satlow,Angela Di Luciano, Silvia Brena, che tale casa editrice dirigono.

In effetti, di sapienza femminile è ricco il libro di Bocchetti, che vanta un pedigree di tutto rispetto in tale campo, e cioè nell’ascolto del pensiero delle donne, alla causa femminista avendo dedicato, semplicemente, la sua vita. O, se volete, più praticamente la sua azione.  «Chi scrive è nata donna» ci avverte da subito l’autrice. E in quanto tale, aggiunge: «si vanta di non aver deciso guerre, stermini, persecuzioni». Semmai ha cercato di «cambiare il mondo». Semmai, da donna consapevole di sé, dei propri diritti e doveri, ha provato a «rendere più civile» il mondo in cui abita. Ecco l’avventura che in queste pagine una donna intellettuale, intraprendente e coraggiosa ci racconta. Nei vari capitoli del libro la seguiamo nelle varie imprese in cui s’è azzardata perché venisse riconosciuta la speciale intelligenza del mondo che si incarna nel pensiero delle donne: perché ii mondo sarà irrimediabilmente più povero e più stupido finché si ostinera a non riconoscere la ricchezza della libertà femminile. Finché si rifiutera di comprendere che le donne libere e consapevoli di sé sono un prezioso dono civilizzatore.

A cominciare dalla fondazione alla fine degli anni 70 del secolo scorso del Centro Culturale Virginia Woolf, quella che chiamavamo l’Università delle Donne, dove sono passate the best
minds di una generazione di donne che insieme cominciarono a riconoscere la loro forza, e a convicersene. Bocchetti non ha smesso di battersi per la differenza. Convinta che non si possa costruire nessun destino, se non si comincia dalla libertà. Libertà di essere se stesse. Libertà di pensare per sé, da sé. Contro attese e aspettative imposte da comodi valori di parte, contrabbandati come leggi universali.

Nadia Fusini

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Antonella Ortelli

antonella ortelli

Antonella Ortelli è un’artista milanese, ha esposto al Mart di Rovereto, Art25/94 Messe Basel e in varie altri musei e collettive. Fra l’altro creatrice del Progetto Casina presso la Sezione femminile del carcere di San Vittore a Milano, che si rivolge alle donne detenute proponendo spazi di relazione e confronto attraverso le arti.

Per VandA Edizioni ha scritto una raccolta di prosa poetica, Senza Azione.

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Syl Ko

Ha studiato filosofia alla San Francisco State University e alla University of North Carolina. Appassionata di studi sociali, attualmente lavora a un libro che esplora le forme di vita di Wittgenstein in cui considera la razzializzazione dell’animale.

Con la sorella Aph Ko è autrice di AFRO-ISMO. Cultura pop, femminismo e veganismo nero (VandA 2020).

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Aph Ko

È teorica e produttrice indipendente di digital media e fondatrice di Black Vegans Rock. Ha una laurea magistrale in Studi sulle donne e sul genere e un master in Studi sulla comunicazione/media. È co-curatrice di The Praxis of Justice e ha lavorato come produttrice associata per il film documentario Always in Season.

Con la sorella Syl Ko ha scritto AFRO-ISMO. Cultura pop, femminismo e veganismo nero (VandA 2020).

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Collettivo Mama

MAMA è un progetto che nasce dalle tastiere di Alessandra Anderlini e Marcella Mantovani. L’attenzione di MAMA è rivolta al superamento degli stereotipi di genere e alla volontà di creare spazi di visibilità dedicati alla creatività femminile. Alessandra Anderlini, lavora presso l’ufficio cultura del Comune di Castelvetro. Marcella Mantovani insegna lettere nella scuola secondaria di primo grado. Ambedue hanno collaborato scrivendo articoli di satira e costume, con la fanzine femminile indipendente “Le Gatte da Pelare” e la rivista romana “Il paese delle donne”.

Rosa spia è il loro primo romanzo per VandA.

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MariaGiovanna Luini

MariaGiovanna Luini è medico e scrittrice. Da più di venticinque anni lavora come senologa all’Istituto europeo di oncologia a Milano, dove per sedici anni ha assistito alla direzione scientifica Umberto Veronesi. Master Reiki e operatrice energetica, sta completando la sua formazione specialistica con un corso in psicoterapia psicosomatica all’Istituto Riza. Al Centro Metis a Milano e nello studio Chiragarula a Crema promuove l’integrazione fra la medicina convenzionale di eccellenza e alcune tecniche che la scienza sta studiando: Reiki ed energie, meditazione e percorsi di autoconsapevolezza.

Attraverso i Tarocchi Genziana dell’inconscio la psiche esplora sé stessa e l’amore si svela attraverso le suggestioni delle immagini e di alcune parole-guida.

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Robin Morgan

Robin Morgan, scrittice, saggista politica, attivista femminista, giornalista (ha diretto il bimestrale “Ms”), ha pubblicato ventidue libri, fra cui le ormai classiche antologie Sisterhood is powerful (1970) e Sisterhood is global (1984), ed è tradotta in tredici lingue. Ricopre un ruolo di primo piano nel movimento femminista internazionale.

Ne Il demone amante, con scrittura poetica e sguardo implacabile, Morgan decostruisce il tema della violenza, svelandone funzione e moventi, sia quando si manifesta in privato nella violenza domestica, sia come violenza di Stato e guerra, sia quando prende il volto della rivoluzione.

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Laura Castellani

Laura Castellani, laureata in Sociologia con la tesi “Il lavoro contadino. Processi globali e lavoro locale”, ha gestito dal 2014 al 2018 una piccola azienda agricola in provincia di Rimini. È promotrice del progetto Essere Contadine e attivista nei movimenti femministi ed ecologisti.

Contadine si diventa è un libro unico, su una realtà imprenditoriale in grande crescita: le “contadine multitasking”, appassionate e convinte, rompono gli schemi e segnano un cambio di rotta, perché oggi, secondo l’adagio beauvoiriano, “contadine si diventa” non si nasce.

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Lou Andreas Salomè

Lou Andreas Salomè viaggia per tutta l’Europa. Colta, sensibile, dalla mente brillante e acuta, è aperta alle novità del nuovo secolo, alle avanguardie artistiche e, soprattutto, alla psicoanalisi (Freud ne parlerà con ammirazione e stima). Scrive saggi, articoli, romanzi, recensioni teatrali. Ha intense relazioni intellettuali, spirituali e affettive con alcune delle figure più importanti del Novecento, come Rilke e Nietzsche. Per tutti sarà ispiratrice, musa, allieva, amica.

L’umano come donna è un testo fondamentale che ha aperto la strada alla riiflessione sulla femmnilità e sulla differenza sessuale mentre L’erotismo è un testo di rara profondità e di sorprendente attualità

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Marta Correggia

Marta Correggia è magistrato dal 2002, vive e lavora a Napoli. Ha pubblicato racconti su antologie e riviste letterarie (Perrone, Storie, Tina la rivistina) e ha curato pubblicazioni di carattere giuridico (Guida al diritto – Sole 24 ore, Giuffré, Simone editore) “Il mio nome è Aoise” è il suo primo romanzo.